giovedì 4 febbraio 2010

La storia del risorgimento va riscritta. Ecco perché.



L’avvicinarsi delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia è una preziosa occasione per confutare molti luoghi comuni sul periodo storico del risorgimento italiano, illustrato nelle nostre scuole in modo retorico, enfatico ma soprattutto in netto contrasto con la storia e senza tenere conto dei reali eventi e sviluppi storici.

Al riguardo vorrei citare lo storico italiano Giordano Bruno Guerri:

“Non è edulcorando la propria storia che la si onora e la si fa amare, né tantomeno conoscere. Bisognerà, per esempio, dimostrare in modo esplicito che il Risorgimento non fu un movimento di massa voluto dal popolo, bensì l’attività intellettuale e politica di una minoranza, oltre che una campagna di conquista del Regno del Piemonte; che Cavour non andò mai a Roma in vita sua e che avrebbe preferito uno Stato federale composto da Nord, Centro e Sud; che ai cosiddetti plebisciti di annessione poté votare, per censo, meno del 2 per cento della popolazione; che Massimo d’Azeglio, dopo aver detto pubblicamente «fatta l’Italia bisogna fare gli italiani», in privato scriveva: «Unirsi con i napoletani è come giacere con un lebbroso»; che non erano molti - al Nord, al Sud, al Centro - gli italiani che davvero si entusiasmavano all’idea dell’Unità.”
Fra i molti luoghi comuni, quello sul reale stato dell’economia del Regno delle Due Sicilie, molto migliore di quanto comunemente si vorrebbe far credere. Su questo punto scriverò uno specifico post; mi limito qui a dire che le banche meridionali vennero saccheggiate in favore del nuovo Stato unitario (mentre quelle piemontesi erano sull’orlo della bancarotta) e che il latifondo baronale fu smantellato - con requisizioni - a favore di nuovi latifondisti, i quali poterono comprare vasti appezzamenti di terra a costo inferiore al valore effettivo.

Occorre anche mettere nella giusta luce quel fenomeno di eroica resistenza che fu l’insorgenza italiana che la capziosa storia politically-correct illustra come fenomeno del “brigantaggio”.

L’insorgenza fu sostenuta dai Borboni in esilio, dal clero e dalla popolazione civile, fu una rivolta di massa, sociale e politica.

I “briganti” non erano criminali né ribelli, ma italiani che non avevano avuto diritto di voto nei plebisciti per l’annessione al Regno del Piemonte, ma avevano il diritto, umanamente se non legalmente, di rifiutarla.

La popolazione considerava i briganti eroi coraggiosi contro un invasore.

Migliaia di partigiani insorsero, spesso a prezzo della vita, contro la potente alleanza liberal-massonica-protestante, nemica del Papato e del popolo. Sono straordinarie le storie di singoli “briganti e brigantesse”, di battaglie e agguati, astuzie e vita quotidiana di un mondo che sembra antico ma risale appena ad un secolo e mezzo fa. Mi piace ricordare che a questi eroi è dedicato questo blog, si legga al riguardo il mio post n. 100.

Per combattere la ribellione delle popolazioni meridionali contro l’annessione forzata, il neo Regno d’Italia applicò una vera dittatura militare impiegando l’esercito come contro un nemico esterno dando vita, nei fatti, ad un “totalitarismo liberale", fenomeno d'élite, che anticiperà i totalitarismi di massa del Novecento.

Lo Stato, nel periodo 1861-1864, impiegò quasi metà dell’esercito per vincere la ribellione.

Intere popolazioni meridionali vennero sottoposte a una spietata repressione che provocò - secondo calcoli attendibili - almeno 100.000 morti con crudeltà feroci come, per esempio, popolane incinte stuprate e squartate, interi villaggi incendiati, coltivazioni distrutte, lutti.

Di queste atrocità si è, per molto tempo, persa traccia perché gran parte della documentazione relativa è stata scientemente distrutta.

Il 15 agosto 1863 fu approvata la legge Pica, che estendeva la repressione alla popolazione civile, ovvero a chiunque fornisse ai “briganti” viveri, informazioni “ed aiuti in ogni maniera”.

Con questo strumento operarono i nomi più illustri dell’esercito, Alfonso La Marmora, Enrico Cialdini, Enrico Morozzo della Rocca, Giacomo Medici, Raffaele Cadorna.

A molti di questi “eroi” - e non ai martiri insorgenti - oggi sono intitolate molte strade delle nostre città.

L’Italia settentrionale assistette inorridita alla guerra, per quanto si cercasse di nasconderne la gravità, e cominciò a chiedersi se annettere “quei selvaggi” era stato un bene.
L’insorgenza alla fine del 1865 sarà vinta, anche se durerà almeno fino all’annessione dello Stato della Chiesa, che appoggiava in ogni modo i “briganti”.

Il governo centrale si era imposto e l’Unità era salva grazie all’esercito, ma a caro prezzo.

Il problema della criminalità non era stato risolto, tanto meno quello della sopravvivenza quotidiana dei più poveri.

Il sud sarà trattato per anni come una colonia da sfruttare: tasse anche sul macinato, sulle porte e le finestre (le case cominciarono così ad avere un sola apertura, con conseguenti epidemie di tubercolosi, il male del secolo), arrivò la leva obbligatoria che durava anni e toglieva braccia a popolazioni prevalentemente agricole. Nel nuovo regime burocratico e accentrato i meridionali, vengono privati delle industrie e delle terre su cui lavorare.

Il floridissimo Regno delle Due Sicilie in brevissimo tempo fu portato al tracollo finanziario, e i meridionali per la prima volta nella loro storia furono costretti a emigrare all'estero per poter mangiare.

Nacque così il problema del "mezzogiorno", da allora mai più risolto.

È una vicenda che né al liberalismo e né al fascismo conveniva illuminare, e una sorta di autocensura patriottica ha impedito di farlo negli ultimi sessant’anni, continuando a perpetuare l’enfasi sulla quale sono cresciuti decine di milioni di italiani.

Non è possibile, tuttavia, capire il successivo rapporto Nord-Sud, fino ai nostri giorni, se non si tiene conto di quegli eventi.

E’ da quel periodo, infatti, che nascerà il detto: “Mi avete voluto a tutti i costi? Bene, adesso mantenetemi”.

Anche l’attuale reazione leghista, in fondo, senza rendersene conto, deriva da quell’antico episodio della nostra storia.

Concludo citando ancora lo storico Giordano Bruno Guerri:

“nessun popolo - come nessun individuo - può davvero prendersi in giro, fingendo di avere avuto una storia diversa da quella che ha avuto”.


Fonti ed articoli correlati:
Il Risorgimento? È zoppo, ora gli storici lo riscrivano
Scuse al Vaticano per l'Unità d'Italia di Angela Pellicciari (Libero, 12-09-09)
L'Italia unità costò agli italiani censura, pena di morte e miseria di Angela Pellicciari
Il sud era ricco prima di diventare Italia di Angela Pellicciari
N. 100 - Il perchè di un blog dedicato agli eroi martiri dell'insorgenza italiana

Post n°112 pubblicato il 30 Settembre 2009 da insorgente
tratto da: http://blog.libero.it/insorgente/7752450.html

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