martedì 5 gennaio 2010
La resistenza
La resistenza
Sfatiamo alcuni miti che ci sono stati imposti in questi ultimi decenni.
Parliamo ovviamente della Resistenza e di come è stata proposta dalla sua fine ad oggi.
Tra le frasi più usate vi sono state “Lotta di popolo“, “lotta di Liberazione” e “Combattenti per la Libertà“.
Esaminiamole più da vicino:
Lotta di popolo
In un Paese che contava circa 35 milioni di abitanti i partecipanti alla Resistenza, secondo i dati dell’ANPI del 1946, furono circa duecentomila.
Un anno prima, sempre secondo l’ANPI, erano centocinquantamila.
Un po’ poco per definire la Resistenza una lotta di Popolo.
Al massimo una lotta di élite, di poche persone che, avendo avuto una visione più ampia rispetto al resto della popolazione decisero di fare qualcosa. Sull’effettiva visione che avevano, torneremo tra poco.
Lotta di Liberazione
Il termine è equivoco. Una lotta di liberazione avrebbe dovuto essere rivolta verso le truppe alleate, che erano gli invasori, e non certamente verso le truppa italiane e tedesche che invasori non erano.
Si intende liberazione dal Fascismo e dal Nazismo e si usa a ragione ben veduta il termine Liberazione col duplice scopo di radicare nella memoria che il Nazismo e il Fascismo (il male) erano illiberali mentre i partigiani (il bene) combattevano per la libertà.
Ciò è vero solo in piccola parte, visto che la maggioranza dei partigiani combatteva in verità con la speranza di instaurare una schiavitù ben peggiore.
Combattenti per la Libertà
Questo sarebbe il termine di definizione esatto, se il fine fosse stato quello di riportare la libertà e la democrazia in Italia.
Ciò è però, come vedremo in seguito solo parzialmente valido.
Su queste premesse, sbandierate quasi ogni giorno, si è imposto il mito della Resistenza e si sono poste le basi della rovina dell’Italia.
Rovina che perdurerà sino al giorno in cui questi miti non saranno demoliti e si ritornerà alla verità storica.
Secondo le cifre dell’ANPI, nel 1945 erano censiti 150.000 partigiani, nel 1946 (in quella data furono chiuse le liste poiché il numero di aspiranti partigiani
cresceva giorno dopo giorno) circa 200.000, di cui circa 80.000 appartenevano alle associazioni non comuniste ("Brigate del Popolo£, "Fiamme Verdi",
"Volontari della Libertà", "Squadre Bianche").
Negli anni precedenti si riduce notevolmente sia il numero effettivo dei partigiani che ovviamente anche quello dei partigiani non comunisti.
Per la precisione nel 1944 (cifre ufficiali il totale ammontava a 130.000). Scarso fu pure l’appoggio ’esterno’ dei contadini e, in genere della popolazione.
A questo proposito cito due testi:
” La tattica del mordi e fuggi adottata dai partigiani doveva non risultare gradita a coloro che in quelle zone dovevano vivere, restando abbandonati dai partigiani alle rappresaglie nemiche. La diffidenza dei contadini verso i partigiani si trasformò in certi casi in vera e propria ostilità obbligandoli ad andarsene, come nel caso delle valli valdesi nell’estate del 1944, o addirittura chiedendo l’intervento dei nazifascisti” ([1] Romolo Gobbi, Il mito della resistenza, pag 69, ed Rizzoli, Milano 1992).
“La gente, pur continuando a odiare i tedeschi, si domandava la ragione del soffrire e la scorgeva nell’azione dei partigiani. . . e urlava, pregava, minacciava
perché i partigiani stessero lontani. Cosa vogliono, dicevano, quei disgraziati in montagna? Non fanno che provocare dolori, scappano, non sanno combattere, ci fan bruciare la case” ([2] Giorgio Bocca, Partigiani della montagna, ed Bertello Cuneo 1945).
Le tesi contrarie, vere e proprie favole, furono un semplice atto di propaganda, studiato a tavolino, imposto con ricatti nei confronti della cosiddetta
intellighenzia del dopo guerra e rpetuto sino alla nausea per farlo diventare un fatto assodato. In seguito vedremo come e perché.
Le due anime della Resistenza, bianca e comunista, oltre che per entità, erano molto diverse anche per organizzazione e per finalità. Pur sedendo insieme negli stessi comitati, l’obiettivo degli uni, dei bianchi, era quello di ristabilire una democrazia, quello dei rossi era di ubbidire agli ordini di Stalin e, se possibile, portare l’Italia nella sua orbita di influenza. In altre parole questi ultimi erano “Combattenti per la Schiavitù“.
La strategia e le azioni storiche con cui proseguirono questo fine, qui semplicemente accennato, saranno oggetto di un post particolare.
Per ora soltanto due considerazioni:• se lo sbarco in Sicilia degli Alleati fosse avvenuto nel 1941 invece che nel 1943 avremmo avuto una Resistenza contro gli Alleati, visto che Stalin era alleato di Hitler.
• i partigiani rossi furono spesso in lotta contro i partigiani bianchi. Gli episodi più famosi sono la strage di Purzus e quella di Strassera. Tornerò su entrambe con i particolari. Qui cito solo un brano della sentenza di condanna all’ergastolo (1957) comminata dalla Corte di Assise contro Moranino responsabile della strage di Strassera:
«Perfino la scelta degli esecutori dell’eccidio venne fatta tra i più delinquenti e sanguinari della formazione. Avvenuta la fucilazione, essi si buttarono sulle vittime depredandole di quanto avevano indosso.
Nel percorso di ritorno si fermarono a banchettare in un’osteria e per l’impresa compiuta ricevettero in premio del denaro.»
E’ anche bene ricordare fin da ora come la Resistenza ebbe in effetti due fasi ben precise:
• la lotta contro il fascismo e il nazismo (1943-1945)
• la lotta per imporre lo Stato sovietico o quanto meno la legittimazione del PCI e la sua egemonia nella cultura a cui avrebbe dovuto poi seguire, cosa che purtroppo avvenne, l’occupazione di settori chiave quali l’educazione e la giustizia.
Solo dopo il 1948, ad elezioni avvenute e finito il sogno di una repubblica socialista italiana si accreditò l’idea di una Resistenza unita, di popolo e con un unico obiettivo e ideale: la libertà.
L’operazione poté riuscire essenzialmente grazie all’apporto della vasta schiera di giornalisti, storici e professori che il PCI era riuscito ad arruolare.
La situazione storica era infatti mutata.
Chiarito una volta per tutte da Stalin che l’Italia, almeno per il momento, era stata assoggettata all’influenza anglo-americana, Togliatti (capo del Partito
Comunista Italiano) si trovò nella necessità di far buon viso a cattiva sorte e cercare di porre le basi per lo sviluppo futuro del suo partito.
Per far questo erano necessarie almeno tre cose.
• L’accettazione, almeno di facciata, del principio democratico e parlamentare.
• La presenza attiva del partito nell’assemblea costituzionale.
• La creazione del mito della Resistenza unito al perdurare eterno del pericolo fascista in modo da poter nascondere quanto di poco chiaro
avveniva nel partito e nell’alleata Unione Sovietica e dare una sorte di legittimità al partito comunista, attivo partecipante alla ’Lotta di Liberazione’.
Naturalmente la parola d’ordine era di tacere sull’apporto dei partigiani bianchi e di coprire i misfatti di quelli rossi.
Nei prossimi post entrerò nel dettaglio sia del disegno perseguito sin dal 1943 dal PCI, sia degli orrendi crimini commessi dalle formazioni partigiane comuniste dal 1943 al 1948.
Nella descrizione di questi ultimi vi saranno purtroppo particolari raccapriccianti.
Ho deciso comunque di inserirli perché rientrano in pieno nella strategia e nella logica della resistenza comunista, tant’è vero che i loro autori, anche
quando erano semplici delinquenti apolitici, furono in tutti i modi aiutati dall’apparato del partito, sino ad organizzarne, qualora non ci fossero altri
mezzi per proteggerli, la loro fuga ed il loro mantenimento nell’Unione Sovietica di Stalin.
tratto da: ricordare .... per non avere mai più comunismi !
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