lunedì 23 maggio 2016
Ferdinando II di Borbone il re dei record che sbagliò lasciando l’Italia ai Savoia
Ferdinando II di Borbone, nato a Palermo il 12 gennaio 1810 e morto a Caserta il 22 maggio 1859, diventò re delle Due Sicilie nel novembre del 1830, a soli 20 anni, al termine del brevissimo regno di suo padre, Francesco I.
Soprannominato “re bomba”, questo nomignolo è erroneamente ricondotto al bombardamento di Messina del 1848, poiché le fonti più certe e recentemente portate alla luce lo fanno risalire a una battaglia avvenuta a Palermo mesi prima, dove non vi fu un bilancio grave di vittime.
Il suo regno lo si potrebbe dividere in due grandi fasi: una prima caratterizzata da riforme e lungimiranza, l’altro da isolamento internazionale per non aver saputo ben reagire alle istanze liberali e ai sabotaggi internazionali, fattore che ha poi condotto alla caduta delle Due Sicilie.
Il giovane Ferdinando si dimostrò all’inizio un re energico e intraprendente, secondo molti il più dinamico dopo re Carlo, suo bisnonno e primo re della dinastia Borbone nel futuro Regno delle Due Sicilie.
I primi dieci anni di governo furono splendenti, tali sono stati riconosciuti sia dai suoi contemporanei che dagli storici moderni: la nazione che ereditò era uscita da poco dai tumulti napoleonici che scossero tutta l’Europa e risentiva ancora del precario equilibrio conferito dal Congresso di Vienna, ma egli prese in mano la situazione e attuò una serie di riforme che attestarono le Due Sicilie tra il novero delle grandi nazioni europee.
Il deficit dello stato, al momento della sua presa di potere, era di ducati 4 milioni, 345mila e 251 con un vuoto erariale di poco più di 1 milione e 128mila ducati.
Per rimettere in sesto la situazione disastrosa delle finanze statali il re, l’8 novembre 1830, enunciò il proprio programma.
Cominciò da sé stesso e dalla propria corte, riducendo la propria lista civile di 370mila ducati annui (decreto 9 novembre 1830), dimezzando lo stipendio dei ministri (decreto 4 febbraio 1831), ridusse le spese per la guerra e per la marina, ridusse le spese per tutti gli altri dipartimenti governativi. In tal modo risparmiò più di un milione e 241mila ducati, colmando dunque il vuoto erariale con pochi accorgimenti che colpivano direttamente i costi della politica.
Altri provvedimenti riguardavano la bonifica dell’amministrazione giudiziaria, cacciò i cortigiani e i poliziotti corrotti che si erano arricchiti alle spalle dello Stato, emanò un’ampia amnistia per gli esuli e i detenuti politici, mise nelle posizioni chiave dell’esercito i migliori uomini scegliendoli anche tra coloro che erano stati fedeli a Murat.
Rivoluzionaria fu la misura, con decreto del 29 settembre 1838, con cui ripartiva tra i cittadini più indigenti le terre appartenenti al demanio e che, tuttavia, erano sfruttate con prepotenza dai locali “galantuomini”, rifacendosi dunque agli ideali democratici dell’antica Roma.
Bonificando e incanalando il lago di Fucino, vicino L’Aquila, restituì terre coltivabili ai contadini e altrettanto fece nel Tavoliere delle Puglie.
Secondo alcune fonti il volume del commercio crebbe di 50 volte in 30 anni. Aderì alla lega contro la tratta degli schiavi.
Per meglio conoscere le esigenze dei suoi sudditi moltiplicò le udienze e viaggiò parecchio nelle proprie province, ispezionando di persona gli ospedali e i lazzaretti durante l’epidemia di colera del 1836.
Diede impulso allo sviluppo industriale, tant’è vero che quasi ogni nuova invenzione trovava attuazione, in Italia, per prima a Napoli e nel resto del Paese.
Tra i record troviamo la prima linea ferroviaria, il ponte sul Garigliano, l’illuminazione a gas nella città di Napoli, la fabbrica di Pietrarsa “perché del braccio straniero a fabbricare le macchine mosse dal vapore, il Regno delle Due Sicilie più non abbisognasse”, il primo centro vulcanologico del mondo e altri (clicca qui per approfondire).
Una siffatta politica infiammò gli animi di chi voleva unire tutto lo stivale, chiedendo proprio a Ferdinando II di capeggiare le lotte per scacciare gli austriaci dal Nord Italia e procedere, man mano, a unificare l’Italia.
D’altro canto, la stessa Austria e specialmente l’Inghilterra e la Francia non vedevano di buon occhio la figura di Ferdinando, il quale rischiava di compromettere l’egemonia anglo-francese nell’assetto politico europeo.
Sul letto di morte confessò di aver rinunciato alla corona d’Italia per non ledere il diritto degli altri regnanti italiani, specialmente quello del Papa, in ossequio perciò al profondo senso religioso col quale era stato educato.
Nel 1833 aveva tuttavia proposto a Carlo Alberto di Savoia, al Granduca di Toscana Leopoldo II e al Papa Gregorio XVI di realizzare un’unione tra gli stati italiani, senza ricevere risposta.
Il passo falso, come ammettono gli storici e recentemente anche Paolo Mieli sulle colonne del Corriere della Sera, fu quello di inimicarsi Londra, che temeva, all’approssimarsi dell’apertura del canale di Suez, che ci potesse essere anche un’altra grande potenza nel Mediterraneo.
È storia nota, infatti, che lo sbarco dei Mille a Marsala nel 1860 era protetto proprio dalle navi inglesi, così come inglesi furono i tanti episodi che destabilizzarono il regno di Ferdinando del quale, nonostante tutto, riuscì a tenere le redini: appena morì cominciarono le operazioni di invasione piemontesi, concordate con Francia e Inghilterra.
Nel 1838 si segnala un fatto di estrema importanza, ossia la firma di un’intesa con la società Taix-Aycard di Marsiglia per l’estrazione dello zolfo in Sicilia, essenziale per produrre la polvere da sparo, su cui vi era un sostanziale monopolio britannico.
Le proteste di Lord Palmerston, primo ministro inglese, furono violente fino a causare le dimissioni del ministro degli esteri napoletano, ordinando alle navi britanniche di compiere manovre preparatorie alla guerra del Golfo di Napoli.
Ferdinando II, molto geloso dell’indipendenza delle Due Sicilie, era pronto alla guerra se non fosse stato per Vienna e Parigi: Luigi Filippo revocò il privilegio alla Taix-Aycard, rendendo di fatto nulla il contratto tra questa e il regno borbonico.
Man mano il re si isolò politicamente dagli altri stati, ebbe un’involuzione anche il grande impulso riformatore che lo aveva caratterizzato nei primi anni di governo.
Riconducibile a Lord Palmerston fu l’ondata di scandalo, attraverso tutta l’Europa, che colpì Ferdinando II tra il 1850 e il 1851, quando delle lettere di Lord Gladstone, in visita a Napoli, inviate a Lord Aberdeen, dipinsero la società borbonica come “la negazione di Dio eretta a sistema di governo” a causa della violazione sistematica di tutte le leggi umane e divine.
Tutta L’Europa allora cominciò a odiare Ferdinando II, finché Gladstone ammise di aver scritto quelle lettere senza aver mai visitato regno, ma avendole compilate in pratica su dettato degli uomini cui fu affidato da Lord Palmerston.
L’onesto Lord Aberdeen, in Parlamento, fu protagonista di una furiosa orazione di condanna nei confronti di quelle calunnie.
Intanto però il guaio era stato fatto, poiché Ferdinando restò circondato da un alone di sospetto.
Sempre dai lavori del Parlamento inglese, dopo 1861, emergono le condanne all’appoggio britannico circa la conquista piemontese del Regno delle Due Sicilie, giudicata una lesione del diritto internazionale e cagionatrice di crimini più orrendi e più gravi di quelli erano stati attribuiti a Ferdinando II.
Completamente inadeguata, da parte di Ferdinando II, fu la gestione dei moti del 1848 e in particolar modo la questione siciliana.
Quell’anno, passato alla storia come Primavera dei Popoli, infiammò le Due Sicilie, la Francia e l’Austria, avendo ripercussioni, negli anni successivi, anche in Russia e Ungheria, oltre che nel processo di unificazione di Germania e Italia.
Estranea ai tumulti la solita Inghilterra che, al contrario, gettava legna sul fuoco perché così poteva tutelare e accrescere la propria egemonia.
Dopo i 1850 furono frequentissimi gli “incidenti diplomatici” causati ad arte dal governo di sua maestà britannica.
Pur tenendo unito il Regno delle Due Sicilie, riconquistando nel 1849 la Sicilia che si era resa indipendente, Ferdinando II non seppe sfruttare quella situazione per rendersi più “simpatico” agli occhi dei sudditi suoi e degli altri staterelli della penisola, isolandosi e chiudendosi a ogni rapporto di politica estera, mostrando la mancanza totale di interesse nei confronti di ciò che avveniva al di fuori dei confini napoletani e siciliani.
Nonostante la concessione della Costituzione i più rivoluzionari si mostravano sempre scontenti ed esigevano sempre di più; la Sicilia, che aveva chiesto l’autonomia, arrivò a chiedere l’indipendenza.
Ferdinando II commise l’errore di non capire che dietro vi erano i disegni di altre potenze, risolvendo ogni cosa con l’assolutismo e sospendendo la Costituzione.
Fece il gioco dei britannici.
Vittorio Emanuele II, al contrario, ne uscì molto meglio anche grazie alle macchinazioni del subdolo conte di Cavour, il quale capì che sfruttando la situazione geopolitica poteva risolvere i guai economici sia personali e della sua banca, sia del regno sabaudo; il bilancio in attivo e le riserve delle Regno delle Due Sicilie erano le ideali per dare ossigeno alle disastrate casse di Torino, che aveva debiti con inglesi e francesi. Il debito pubblico sabaudo di allora è riconosciuto, oggi, come una delle principali cause della debolezza economica e politica dell’Italia di oggi.
Il resto è storia nota: l’8 dicembre 1856, durante la visita al Campo di Marte dopo la cerimonia dell’Immacolata, Agesilao Milano trapassò il re con la lama della propria baionetta. Milano fu condannato a morte per attentato alla vita del sovrano, Ferdinando si salvò ma la ferita, mal curata, continuò a cagionargli problemi di salute fino a condurlo alla morte.
Agli inizi del 1859 Ferdinando non ascoltò i medici e si mise in viaggio per accogliere il 3 febbraio Maria Sofia di Baviera, sorella della famosa principessa Sissi, novella sposa del primogenito ed erede al trono Francesco, tuttavia durante il viaggio le condizioni di salute peggiorarono.
Era un’infezione purulenta a minacciare di morte il sovrano, rendendo necessaria l’operazione chirurgica: a tale prospettiva la regina e la corte inorridirono, poiché era inconveniente operare un re.
Quando l’infezione si diffuse in tutto il corpo venne eseguito l’intervento, ma era troppo tardi. Nel frattempo la nave che stava conducendo in Argentina alcuni esuli politici venne dirottata in Irlanda, così che quelli potessero tornare in Italia, mentre ad aprile l’Austria invase il Piemonte: era ciò che voleva Cavour per far intervenire i Francesi.
Sul letto di morte Ferdinando II ordinò che le Due Sicilie restino neutrali, insistendo fino alla fine nell’isolamento.
Prima di morire, il 22 maggio 1859, confessò di aver rifiutato la corona d’Italia per non vivere con il rimorso di aver fatto un torto agli altri sovrani italiani.
“Non fu Unità! Fu occupazione piemontese, e se l’avesse fatta il Regno di Napoli, che era molto più ricco e potente, sarebbe andata diversamente. La mentalità savoiarda non era italiana. Cavour parlava francese. E gli italiani quel nuovo Stato l’hanno detestato”:
questa è l’opinione di Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano La Repubblica.
In realtà non sapremo mai come sarebbe stata l’Italia se Ferdinando II fosse stato più spregiudicato, tuttavia, guardando alla sua ferma volontà di affermare l’indipendenza del suo regno dalle ingerenze esterne, si può tranquillamente dire che l’Italia non sarebbe nata per essere uno stato vassallo delle altre potenze, quale è tragicamente ai giorni nostri.
Fonti:
– Antonio Ghirelli, Storia di Napoli;
– Paolo Mencacci, Storia della Rivoluzione Italiana;
– Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli
– Alphonse Balleydier, La vérité sur les affaires de Naples, réfutation des lettres de m. Gladstone
– Eugenio Di Rienzo, Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee
Tratto da:
http://www.vesuviolive.it/cultura/storia/149396-ferdinando-ii-borbone-re-dei-record-sbaglio-lasciando-litalia-ai-savoia/
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Ferninando II doveva fidarsi meno dei suoi alleati...
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