di Filippo Giannini
Oggi 4 gennaio 2010, mi trovo nelle Canarie e solo casualmente sono riuscito a vedere il TG1 delle ore 17 ora italiana. Quasi al termine della trasmissione è apparso sullo schermo un signore di “una certa eta’, che si è presentato come il signor Mangano che ha dichiarato di aver intrapreso una azione penale a carico dei Presidenti degli Stati Uniti in quanto da lui ritenuti responsabili di atrocità commesse dai militari statunitensi nel corso dello sbarco in Sicilia. Il signor Mangano, fra le altre cose, ha dichiarato che le truppe americane avrebbero ucciso anche ventisette soldati italiani ormai prigionieri, quindi disarmati. Nell’ascoltare il signor Mangano sono rimasto piacevolmente sorpreso,:
Circa dieci anni fa venni a sapere che il 14 e il 15 luglio 1943, a seguito dello sbarco anglo-americano in Sicilia nei pressi di Acate-Biscari ebbe luogo un furioso combattimento fra militari italiani e anglo-americani, al termine del quale vennero fatti prigionieri alcune decine di italiani e tedeschi. Mi attivai immediatamente e mi recai in Sicilia per attingere notizie più ampie e precise. Giunto sul posto, notai che le persone da me interpellate cercavano di eludere le domande, fino a quando una persona, che doveva conoscere qualcosa sui fatti da me indagati, mi suggerì di rivolgermi ad un prelato del posto e da questi iniziai approfondire l’argomento e il consiglio di interpellare un signore che “doveva conoscere qualcosa di più”. Infatti appresi notizie che, per ovvii motivi oggi sono accuratamente celate, per i lettori apro il mio libro a pagg..43-45, e leggo: "Che la tensione nervosa e il timore dell’ignoto degli invasori fossero elevati è l’unica giustificazione che si può concedere per le atrocità messe in atto sin dai primi momenti degli sbarchi. Si deve ad un paracadutista americano l’aver potato a termine la prima operazione bellica: toccata terra nella campagna di Vittoria (Ragusa), pugnalò un pastore impegnato al pascolo delle sue pecore. Questo non fu che l’inizio delle efferatezze compiute dalle forze Alleate – come documenteremo nel corso di questo volume – ricordandone le più eclatanti, anche se poco o affatto conosciute.
Il maestro Rocco Tignino di Licata, ben noto nel paese per il suo antifascismo, capì subito che se gli americani entravano nel paese la guerra era finita. Ma non poté godere molto della libertà portata dai liberatori, perché una raffica di mitra lo fulminò all’istante.
Il Podestà di Biscari, Salvatore Mangano, suo figlio Valerio, studente liceale, il fratello Ernesto, ufficiale medico in licenza dal fronte russo, decisero di portare le proprie donne lontano dalla zona di sbarco e di combattimento. Il Prefetto indossava la divisa delle autorità fasciste per facilitare
Carlo D’Este, nome italiano di un ufficiale americano, autore del libro “1943: lo sbarco in Sicila”, scrive che la difesa italo-tedesca fu costretta ad arretrare e a concentrarsi intorno agli aeroporti di Comiso e Biscari. Alla difesa parteciparono soprattutto i militari della Livorno e reparti della 219° Divisione Costiera. L’attacco era portato dagli americani della 45° Divisione comandata dal generale Patton, e in particolare su Biscari operavano i fanti del 180° Reggimento. Arlo D’Este a pagina 254 e seguenti scrive: "La lotta prolungata per la conquista del campo d’aviazione di Biscari diede origine al primo ripugnante incidente della campagna. In due episodi separati, settantatre prigionieri di guerra italiani, furono massacrati da un capitano e da un sergente del 180° Reggimento della 45° Divisione. Gli scontri, che erano iniziati il giorno D tra le due forze avversarie, si erano fatti accaniti intorno alla strada provinciale 115. Prima dell’invasione, Patton aveva parlato personalmente all’intera Divisione e aveva avvertito le sue truppe di ciò che le aspettava in Sicilia: Wedemeyer, che era presente, ricorda che “Li ammonì di fare molta attenzione nei casi in cui i tedeschi o gli italiani avessero alzato le mani mostrando l’intenzione di arrendersi. Affermò che qualche volta il nemico si comportava in quel modo per far abbassare la guardia ai soldati. Patton avvertì i membri della 45° Divisione di stare attenti a quell’insidia e di uccidere ‘quei figli di puttana’, a meno che non fossero certi della loro reale intenzione di arrendersi”".
Continua D’Este: "Vicino all’aeroporto di Biscari, il 14 luglio una forza di fanteria incominciò ad essere bersagliata dall’artiglieria pesante e dal fuoco dei tiratori scelti. Durante lo scontro che ne seguì dodici uomini furono feriti dalle granate prima che la piccola forza nemica si arrendesse. Risultò che si trattava di un gruppo di trentasei italiani, parecchi dei quali indossavano abiti civili. Il comandante della compagnia di fanteria ordinò di uccidere i prigionieri, al che essi furono allineati sull’orlo di una vicina fossa e giustiziati da un plotone di fanteria. Lo stesso giorno un’altra compagnia di fanteria catturò quarantacinque italiani e tre tedeschi". Un sottufficiale americano ricevette l’ordine di scortare i prigionieri nelle retrovie per essere interrogati. "Dopo circa un chilometro e mezzo di strada il sergente ordinò al gruppo di fermarsi e di spostarsi verso la carreggiata dove furono allineati. Spiegando che avrebbe ucciso quei ‘figli di puttana’, il sergente si fece dare un fucile mitragliatore Thompson dal suo caporal maggiore e freddamente eliminò quegli sventurati".
Gli autori, ed i mandanti di questo massacro furono, oltre al generale Patton, il capitano Jhon T. Campton che impartì l’ordine, e il sergente Horace T. West che l’eseguì.
I due episodi non passarono inosservati e il generale Omar Nelson Bradley, comandante del Secondo Corpo d’Armata statunitense, ordinò che gli autori fossero immediatamente deferiti alla Corte Marziale con l’accusa di “premeditato assassinio di 84 prigionieri di guerra”. Ed è da sottolineare a questo punto l’errore commesso dal signor Mangano perché il numero degli assassinati furono, infatti, 84 e non ventisette come dichiarato in televisione.
Con l’intento di ampliare l’indagine, scrissi agli uffici competenti di Washington pregandoli di inviarmi l’incartamento riguardante il processo. In questa ricerca non posso trascurare l’assistenza fornitami dal dottor Gianfranco Ciriacono il quale parallelamente a me svolse l’indagine su questo ignobile fatto.
Essendo quindi in possesso degli incartamenti ricevuti da Washington, ovviamente in lingua originale, ma tradotti, il tutto riportato nel mio volume in oggetto.
Ripeto sono a decine di migliaia di chilometri dall’Italia, quindi nell’impossibilità di contattare il signor Mangano al quale vorrei, qualora fosse interessato, fornirgli quanto in mio possesso; di conseguenza pregherei chi fosse in condizione di farlo, di avvertirlo ed eventualmente fornirgli il mio indirizzo mail.
Per concludere questo articolo voglio ricordare che la Corte Marziale statunitense, a fine agosto 1943 sentenziò la non colpevolezza del generale Patton e del capitano Campton; mentre il sergente West fu condannato all’ergastolo; ma solo dopo un anno di prigione, la condanna del sergente fu commutata in servizio di prima linea. Il capitano Campton, ripreso servizio, morì nel corso di un’azione di guerra.
filip.giannini@tiscali.it
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