lunedì 12 aprile 2010

IL GOVERNO BADOGLIO FU UN GOVERNO LEGITTIMO?



Fu il seme dell’attuale sistema?

di Filippo Giannini

Poco tempo fa un giovane mi chiese come mai a distanza di tanti decenni l’argomento Benito Mussolini sia ancora tanto atteso e attuale. Io risposi che quando la Storia è falsata o disconosciuta, questa automaticamente si vendica, facendo diventare presenti avvenimenti ormai, apparentemente obsoleti. È la Verità che bussa, sovente alla porta. Qualche volta essa riesce anche ad aprirla.
Dopo questa brevissima premessa, mi si potrebbe obiettare: perché indagare sul fatto della legittimità del Governo Badoglio, avvenuto quasi settant’anni fa? Perché, rispondo, quel fatto è il basamento sul quale è stato costruito l’attuale sistema nel quale viviamo ed esplorarlo può fornirci una risposta su tante considerazioni. Risposte sempre amare.

L’argomento sulla legittimità del Governo Badoglio fu da me trattato in altre occasioni. Ma desidero riproporlo per tre motivi, il primo perché ho ricevuto un Comunicato Stampa da parte dell’Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione, Associazione dalla quale, pur prendendo le dovute distanze per le finalità alle quali era soggetta, tuttavia debbo riconoscere che erano soldati, che indossavano una divisa, quindi erano legittimi combattenti, al contrario dei loro cugini, i partigiani; il secondo perché, quale studioso di storia, considero il Governo Badoglio il seme di quelli che seguirono, e questo sino ai governi di oggi, e da questo studio cercare di comprendere i motivi di tanta differenza nell’amministrare la cosa pubblica ; il terzo: data l’importanza storica della materia, l’impegno che avevo preso di trattare questo tema, a chiusura di un mio precedente articolo.
Ciò premesso, e prima di entrare in argomento, è bene chiedersi se il Governo di Mussolini nel Ventennio fu un Governo legittimo.
Riconosco di non essere un esperto in materia di leggi, quindi mi avvarrò delle opinioni di personaggi che della materia sono autorevoli competenti.
Una corretta analisi di come il Fascismo salì al potere, la si trova nella relazione di Vincenzo Arangio Ruiz, Ministro di Grazia e Giustizia nel secondo Governo Badoglio, relazione presentata nella seduta del Consiglio dei Ministri del 4 maggio 1944 (quindi in piena campagna epurativa) nel tentativo, sostenuto anche da Benedetto Croce, di opporsi alla mostruosità giuridica delle leggi penali retroattive, concepite dal suo predecessore, l’avvocato Ettore Casati, primo Presidente della Corte di Cassazione. Con la sua consueta chiarezza del pensiero giuridico, Arangio Ruiz osserva: “La marcia su Roma, se pure di vera ed efficiente marcia militare si può parlare, si concluse con l’incarico conferito da Sua Maestà il Re al signor Mussolini di costituire un nuovo Governo: e questo Governo fu legalmente costituito, si presentò in Parlamento, ne ebbe il suffragio, ottenne i pieni poteri e, secondo la volontà del capo, subì nel Ventennio innumerevoli trasformazioni, governando sempre secondo norme di formale legalità e con il sussidio e l’apparente controllo di quegli organi che leggi dello Stato, formalmente corrette, designavano allo scopo. In queste circostanze, se il giudizio politico non può non sboccare nei riguardi del Governo fascista in una decisa e severa condanna non si può affermare che esso non sia stato un Governo di diritto, a meno di voler dare a questa parola diritto, un significato giusnaturalistico” (Aldo Pezzana, Gli uomini del Re).
Possiamo sostenere la stessa validità giuridica per il Governo Badoglio? Possiamo sostenere che un Governo nato da un “Colpo di Stato” possa godere di piena legittimità? Vediamo i titoli di regolarità e legittimità. 4 marzo 1818, Carlo Alberto promulgava lo Statuto. Da quella data sino al 25 luglio 1943 la Costituzione italiana si era andata lentamente modificando: per quasi un secolo le leggi venivano tutte regolarmente approvate dal Parlamento e sanzionate dal Re. Esattamente come lo Statuto albertino prevedeva. Fra le varie leggi che più ci interessano citiamo le seguenti: quella del 24 novembre 1922, con la quale Mussolini ottenne dalla Camera, a larghissima maggioranza, i pieni poteri – nonostante che i deputati fascisti fossero solo 35 - ; la così detta legge Acerbo, n° 1933 del 2 settembre 1928; le leggi che istituivano nuovi organi istituzionali, quali il Gran Consiglio del Fascismo, il Consiglio Nazionali delle Corporazioni, la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che sostituiva la vecchia Camera dei Deputati. Tutte leggi regolarmente approvate dal Parlamento e convalidate dal Sovrano. Il 25 luglio 1943 fu posto in atto un vero colpo di Stato. Esiste in materia una così ampia letteratura che non è possibile proporla completamente ma, per chiarezza riesaminiamo le argomentazioni più probanti.
Il 24 luglio 1943 si riunì il Gran Consiglio del Fascismo. Il giorno seguente il Re fece arrestare il suo Primo Ministro a Villa Savoia. Alle 22,45 la radio trasmise il comunicato: “Sua Maestà il Re e Imperatore (!) ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, Sua Eccellenza Cavalier Benito Mussolini ed ha nominato Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, Sua Eccellenza il Cavaliere Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio”.
Le prime domande:
a) Mussolini si presentò al Sovrano con l’intento di rassegnare le dimissioni?
b) La nomina di Badoglio a Capo del Governo seguì le norme costituzionali allora vigenti?
c) La legge del 1925 (approvata dal Parlamento e ratificata dal Re), in forza della quale Mussolini restava in carica sino a che avesse goduto della fiducia del Re (anziché del Parlamento), giustifica l’atto del 25 luglio?
Vediamo di analizzare le domande e arrivare a delle conclusioni:
La prima (a): da Storia della Repubblica di Salò di Deakin, pag 451 e seguenti: scrisse più tardi Mussolini “alle otto ero a Palazzo Venezia. Regolarmente da ventun anni, cominciò la mia giornata lavorativa; l’ultima! Fra la posta non vi era niente di grande importanza, a parte una domanda di grazia per due partigiani dalmati condannati a morte. Telegrafai in senso favorevole al governatore (…). Scorza (presentatosi a mezzogiorno, nda) cominciò raccontando la discussione avvenuta nell’ufficio del duce (così nel testo, nda) dopo la fine della seduta del Gran Consiglio: sottolineò che non v’era dubbio sulla non validità del voto; dato che si trattava di un organo puramente consultivo (…). (Mussolini) incaricò il suo Segretario De Cesare di domandare un’udienza a Villa Savoia “o altrove” per il pomeriggio stesso, alle cinque, aggiungendo che sarebbe intervenuto come al solito in borghese. L’appuntamento fu confermato telefonicamente da Puntoni (aiutante di campo del Re, nda). Poteva quasi sembrare una visita normale (…). A mezzogiorno il duce ricevette un’altra visita, quella del nuovo ambasciatore giapponese Hidaka, giunto a Roma alla fine di giugno. Bastianini, che era presente, stese il verbale del colloquio (…). Hidaka commentò poi con il suo collega tedesco: “Il Duce gli aveva fatto un quadro completo e chiaro nella mezz’ora di conversazione avuta: non gli aveva dato assolutamente l’impressione di un uomo che non fosse sicuro della propria posizione (…)”.
Anche Duilio Susmel, “I Dieci Mesi terribili”, pagg.356/357, scrive: <(Parla Mussolini con Scorza). Fra mezz’ora sarò dal Sovrano. L’udienza sarà forse un po’ più lunga del consueto. Calcolo di essere libero fra le diciotto e le diciotto e trenta. Vi chiamerò subito. Il Maresciallo Graziani è a Roma o fuori? “È in città, Duce”. Desidere vedere oggi stesso il Maresciallo Graziani. Verrete a Palazzo Venezia con lui (…)>.
Da questa testimonianza risulta evidente che Mussolini non avesse alcun intenzione di rassegnare le dimissioni, viste le disposizioni che aveva appena impartite. Il Re fece catturare il Primo Ministro sulla soglia della Villa, mentre usciva da una udienza, violando palesemente, oltre l’elementare dovere di ospitalità, lo Statuto stesso che, nell’articolo 45 sanciva che nessun deputato in carica (e quindi, a maggior ragione, neanche il Capo del Governo) poteva essere arrestato fuori del caso di flagrante delitto, senza previo consenso delle Camere. Questa non fu che la prima di una lunga serie di violazioni – non meno gravi, come avremo modo di riportare – commesse da Vittorio Emanuele III, che pur era sempre stato molto osservante delle formalità e dello Statuto.
La seconda (b): Il Re nominò Badoglio Capo del Governo seguendo le norme costituzionali vigenti? È accettato da costituzionalisti e personalità di legge, che il Re si assunse la responsabilità di compiere un colpo di Stato, frutto di una congiura di palazzo. È noto che nelle precedenti sedute del Gran Consiglio mai si giunse a votazione sui vari argomenti esaminati. Nella seduta della notte fra il 24 e il 25 luglio dai congiurati fu pretesa la votazione sui diversi Ordini del Giorno. È noto, altresì, che quello presentato da Dino Grandi ottenne la maggioranza. Cosa era e cosa regolamentava il Gran Consiglio del Fascismo, organo che aveva posto in minoranza il Duce?
La legge 9 dicembre 1928, n° 2693, Ordinamento e attribuzioni del Gran Consiglio del fascismo, l’articolo 13 attestava: “Il Gran Consiglio, su proposta del Capo del Governo, forma e tiene aggiornata la lista dei nomi da presentare alla Corona in caso di vacanza, per la nomina del Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato”.
Anche se non si faceva obbligo al Re di attenersi alla lista presentata dal Gran Consiglio, tuttavia la legge imponeva al Sovrano l’obbligo di esigerla e consultarla prima di procedere alla designazione del successore.
Il Re venne meno anche a questo dovere costituzionale. Quindi si verificò che, se da una parte il Sovrano si era servito, come risolutiva, di una votazione del Gran Consiglio (che, ripetiamo, era un Organo consultivo senza alcun potere deliberante) e se ne avvalse per esautorare dalle sue funzioni il proprio Primo Ministro, dall’altra parte non si rivolse al Gran Consiglio per ricevere la lista come invece la legge imponeva.
Attilio Tamaro in Due Anni di Storia (1943-1945) 1° Volume, pag. 44, scrive: “Primariamente perché in linea teorica la tesi che il Gran Consiglio avesse funzioni assolutamente consultive era esatta, conforme alle leggi del 1928 e del 1929. Secondo, perché egli (il Re, nda) diede i pieni poteri a Badoglio e la Corona, giusta la vecchia e la nuova Costituzione, non poteva conferirli, essendo quelli prerogative delle Camere. Terzo, perché chiamava al governo un gruppo di persone che nulla rappresentavano nel Paese>. Tamaro così continua: <(…). Il Re avrebbe dovuto ricordare la legge che faceva di quello un supremo organo consulente della Corona stessa nella formazione del governo. Il che rimase completamente obliato e il voto granconsigliare venne sfruttato solo come apparente giustificazione per l’esecuzione di una congiura che si sarebbe realizzata anche senza di esso e in forma più violenta e forse sanguinosa”. Quindi sin qui risulterebbe che il Sovrano avrebbe agito contra jus, determinando, senza dubbio, l’operazione del colpo di Stato. Dello stesso parere sono i seguenti luminari del Diritto: Primo Augenti, Giorgio Mastino del Rio. Francesco Carnelutti. Ivanoe Bonomi, ex Presidente del Consiglio del Re, primo capo del Cln, da studioso e da giurista, definisce quanto avvenuto il 25 luglio 1943 (ricordiamo che lui stesso fu attivo artefice), un colpo di Stato. Infatti nel suo Diario afferma: “Il colpo di stato del 25 luglio 1943 fu il prodotto di una lunga incubazione (…). Il Re si decise a fare il colpo di Stato per pubblica richiesta del Gran Consiglio fascista, d’accordo con i capi ribelli del fascismo”.
Ancora: è stabilito che nessuna legge o decreto ha validità se non viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Ebbene, su nessuna Gazzetta Ufficiale risultano né il decreto di revoca a Benito Mussolini, né quello di nomina a Primo Ministro di Pietro Badoglio; né appare alcun elenco di Ministri come, invece, il Regio Decreto 26 luglio 1943 aveva indicato.
Interessante quanto riporta StoriaVerità n° 7, pag. 6 a firma di Elio Lodolini: “Comunque il colpo di Stato del 25 luglio avrebbe una certa sua legittimazione politica se non giuridica, se coloro che lo compirono avessero avuto il coraggio di dichiarare che essi agivano contro la Costituzione italiana. L’illegittimità del Governo è rafforzata proprio dall’essersi esso voluto qualificare governo legittimo, con tutte le conseguenze derivanti da quella qualifica: la frattura della Costituzione diventa necessaria e quindi legittima quando si ammette necessario e legittimo il colpo di Stato. Parlare di legittimità di un colpo di Stato è forse azzardato; ma perlomeno l’ordinamento costituzionale di fatto, instaurato con un atto rivoluzionario, antigiuridico, ammette una successiva legittimazione; mentre nel caso in esame, l’essersi dichiarato legittimo, da un lato non ha conferito certamente legittimità al governo Badoglio, costretto a violare nuovamente, nel corso della propria esistenza, più volte la Costituzione che si fingeva di rispettare (…)”.
Con Regio Decreto n° 705 del 2 agosto 1943 fu soppressa la Camera e, di conseguenza, fu resa nulla anche l’attività del Senato. Con R.D. n° 706 fu soppresso il Gran Consiglio del Fascismo e con R.D. n° 721 del 9 agosto furono soppressi il Consiglio Nazionale delle Corporazioni, il Comitato Corporativo Centrale e le Corporazioni. Con ciò fu resa vana la possibilità di una pur possibile tardiva regolarizzazione dei Decreti stabiliti dal 25 luglio a questa data, tanto più che, come prevedeva l’articolo 9 dello Statuto del Re, dichiarando conclusa la XXX Legislatura e sciolte le Camere, si sarebbe dovuto provvedere entro quattro mesi alla elezione di una nuova Camera dei deputati. Essendo venuto a mancare anche questo provvedimento, viene a rafforzarsi la tesi del colpo di Stato e, di conseguenza, l’illegittimità del governo Badoglio.
Per aumentare ancor più la confusione e rendere ogni Decreto, se non risibile, almeno inefficiente, i R.D. Legge, sopra indicati, risultano: a) illegittimi. Infatti essendo leggi costituzionali, per apportarvi qualsiasi variante era necessario l’intervento della Camera, del Senato e del Gran Consiglio; b) nei suddetti Decreti legge, incluso quello riguardante la soppressione della Camera, era esplicitamente indicato: “Il presente Decreto, che entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno (5 agosto 1943), sarà presentato alle Assemblee legislative per la conversione in Legge”. Ma quali Assemblee, se queste, proprio per Decreto erano state sciolte? c) Il Re si avvalse della legge del 1925 per ritirare la propria fiducia al capo del Governo. Ma vennero a mancare tutte le procedure costituzionali necessarie, come è stato ampiamente dimostrato nei punti a) e b). In altre parole, anche accettando le attribuzioni che la legge del 1925 conferiva al Sovrano, questa legge non lo dispensava dall’eseguire tutti gli atti indispensabili per rendere il passaggio dei poteri legittimamente e costituzionalmente valido.
E per concludere: da nessun documento si evince, in forma ufficiale, la revoca della fiducia al capo del Governo allora legittimamente in carica.
Da quanto sopra risulta chiara la confusione esistente nei principi e nelle enunciazioni. Infatti per attenersi alla Costituzione il Sovrano avrebbe dovuto convocare, non sciogliere le Camere dei Fasci e delle Corporazioni e il Senato; ma, essendo i componenti di questi, per la maggior parte nominati dal Fascismo, ben difficilmente avrebbero assecondato il disegno del colpo di Stato, o comunque il varo di leggi tendenti alla demolizione dello Stato fascista.
Tutto ciò, con le sue illegalità, menzogne, illegittimità, fu il prologo necessario per affondare la Nazione nella più vergognosa operazione che la storia ricordi: era il prologo necessario per la resa senza condizioni come sarà annunciata l’8 settembre 1943.
Ma questo è un altro discorso. E allora, o italiani, da tutto ciò cosa vi sareste aspettati…?

per gentile concessione dell'ing. Filippo Giannini

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