lunedì 17 ottobre 2016

CHI CI FU DIETRO LA MORTE DI MUSSOLINI: AMERICANI O INGLESI?



di Maurizio Barozzi


Gli ultimi due numeri della Storia in Rete hanno proposto un inchiesta con due angoli di visuale, alquanto interessanti, circa la cattura e la soppressione di Mussolini.
E’ necessario però focalizzare le situazioni per una vicenda che vede americani e britannici, ognuno per il suo ruolo, entrambi interessati alla soppressione di Mussolini.
Per la precisione, anticipando qui le nostre conclusioni, possiamo dire che gli americani non vollero affatto prendere Mussolini vivo, contrariamente a quanto comunemente ritenuto, e quindi lasciarono campo libero agli inglesi che predisposero ogni cosa per farlo fucilare dai partigiani. Ma andiamo per ordine.
Il N. 130 di agosto 2016 di Storia in Rete, offre un servizio, con tanto di foto, che rivela la presenza di Valerian Lada Mocasky, agente americano in servizio per l’OSS, al bivio di Azzano, adiacente il luogo ove Mussolini venne fucilato.
In realtà quella foto non può in nessun modo (come si sottende) essere fatta risalire alla sera del 28 aprile 1945, giorno in cui furono soppressi Mussolini e la Petacci, perché nel caso dovrebbe esser stata scattata intorno alle ore 20, se non dopo, ovvero dopo che il camion con i cadaveri di Dongo ripartì da lì per Milano e lasciò in terra quella larga pozza di sangue che la pioggia non lavò, perche il terreno era in terra battuta e quindi restò per giorni e venne poi perfino circoscritta in un cerchio di gesso per evidenziarla ai visitatori. Non può essere una foto scattata intorno alle 20, perche la foto mostra il sole, sotto l’auto americana e sotto i balconcini alle finestre, e verso le 20 di un giorno piovoso come quello, anche se era in vigore l’ora legale, quel sole non poteva esserci.
La foto, con la gente in piazza è quindi di un giorno successivo, magari anche il 29 o 30 aprile, ma non il 28.
In realtà Lada Mocarscky ebbe incarichi da Allen Dullas, dalla centrale di Intelligence statunitense in Svizzera, sia con compiti di osservatore dei fatti che come indagatore sulla vicenda dell’ingente “oro di Dongo” che si sapeva al seguito della “colonna Mussolini”.
Questo in virtù del fatto che il Mocarsky non era un “agente killer”, ma un bancario. Quindi la sua presenza, ritratta in foto, assieme al Pier Bellini delle Stelle, Lorenzo Bianchi e Urbano Lazzaro, tutti partigiani non comunisti, tagliati fuori dalle requisizioni di oro, valute e gioielli, razziati dai comunisti, ha un altro significato, di interesse finanziario oltre, forse, un interesse per le importanti documentazioni al seguito del Duce, anch’esse sparite. Non si dimentichi che Mussolini aveva anche documentazioni su Roosevelt e non solo su Churchill.
In realtà la soppressione di Mussolini, già preventivata dalle alte sfere della amministrazione americana e del governo inglese, come dimostrato dalla famosa telefonata intercontinentale tra Roosevelt e Churchill del 29 luglio 1943, era stata decisa e concordata tra inglesi e americani fin da allora, mentre la consegna del Duce si concretizzerà nell’imminenza della fine della guerra, quando a Berna gli Alleati trattarono con il generale Carl Wolff una resa tedesca in Italia. E’ ovvio che in quella sede non potè non parlarsi di Mussolini che era sotto tutela tedesca.
Wolff quindi dovette sicuramente impegnarsi a far catturare Mussolini, cercando di non apparire come un traditore e questo non solo lo fece capire Erich Kubi nel suo libro “Il tradimento tedesco”, Mondadori 1996, ma è dimostrato dal comportamento del tenente SS Fritz Birzer che aveva in custodia il Duce: questi, infatti, fino ad un momento prima assatanato custode di ogni suo movimento e della sicurezza personale, e poi invece sulla piazza di Dongo, dove Mussolini fu fatto andare, proprio su consiglio tedesco, nascosto in un camion (ben sapendo che i camion sarebbero stati attentamente controllati), il Birzer e il suo gruppetto di SS si eclissano e si disinteressano della sorte del Duce. Nulla fecero, eppure erano garanti della sua sicurezza di fronte ad Hitler.
In ogni caso, più di una testimonianza di parte partigiana ci dice che il camion con Mussolini venne segnalato dai tedeschi stessi.
Mussolini, era andato via da Como poco prima dell’alba del 26 aprile e finì a Menaggio con il resto di ministri, pochi militi e altri personaggi al seguito. Tutti in qualche modo osservati e seguiti da lontano dove si riferirono targhe e consistenza numerica di questa colonna in spostamento (vedesi A, Zanella, “L’ora di Dongo”, Rusconi 1993).
Possiamo dire che sia inglesi che americani erano propensi a sopprimerlo o farlo sopprimere, sebbene gli americani inizialmente ebbero o giocarono la parte di coloro che lo volevano solo requisire e quindi, sempre inizialmente, ebbero ordini di prenderlo vivo, come si evince da varie, seppur dubbie, ricostruzioni storiche.
Gli inglesi, nel frattempo, per bocca di Max Salvadori - Paleotti, ufficiale di collegamento con il CLNAI, si premunirono, come sottolineò lo storico Renzo De Felice a far osservare ai dirigenti ciellenisti che avevano poco tempo per gestire Mussolini, cioè dal momento della cattura, all’arrivo delle truppe Alleate che avrebbero imposto l’ AMGOT ovvero la loro autorità in quei luoghi.
Un chiaro invito ad ucciderlo alla svelta.
Ma veniamo agli americani che, apparentemente, sembrava, come da disposizioni avute, che cercassero di catturare Mussolini.
Noti sono i radiomessaggi che inviarono dal loro comando di Siena al CVL / CLNAI per chiedere la consegna del Duce come prescritto dagli accordi con il governo del Sud, e le indicazioni che furono fornite al tenente colonnello Giovanni Sardagna a Como, per predisporre e coordinarne la consegna agli americani. Ma sono tutti elementi ed episodi che risulteranno ininfluenti nella realtà di quegli avvenimenti. Anche ammettendo che non ci furono messe in scena per attestare da parte americana un certo comportamento e da parte della Resistenza un certo alibi, evidentemente all’ultimo momento, da Berna e/o Lugano, giunsero ordini segretissimi alle missioni americane, di lasciar Mussolini in mano ai partigiani.
A Berna c’era Allen Dulles a capo della Intelligence americana, ma del quale sappiamo che in virtù di certe affiliazioni con la massoneria britannica, era anche considerato disponibile verso l’intelligence britannica che era interessata a sopprimere il Duce.
E la stessa cosa si poteva dire di James J. Angleton, a capo dello Oss italiano, che al pari del padre e di Dulles aveva riferimenti con la massoneria britannica.
C’erano quindi tutti i presupposti affinchè inglesi e americani agissero di conserva, con un certo gioco delle parti, per superare le difficoltà del momento.
Comunque, a prescindere dalle operazioni affidate al barone colonnello Giovanni Sardagna a Como, vi erano alcune unità inviate alla ricerca di Mussolini.
Come ben ricostruisce nel suo “Il gioco delle ombre” (Edizione riservata: www.alessandrodefelice.it ), lo storico Alessandro De Felice, la prima è la 34ª Divisione Usa – unità celere - guidata dal Generale Browne Bolty e diretta a Como, poi vi è l’unità comandata dal Maggiore Usa Albert William Phillips del C.I.C. (Counter Intelligence Corps), che arriva a Como la notte del 27 aprile ’45 con il compito militare, avuto dalla Vª Armata, di prendere Mussolini vivo.
Ma quella sera, al posto di confine di Chiasso, il maggiore Phillips ricevette l’ordine di attendere l’arrivo di altri ufficiali dell’OSS e del CIC da Lugano, ma alle 21, quando arrivarono, costoro gli dissero, forse intenzionalmente ingannandolo, che Mussolini era già stato catturato e che ormai lo stavano trasportando a Milano.
Inoltre, a Lugano, Donald P. Jones, vice console statunitense aveva precedentemente ordinato a due suoi agenti di andare a Como per il trasferimento dei poteri al CLN e, almeno così dicesi, per prendere in custodia il Duce.
I due sono Salvadore Guastoni e Giovanni Dessì che arrivano a Como la sera del 26 aprile e in poche ore si misero in tasca i comandanti fascisti, facendogli firmare la famosa tregua che in realtà era una resa e prevedeva anche la consegna di Mussolini in una zona neutra in Val d’Intelvi.
In realtà il vero scopo di Guastoni e Dessì, era quello di tenere a Como lontani i fascisti armati da Mussolini isolato a Menaggio e magari farli arrendere. Operazione perfettamente riuscita.
Lo attestano alcuni stralci di “La cronaca degli avvenimenti che condussero alla cattura di M.” scritto il 1 maggio 1945 proprio da Giovanni Dessy e reperibile presso il National Archives and Records Administration. Scrisse il Dessy nella sua relazione, riferendosi ai noti avvenimenti del 26 aprile a Como che portarono alla resa dei comandanti fascisti presenti in città:
<<... il dottor Guastoni si mise immediatamente in contatto con il vice console americano per sondare il punto di vista degli Alleati (...). Da una parte quindi vi era l’assoluta necessità di bloccare le forze fasciste che erano ancora padrone della situazione perché erano ancora più numerose e con armi migliori (...). Nello stesso tempo, era assolutamente necessario impedire a tutte le forze delle Brigate Nere, che stavano convergendo su Como di arrivare nella zona di Menaggio (...) .ottenere la smobilitazione e il disarmo di tutte le forze fasciste radunate a Como o in arrivo, così da prevenire la formazione di un gruppo di forte resistenza attorno a Mussolini (...).
Gli ordini segreti, quindi, che arrivarono nelle ultime ore alle missioni americane, dopo la cattura del Duce, erano di prendersela comoda e disinteressarsene..
Marino Vigano, ricercatore storico, preciserà:
<> (M. Viganò “Mussolini, i gerarchi e la in Svizzera 1944-‘45”, in Nuova Storia Contemporanea N. 3 - maggio giugno 2001).
Questo invito può essere letto in diversi modi, ma noi lo riteniamo anche in considerazione di un non interessarsi più alla cattura del Duce.
In effetti considerando poi il modo di operare di Guastoni a Como, vi troveremo la stessa strana analogia riscontrata, come vedremo con Emilio Q. Daddario a capo di un altra importate missione americana precedentemente incaricata di requisire Mussolini: il Guastoni, infatti perde parte della giornata del 26 aprile e tutta la notte successiva a mediare una resa dei fascisti disinteressandosi di Mussolini, come se più che altro la sua preoccupazione fosse quella (e quella era, come abbiamo visto) di evitare che il Duce, isolato a Menaggio, potesse ricongiungersi con i suoi uomini rimasti a Como.
La favoletta degli americani impegnati a catturare Mussolini da vivo è inattendibile e ancor più lo sono tutti quegli aneddoti circolati negli anni ‘50 sui grandi rotocalchi, per cui i furbi capi del CVL al comando di Milano, giocarono il capitano Daddario facendogli credere che il colonnello Valerio, alias Walter Audisio dovesse andare a Dongo a prendere il Duce per potalo a Milan, tanto che il Daddario gli firma il lasciapassare, risultato poi decisivo in Prefettura a Como. Non scherziamo sono tutte leggende campate in aria, queste sull’ingenuo capitano.
In realtà il modo di procedere degli americani per una asserita cattura di Mussolini vivo fu del tutto superficiale. Emblematico è il fatto che tra le missioni impegnate nella ricerca del Duce, la più vicina ai luoghi interessati era quella del capitano Emilio Daddario giunto appositamente dalla Svizzera. Ebbene proprio il Daddario, guarda caso, oltretutto considerato un elemento non certo campione di efficienza, era stato incaricato di arrestare il Duce.
Il tardo pomeriggio del 27 aprile 1945, l’agente statunitense se la prende comoda, procedendo prima a recuperare il maresciallo Graziani arresosi a Cernobbio, poi accettando a Como la resa del generale tedesco Hans Leyers e dei suoi uomini. Quindi trasportato Graziani a Milano, lo stesso Daddario, come detto, firma anche, a notte inoltrata, il famoso lasciapassare in inglese per Walter Audisio. In pratica, oltre che goffamente, il lento pede Daddario si muove talmente male da far venire il sospetto che, in realtà avesse ben altre segrete disposizioni.
Scrive nel suo citato “Il gioco delle ombre” Alessandro De Felice:
«Daddario non fece alcuno sforzo per cercare Mussolini: gli ordini che aveva ricevuto da Dulles, in combutta con Wolff, non erano di catturare l’ex dittatore, ma di lasciarlo prendere dai partigiani. Finito questo bel lavoro, Wolff rientrò a Bolzano, passando per la Svizzera”».
Si da il caso che ora questa situazione riguardante gli americani si intreccia con quelle riguardanti gli inglesi, i quali sono anche scatenati nel cercare e requisire ogni documentazione di Mussolini.
E veniamo quindi agli inglesi. Il N. 131 di Storia in Rete di Settembre, presenta il secondo servizio, a firma del giornalista storico Luciano Garibaldi, che sensatamente asserisce che vi è una sola pista, in merito alla morte del Duce, quella britannica.
Noi concordiamo con questa asserzione, anche se non ci sono prove tangibili ed evidenze da mostrare, ma soltanto alcuni indizi e varie supposizioni.
A nostro avviso, il tutto dovrebbe rientrare in uno scenario che come ebbe a confidare Leo Valiani, pezzo da novanta della Resistenza e anche in servizio presso il SOE dal ‘43, allo storico Alessandro De Felice negli anni ’90: la morte di Mussolini doveva rimanere un mistero, laddove «gli inglesi avevano suonato la musica e i comunisti erano andati a tempo».
En passant osserviamo però di non essere concordi sulla ipotesi di Garibaldi, secondo la quale gli inglesi volevano recuperare le documentazioni e sopprimere Mussolini per non far emergere i loro approcci con il Duce, avvenuti nel 1944, in cui si parlò di un possibile ribaltamento del fronte in funzione antisovietica.
E’ questa una ipotesi inconsistente per il semplice fatto che sono traffici non inusuali, tra diplomazie segrete, anche in tempo di guerra, ma se non si concretizzano, come non si è concretizzarono questi, hanno poco o nullo valore.
Rivelati a guerra finita non costituiscono particolari problemi per le nazioni coinvolte, che possono sempre parlare di bluf, di tergiversazioni tattiche, ecc. Si pensi che non costituì neppure un problema il ben più grave episodio riguardante la resa, sul fronte italiano, trattata segretamente dagli Alleati con i tedeschi, senza coinvolgere i sovietici. Questi ultimi protestarono, minacciarono, ma poi tutto finì lì. Oltretutto è d’uopo porre seri dubbi sul sentimento anticomunista di Churchill, che era, comunque sia, accantonato di fronte agli accordi di Jalta a cui il britannico era stato partecipe attivo .
La necessità inglese e di Churchill in particolare, di uccidere Mussolini e recuperare tutte le sue carte, era in considerazioni di quanto avvenuto in prossimità del nostro intervento in guerra dove Churchill aveva espressamente invitato Mussolini a scendere in guerra, con la falsa promessa di un prossimo tavolo della pace, e un accordo tacito, nel frattempo, a non farsi troppo male (come dimostrò il comportamento italiano nei primi mesi di guerra.).
Ma era una trappola del britannico, finalizzata ad allargare il teatro bellico per rendere la guerra irreversibile e in vista di un non acora prossimo intervento americano.

Tratto da STORIA IN RETE
https://www.facebook.com/maurizio.barozzi.7/posts/1493407724019425


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