mercoledì 14 ottobre 2009

La tratta dei negri


Quando si parla della schiavitù e della "tratta" dei negri si ricordano sempre la Spagna, la Francia, la Danimarca, l'Olanda, il Portogallo; ma non si parla mai dell'Inghilterra.
Nessuno pensa, certo, a difedere la morale di Pizarro né i conquistadores, ma é indubitato che, quanto alla schiavitù, la legislazione spagnola era molto più blanda di quella inglese. E' stato l'inglese Merivale a dire che le colonie spagnole erano già Commonwealth quando quelle inglesi erano soltanto fattorie e si hanno fondati motivi per ritenere che 'incrudelimento dello schiavismo spagnolo fosse precisamente effetto dello esempio degli inglesi e della concorrenza che questi potevano fare soltanto mediante un più feroce sfruttamento della mano d'opera nera. La schiavitù spagnola permetteva al negro il matrimonio, la proprietà e l'acquisto, anche a rate, della libertà. Un magistrato, chiamato "protettore degli schiavi", vigilava sulle loro condizioni fisiche e civili. A Cuba, a Portorico, a Trinidad, la popolazione dei negri liberi era diventata più numerosa di quella schiava.
La Francia, nonostante la brutalità dei piantatori e dei negrieri, aveva almeno una parvenza di giustizia: il Code noir ammetteva gli schiavi a testimoniare in giudizio. I danesi, nelle loro piccole colonie di Vera Cruz, S. Tommaso, S. Giovanni, erano blandi e umani. Gli olandesi, definiti dagli inglesi Brougham e Stedman come la nazione «più inumana» del mondo, avevano leggi migliori di quelle inglesi nella loro colonia di Guiana. I portoghesi si mostrarono, non di rado, umani: mulatti salirono ad alte posizioni, alcuni furono perfino ammessi nell'Ordine di Cristo, parecchi furono comandanti di navi, interpreti e consiglieri di re indigeni e di autorità europee.
Ma l'Inghilterra - si veda la pubblicazione sulla tratta e lo schiavismo nella politica inglese di J. Sebezio, redatta esclusivamente su libri inglesi - una volta gettatasi nello schiavismo, non conobbe né limiti né remore.
Il fondatore dell'industria della tratta in Inghilterra fu John Hawkins, parente e iniziatore del grande corsaro Drake, che nel 1562, con un gruppo di nobili signori, catturò trecento negri sul fiume Rokel in Sierra Leone e li barattò ad Hispaniola con oro, argento, perle e zucchero. Altri due viaggi nel 1564 e 1567, diedero ad Hawkins grossi profitti e la regina Elisabetta, che era "azionista" della ditta ne fu tanto soddisfatta, che lo creò cavaliere. Hawkins ebbe il supremo buon gusto di scegliere per il suo blasone "una mezza figura di moro legato con una corda" e fini la sua carriera col grado di ammiraglio e tesoriere della Marina reale.

Il "prezzo degli schiavi"
Il predominio spagnolo non permise agli inglesi un notevole incremento di tale industria fino a quando la rapida espansione nella prima metà del secolo XVII non riaprì loro le porte dei continenti. Nacque allora il grande commercio negriero, che arricchì l'Inghilterra durante due secoli gettando le basi formidabili del suo capitalismo. Nel 1618 re Giacomo concesse patente alla Company of Adventures of London into Africa, fondata dal conte di Warwick che iniziò il commercio degli schiavi e dell'oro in Gambia; nel 1631 un'altra compagnia veniva fondata a Londra da Sir Richard Joung; nel 1663 un terza compagnia sorgeva fregiata del titolo solenne di Royal Company of England, che ebbe per azionisti la Regina Caterina e la Regina Madre, il Duca di York, il Duca di Buckingham e sessantasette gentiluomini.
Il prezzo medio di uno schiavo alle Barbados fu fissato in 17 ghinee, ma l'offerta superando la domanda, migliaia di negri invenduti morirono nei "depositi" della Compagnia. Nel 1672 il capitale fu dovuto rifondere in lire sterline 110.000, di cui 5000 sottoscritte da Re Carlo II e il Duca di York, dirigente attivissimo, ritoccò il "listino" dei prezzi tariffando i negri fra i 12 e 40 anni di età da 15 a 18 sterline.
Un grande trionfo per la Compagnia fu la concessione dell'Asiento per le colonie spagnole, consacrato dal trattato di Utrecht del 1713, che fissò l'appalto a 144.000"capi" in 30 anni, cioè 4800 all'anno.
I principali centri, le "piazze" più famose per la tratta erano Bristol e Liverpool. Già nel 1709, ben 57 navi di Bristol erano adibite alla tratta. Ma nello stesso anno Liverpool la distanziava e nel 1751 si assicurava l'indiscusso primato. Le navi passarono a 53, a 86 nel 1765, a 185 nel 1807. A questa data esse trasportavano 43.775 "capi» all'anno. La città aveva "operato" con grande abilità e con un piano razionale, attrezzando convenientemente il suo porto. L'abolizione della tratta la trovò in possesso dei cinque sesti del traffico degli schiavi, integrato da un'altra fiorente industria: quella dei "corsari", per la quale aveva armato, fra il 1778 e il 1779, centoventi navi con 1986 cannoni e 8754 uomini. Era tale la fierezza degli abitanti di Liverpool per tali attività e per l'opulenza che ne derivava, che scelsero a motto della loro città - che lo conserva tuttora - una bella frase latina Deus nobis haec otia fecit.
Può sembrare cinica tale ostentazione - e lo é - ma agli abitanti di Liverpool essa appariva innocente come il commercio delle aringhe affumicate. Grande dovette essere lo stupore del pubblico di Liverpool quando in un teatro, in una sera dei primi dell'Ottocento, un attore fischiato gridò al pubblico di non sentirsi disonorato della cattiva accoglienza di una città, di cui ogni mattone era cementato con sangue africano. "Sudore e sangue - scrisse lo Shomburg - erano tramutati, alla distanza di cinquemila miglia, in cani da caccia e cavalli, in biblioteche e viaggi di piacere".

Gli orrori del "Middle passage".
E i metodi per procurarsi la "merce"? Le fattorie inglesi sulla costa occidentale dell'Africa erano quattordici e in esse gli agenti delle Compagnie, d'accordo coi sovrani indigeni, insegnavano ai capi delle tribù i metodi più ingegnosi per guadagnare denaro catturando il bestiame. Si inscenavano guerre artificiali per giustificare la cattura di prigionieri, che poi erano venduti alle fattorie; si punivano i reati più insignificanti per poter vendere i condannati: si favoriva l'adulterio per giustificare la condanna e la vendita dei colpevoli; si affamavano intere zone per indurre i padri a disfarsi dei figli. Il territorio delle fattorie era una vera e propria riserva di caccia, dove qualunque negro poteva essere catturato. Le condizioni nelle quali si svolgeva questo traffico spaventevole erano indicibilmente raccapriccianti. I tragitti dei "carichi" erano un vero supplizio per quelle povere vittime della cupidigia britannica. La tappa centrale del viaggio triangolare, conosciuta come il middle passage, era quella dall'Africa alle Indie occidentali. Il middle passage a bordo di una nave inglese era letteralmente un inferno. Ecco la descrizione della nave Brook: lunghezza metri 30, larghezza metri 8, altezza fra i porti metri 1,60, inferiore cioè, alla statura di un uomo normale. Per conseguenza, gli schiavi dovevano giacere, i maschi incatenati a due due, la testa verso i piedi del compagno, le donne e i bambini in gabbia a parte. Le bocche d'aria erano quattordici in tutto, boccaporti compresi. Su questo bastimento, il cui ponte non poteva avere una superficie maggiore di 200 metri quadrati, furono caricati, nel 1786, nientemeno che 609 schiavi.Il middle passage durava da sei settimane a tre mesi, a seconda dei venti. Un bastimento che, fra calma e tempeste, navigò circa tre mesi, ebbe il cinquanta per cento del "carico" morto per malattia, e all'arrivo uno dei membri di quasi tutte le coppie dei negri incatenati era già cadavere putrefatto. Un ufficiale di bordo dichiarò che, a causa dell'orribile fetore di putredine e di materie organiche, era impossibile scendere nella stiva e che il cibo era gettato alla rinfusa dal boccaporto. Altri testimoni riferiscono che il fetore di una nave negriera si sentiva a cinque miglia sottovento. Una statistica di Gomer William dice che di una "partita" di 7904 negri, 2053 "capi morirono durante il middle passage".
Alcuni episodi, a caso. Gli ufficiali della nave Zong di Liverpool nel 1783 gettarono in mare 132 schiavi vivi per carpire un premio di assicurazione, e gli avvocati inglesi nel difendere l'armatore davanti a un tribunale inglese, sostennero tranquillamente trattarsi di normale gettito in mare di "merce avariata". Un certo capitano Marshall fustigò a sangue un ragazzo che rifiutava da quattro giorni il cibo, ne immerse i piedi in acqua bollente e quando fu morto, ordinò alla madre, a furia di percosse, di gettarne il cadaverino in mare. Nel 1762 essendo la Defence di Bristol in pericolo di naufragare, l'equipaggio si salvò lasciando morire, incatenati nella stiva, 460 schiavi.


Torture e supplizi
Nella pratica mercantile inglese queste perdite erano "preventivate", sia agli effetti dei tassi di assicurazione e dei noli, sia per determinare i prezzi di vendita all'ingrosso e al dettaglio. Su cento "capi" era ammesso che 17 morissero nelle prime nove settimane e, via via, si giungeva alla conclusione che soltanto il 50 per cento rimanesse in condizioni fisiche idonee al lavoro delle piantagioni. Se ne ha una riprova nel fatto che nella sola Giamaica su 800.000 "capi" importati dal 1680 al 1820, la popolazione schiava dell'isola a questa data era di soli 340.000 inclusi, s'intende, i nati durante i 140 anni.
Questi orrendi misfatti non erano affatto ignorati nella madrepatria. Nel 1780 fra dieci e ventimila schiavi esistevano proprio in Inghilterra, nel territorio stesso dove Oxford e Cambridge distribuivano il "pane della scienza"; dove a Westminster legiferava il "Padre dei Parlamenti europei", dove Davide Hume ricercava i "Principii della morale" e Adamo Smith pubblicava una Teoria dei sentimenti morali.
Nel Parlamento, secondo Lushington, 56 membri erano direttamente interessati alla tratta e fra i proprietari di schiavi nelle colonie figuravano i nomi più illustri del patriziato.
La "giustizia" inglese nelle colonie era addirittura inumana nell'applicazione delle pene agli schiavi colpevoli anche di un nonnulla. La ribellione era punita col taglio di una gamba, dopo di che il condannato era arso vivo; oppure con la sospensione ad una forca fino al¬la morte per fame. In alcuni casi la punizione era la castrazione e si sa che 42 schiavi subirono questa operazione per mano della signora Alice Mills.
Nel 1810 Mr. Edward Huggins, di Charlestown dichiarava a un magistrato essere più "economico" comprare nuovi schiavi che spendere troppo danaro per dar da mangiare a quelli invecchiati. Nel 1811 l'Hon. Arthur Hodge, di Tortola, membro del Royal Council per le Isole Vergini (uomo di educazione liberale e di maniere raffinate ", fu processato per avere causato la morte, in tre anni, di 60 schiavi, soprattutto donne e bambini, mediante fustigazione e tortura, e fu assolto.Nel 1826 i coniugi Enrico ed Elena Moss, delle Bahamas, dopo aver fustigato una ragazza, per tenerla sveglia, le gettarono pepe rosso negli occhi. La ragazza mori e i signori Moss furono condannati a cinque mesi di carcere; ma la sentenza sembrò così "immorale", che tutti i notabili della colonia si recarono a visitarli nel carcere e i1 governatore generale Grand intercesse presso la Corona in favore degli "sventurati coniugi Moss"! Un vecchio taglialegna fu legato a un albero e lasciato morire di fame: i testimoni affermarono che i vermi avevano cominciato a roderlo prima che morisse, ma la Corte assolse l'imputato inglese per insufficienza di prove.

Complicità della Chiesa anglicana
Fra i più feroci proprietari di schiavi si debbono collocare i pastori protestanti. Nel 1813 il Reverendo Davis di St. Kitts ammazza la sua schiava Elisa ed è assolto; nel 1818 i reverendi Padri Rawlins e Deaver commettono delitti analoghi e sono assolti; il Rev. Higgins di St. Kitts è assolto dall'accusa di avere mutilato cinque negri; nel 1829 il curate Bridgen alla Giamaica è assolto per ben due volte dopo aver fustigato a sangue la sua cuoca Kitty Hylton che aveva bruciato l'arrosto.
La chiesa anglicana perseguitava ferocemente i pochi eroici metodisti, che, soli, in tanta barbarie, si sforzavano di dare assistenza morale ai negri. A questi missionari, che i pastori della religione ufficiale qualificavano come "odiosi ad ogni persona rispettabile", si dava una caccia spietata da villaggio in villaggio, incendiandone le case e il povero mobilio.E l'abolizione della tratta - contro la quale si levò Gladstone, proprietario di 1012 "capi" di bestiame umano - non fu voluta dall'Inghilterra? Vero. Ma fu voluta quando lo schiavismo divenne inutile all'Inghilterra in seguito alla perdita delle colonie d'oltreatlantico, mentre restava un grande vantaggio per le colonie francesi e spagnole dell'America del sud, che le muovevano una pericolosa concorrenza coi bassi costi di produzione.
Un per finire. Nel 1926 quando già la Lega delle Nazioni si occupava dei casi della repubblica di Liberia e dell'Abissinia, l'Inghilterra si accorse che nel suo protettorato di Sierra Leone esisteva ancora legalmente la schiavitù. Che fare? Come uscirne? Fu emesso un decreto che l'aboliva. Ma quel decreto era talmente equivoco, che non era possibile interpretarlo, perché mentre impartiva le norme per l'emancipazione, consacrava il legal statuts of slavery come giuridicamente esistente. Di modo che l'Attorney General di Sierra Leone, Mr. Greenvood, poté scrivere: "Quantunque la legge inglese non riconosca la schiavitù e la politica inglese sia in favore della sua to¬tale abolizione, ciò nonostante sarebbe ozioso voler sostenere che il Governo non riconosca la schiavi¬tù nel Protettorato". Naturale!

I piccoli schiavi bianchi
La storia dello schiavismo inglese non sarebbe completa, se, oltre allo schiavismo praticato nelle colonie, non si accennasse a quello nazionale. A questo punto si apre una delle pagine più orrende della storia dell'Inghilterra.
Lo schiavismo "nazionale" nacque con l'introduzione delle macchine, che, dopo avere distrutto l'artigianato, non poté dare lavoro ai disoccupati. L'industria meccanizzata non richiedeva più mano d'opera scelta, ma lavoro non qualificato, con salari bassissimi. In questa vicenda orribile, la parte dei negrieri era rappresentata da genitori affamati, dagli ospizi parrocchiali noti sotto il nome di workhouse e da bande di incettatori. Gli industriali rappresentavano la parte dei coloni e non mancavano neppure gli orrori del middle passage, perché gli orfanelli delle work¬house, caricati su carri o su barche, erano spesso trasferiti in luoghi di concentramento in altre contee; né l'atteggiamento della chiesa e delle pubbliche autorità, era diverso da quello delle autorità coloniali rispetto ai poveri negri.
In breve si venne organizzando una vera e propria «tratta» di pic¬coli schiavi bianchi. Il principale "mercato di origine" di questa carne umana era costituito dalle ricordate work-house, da quegli ospizi, cioè, che ricoveravano poveri di ambo i sessi con l'obbligo di compiere certi lavori manuali.
Gli industriali, e specialmente i filatori del Lancashire, cominciarono a richiedere orfanelli sotto la qualifica di apprendisti, che le work-house erano ben felici di concedere per alleggerire il carico della comunità per il mantenimento dell'ospizio: questa pratica giovava sia all'industriale sia all'istituto, che si diedero ad incoraggiare cinicamente gli incettatori, sorti subito come funghi, che con metodi esattamente simili a quelli dei negrieri, e sotto la protezione di una legge del 1796, accumulavano "partite" di fanciulli in un qualche centro industriale dove li custodivano in immonde cantine, finché i filatori dei dintorni venissero a scegliere i più robusti. La cosa era giunta a tale punto di cosciente mostruosità, che le work-house, per disfarsi dei ricoverati idioti, imponevano per ogni venti orfanelli l'inclusione di un deficiente: la fine di questi miseri, inadatti al lavoro e quindi di carico passivo per l'incettatori, è rimasta sempre un mistero, sepolto come i suoi innumerevoli cadaverini, nelle tenebre della orribile storia.
Al loro ingresso nelle officine, gli infelici diventavano piena ed assoluta proprietà dell'industriale. Non c'è alcuna esagerazione in tale affermazione. La Camera dei Comuni, che già nel 1807 aveva abolito la tratta dei negri, dovette udire, nel 1815, il deputato Horner raccontare che in un caso di bancarotta di un industriale, una "partita» di fanciulli era stata messa in vendita ed elencata ufficialmente fra le attività del fallimento e che un'altra "partita", data da una parrocchia di Londra ad un industriale e da questo rivenduta, era stata trovata in uno stato di assoluta inedia.

La sorte degli orfanelli
Chi si assunse il compito di denunziare di fronte al mondo l'orrore della tratta dei piccoli bianchi, fu Riccardo Oastler nel 1830. Come al solito, egli fu osteggiato dagli economisti, dalla scienza ufficiale, dai fautori del liberismo, oltre che, s'intende, dagli indu¬striali, che vedevano compromessa la produzione "nazionale". Ma le prove addotte dall'Oastler erano schiaccianti, terrificanti.
I bambini mandati dalle famiglie ricevevano una paga irrisoria, mentre gli orfanelli provenienti dagli ospizi perdevano ogni legame con la vita civile, diventavano poco meno che bestie da lavoro, coperti di cenci e nutriti, non di rado, con lo stesso cibo ammannito per l'allevamento dei maiali del padrone. Essi lavoravano sedici ore consecutive, sotto atroci torture; dormivano, senza distinzione di sesso e di età, in verminosi giacigli in comune; il vizio e le malattie contagiose facevano strage ed ai riottosi si applicavano catene dalle caviglie alla cintola anche durante il lavoro per impedirne la fuga. Numerosi casi di suicidio infantile si aggiungevano ai decessi per esaurimento e i cadaverini venivano sepolti in segreto nelle campagne circostanti.
I fanciulli cominciavano il lavoro all'età di cinque o sei anni, erano puniti con strumenti di tortura, le femmine erano sottoposte ad ignominiose sevizie; le ore di lavoro, che per i negri della Giamaica erano soltanto nove, per i fanciulli inglesi erano da tredici a sedici. Il deputato Sadler, che sostenne la campagna, raccolse le seguenti informazioni: età in cui era permesso imporre il lavoro, anni cinque; orario, dalle 5 antimeridiane alle 10 pomeridiane, con pochi minuti di intervallo per mangiare; ai fanciulli colti dal sonno, flagellazione per tenerli svegli; a Duntruin fu constatato che i fanciulli senza distinzione di sesso erano chiusi a chiave di notte in capanne per impedire le fughe; i fuggitivi erano puniti dalla legge col carcere; una fanciulla, dopo un anno di prigione, dovette lavorare due anni senza mercede per rimborsare al padrone le spese di processo; a Huddersfield un fanciullo zoppo per paralisi infantile doveva recarsi al lavoro sostenuto per le braccia dal fratello e dalla sorella trascinando le gambe nella neve e nel fango ed era battuto a sangue per cinque minuti di ritardo; a Leeds una bimba raccontava di essere stata incatenata e poi fustigata; a Keighley un padre narrò la morte della sua bimba avvenuta sulla strada di notte, mentre tornava dal lavoro; bimbe di sei anni correvano nella neve e nella nebbia per tre o quattro miglia, all'alba o di sera tardi, sotto l'incubo di trovare alla porta della fabbrica un aguzzino che le fustigava ed all'uscio di casa i genitori che attendevano i pochi soldi di paga.

Gli inglesi giudicati dagli inglesi
Ma tutto questo immenso materiale di prova valeva ben poco contro gli interessi che esso disturbava: occorsero anni perché il lavoro fosse ridotto dalla legge a dodici ore, nove per il sabato: e dovette giungersi fino al 1874 perché l'età minima per il lavoro dei fanciulli fosse fissata a dieci anni.
Queste non sono invenzioni. E' storia acquisita; é storia documentata dagli stessi scrittori inglesi: si legge nelle Memoires o f Robert Blincoe, che nella sua infanzia fu una delle vittime, riportate nella classica History of the Factory movement di Samuele Kydd e nella Madern Factory Sistem di Taylor. Uno scrittore reputatissimo, H. de B. Gibbins chiude cosi un suo capitolo: "E’ meglio non aggiungere altro, perchè non é possibile esporre con calma tutto ciò che dovrebbe dirsi su questa spaventevole pagina della storia dell'Inghilterra moderna".
A questo proposito, non si può non ricordare che la lotta contro la tratta dei negri fu condotta da quel ceto industriale inglese, che teneva in schiavitù diecine di migliaia di fanciulli bianchi e che ricorreva a tutti i mezzi per soffocare gli scandali delle sue manifatture. Viceversa fu il partito schiavista dei proprietari conservatori, che, battuto nella votazione della legge di emancipazione del 1833 volle vendicarsi degli industriali, appoggiando la campagna in favore degli schiavi bianchi.
Questa e non altra è l'origine del movimento "umanitario" e «liberale» di cui menano gran vanto i pubblicisti inglesi. Ha ragione il già ricordato H. de B. Gibbins, quando scrive: "Lo spettacolo dell'Inghilterra, che compera la libertà degli schiavi negri con le ricchezze estratte dal lavoro dei suoi schiavi bianchi, offre uno studio interessante per il filosofo cinico".

Tratto da:
“EROI E AVVENTURE DELLA NOSTRA GUERRA” – N°7 (pag. 72 e seguenti)
Tipografia Novissima – Roma 1942 XX

2 commenti:

  1. Gl'inglesi si sono distinti da sempre per il loro cinismo e la loro ferocia. La stranezza e' che quasi nessuno ne parli.

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  2. Gli Inglesi? Fra i peggiori, sempre stati in ogni momento, basta solo approfondire la Storia (possibilmente non quella scritta da loro).

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