La spedizione garibaldina, per la storiografia ufficiale,
ha il sapore di un’avventura epica quasi cinematografica, compiuta da
soli mille uomini che salpano all’improvviso da nord e sbarcano a sud,
combattono valorosamente e vincono più volte contro un esercito molto
più numeroso, poi risalgono la penisola fino a giungere a Napoli,
Capitale di un regno liberato da una tirannide oppressiva, e poi più su
per dare agli italiani la nazione unita.
Troppo hollywoodiano per essere vero, e difatti non lo è.
La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben
architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata
dalle massonerie internazionali, quella britannica in testa, che
sorressero il tutto con intrighi politici, contributi militari e
cospicui finanziamenti coi quali furono comprati diversi uomini chiave
dell’esercito borbonico al fine di spianare la strada a Garibaldi che
agli inglesi non mancherà mai di dichiarare la sua gratitudine e
amicizia.
I giornali dell’epoca, ma soprattutto gli archivi di Londra, Vienna,
Roma, Torino e Milano e, naturalmente, Napoli forniscono documentazione
utile a ricostruire il vero scenario di congiura internazionale che
spazzò via il Regno delle Due Sicilie non certo per mano di mille prodi
alla ventura animati da un ideale unitario.
Il Regno britannico, con la sua politica imperiale espansionistica
che tanti danni ha fatto nel mondo e di cui ancora oggi se ne pagano le
conseguenze (vedi conflitto israelo-palestinese), ebbe più di una
ragione per promuovere la fine di quello napoletano e liberarsi di un
soggetto politico-economico divenuto scomodo concorrente.
Innanzitutto furono i sempre più idilliaci rapporti tra il
Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio a generare l’astio di
Londra. La massoneria inglese aveva come priorità politica la
cancellazione delle monarchie cattoliche e la cattolica Napoli era ormai
invisa alla protestante e massonica Londra che mirava alla
cancellazione del potere papale. I Borbone costituivano principale
ostacolo a questo obiettivo che coincideva con quello dei Savoia,
anch’essi massoni, di impossessarsi dei fruttuosi possedimenti della
Chiesa per risollevare le proprie casse. Massoni erano i politici
britannici Lord Palmerston, primo ministro britannico, e Lord Gladstone,
gran denigratore dei Borbone. E massoni erano pure Vittorio Emanuele
II, Garibaldi e Cavour.
In questo conflittuale scenario di potentati, la nazione
Napoletana percorreva di suo una crescita esponenziale ed era già la
terza potenza europea per sviluppo industriale come designato
all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856. Un risultato frutto
anche della politica di Ferdinando II che portò avanti una politica di
sviluppo autonomo atto a spezzare le catene delle dipendenze straniere.
La flotta navale delle Due Sicilie costituiva poi un pericolo per
la grande potenza navale inglese anche e soprattutto in funzione
dell’apertura dei traffici con l’oriente nel Canale di Suez i cui scavi
cominciarono proprio nel 1859, alla vigilia dell’avventura garibaldina.
L’integrazione del sistema marittimo con quello
ferroviario, con la costruzione delle ferrovie nel meridione con cui le
merci potessero viaggiare anche su ferro, insieme alla posizione
d’assoluto vantaggio del Regno delle Due Sicilie nel Mediterraneo
rispetto alla più lontana Gran Bretagna, fu motivo di timore per Londra
che già non aveva tollerato gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e
l’Impero Russo grazie ai quali la flotta sovietica aveva navigato
serenamente nel Mediterraneo, avendo come basi d’appoggio proprio i
porti delle Due Sicilie.
Proprio il controllo del Mediterraneo era una priorità per la
“perfida Albione” che si era impossessata di Gibilterra e poi di Malta, e
mirava ad avere il controllo della stessa Sicilia quale punto più
strategico per gli accadimenti nel mediterraneo e in oriente. L’isola
costituiva la sicurezza per l’indipendenza Napolitana e in mano agli
stranieri ne avrebbe decretata certamente la fine, come fece notare
Giovanni Aceto nel suo scritto “De la Sicilie et de ses rapports avec
l’Angleterre”.
La presenza inglese in Sicilia era già ingombrante e
imponeva coi cannoni a Napoli il remunerativo monopolio dello zolfo di
cui l’isola era ricca per i quattro quinti della produzione mondiale;
con lo zolfo, all’epoca, si produceva di tutto ed era una sorta di
petrolio per quel mondo. E come per il petrolio oggi nei paesi
mediorientali, così allora la Sicilia destava il grande interesse dei
governi imperialisti.
I Borbone, in questo scenario, ebbero la colpa di non fare
tesoro della lezione della Rivoluzione Francese, di quella Napoletana
del 1799 e di quelle a seguire, di considerarsi insovvertibili in Italia
e di non capire che il pericolo non era da individuare nella penisola
ma più in la, che nemico era alle porte, anzi, proprio in casa.
Il Regno di Napoli e quello d’Inghilterra erano infatti alleati solo
mezzo secolo prima, ma in condizione di sfruttamento a favore del
secondo per via dei considerevoli vantaggi commerciali che ne traeva in
territorio duosiciliano. Fu l’opera di affrancamento e di progressiva
riduzione di tali vantaggi da parte di Ferdinando II a rompere
l’equilibrio e a suscitare le cospirazioni della Gran Bretagna che si
rivelò così un vero e proprio cavallo di Troia. Per questo fu più comodo
per gli inglesi “cambiare” l’amicizia ormai inimicizia con lo stato
borbonico con un nuovo stato savoiardo alleato.
Questi furono i motivi principali che portarono l’Inghilterra a
stravolgere gli equilibri della penisola italiana, propagandando idee
sul nazionalismo dei popoli e denigrando i governi di Russia, Due
Sicilie e Austria. La mente britannica armò il braccio
piemontese per il quale il problema urgente era quello di evitare la
bancarotta di stampo bellico accettando l’opportunità offertagli di
invadere le Due Sicilie e portarne a casa il tesoro.
Un titolo sul “Times” dell’epoca, pubblicato già prima della morte
di Ferdinando II, è foriero di ciò che sta per accadere e spiega
l’interesse imperialistico inglese nelle vicende italiane. “Austria e
Francia hanno un piede in Italia, e l’Inghilterra vuole entrarvi essa
pure”.
Lo sbarco a Marsala e l’invasione del Regno delle Due
Sicilie sono a tutti gli effetti un “gravissimo atto di pirateria
internazionale”, compiuto ignorando tutte le norme di Diritto
Internazionale, prima fra tutte quella che garantisce il diritto
all’autodeterminazione dei popoli. Il fatto che nessuna nazione
straniera abbia mosso un dito mentre avveniva e si sviluppava fa capire
quale sia stata la predeterminazione di un atto così grave.
Garibaldi è un burattino in mano a Vittorio Emanuele II
Cavour, l’unico che può compiere questa invasione senza dichiarazione
non essendo né un sovrano né un politico. E viene manovrato a dovere dal
conte piemontese, dal Re di Sardegna e dai cospiratori inglesi, fin
quando non diviene scomodo e arriva il momento di costringerlo a farsi
da parte.
Di soldi, nel 1860, ne circolano davvero parecchi per l’operazione.
Si parla di circa tre milioni di franchi francesi solo in Inghilterra,
denaro investito per comprare il tradimento di chi serve allo scopo, ma
anche armi, munizioni e navi. A Londra nasce il “Garibaldi Italian Fund
Committee”, un fondo utile ad ingaggiare i mercenari che devono formare
la “Legione Britannica”, uomini feroci che aiuteranno il Generale
italiano nei combattimenti che verrano.
Garibaldi diviene un eroe in terra d’Albione con una popolarità
alle stelle. Nascono i “Garibaldi’s gadgets”: ritratti, composizioni
musicali, spille, profumi, cioccolatini, caramelle e biscotti, tutto
utile a reperire fondi utili all’impresa in Italia.
In realtà, alla vigilia della spedizione dei mille, tutti sanno
cosa sta per accadere, tranne la Corte e il Governo di Napoli ai quali
“stranamente” non giungono mai quei telegrammi e quelle segnalazioni che
vengono inviate dalle ambasciate internazionali. In Sicilia invece,
ogni unità navale ha già ricevuto le coordinate di posizionamento nelle
acque duosiciliane.
La traversata parte da Quarto il 5 Maggio 1860 a bordo
della “Lombardo” e della “Piemonte”, due navi ufficialmente rubate alla
società Rubattino ma in realtà fornite favorevolmente dall’interessato
armatore genovese, amico di Cavour. Garibaldi non sa neanche quanta
gente ha a bordo, non è una priorità far numero; se ne contano 1.089 e
il Generale resta stupito per il numero oltre le sue stime. Sono persone
col pedigree dei malavitosi e ne farà una raccapricciante descrizione
lo stesso Garibaldi. Provengono da Milano, Brescia, Pavia,
Venezia e più corposamente da Bergamo, perciò poi detta “città dei
mille”. Ci sono anche alcuni napoletani, calabresi e siciliani, 89 per
la precisione, proprio quelli sfrattati dalla toponomastica delle città
italiane.
La rotta non è casuale ma già stabilita, come il luogo dello
sbarco. Marsala non è la terra scorta all’orizzonte ma il luogo
designato perché li c’è una vastissima comunità inglese coinvolta in
grandi affari, tra cui la viticoltura.
Il 10 Maggio, alla vigilia dello sbarco, l’ammiragliato inglese a
Londra dà l’ordine ai piroscafi bellici “Argus” e “Intrepid”, ancorati a
Palermo, di portarsi a Marsala; ufficialmente per proteggere i sudditi
inglesi ma in realtà con altri scopi. Ci arrivano infatti all’alba del
giorno dopo e gettano l’ancora fuori a città col preciso compito di
favorire l’entrata in rada delle navi piemontesi. Navi che arrivano alle
14 in punto, in pieno giorno, e questo dimostra quanta sicurezza
avessero i rivoltosi che altrimenti avrebbero più verosimilmente scelto
di sbarcare di notte.
L’approdo avviene proprio dirimpetto al Consolato inglese e alle
fabbriche inglesi di vini “Ingham” e “Whoodhouse” con le spalle coperte
dai piroscafi britannici che, con l’alibi della protezione delle
fabbriche, ostacolano i colpi di granate dell’incrociatore napoletano
“Stromboli”, giunto sul posto insieme al piroscafo “Capri” e la fregata a
vela “Partenope”.
Le trattative che si intavolano fanno prendere ulteriore tempo ai
garibaldini e sortiscono l’effetto sperato: I “mille” sbarcano sul molo.
Ma sono in 776 perché i veri repubblicani, dopo aver saputo che si era
andati a liberare la Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, si sono
fatti sbarcare a Talamone, in terra toscana. Contemporaneamente sbarcano
dall’Intrepid dei marinai inglesi anch’essi di rosso vestiti che si
mischiano alle “camicie rosse”, in modo da impedire ai napoletani di
sparare.
Napoli invia proteste ufficiali a Londra per la condotta dei due bastimenti inglesi ma a poco serve.
Garibaldi e i suoi sbarcano nell’indifferenza dei marsalesi e la prima cosa che fanno è saccheggiare tutto ciò che è possibile.
Il 13 Maggio Garibaldi occupa Salemi, stavolta nell’entusiasmo perché il barone Sant’Anna, un uomo potente del posto, si unisce a lui con una banda di “picciotti”. Da qui si proclama “dittatore delle Due Sicilie” nel nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia”.
Il 13 Maggio Garibaldi occupa Salemi, stavolta nell’entusiasmo perché il barone Sant’Anna, un uomo potente del posto, si unisce a lui con una banda di “picciotti”. Da qui si proclama “dittatore delle Due Sicilie” nel nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia”.
Il 15 Maggio è il giorno della storica battaglia di Calatafimi. I
mille sono ora almeno il doppio; vi si uniscono “picciotti” siciliani,
inglesi e marmaglie insorte, e sfidano i soldati borbonici al comando
del Generale Landi. La storiografia ufficiale racconta di questo
conflitto come di un miracolo dei garibaldini ma in realtà si tratta del risultato pilotato dallo stesso Generale borbonico, un corrotto accusato poi di tradimento.
I primi a far fuoco sono i “picciotti” che vengono decimati dai fucili dei soldati Napoletani.
Il Comandante borbonico Sforza, con i suoi circa 600 uomini,
assalta i garibaldini rischiando la sua stessa vita e mentre il Generale
Nino Bixio chiede a Garibaldi di ordinare la ritirata il Generale
Landi, che già ha rifiutato rinforzi e munizioni a Sforza scongiurando
lo sterminio delle “camicie rosse”, fa suonare le trombe in segno di
ritirata. Garibaldi capisce che è il momento di colpire i borbonici in
fuga e alle spalle, compiendo così il “miracolo” di Calatafimi. Una
battaglia che avrebbe potuto chiudere sul nascere l’avanzata garibaldina
se non fosse stato per la condotta di Landi che fu accusato di
tradimento dallo stesso Re Francesco II e confinato sull’isola d’Ischia;
non a torto perché poi un anno più tardi, l’ex generale di brigata
dell’esercito borbonico e poi generale di corpo d’armata dell’esercito
sabaudo in pensione, si presenta al Banco di Napoli per incassare una
polizza di 14.000 ducati d’oro datagli dallo stesso Garibaldi ma scopre
che sulla sua copia, palesemente falsificata, ci sono tre zeri di
troppo. Landi, per questa delusione, è colpito da ictus e muore.
Garibaldi, ringalluzzito per l’insperata vittoria di Calatafimi,
s’inoltra nel cuore della Sicilia mentre le navi inglesi, sempre più
numerose, ne controllano le coste con movimenti frenetici. In realtà la
flotta inglese segue in parallelo per mare l’avanzata delle camicie
rosse su terra per garantire un’uscita di sicurezza.
Intanto sempre gli inglesi fanno arrivare in Sicilia corposi
rinforzi, armi e danari per i rivoltosi e preziose informazioni da parte
di altri traditori vendutisi all’invasore per fare del Sud una colonia.
Le banche di Londra sono piene di depositi di cifre pagate come prezzo
per ragguagli sulla dislocazione delle truppe borboniche e di
suggerimenti dei generali corruttibili, così come di tante altre
importantissime informazioni segrete.
Garibaldi entra a Palermo e poi arriva a Milazzo ormai rafforzato
da uomini e armi moderne e l’esito della battaglia che li si combatte, a
lui favorevole, é prevalentemente dovuto all’equipaggiamento
individuale dei rivoltosi che hanno ricevuto in dotazione persino le
carabine-revolver americane “Colt” e il fucile rigato inglese modello
“Enfield ‘53”.
Quando l’eroe dei due mondi passa sul territorio peninsulare, le
navi inglesi continuano a scortarlo dal mare e anche quando entra a
Napoli da Re sulla prima ferrovia italiana ha le spalle coperte
dall’Intrepid (chi si rivede) che dal 24 Agosto, insieme ad altre navi
britanniche, si muove nelle acque napoletane.
Il 6 Settembre, giorno della partenza di Francesco II e del
concomitante arrivo di Garibaldi a Napoli in treno, il legno britannico
sosta vicino alla costa, davanti al litorale di Santa Lucia, da dove può
tenere sotto tiro il Palazzo Reale. Una presenza costante e incombente,
sempre minacciosa per i borbonici e rassicurante per Garibaldi, una
garanzia per la riuscita dell’impresa dei “più di mille”. l’Intrepid
lascia Napoli il 18 Ottobre 1860 per tornare definitivamente in
Inghilterra dando però il cambio ad altre navi inglesi, proprio mentre
Garibaldi, “dittatore di Napoli”, dona agli amici inglesi un suolo a
piacere che viene designato in Via San Pasquale a Chiaia su cui viene
eretta quella cappella protestante che Londra aveva sempre voluto
costruire per gli inglesi di Napoli ma che i Borbone non avevano mai
consentito di realizzare. Lo stesso accadrà a Palermo nel 1872.
Qualche mese dopo, la città di Gaeta che ospita Francesco II nella
strenua difesa del Regno è letteralmente rasa al suolo dal Generale
piemontese Cialdini, pagando non solo il suo ruolo di ultimo baluardo
borbonico ma anche e soprattutto l’essere stato nel 1848 il luogo del
rifugio di Papa Pio IX, ospite dei Borbone, in fuga da Roma in seguito
alla proclamazione della Repubblica Romana ad opera di Giuseppe Mazzini,
periodo in cui la città assunse la denominazione di “Secondo Stato
Pontificio”.
Scompare così l’antico Regno di Ruggero il Normanno sopravvissuto
per quasi otto secoli, non a caso nel momento del suo massimo fulgore.
Dieci anni dopo, nel Settembre 1870, la breccia di Porta
Pia e l’annessione di Roma al Regno d’Italia decreta la fine anche dello
Stato Pontificio e del potere temporale del Papa, portando a compimento
il grande progetto delle massonerie internazionali nato almeno quindici
anni prima, volto a cancellare la grande potenza economico-industriale
del Regno delle Due Sicilie e il grande potere cattolico dello Stato
Pontificio. Il Vaticano, proprio da qui si mondanizza per sopravvivenza e
comincia ad affiancarsi alle altre supremazie mondiali che hanno
cercato di eliminarlo.
Garibaldi, pochi anni dopo la sua impresa, è ospite a Londra dove
viene accolto come un imperatore. I suoi rapporti con l’Inghilterra
continuano per decenni e si manifestano nuovamente quando, intorno alla
metà del 1870, il Generale è impegnato nell’utopia della realizzazione
di un progetto faraonico per stravolgere l’aspetto di Roma: il corso del
Tevere entro Roma completamente colmato con un’arteria ferroviaria
contornata da aree fabbricabili. Da Londra si tessono contatti con
società finanziarie per avviare il progetto ed arrivano nella Capitale
gli ingegneri Wilkinson e Fowler per i rilievi e i sondaggi. È pronta a
realizzare la remunerativa follia la società britannica Brunless &
McKerrow che non vi riuscirà mai perché il progetto viene boicottato del
Governo italiano.
L’ideologia nazionale venera i “padri della patria” che operarono
il piano internazionale, dimenticando tutto quanto di nefasto si
raccontasse di Garibaldi, un avventuriero dal passato poco edificante. L’Italia
di oggi festeggia un uomo condannato persino a “morte ignominiosa in
contumacia” nel 1834 per sentenza del Consiglio di Guerra Divisionale di
Genova perché nemico della Patria e dello Stato, motivo per il quale
fuggì latitante in Sud America dove diede sfogo a tutta la sua natura
selvaggia.
In quanto a Cavour, al Conte interessava esclusivamente
ripianare le finanze dello Stato piemontese, non certo l’unità di un
paese di cui non conosceva neanche la lingua, così come Vittorio
Emanuele II primo Re d’Italia, benché non a caso secondo di nome nel
solco di una continuazione della dinastia sabauda e non italiana. Non a
caso il 21 Febbraio 1861, nel Senato del Regno riunito a Torino, il
nuovo Re d’Italia fu proclamato da Cavour «Victor-Emmanuel II, Roi
d’Italie», non Re d’Italia.
Fonte: www.napoli.com
TRATTO DA:
http://www.informarexresistere.fr/2015/06/08/come-e-perche-la-massoneria-decreto-la-fine-del-regno-delle-due-sicilie/
TRATTO DA:
http://www.informarexresistere.fr/2015/06/08/come-e-perche-la-massoneria-decreto-la-fine-del-regno-delle-due-sicilie/
Nessun commento:
Posta un commento