lunedì 22 giugno 2009
Ricerca di una memoria condivisa
L’esigenza di dare vita ad una “memoria condivisa” da tutto il popolo italiano è sempre più avvertita dagli ambienti ufficiali del nostro Paese.
L’intendo è lodevole. Ma i criteri e i metodi utilizzati per realizzarlo sono talmente sbagliati da ottenere l’effetto opposto: mai il nostro popolo è stato tanto diviso nell’interpretazione del passato sia nella valutazione del presente.
La causa del fallimento è una sola. E’ il fatto di aver fondato, nel 1945, l’edificio della nuova Repubblica su una grande bugia. Bugia che ha portato con sé, come necessario corollario, una scia di omissioni, rimozioni, deformazioni, falsificazioni, contraddizioni di tale palmare evidenza da avere non soltanto accentuato la divisione della memoria nazionale ma, ed è peggio, aumentato a dismisura il disinteresse delle giovani generazioni per la Storia nazionale.
Grande bugia. Vulgata, la definiva Renzo De Felice. Il fragile piedistallo – su cui sfere ufficiali, partiti di ogni colore, media conformisti, storici politically correct hanno costruito il loro edificio – si basa sulla dolosa rimozione di alcuni interrogativi fondamentali che avrebbero, invece, necessitato di documentate oneste risposte.
Di seguito, si cercherà di elencare alcuni di siffatti interrogativi.
Da oltre sessanta anni, si continua a ripetere che la Resistenza è stata l’indispensabile presupposto della democrazia italiana.
Tale concetto contrasta, però, con il fatto che sistemi democratici vigono proprio nei due Paesi – Germania e Giappone – che non solo hanno ignorato fenomeni assimilabili alla Resistenza italiana ma che, hanno combattuto fino all’ultimo con estrema durezza.
Perché, in Italia, ci si ostina allora ad avallare la inconsistente tesi secondo cui la democrazia repubblicana sarebbe figlia della Resistenza ?
Perché manca un qualsiasi studio documentato sulle motivazioni reali della componente maggioritaria della Resistenza, quella comunista. Essa si batteva per l’instaurazione di un regime democratico-parlamentare oppure di una dittatura del proletariato agli ordini di Stalin ?
E’ noto, fuori dai confini italiani, che il rispetto del nemico - guadagnato dal soldato tedesco e giapponese sui campi di battaglia e riverberatosi sul grado di affidabilità e di solidità dei rispettivi popoli – è stato una delle cause principali che hanno indotto gli USA a scegliere Germania e Giappone quali alleati privilegiati negli anni della guerra fredda.
Dal canto suo, anche l’URSS ha scelto dal canto suo la Repubblica Democratica Tedesca come sua alleata preferenziale nel Patto di Varsavia proprio perché aveva conosciuto e stimato il valore, la tenacia e l’organizzazione della Wermacht, specchio fedele dell’affidabilità e della solidità del popolo tedesco. Solidità che ha costituito uno dei motori del suo successo economico.
Perché questi argomenti che sono poi quelli di interconnessione fra l’immagine di un popolo ed il suo rango internazionale sono sistematicamente rimossi nel nostro Paese ?
Perché si è voluto, in Italia, fare coincidere l’inizio del cosiddetto Secondo Risorgimento nazionale con eventi vergognosi e squalificanti sul piano della credibilità della Parola della Nazione (armistizio dell’8 settembre) e del prestigio del Soldato italiano (sfacelo dell’esercito, fuga dei suoi capi, consegna della flotta al nemico in totale spregio del codice d’onore delle marine da guerra di tutto il mondo) ?
Perché si continua ad eludere l’interrogativo di quali siano state le conseguenze – dal punto di vista della collocazione internazionale dell’Italia – del crollo della sua immagine causato dalle modalità – non si sa se più ignobili o sprovvedute – della resa Badogliana del 1943 ?
Perché la Vulgata ufficiale ha voluto negare, per decenni, la natura di “guerra civile” al conflitto che ha dilaniato l’Italia, etichettandolo fraudolentemente come “guerra di liberazione” ?
Quali sono le forze politiche che hanno tratto maggiori vantaggi da siffatta negazione ?
Perché è stato rimosso il tema dell’efficacia, dal punto di vista del diritto
internazionale, della dichiarazione di guerra alla Germania da parte del Regno del sud ?
Perché si è eluso il problema dell’incidenza, sullo status delle Forze Armate regie, del fatto che gli Alleati abbiano mantenuto la qualifica di “nemico” fino alla fine del Trattato di pace ?
Perché si è stesa una coltre di silenzio sull’essenziale sentenza n. 747 del 25.04.1954 del Tribunale Supremo militare italiano sulla natura giuridica della RSI e sullo status dei suoi soldati e dei partigiani ?
Perché non è mai stato effettuato della consistenza numerica dei prigionieri di guerra che rifiutarono di cooperare con gli Alleati e delle motivazioni che li spinsero a tale rifiuto ?
Perché non si studiano su documenti di archivio le ragioni profonde che hanno indotto il Governo della RSI a costituire un suo Esercito, gli ostacoli frapposti dal Reich a tale disegno, le motivazioni dei volontari, la consistenza e l’azione dei diversi reparti ?
Perché ci si ostina a non parlare dell’opera compiuta e dei risultati ottenuti dalle diverse Amministrazioni civili della RSI a tutela dei diversi settori dell’economia italiana ?
Perché il popolo non ha diritto di conoscere, cifre dettagliate alla mano, entità e qualità dell’impegno concreto della RSI a favore degli internati militari italiani deportati in Germania a essi non aderenti ?
Perché non si comparano le percentuali dei Caduti fra i prigionieri militari italiani in mano dell’URSS e quelli in cattività nel Reich ?
Perché l’Italia ufficiale e i media continuano ad ignorare le pubblicazioni che documentano l’impressionante numero dei Caduti della RSI ?
Perché le lettere dei condannati a morte della Resistenza vengono continuamente ripubblicate mentre quelli della RSI vengono ignorate ?
Perché si ostina a parlare di “Nazifascismo” malgrado le ben note differenze esistenti fra teoria e prassi del Fascismo italiano e il Nazionalsocialismo tedesco ?
Perché si insiste nell’attribuire al Fascismo italiano una corresponsabilità almeno morale nei crimini del Nazional-socialismo tedesco mentre la Resistenza ne è esonerata nei giganteschi crimini sovietici ?
Perché si è dovuto attendere un libro pubblicato solo recentemente per permettere al grosso pubblico per venire a conoscenza delle stragi commesse in Italia nel dopoguerra ?
Perché si evita di mettere in luce il forte impatto della Socializzazione delle imprese codificata dalla RSI sulla legislazione societaria e lavoristica della Comunità europea e di molti Stati della stessa ?
Perché non si esaminano le ragioni che hanno indotto estesi ambienti politico sindacali italiani ad opporsi, a Bruxelles, all’adozioni di normative comunitarie adatte ai tempi e ispirate al principio della collaborazione e non della lotta di classe quali erano appunto quelle adottate dalla RSI ?
Perché si è rimosso il ricordo del fatto che, nel 1945, il C.L.N. ha precipitosamente abrogato la avveniristica legislazione della RSI in tema di impresa ?
Soltanto quando questo tipo di interrogativi – estratti a caso nella moltitudine che attende di essere studiata - sarà portato alla luce ed otterrà serie e documentate risposte, si potrà incominciare a parlare di costruzione di una “memoria condivisa”.
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