Una ricerca durata mesi per restituire la verità ad un figlio
Giovanni Del Ry confessa: “Sono ottant'anni che aspetto di sapere”
Aveva
ragione il buon Giovannino Guareschi. Si impara di più stando sepolti
in un cimitero che sui banchi di scuola. Potrei aggiungere che quelli
degli Archivi di Stato possono dare una mano. Ma quei luoghi silenziosi,
dove i morti riposano sotto corone di fiori, insegnano sempre qualcosa.
Soprattutto quando devi dare un nome ai caduti della Rivoluzione
Sociale Fascista. Quando devi trovare la storia, quella vera, che li ha
portati ad essere fucilati dai partigiani.
Arrivo a Pisa Centrale
in orario. Sul piazzale della stazione le automobili si muovono come
formiche: qualcuna blocca la fila per accogliere a bordo il viaggiatore
che si era perso. Mordo appena il dente della pipa e, a pochi passi,
borbotta una Balilla che fila via per via Filippo Corridoni. Per un
attimo resto a fissare l'autoveicolo che si allontana. Ritorno poi lo
sguardo alla piazza e raccolgo le idee mentre il fornello della pipa
scalda il primo tabacco. Il sole cade preciso sui tetti e lungo le
strade. All'improvviso, infilando il dito per allargare il collo della
camicia, ho una voglia di mare.
Giovanni Del Ry abita a
pochi passi dalla stazione, una via stretta dove i palazzi si alzano
per alcuni piani e si guardano in faccia ormai da decenni.
Capita spesso di
conoscere i parenti dei caduti della RSI per telefono. La domanda è
sempre la stessa, quasi fossi uno di quei cronisti che la Storia ha
ributtato indietro. Uno di quelli che usano i piedi, vecchio stampo, per
andare incontro alle notizie.
“Buongiorno, mi scusi,
sono un giornalista, per caso lei è parente di, fucilato da, il, in
località...”. E il cronista che è in me, ma se ne sta in un angolo ben
nascosto, resta in attesa. “Si, sono io. Era mio padre, mio figlio, mio
fratello...”.
E nello stesso modo
inizia l'incontro con il signor Giovanni, classe 1937, in un pomeriggio
di maggio di quest'anno. Pioveva allora. Del Ry attende qualche secondo,
mentre io aspetto che chiuda il telefono perché magari non vuole essere
disturbato. Ma Giovanni, invece, ha voglia di parlare. “La ringrazio
che si interessi al mio babbo. Ma non conosco molto. Sono ottanta anni
che aspetto. Come ha fatto a trovarlo?”.
Per caso, come spesso
succede quando non hai nulla in mano. Erano le solite giornate:
archivio, giornale, letture. Poi un giorno la collega Emma Moriconi mi
invia una foto: dobbiamo decidere una immagine da inserire per un
articolo. L'occhio cade subito su alcune righe riportate nella pagina
successiva. Giorgio Pisanò scrive di “sette fucilati, maggio del 1945,
nel Comune di Casnate con Bernate, provincia di Como”.
Il Vicesindaco, Antonio
Milani, mi accoglie una mattina in uno degli uffici del Comune. Casnate
con Bernate è un paese che alle volte chiede fatica, fatto di salite e
discese ripide. Lo abbraccia una campagna rigogliosa. Il palazzo
comunale domina la piazza: alle spalle si apre il giardino della villa. E
il paese si fa ammirare con discrezione, come una di quelle belle donne
di un tempo che non vogliano scoprire troppo. È Milani a indicarmi
luoghi, nomi, date.
Al Geometra Maurizio
Maesani tocca invece il compito di sopportare la mia presenza in
ufficio, proprio mentre scorro il registro degli atti comunali: registri
cimiteriali e atti di morte sono il mio pane. E come se non bastasse,
deve scortarmi nel polveroso archivio del Comune, forse la parte meno
felice di tutta questa storia. Maesani si arrampica sui ripiani e fa
scivolare nelle mie mani i faldoni che ho trascritto dal registro.
Perché di tutto, dei
racconti della gente, dei ricordi, contano le carte bollate, le
comunicazioni, le lettere. Sono queste le prove che raccontano la
verità.
“Non saprei neanche
dirle in che formazione militare ha combattuto mio padre” ha detto un
giorno il signor Giovanni, con la sua voce calma, quasi rassegnata.
Intanto stringevo fra le mani i fascicoli con tutta la documentazione su
suo padre, Narciso Del Ry.
I documenti raccontano
Narciso, storia di un soldato
Il milite muore a 39 anni, fucilato dai partigiani, insieme al cognato Tullio Fedeli e altri cinque camerati
Narciso Del Ry, classe
1906, alto 1 metro e 68 centimetri, capelli castani e lisci, occhi
celesti, dentatura sana, mento piccolo, è un meccanico ortopedico
quando, nel 1926 parte per il servizio militare. Assegnato alla
4°Compagnia sanità di Bologna, a ottobre del 1926, viene imbarcato per
Tripoli come Radiotelegrafista della 2°Batteria Mestre. Il 21 luglio
1927, il 21enne Narciso viene congedato dopo aver servito con fedeltà e
onore (come da foglio di congedo).
Narciso lavora alla
CIMASA, ai cantieri di Marina di Pisa, che si affacciano sul mare.
Costruisce idrovolanti. (In seguito il figlio Giovanni lavorerà negli
stessi stabilimenti una volta passati al Gruppo Fiat nda). Nel 1937
nasce il figlio Giovanni. Narciso ha in mente la sua famiglia e il
lavoro ai cantieri che toccano il mare. Quella consuetudine non cambia
neppure con lo scoppio della guerra. Narciso ha 34 anni.
Nel 1943 succede
qualcosa. Non è solo il 25 luglio. Con l'otto settembre anche Narciso
deve scegliere. E il cognato Tullio Fedeli lo esorta a seguirlo al Nord,
per unirsi alle forze armate della Repubblica Sociale. Squadrista nella
XXXVII Brigata Nera Emilio Tanzi di Pisa. Narciso combatte, arretrando
inevitabilmente insieme alla linea del fronte. Ma è un buon soldato. E
cerca sempre di restare con i suoi camerati Toscani.
Nei primi mesi del 1945
Narciso Del Ry si trova a Como. Insieme al cognato mangia spesso in
un'osteria della città. Dopo il 25 aprile l'aria è pesante: i
partigiani, la polizia del popolo e gli ex fascisti sono i padroni di
ogni angolo di Como. Tutto ha voce, anche gli occhi. Narciso e il
cognato Tullio non mangiano più alla solita osteria, ma questo non
basta. Poi la cadenza toscana non passa inosservata. L'oste chiude il
cerchio facendo la spiata ai partigiani. Narciso e Tullio non sanno
ancora che dovranno morire.
Il 9 maggio del 1945 è
una giornata fatta per lavorare nei campi. E Angelo Milani (padre
dell'attuale Vicesindaco Milani nda) lavora nei campi che guardano verso
la cappelletta della Madonnina di Casnate. Intanto il camion dei
partigiani arriva proprio alla svolta della Madonnina. Narciso, Tullio e
altri cinque Fascisti (per loro non esistono i certificati di morte
nda) sono sul pianale. Il contadino sente i colpi dei mitra e vede i
corpi dei Militi caduti in un angolo, vicino ad un albero. I partigiani
costringono Angelo Milani a caricare i morti sul carro per poi
trasportarli al cimitero di Bernate. I sette Fascisti vengono seppelliti
in una fossa comune. Narciso Del Ry, padre di Giovanni, muore così a 39
anni. Insieme al cognato Tullio Fedeli e altri cinque camerati.
Nella pipa il tabacco
si raggruma, a tratti è bianco. Perdersi nel silenzio alle volte appare
simile all'assenza di documenti, di prove. Senza quei pezzi di carta
sarebbe rimasta la fossa comune, quei poveri resti contrassegnati da una
croce con sette pietrine cimiteriali.
Dai documenti risulta
invece che i corpi sono disseppelliti, per ordine della Procura di Como,
il 16 maggio 1945: i corpi gonfi vengono lavati. I vestiti inviati al
vicino Ospedale S. Anna di Como per la disinfezione. Il sindaco Galetti
firma tutti i documenti di quei mesi, anche quello dove si specifica che
“fra gli abiti è stata pure ritrovata una somma di Lire 965, che si
trattiene a parziale copertura delle spese incontrate per il
disseppellimento, trasporto dei suddetti cadaveri”. Ma è la Procura di
Como che in data 9 giugno 1945 chiede di accludere la somma rinvenuta
fra gli abiti negli atti riguardanti la fucilazione dei sette Fascisti.
La Federazione
Nazionale Combattenti Repubblicani di Como giunge in soccorso di
Oliviera Pasquini, vedova Del Ry, e della madre di Narciso, Aida
Corucci, quando queste scrivono al Comune di Casnate con Bernate per
avere il certificato di morte del loro caro, al fine di ottenere la
pensione di guerra. Stessa sorte tocca a Caterina Del Ry, vedova di
Tullio Fedeli. Le lettere si susseguono, dall'aprile del 1954, e spesso
iniziano con “vogliano scusarmi ancora...”.
La pensione di guerra
arriva per la vedova Del Ry e, nel 1957, Giovanni Del Ry entra alla
CIMASA (intanto assorbita dalla Fiat) come orfano di guerra. Narciso Del
Ry riposa a Musocco, nel Cimitero Monumentale di Milano, Campo X. Se vi
capita di passare, adesso conoscete la sua storia.
Pisa è un catino
bollente. Lascio che il fornello della pipa si spenga lentamente. L'Arno
mi scorre davanti. Qualche bicicletta s'infila nelle vie alle mie
spalle, proprio dal Lungarno Galileo Galilei. Una di queste è via San
Martino, dove un tempo abitava Narciso Del Ry con la sua famiglia.
Stringo il cannello della pipa con le dita. Sarebbe bello vederlo
passare Narciso, magari sulla Balilla incrociata al mattino in stazione.
Alessandro Russo
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