martedì 14 luglio 2009

Il «fascismo» che vogliamo

Gianni Benvenuti

Finalmente! Dopo quasi mezzo secolo di silenzio interessato, di menzogne, di occultamento delle verità, di una storia scritta ad uso e consumo dei cosiddetti vincitori, ecco che quasi improvvisamente è un fiorire di pubblicazioni che portano alla ribalta un fascismo sconosciuto, quel fascismo che, per semplificazione, è stato sempre definito di sinistra. Per capirci fino in fondo il fascismo sansepolcrista e quello della RSI; quello che De Felice ha sintetizzato in fascismo-movimento. Così vengono riscoperti personaggi come Berto Ricci, Carlo Silvestri, Nicola Bombacci. Questo non avviene per caso. In un'epoca in cui tutto si è appiattito e tutto è asservito al capitalismo più bieco e corruttore, dove si continua a volere e sostenere la fine delle ideologie, dove non ci si divide più sui valori ma sugli interessi privati o di gruppo, c'è un forte, talvolta esasperato, bisogno di ritrovare radici, memoria storica, motivazioni, punti di riferimento. E dove trovare tutto questo se non in quel fascismo che il poeta e scrittore francese Robert Brasillach definì negli Anni Trenta «immenso e rosso»? Per il momento la riscoperta del cosiddetto «fascismo di sinistra» rimane nell'ambito quasi esclusivo della pubblicistica e del dibattito a livello storiografico e culturale. E comunque un significativo passo in avanti, una importante premessa che apre spazi, anche politici, non trascurabili. Si comincia a scrivere e parlare di quel fascismo che alcuni di noi hanno sempre sognato e fortemente voluto; di quel fascismo nazional-popolare che già nel corso del Ventennio aveva trovato non pochi sostenitori e fautori. Un fascismo assai spesso dimenticato o considerato talvolta eretico e impossibile, tanto era ed è la sua carica rivoluzionaria, antiborghese, anticapitalista e socialisteggiante.

Come è il caso di Berto Ricci, poeta e scrittore fiorentino e fondatore della rivista "L'Universale", che proprio non molto tempo fa è stato riproposto al pubblico dei lettori dal libro dal titolo emblematico: "Un fascismo impossibile" di Paolo Buchignani. In esso viene evidenziata l'idea politico-culturale di Berto Ricci che si oppone alla civiltà capitalistica e offre, al contempo, una risposta originale al processo di modernizzazione in atto già agli inizi degli anni Trenta. L'obiettivo primario di Berto Ricci fu la rivoluzione sociale, ed in tal senso egli intese il fascismo. «Bisogna ricreare l'antitesi fascismo-capitalismo [...] Parlando di capitalismo si usa sottintendere che trattasi di cosa straniera o vagamente mondiale [...] // capitalismo ce lo abbiamo in casa. Per ora l'azione del fascismo è stata anticapitalista molto più in programma che in atto. Parlare di superamento di capitalismo mentre ancora la figura del capitalista sussiste in pieno, sia pure vincolata e vigilata, è stupidità pura [...] Finché non si organizza su nuove basi la produzione e non la sola ripartizione si resta nel sistema borghese, nella civiltà borghese, nel fascismo borghese. Questo mi pare possa essere uno dei nostri punti fermi».

Così si esprimeva nel 1938 lo scrittore e matematico fiorentino che concepì sempre un fascismo fatto di spiritualità e socialità, come rivoluzione in grado di sconfiggere la borghesia nella sua duplice dimensione di «categoria sociale» e «categoria spirituale». Il fascismo per Berto Ricci doveva e poteva essere volontà di rovesciare il capitalismo in funzione della giustizia sociale. Su "L'Universale" del maggio 1934 un suo stretto collaboratore, Romano Bilenchi, diventato poi nel dopoguerra, comunista, così scriveva: «Il fascismo non è liberalismo, non è comunismo [...] Non è sagrestia o polizia borbonica, come molti vorrebbero, ma rivoluzione, rivoluzione dell'Italia perché Mussolini così partì e così arriverà».

Qualche mese fa ha visto la luce un altro libro assai interessante e stimolante: "Fratelli in camicia nera". L'autore è Pietro Neglie. Vi si illustra la storia delle molteplici relazioni che esistettero, durante il Ventennio ed oltre, fra comunisti e fascisti. Tutto ha inizio nel lontano 1928 quando il VI Congresso della Internazionale comunista dette le prime indicazioni a lavorare in seno alle organizzazioni di massa del fascismo, soprattutto nel campo sindacale. Da qui prende le mosse la cosiddetta direttiva «entrista» impartita da Togliatti. L'«entrismo» fu in un primo momento finalizzato a «far esplodere le contraddizioni interne al fascismo», ma ben presto mutò il suo atteggiamento e la sua iniziale caratterizzazione. Fu giocoforza infatti raccogliere le parole d'ordine del sindacalismo fascista che evidentemente affascinò non pochi comunisti. Si arrivò così al solenne appello «Ai fratelli in camicia nera» pubblicato nell'agosto del 1936 su "Lo stato operaio", rivista teorica del Partito comunista d'Italia: «/ comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919 che è un programma di pace, dì libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori [...] Lottiamo uniti per la realizzazione di questo programma. Fascisti della vecchia guardia! Giovani fascisti! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere insieme a voi [...] Lavoratore fascista noi ti diamo la mano perché con te vogliamo costruire l'Italia del lavoro, e ti diamo la mano perché noi siamo, come te, figli del popolo, siamo tuoi fratelli, abbiamo gli stessi interessi e gli stessi nemici [...] Ti diamo la mano perché vogliamo farla finita con la fame e con l'oppressione. È l'ora di prendere il manganello contro i capitalisti che ci hanno divisi, perché ci restituiscano quanto ci hanno tolto».

Era chiaro l'intento del Partito comunista d'Italia di ereditare le tesi politiche e sociali del fascismo-movimento e di accreditarsi quale forza nazional-popolare. Il Partito comunista aveva riconosciuto fin dagli Anni Trenta l'esistenza di un fascismo rivoluzionario con una forte carica sociale. Altrimenti non si spiegherebbe l'apertura dei comunisti dell'immediato dopoguerra allorché si dimostrarono disponibili al dialogo con i cosiddetti fascisti di sinistra, alcuni dei quali passarono nelle file del PCI (Davide Lajolo, Ruggero Zangrandi, Romano Bilenchi, Felice Chilanti, ecc.) mentre altri confluirono nel nascente MSI dove cercarono invano di far prevalere quanto il fascismo aveva prodotto nel 1919 e nella RSI. La ricerca di Neglie ci riporta, in maniera rigorosa e con testimonianze personali, a vicende, situazioni e avvenimenti in larga misura sconosciuti e per certi versi scomodi soprattutto in una epoca dove, alla Bolognina prima e a Fiuggi poi, si è rinnegato, da una parte e dall'altra, un patrimonio culturale e sociale inestimabile, per arrendersi al libero mercato e passare armi e bagagli dalla parte di un capitalismo arrogante e perverso. Ancora più fresco di stampa è il volume di Arrigo Petacco "Il comunista in camicia nera". È un'ampia biografia di Nicolino Bombacci, fondatore del Partito comunista d'Italia e fucilato dai partigiani a Dongo accanto a Mussolini. Di lui si è sempre parlato assai poco. Personaggio molto scomodo sia per la cosiddetta destra che la cosiddetta sinistra si assunse l'affascinante compito di avvicinare e unificare le due rivoluzioni, quella comunista e quella fascista appunto, per individuare l'agognata terza via. Quasi contemporaneamente nella vicina Francia lo scrittore collaborazionista Pierre Drieu La Rochelle (del quale di recente è uscito "Diario 1939-1945") nel suo famoso romanzo "Gìlles" così faceva parlare un suo personaggio: «Corri dai giovani comunisti, indica loro il nemico comune, il vecchio parlamentarismo corruttore [...] Liberati in ogni modo della vecchia routine, dei vecchi partiti, dei manifesti, delle riunioni, degli articoli e dei discorsi [...] Cadranno per sempre le barriere di destra e di sinistra, ed onde di vita scaturiranno in tutti i sensi».

Ritornando a Bombacci, aderì con entusiasmo alla RSI contribuendo in modo sostanziale e decisivo alla stesura dei Diciotto punti di Verona. Suo è il termine «socializzazione». Memorabile un suo discorso a Genova il 15 marzo 1945, a poco più di un mese dalla sua tragica morte, in cui dinanzi a trentamila operai esclamò: «Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per venti anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito».

Sempre in quel discorso sottolineò l'importanza della costituzione dei consigli di gestione nelle fabbriche e della socializzazione allora in atto, «conquiste che comunque vada non devono andare perdute». Affermò: «Presto tutte le fabbriche saranno socializzate e sarà anche esaminato il problema della terra e della casa perché tutti i lavoratori devono avere la loro terra e la loro casa».

Concluse quel discorso dicendo: «La RSI è l'unico stato esistente autenticamente socialista».

A lui Lenin nel 1922 scrisse: «In Italia c'era un solo socialista capace di fare la rivoluzione: Benito Mussolini. Ebbene voi l'avete perduto e non siete stati capaci di recuperarlo».

Petacco in questa sua nuovissima fatica ci porta a conoscenza di molti fatti inediti dell'epoca fascista. Soprattutto dell'ultimo periodo, quello più drammatico ma anche più affascinante e più sconosciuto al tempo stesso. Significativo è l'ultimo messaggio che il Duce consegnò al socialista Carlo Silvestri alla presenza di Nicolino Bombacci. Esso contiene le ultime volontà di Mussolini prima della morte. Vi si legge fra l'altro: «Voglio consegnare la RSI a dei repubblicani e a dei socialisti e non già a dei monarchici e a dei reazionari».

Lo stesso Carlo Silvestri, scampato miracolosamente alla tragica sorte che toccò invece a Bombacci, in seguito sottolineò la carica sociale, rivoluzionaria e anticapitalista della RSI. Tutte componenti che il cosiddetto «fascismo di sinistra» ha sempre avuto e continua ad avere. Le pubblicazioni testé ricordate non fanno altro -ed il merito è grande insieme alla nostra riconoscenza- che documentarle e portarle alla attenzione di un più vasto pubblico riscoprendo personaggi come Berto Ricci e Nicolino Bombacci. Ma questo è inevitabile perché, come era solito affermare spesso Beppe Niccolai, «le idee camminano con le scarpe degli uomini». In una recente intervista apparsa su "L'Italia settimanale", lo scrittore e giornalista Giordano Bruno Guerri così si esprime: «Per capire che il fascismo non è di destra basterebbe pensare che il fascismo si è affermato vincendo la destra [...] Il fascismo non era di destra perché guardava in avanti [...] Tutta la spinta del fascismo è verso il futuro, verso l'invenzione, l'innovazione, la ricreazione della società, dell'economia. Tutto quello che affascinava i fascisti veri, quelli pensanti, era il nuovo: era il razionalismo in architettura, era il corporativismo come terza via, era un nuovo modo di intendere i rapporti sociali e la politica. Il fascismo in questo era rivoluzionario. La destra di oggi non è rivoluzionaria, è conservatrice. Sono due cose diverse».

È una definizione che ci piace. Perché questo è, per noi «fascisti veri e pensanti», il fascismo che sempre abbiamo voluto.

http://tabularasa.altervista.org/

tratto da: Tabularasa
Anno V - n° 2 - 31 Marzo 1996

3 commenti:

  1. In merito all'art. di Benvenuti mi pare importante sottolinearne tre incisi che ben definiscono il vero spirito di tabularasa: la non accettazione della totalità di quello che fu il fascismo...ma la accettazione solo di quello che fu definito il fascismo "profondo e rosso"; l'individuazione del vero NEMICO del Popolo; il rigetto della destra.

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    ...... un fascismo sconosciuto, quel fascismo che, per semplificazione, è stato sempre definito di sinistra. Per capirci fino in fondo il fascismo sansepolcrista e quello della RSI. ( SANSEPOLCRISTA E RSI)


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    ....Pierre Drieu La Rochelle (del quale di recente è uscito "Diario 1939-1945") nel suo famoso romanzo "Gìlles" così faceva parlare un suo personaggio: «Corri dai giovani comunisti, indica loro il nemico comune, il vecchio parlamentarismo corruttore [...] Liberati in ogni modo della vecchia routine, dei vecchi partiti, dei manifesti, delle riunioni, degli articoli e dei discorsi [...] Cadranno per sempre le barriere di destra e di sinistra, ed onde di vita scaturiranno in tutti i sensi».

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    .......Giordano Bruno Guerri così si esprime: «Per capire che il fascismo non è di destra basterebbe pensare che il fascismo si è affermato vincendo la destra [...] Il fascismo non era di destra perché guardava in avanti [...] Tutta la spinta del fascismo è verso il futuro, verso l'invenzione, l'innovazione, la ricreazione della società, dell'economia. Tutto quello che affascinava i fascisti veri, quelli pensanti, era il nuovo: era il razionalismo in architettura, era il corporativismo come terza via, era un nuovo modo di intendere i rapporti sociali e la politica. Il fascismo in questo era rivoluzionario. La destra di oggi non è rivoluzionaria, è conservatrice. Sono due cose diverse».

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  3. Antonio, volevo farti i miei complimenti per gli articoli da te postati, che sono di grande aiuto per la formazione culturale di chi mostra curiosità di apprendere.

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