28 aprile 1945: ASSASSINARONO BENITO MUSSOLINI
NON MI PIACCIONO LE ESALTAZIONI INFATUATE, MA PER QUEL
POCO DI STORIA CHE HO STUDIATO, PER LE MIE TRENTENNALI RICERCHE PROPRIO SU LA
MORTE DI MUSSOLINI, NON POSSO OMETTERE CHE COSTUI E' STATO IL PIU' GRANDE ITALIANO
DI TUTTI I TEMPI: COME STATISTA, COME RIVOLUZIONARIO NELLE CONTINGENZE
STORICHE, COME POLITICO.
Ogni 28 aprile quindi posto questa rievocazione
storica frutto non di letture, ma di ricerche, verifica e incrocio di
testimonianze e visione di documenti. 28 aprile 1945:
ASSASSINARONO BENITO MUSSOLINI
di Maurizio Barozzi
Il 28 aprile 1945, tra le 9 e le 10 del mattino,
contrariamente a quanto asserisce una falsa “vulgata” storica, a cui oramai non
crede più nessuno, Benito Mussolini, dopo essere stato ferito con un colpo di
pistola al fianco, nella stanza dove, inerme prigioniero, era rinchiuso, venne
trascinato in canottiera mezze maniche nel cortile della casa dei contadini De
Maria in quel di Bonzanigo (Tremezzina), ed ivi ammazzato come un cane con
circa altri otto colpi di armi da fuoco. Si compiva così l’invito di quei
giorni di Sandro Pertini di “ammazzarlo come un cane tignoso”. Il buon
“compagno socialista” Pertini: ne riparleremo.
L’assassinio.
Su questa sporca vicenda dell’assassinio di Mussolini, rimandiamo a tanti nostri articoli pubblicati su “Rinascita” ed esposti anche nel relativo Sito del giornale, ma anche in quello della FNCRSI (http://fncrsi.altervista.org, sezione Notiziario) o meglio ancora in una nostra lunga intervista sul mistero della morte di Mussolini, concessa al “Corriere dei Caraibi”: http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_MBarozzi_120611_Mistero-della-morte-di-Mussolini.htm
Su questa sporca vicenda dell’assassinio di Mussolini, rimandiamo a tanti nostri articoli pubblicati su “Rinascita” ed esposti anche nel relativo Sito del giornale, ma anche in quello della FNCRSI (http://fncrsi.altervista.org, sezione Notiziario) o meglio ancora in una nostra lunga intervista sul mistero della morte di Mussolini, concessa al “Corriere dei Caraibi”: http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_MBarozzi_120611_Mistero-della-morte-di-Mussolini.htm
Oggi, con le strumentazioni moderne abbiamo avuto la
certezza, analizzando la foto del cadavere in terra a Piazzale Loreto, che quel
giaccone o pastrano indosso al cadavere del Duce è totalmente privo di fori o
strappi che invece avrebbero dovuto esserci se fosse stato attinto da colpi di
arma da fuoco. Ergo, Mussolini venne ucciso con altro abbigliamento, in altro
orario e luogo e quindi buttato cadavere ai piedi del cancello di Villa
Belmonte a Giulino di Mezzegra. Una prova oggettiva e irrefutabile. Nel momento
di essere ucciso l’ex Duce probabilmente gridò in faccia ai suoi assassini
“Viva l’Italia” come fu, con doloroso e reticente parto, riferito nell’ottobre
del 1990 dopo 45 anni di omertà e menzogne, da quel Michele Moretti (Pietro) il
partigiano comunista presente ai fatti (Cfr.: Giorgio Cavalleri: “Ombre sul
lago” Ed. Piemme 1995).
Il Moretti, pur ribadendo la solita versione comunista
di Walter Audisio (la “vulgata” come la definì Renzo De Felice) oramai
pienamente sconfessata, così riferì al giornalista, scrittore e amico
Cavalleri, quei momenti: “...Mussolini non apparve troppo sorpreso e, quando
ebbe l’arma puntata contro di sé, gridò con foga: “Viva l’Italia!””.
E a domanda del giornalista aggiunse: “Mi ha
disturbato il “Viva l’Italia!” del duce? No, Perchè, si riferiva alla sua
Italia, non alla mia..”.
E quel grido si accorda con tutta la vita umana e
politica di Mussolini, un rivoluzionario, un politico, un giornalista ed uno
statista, che aveva speso tutta la sua gestione del potere ai fini della
grandezza dell’Italia, senza perdere mai di vista, inoltre, il popolo e il suo
intento di affermare una società socialista che infine riuscì a realizzare con
la RSI, quando tre malefiche forze (Confindustria, Casa Savoia e Vaticano),
espressione di immondi interessi, si trovarono, dopo l’8 settembre 1943, per la
prima volta nella storia del nostro paese, fuori gioco e non poterono
interferire.
Nell’interesse del popolo italiano
Nell’interesse del popolo italiano
Si possono elevare ogni genere
di accuse, si può non condividere il suo operato di governo, si può dire che la
sua fu una politica errata e deleteria, ma si deve ammettere che Mussolini
indirizzò ogni sforzo a fare dell’Italia una piccola, ma importante potenza in
Europa, avendo sempre in primo piano il benessere del popolo.
Non è esagerato affermare
(basterebbe guardare i filmati Luce dell’epoca, sulle grandi opere allora in
essere, un compendio di capolavori che per numero, velocità di esecuzione e
qualità superarono ogni precedente storico) che senza il ventennio di
Mussolini, l’Italia sarebbe probabilmente rimasta come uno di quei paesi
estremamente arretrati del sud Europa e dei Balcani.
E basterebbe dare una
sbirciatina alle riforme sociali, di cui la più rivoluzionaria di tutte, quella
sulla socializzazione delle aziende, emessa in piene vicende belliche, per
rendersi conto che dal 1922 al 1945 agì nel nostro paese una volontà
riformatrice e rivoluzionaria, a volte palese, a volte nascosta, a volte
annacquata e distorta, spesso contraddittoria, ma sempre presente, nel
pensiero, nella prassi e negli atti di governo di Mussolini.
Una volontà che venne
stroncata con la guerra dalla criminale aggressione all’Europa da parte delle
democrazie plutocratiche.
E’ indubbio che l’azione di
governo di Mussolini è stata quella di un dirigismo statale (così come
normalmente dovrebbe essere) per il quale vige l’assunto che nello Stato e per
gli interessi dello Stato devono prevalere gli aspetti etici e politici su
quelli economici e finanziari.
Un principio ed una costante
questa che la massoneria non gli perdonò mai e gli costò nel 1924 la vendetta
delle cosche massoniche e di un “putrido ambiente politico-affaristico di
capitalismo e finanza corrotta” (così come ebbe a definirlo lo stesso
Mussolini), che per defenestrarlo gli gettarono ai piedi il cadavere di
Matteotti e venti anni dopo lo portò dritto a Piazzale Loreto.
La geopolitica di Mussolini
Le contraddizioni apparenti, i
tentennamenti e i sotterfugi che si riscontrano nei suoi rapporti
internazionali, derivano semplicemente dal fatto che Mussolini era ben conscio
che lo sviluppo, la grandezza e l’indipendenza della Nazione, purtroppo una
nazione estremamente povera di materie prime ed economicamente e militarmente
debole, potevano essere garantite solo a patto che in Europa, una delle due
grandi forze antagoniste, quella della Gran Bretagna e quella della Germania,
non prevalesse definitivamente sull’altra e quindi non dominasse il continente
e neppure che si accordassero tra loro.
Destreggiarsi in questo
contesto, essendo al contempo consci che il vero nemico del fascismo e
dell’Italia era la grande plutocrazia internazionale e la geopolitica
britannica nel Mediterraneo, non era certo facile.
Gli inglesi, soprattutto, dopo
l’apertura del canale di Suez a metà ’800, e le successive necessità di
controllare le rotte del petrolio, puntarono forte sul controllo del nostro
paese, una portaerei naturale nel Mediterraneo, un grande mare che
consideravano come un loro lago privato.
Fu questo, per esempio, il principale motivo
per il quale i britannici, attraverso la Massoneria e Casa Savoia, decisero di
sostenere il Risorgimento.
La geopolitica di Mussolini
quindi, da Locarno, a Stresa, a Monaco e fin nella “non belligeranza”, nonchè
nella conduzione di una “guerra parallela” con la Germania, fu sempre
incentrata su questi presupposti.
Era una geopolitica
sostanzialmente antibritannica, per il fatto che gli inglesi avevano i loro
interessi in contrasto con i nostri nel Mediterraneo ed in Africa, e se
ricostruita a posteriori e in più ampia prospettiva, possiamo dire che era una
geopolitica Euro Asiatica, diversa da quella di Hilter, che era Euro Atlantica.
Ma questa geopolitica, allo stesso tempo peninsulare e
insulare, doveva anche fare i conti con i tedeschi nel continente i quali, dopo
il 1938 erano praticamente arrivati al Brennero.
Ed è così che, nel contingente, si ebbero non pochi
nostri atteggiamenti ambigui, come ad esempio la febbrile costruzione del Vallo
Littorio nel Nord Est di chiara intonazione antitedesca, ed una politica che
nel mentre esaltava l’Asse Roma - Berlino, per altri versi si sottraeva a
impegni più vincolanti con la Germania.
Il fatto è che le leggi della geopolitica non sempre
seguono le ideologie e gli ideali di partito, come del resto avveniva nella
prassi politica e militare di Hitler, dove il nazionalsocialismo era inteso
soprattutto conforme agli interessi della Germania e del popolo tedesco.
Non poche
infatti sono le affermazioni importanti di Hitler ed altri esponenti tedeschi
che indicavano chiaramente che il loro interesse primario era un grande accordo
con i Britannici, che di fatto sarebbe andato contro i nostri interessi.
Certo, il Duce poteva fare affidamento sugli impegni
presi e garanti da Hitler, di rispettare per esempio i confini del nord est, e
dell'Alto Adige, ma la vita delle nazioni si conta a secoli, e nessuno poteva
garantire che quelli che sarebbero venuti dopo Hitler, avrebbero mantenuto gli
stesi impegni.
Oggi, a posteriori, gli intellettuali possono anche
considerare quegli eventi da un punto di vista superiore, comprendendoli in un
quadro ideologico nel quale troviamo analogie tra il fascismo e il
nazionalsocialismo, anzi anche in un quadro metastorico dove troviamo la
presenza nelle due ideologie e nella stessa guerra del sangue contro l’oro da
esse intrapresa, un aspetto ricorrente della “Tradizione”, ma la politica
contingente, internazionale è tutta altra cosa.
Insomma l’operato di Mussolini
fu sempre ed esclusivamente dettato dalla massima degli antichi romani per la
quale: “la salvezza della Patria è la legge suprema”.
Mussolini rivoluzionario
Come detto Mussolini fu certamente un “rivoluzionario”
ed in effetti egli giunse ad una determinata ed originale visione dello Stato,
della politica e della società attraverso le sue passate esperienze umane e
politiche che lo portarono a superare il socialismo marxista internazionalista
nel più naturale e praticabile “socialismo da realizzare nella nazione”, non
disgiunto dai valori del combattentismo interventista (aristocrazia delle
trincee) e quindi arrivò, attraverso un costante e spregiudicato pragmatismo e
il sincretismo di tanti altri valori, al fascismo.
Osservando oggi il nulla, rappresentato da tutto
l’antifascismo, comunismo compreso, imploso e dissoltosi miseramente, un
antifascismo come fallimento degli immortali principi, che oramai vive solo di
“antifascismo viscerale”, si riscontra come il fascismo aveva surclassato
questo antifascismo in tutti i campi, compreso quello del consenso di massa e
della giustizia sociale.
Da rivoluzionario Mussolini seppe controllare
vittoriosamente il processo politico e insurrezionale che dalla costituzione
dei Fasci di Combattimento nel 1919, lo portò al potere.
Giocoforza dovette passare da
un programma iniziale di chiara prospettiva di sinistra, che però risultò
perdente alle elezioni del 1919, ad un graduale allineamento su posizioni
idealistiche di carattere anche conservatore.
Era quella una strada obbligata, visto che il fascismo
cresceva anche negli scontri di piazza contro i “rossi” e il loro violento e
velleitario tentativo di ripetere in Italia la rivoluzione bolscevica.
Queste tensioni avvicinavano inevitabilmente al
fascismo molte componenti delle classe medie e giovani idealisti.
Salito al potere dopo la
marcia su Roma si rese però conto che poteva restare prigioniero delle forze
reazionarie che lo avevano aiutato nell’ascesa.
Il suo desiderio era quello di formare un governo
socialmente avanzato, aperto ai popolari (con il Vaticano che gli aveva tolto
di mezzo il pretaccio antifascista Don Sturzo), ai socialisti moderati, e
all’ala moderata della CGL nella quale contava vecchi amici.
Disse, più o meno, al socialista Carlo Silvestri, che
bisognava sbrigarsi ad ottenere l’accordo con i socialisti e i Confederati,
perché altrimenti non avrebbe più potuto controllare le frange reazionarie del
partito, i Ras e lo squadrismo, in particolare quello Toscano, armato e legato
agli agrari.
Gli disse
anche che se non fosse riuscito a domare il fascismo, avrebbe preferito
strozzare la sua creatura con le sue stesse mani.
Nel 1922 non riuscì in questo intento, poi dopo aver
penato per ottenere un patto di pacificazione che mettesse fine alle violenze e
al sangue della guerra civile, ci riprovò nel 1924.
E questa volta il suo intento
di una “apertura a sinistra” lo stroncarono definitivamente, buttandogli tra i
piedi il cadavere di Matteotti.
Quello di Matteotti fu un delitto massonico
affaristico (tutti quelli che vi risultavano implicati, anche se fascisti,
avevano la tessera della massoneria), sostanzialmente contro Mussolini, come
hanno sempre riconosciuto i figli del parlamentare socialista assassinato, che
doveva adempiere a tre scopi:
1. Impedire
a Matteotti di produrre documentazioni su grossi scandali, in particolare
quello sul petrolio che chiamava in causa anche il Re Vittorio Emanuele III.
2. Stroncare definitivamente
ogni tentativo di Mussolini di aprire ai socialisti e quindi
3. liquidarlo da Capo del
governo, non più tollerato per il suo dirigismo politico che intralciava i
traffici massonico - affaristici (Banca Commerciale compresa).
Non possiamo qui riassumere la vicenda Matteotti e
quindi rimandiamo a un nostro Saggio: M. Barozzi: Il delitto Matteotti - http://fncrsi.altervista.org/il_delitto_matteotti_150218.pdf
Per le conseguenze del delitto
Matteotti, Mussolini suo malgrado fu costretto a scivolare nella dittatura.
Fu un guaio perché i dittatori
devono saper spargere il sangue senza scrupoli e Mussolini ne era incapace.
Ed infatti da allora cercò di
governare essenzialmente con l’uso della sua arte politica, attraverso accordi,
ammiccamenti, ricatti, pressioni, che gli garantirono un certo consenso, ma che
poi, alla prova della guerra, si squagliarono come neve al sole.
Purtroppo dovette fare i conti con il materiale umano
che questo paese gli metteva a disposizione e spesso a chi gli rimproverava la
mancanza di un più energico intervento rivoluzionario, una cosiddetta “seconda
ondata”, rispondeva che “con il fango non si fanno le rivoluzioni”, ma non
usava la parola fango.
Il ventennio fascista, che
oltretutto era una diarchia con la Monarchia, costrinse Mussolini a
privilegiare ogni necessario programma per la crescita della nazione,
sacrificando altri aspetti ideali.
Il ventennio quindi fu un
periodo dove la nazione venne inquadrata su posizioni conservatrici, di ordine
e disciplina.
Ma c’è da dire che Mussolini volle e riuscì nonostante
questi aspetti di “destra”, per lui innaturali, a varare Leggi sociali e
provvedimenti all’avanguardia per l’epoca e di enorme portata sociale che uniti
alle Grandi Opere pubbliche, ne beneficiarono il popolo e le classi lavoratrici.
La vera svolta rivoluzionaria
e socialista, il compimento anche ideologico del fascismo, avrebbe dovuto
attendere, ma non mancò di arrivare, anche se in piena guerra, con la
Repubblica Sociale Italiana.
La guerra
Subito una premessa: quando si parla di Seconda guerra mondiale, bisogna sempre tenere presente che venne preparata, perfidamente innescata e scatenata dalle grandi democrazie occidentali, ovvero dall’Alta Finanza internazionale dietro un preciso progetto di dominio mondiale, un progetto che, inceppatosi dopo la prima guerra mondiale, passava preliminarmente, sulla liquidazione dei fascismi in Europa.
In ogni caso se c’è un uomo a cui tutto può
addebitarsi, tranne che la responsabilità della guerra, questi è Mussolini che
fu letteralmente costretto ad entrare in un conflitto che non voleva, che
paventava e che aveva fatto di tutto per evitare.
Non perché avverso alla guerra in sé, sapeva bene
Mussolini come la guerra è spesso necessaria, ma perché era perfettamente
conscio che l’Italia non era in grado di parteciparvi.
A malincuore, a guerra oramai accesa, aveva dovuto
optare per la umiliante formula della “non belligeranza”, posizione fruttifera
in termini di guadagni senza rischi, ma pericolosa in quel contesto storico. Ma
non c’era altro da fare.
Quando però a maggio del 1940 la Francia cadde così
precipitosamente e la guerra sembrava possibile che si chiudesse con la
vittoria della Germania, Mussolini, con i tedeschi oramai arrivati al Tirreno e
in prospettiva di una definizione della guerra tra la Germania vittoriosa e
l’Inghilterra, la cui definizione ci
avrebbe tagliato fuori dai nostri interessi mediterranei, nei Balcani e in
Africa, dovette giocoforza scendere in campo.
Così Mussolini aveva riassunto la nostra situazione a
Giuseppe Bottai: “Qui ci sono due imperi in lotta, due leoni. Non abbiamo
interesse che stravinca nessuno dei due. Se vincesse l’Inghilterra, non ci
lascerebbe che il mare per fare i bagni. Se vincesse la Germania, ne sentiremmo
il peso. Si può desiderare che i due leoni si sbranino, fino a lasciare a terra
le code, e caso mai, andare a raccoglierle”.
Dopo il vertice al Brennero con Hitler, di metà marzo
1940, quando la guerra ancora non aveva investito lo scacchiere occidentale,
Mussolini con un riservato “Memoriale panoramico al Re” del 31 marzo 1940,
analizzò lucidamente la situazione: “Se si avverrà la più improbabile delle
eventualità, cioè una pace negoziata nei prossimi mesi, l’Italia potrà,
malgrado la sua non belligeranza, avere voce in capitolo e non essere esclusa
dalle negoziazioni: ma se la guerra continua credere che l’Italia possa
rimanere estranea fino alla fine. È assurdo e impossibile. L’Italia non è
accantonata in un angolo di Europa come la Spagna, non è semiasiatica come la
Russia, non è lontana dai teatri di operazione come il Giappone o gli Stati
Uniti; l’Italia è in mezzo ai belligeranti, tanto in terra, quanto in mare.
Anche se l’Italia cambiasse atteggiamento e passasse armi e bagagli ai
franco-inglesi, essa non eviterebbe la guerra immediata con la Germania, guerra
che l’Italia dovrebbe sostenere da sola. E’ solo l’alleanza con la Germania,
cioè con uno Stato che non ha ancora bisogno del nostro concorso militare e si
contenta dei nostri aiuti economici e della nostra solidarietà morale, che ci
permette il nostro attuale stato di non belligeranza.... L’Italia non può
rimanere neutrale per tutta la guerra, senza dimissionare dal suo ruolo, senza
squalificarsi, senza ridursi al livello di un Svizzera moltiplicata per dieci.
Il problema non è quindi sapere se l’Italia entrerà in guerra o non entrerà in
guerra, perché l’Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra.
Si tratta soltanto di sapere quando e come: si tratta
di ritardare il più a lungo possibile, compatibilmente con l’onore e la
dignità, la nostra entrata in guerra:
a) per prepararci in modo tale che il nostro
intervento determini la decisione;
b) perché l’Italia non può fare una guerra lunga, non può cioè spendere centinaia di
miliardi, come sono costretti a fare i paesi attualmente belligeranti”.
Quindi Mussolini affermava che, escluso un nostro
voltafaccia dell’alleanza con i tedeschi, non ci rimaneva che la possibilità di
una “guerra parallela” con la Germania ed in funzione dei nostri interessi che
si potevano riassumere in questi obiettivi:
“Libertà sui mari, finestra sull’oceano, L’Italia non sarà mai una nazione indipendente sino a quando avrà a sbarre della sua prigione mediterranea la Corsica, Biserta, Malta e, a mura della stessa prigione, Gibilterra e Suez. Risolto il problema della frontiere terrestri, se l’Italia vuole essere una Potenza veramente mondiale deve risolvere il problema delle sue frontiere marittime: la stessa sicurezza dell’Impero è legata alla soluzione di questo problema”.
“Libertà sui mari, finestra sull’oceano, L’Italia non sarà mai una nazione indipendente sino a quando avrà a sbarre della sua prigione mediterranea la Corsica, Biserta, Malta e, a mura della stessa prigione, Gibilterra e Suez. Risolto il problema della frontiere terrestri, se l’Italia vuole essere una Potenza veramente mondiale deve risolvere il problema delle sue frontiere marittime: la stessa sicurezza dell’Impero è legata alla soluzione di questo problema”.
Il 29 maggio 1940, all’indomani della resa del Belgio
e con i franco - inglesi in totale rotta, Mussolini ottenne su delega del Re il
comando delle forze armate.
Si investiva quindi di un comando più che altro
“formale”, di grande prestigio se le cose fossero andate bene, ma la conduzione
strategica ed operativa della guerra, con tutte le sue deficienze (e
tradimenti) era di fatto nelle mani di Pietro Badoglio Capo di Stato Maggiore
Generale, essere spregevole, avido e legato alla massoneria.
Molti si sono chiesti come abbia potuto Mussolini puntare
su Badoglio di cui pur conosceva i suoi intrallazzi e le sue responsabilità ai
tempi di Caporetto.
La risposta non è difficile, conoscendo Mussolini.
Intanto il Duce non era un esperto di armamenti e di
strategie militari, difetto questo, come disse una volta Hitler, che consentiva
ai suoi generali di ingannarlo facilmente.
Quindi Mussolini partì dalla valutazione errata che in
quel poco di buona che passava il materiale umano delle nostre FF.AA.,
Badoglio, che invece era un incapace, gli potesse mettere in piedi un esercito
moderno. Si sbagliava.
Conosceva Badoglio e sapendo quanto era avido lo
lasciò “ingozzarsi” oltre ogni limite, ritenendo in questo modo di averlo
disponibile.
Non tenne però conto che Badoglio era intimamente
antifascista, era sotto botta massonica e quindi si ritrovò una serpe
incontrollabile in seno.
Il 29 maggio 1940 a Badoglio e agli altri generali
responsabili delle imminenti operazioni belliche (capi di stato Maggiore della
Marina Domenico Cavagnari, dell’Aeronautica Francesco Pricolo e dell’Esercito
Rodolfo Graziani), Mussolini disse che inizialmente aveva previsto l’ingresso
in campo dell’Italia all’incirca per la primavera del 1941, ma poi l’incalzare
delle vicende belliche aveva travolto ogni previsione. Infatti i tedeschi avevano
in poco tempo vinto in Norvegia e Danimarca (aprile 1940) e Mussolini fu
costretto ad anticipare il progettato intervento per il settembre di quello
stesso anno, ma adesso: “La situazione attuale non permette ulteriori indugi,
perché altrimenti noi corriamo dei pericoli maggiori di quelli che avrebbero
potuto essere provocati con un intervento prematuro... D’altra parte se
tardassimo due settimane o un mese, non miglioreremmo la nostra situazione,
mentre potremmo dare alla Germania l’impressione di arrivare a cose fatte,
quando il rischio è minimo.”
Era questa la famosa riunione, tenuta nella stanza del
Duce, in cui si decise ufficialmente la nostra entrata in guerra.
Il resoconto stenografico ci informa anche che non ci
furono assolutamente obiezioni di sorta da parte dei generali presenti!
Chi, ancora oggi, di fronte
all’evidenza dei fatti, accusa Mussolini di megalomania e avventatezza,
dovrebbe invece riflettere che le decisioni di Mussolini furono tutte
ponderate, soppesate e impostate sull’eccesso di prudenza, addirittura a
scapito della stessa opinione pubblica della nazione, nella quale, come rivelò
un rapporto riservato dell’OVRA, nella primavera del 1940,
“opinione pubblica e classi dirigenti, comprese quelle tendenzialmente
anglofile, di fronte ai successi tedeschi, avevano tutti il timore di “arrivare
tardi”, a cose fatte, di perdere prestigio e posizioni” (e ovviamente affari e
interessi).
Anche Vittorio Emanuele III confidava al suo aiutante
di campo, generale Puntoni, che “Il più delle volte gli assenti hanno torto” e
non lesinava neppure qualche battuta sul troppo esitante Mussolini.
Solo Mussolini, invece, di fronte ai fenomenali
successi dei tedeschi e nonostante l’intensificarsi delle provocazioni
britanniche ai nostri danni (soprattutto il gravissimo fermo delle navi
carbonifere), pur con la pressione “guerrafondaia” montante nel paese, cercava
di rimanere il più razionale possibile.
Eppure a causa del blocco navale inglese il presidente
della Montecatini Guido Donegani era corso a Roma a sottolineare come la
sospensione dei rifornimenti di carbone stava per causare l’arresto
dell’industria determinando la catastrofe nella produzione e serie conseguenze
sociali. “Tra poco i cannoni spareranno da soli” inveì Mussolini, ed aggiunse
costernato: “non è possibile che io, proprio io, sia diventato il ludibrio
dell’Europa. Non faccio che subire umiliazioni”.
Quando poi i travolgenti successi tedeschi stavano
ubriacando tutti gli italiani e la Germania ci era anche venuta incontro
sopperendo alla carenza delle forniture di carbone provocata dal blocco
inglese, il Duce così, significativamente, confidò a suo figlio Vittorio: “Adesso
tutti desiderano sparare il primo colpo di fucile. Il Re, lo Stato Maggiore, i
gerarchi. Per quanto paradossale sembri, l’unico pacifista sono rimasto io, io
solo”
.
.
Il 30 maggio, infine, Mussolini comunicava a Hitler la
decisione di entrare in guerra indicando il giorno 5 giungo 1940 che fu poi,
per richiesta tedesca, spostato al 10.
Se quindi appunto può essere
fatto a Mussolini è una critica opposta, cioè quella di non aver operato con
ferma decisione, con un repulisti di potenziali traditori, di non aver
rinunciato ad ogni pur guardinga riserva verso i tedeschi e scatenare
immediatamente le nostre poche forze per il colpo risolutivo della guerra.
Ed invece tutte le
contraddizioni, tutti i pesi, tutti i traditori che si portò dietro ritenendo
di domarli o controllarli, a cominciare da Badoglio e di cui, pur non
stimandoli, non arrivava mai a pensare che potessero tradire la Patria, gli
precipitarono addosso il 25 luglio 1943 e gettarono le premesse per il
tradimento totale della Patria l’8 settembre.
Ma
chiediamoci: gli era possibile a Mussolini procedere risolutamente in questo
senso essendo a capo di una nazione “riottosa” a certe scelte impegnative anche
perché, erede del Risorgimento
massonico, un paese che contava una industria, una finanza e buona parte di una
cultura (tranne quella cattolica, per altro avversa alla ideologia fascista in
altro contesto) in sintonia con gli anglo francesi e si aggiungano poi gli
interessi non certo “italiani” di Casa Savoia e del Vaticano?
Purtroppo le conseguenze di questa complessa e
precaria situazione si palesarono quasi subito, già dall’autunno del 1940, a
pochi mesi dal nostro intervento, quando Mussolini, dopo i primi rovesci
dell’esercito italiano, si trovò praticamente solo, a difendere gli interessi
della nazione.
Basta leggere quanto poi egli ebbe a dire ad Hitler
nel corso di un loro incontro presso la “Tana del Lupo”, nell’agosto del 1941
nel pieno dell’offensiva contro la Russia. In quell’occasione il Duce confidò
al Führer che ne rimase sconvolto: “Mi
dica cosa farebbe lei se avesse degli ufficiali che hanno dei dubbi sul regime
e sulle sue ideologie... e che dicono, mentre lei parla della sua ideologia o
della ragion di Stato, che loro sono monarchici e che devono lealtà solo al Re..
Il capolavoro della RSI Nel
1943
Dopo lo sfacelo e l’ignominia dell’8 settembre, Mussolini sacrificò letteralmente la sua persona al fine di evitare che la vendetta tedesca sul nostro paese non assumesse le proporzioni che era facile prevedere, ma non fu solo questo il motivo della sua ultima discesa in campo: egli infatti, come accennato, volle realizzare la Repubblica Sociale Italiana con i suoi 18 punti del manifesto di Verona, che rappresentò, oltre che un grande evento rivoluzionario e sociale, anche una rottura totale e definitiva con quella caricatura di fascismo che fu il ventennio il cui spirito conservatore poi, purtroppo, nel dopoguerra si rincarnò, assieme a immondi interessi nel neofascismo del MSI.
Dopo lo sfacelo e l’ignominia dell’8 settembre, Mussolini sacrificò letteralmente la sua persona al fine di evitare che la vendetta tedesca sul nostro paese non assumesse le proporzioni che era facile prevedere, ma non fu solo questo il motivo della sua ultima discesa in campo: egli infatti, come accennato, volle realizzare la Repubblica Sociale Italiana con i suoi 18 punti del manifesto di Verona, che rappresentò, oltre che un grande evento rivoluzionario e sociale, anche una rottura totale e definitiva con quella caricatura di fascismo che fu il ventennio il cui spirito conservatore poi, purtroppo, nel dopoguerra si rincarnò, assieme a immondi interessi nel neofascismo del MSI.
Per avere una idea della
portata rivoluzionaria e socialista della RSI, alla quale partecipò non a caso
Nicola Bombacci, già comunista, basti pensare che vennero socializzate le
Imprese, facendo entrare il lavoro nella gestione delle Aziende e nella
ripartizione degli utili, riformato il mercato immobiliare, con il fine di dare
le case al popolo, quello dei settori alimentari e del vestiario, nei generi di
prima necessità, al fine di sottrarli alle speculazioni del privato, venne
commissariata la Banca d’Italia, si studiò una riforma del mercato borsistico,
ed altro ancora.
Il 15 marzo 1945 in piazza De Ferrari a Genova,
davanti a trentamila lavoratori, Nicola Bombacci illustrava la edificazione di
una società socialista da parte di Mussolini, disse: “Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io
sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico
di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho
mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre…
Ed aggiunse: Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo
che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono
accorto dell’inganno… Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che
è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi
lo ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno
di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario.”.
Pragmatico e realista com’era
Mussolini, perfettamente conscio che la guerra era perduta e che il fascismo
sarebbe stato spazzato via dalla nazione, volle perseguire un ultimo tentativo
disperato, nell’interesse del popolo italiano e conforme alla sua visione di
fascista repubblicano e socialista: intendeva lasciare le audaci riforme
socialiste e repubblicane della RSI ai socialisti e ai repubblicani, in modo
che nel dopoguerra, quelle riforme, pur senza il fascismo, forse sarebbero
rimaste in vigore salvandosi dalle imposizioni degli angloamericani e dalla
ingordigia degli industriali.
Vediamo questa pagina di
Storia poco conosciuta.
Il 22 aprile 1945 il Duce ricevette il socialista
Carlo Silvestri. In quella occasione egli formalizzò una serie di appunti che
consegnò al Silvestri pregandolo di inoltrarli alle forze moderate e socialiste
della Resistenza.
Raccontò poi Silvestri della consegna ricevuta: “Compagni socialisti. Benito Mussolini mi ha
chiamato e mi ha dettato questa dichiarazione che mi ha autorizzato a
ripetervi. Poichè la successione è aperta in conseguenza all’invasione anglo
americana, Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale Italiana ai
repubblicani e non ai monarchici, la socializzazione e tutto il resto ai
socialisti e non ai borghesi. Della sua persona non fa questione. Come
contropartita chiede che l’esodo dei fascisti possa svolgersi tranquillamente.
Nel proporre questa trasmissione dei poteri, egli si rivolge al partito
Socialista, ma sarebbe lieto se l’idea fosse considerata ed accettata anche dal
partito d’Azione nel quale, del resto, prevalgono le correnti socialiste. ...
A quanto
sopra sono autorizzato ad aggiungere che come contropartita Mussolini chiede:
a) garanzia per l’incolumità dei fascisti e dei
fascisti isolati che resteranno nei luoghi di loro abituale domicilio con
l’obbligo della consegna delle armi nei termini stabiliti;
b) indisturbato esodo delle formazioni militari
fasciste, così come di quelle germaniche, nell’intento di evitare conflitti e
disordine tra italiani e distruzione di impianti da parte dei tedeschi e nuove
rovine e lutti nelle città e nelle campagne”.
In uno di questi appunti, inoltre, Mussolini specificava a Silvestri che non si rivolgeva anche ai comunisti perché riteneva che nell’attuale situazione internazionale essi non potevano assumere in Italia atteggiamenti che sarebbero stati in contrasto con il riconoscimento dell’Italia come zona di influenza inglese.
In uno di questi appunti, inoltre, Mussolini specificava a Silvestri che non si rivolgeva anche ai comunisti perché riteneva che nell’attuale situazione internazionale essi non potevano assumere in Italia atteggiamenti che sarebbero stati in contrasto con il riconoscimento dell’Italia come zona di influenza inglese.
Come sappiamo questo tentativo
“politico” abortì subito per l’intransigenza di socialisti estremisti come
Sandro Pertini, che misero in minoranza e isolarono i compagni socialisti che
volevano accogliere quel passaggio di “consegne” e per la volontà e l’interesse
di liquidare tutto il fascismo, comprese le sue conquiste sociali, in modo
drastico e violento.
Andò così a finire che gli
Alleati imposero immediatamente la abrogazione di quelle Leggi sociali e la
riconsegna delle Azienda agli Industriali.
In cambio i Sindacati ottennero
beni immobili: i magnifici palazzi già appartenuti alla Gil , alla Onmi ai
Dopolavori, ecc.
Come contentino, ai lavoratori, venne fatta
elargire nel dicembre 1945, una gratifica straordinaria e una tantum, che gli
Industriali furono ben felici di pagare.
Ma se le sinistre svendettero
tutto il patrimonio sociale della RSI, in buona parte già codificato in Leggi,
peggio ancora fecero i furfanti del MSI nel dopoguerra: legati mani e piedi ai
circoli industriali, padronali e asserviti agli Atlantici, gettarono nell’oblio
ogni aspetto socializzante della RSI, riservandone un bisbigliare
solo nelle sezioni di partito, in sporadici opuscoli o in qualche comizio,,
tanto per turlupinare i gonzi e racimolare voti.
Aprile 1945 la resa dei conti
Negli ultimi giorni di aprile ’45 Mussolini dovette
purtroppo fare i conti con le tante defezioni, se non tradimenti o comunque
remore, dei suoi seguaci con i quali aveva messo in piedi la Repubblica Sociale
Italiana.
Il 25 aprile ’45, dopo che gli Alleati, oramai sfondato
il fronte e superato Bologna, anche in virtù del fatto che i tedeschi oramai
stavano trattando la resa, a insaputa degli italiani, in Svizzera, Mussolini
decise l’ultima tattica possibile, quella temporizzatrice, ovvero di
allontanarsi con il governo dalla Lombardia verso la Valtellina. Quindi mentre
egli si allontanava costantemente dalle zone dove stavano per arrivare le
truppe Alleate e rifiuta di trincerarsi nelle grandi città per non esporle ad
una sicura distruzione e per non cadere prigioniero del nemico (per avere un
minimo di possibilità di trattare deve restare a piede libero) altri gerarchi,
uomini del suo governo, molti pur fedeli fascisti, preferirebbero invece
arrendersi al più presto agli Alleati, anche perchè permeati da quella forma mentis,
in definitiva filo occidentale, che gli faceva magari sperare di potersi, non
solo salvare, ma anche riciclare nel dopoguerra come anticomunisti e
antisovietici.
In quelle ore drammatiche molti uomini del suo
entourage speravano anche nell’ultima chance di un rifugio in Svizzera, mentre
Mussolini, rimase sempre caparbiamente fermo nel proposito di restare sul suolo
italiano, come la precisa e documentata ricostruzione di Marino Viganò, un
ricercatore storico non certo di parte neofascista, ha dimostrato con il suo
saggio: “Mussolini, i gerarchi e la "fuga" in Svizzera (1944-’45),
Nuova Storia Contemporanea- N. 3, 2001”.
E così andò a
finire che Mussolini, lasciata Como all’alba del 26 aprile 1945, restò
letteralmente imbottigliato in quel di Menaggio, circa 31 Km. più avanti sulla
strada dell’alto lago, senza poter consumare la sua ultima e minimale strategia
temporizzatrice che gli restava.
Come detto cercava di spostarsi verso la Valtellina o
i confini del Reich, nella speranza di giocarsi le importantissime ed esplosive
documentazioni che portava seco, al fine di trattare una resa, a piede libero,
nella quale salvare la vita ai fascisti e per la nazione mitigare le
conseguenze della sconfitta.
Ma i comandanti fascisti con le residue milizie
armate, rimasero scelleratamente impantanati a Como, dove finirono per
accettare una “resa” che ha dell’incredibile e del vergognoso.
Se Mussolini avesse voluto
salvarsi
E pensare che se Mussolini lo
avesse voluto si sarebbe potuto agevolmente salvare.
Già il 20 aprile ‘45, con la imminente presa di
Bologna da parte degli Alleati (vi entreranno il giorno dopo) era oramai
evidente che i tedeschi praticamente non combattevano più.
Mussolini, volendo, avrebbe potuto mettersi in salvo e
questo tanto più quando, il pomeriggio del 25 aprile all’Arcivescovado, venne
ufficialmente a conoscenza che i tedeschi avevano raggiunto una intesa,
all’insaputa degli italiani, per una imminente resa con gli Alleati, mettendo
in crisi il ripiegamento dei fascisti.
Diveniva quindi evidente che
l’unica possibilità di salvezza sarebbe stata quella di prendere il volo verso
l’estero lanciando il si salvi chi può.
Il socialista Carlo Silvestri,
suo acerrimo avversario ai tempi del delitto Matteotti, che gli fu vicino fino
all’ultimo, riferì che Mussolini non pensava minimamente di mettersi in salvo,
ma anzi il suo cruccio e il suo ultimo desiderio era proprio quello di
sacrificarsi in qualche modo, affinché questo suo sacrificio personale potesse
tornare vantaggioso per l’Italia.
Vediamo allora alcune vicende, quelle storicamente
accertate, circa gli svariati piani di salvataggio del Duce, ideati da autorità
della RSI, da settori del partito fascista o del suo entourage, dove si
riscontra il ricorrente e totale rifiuto di Mussolini di aderire ad uno
qualsiasi di questi progetti, tanto che c’era persino chi pensava di condurlo
all’ultimo momento in salvo, narcotizzato o contro la sua volontà.
Buffarini Guidi, l’ex ministro degli interni, per
esempio, parlando con Piero Cosmin, ex capo della provincia di Verona e Ugo
Noceto, capitano dell’Aeronautica (come ha raccontato quest’ultimo a Marino
Viganò nel 1995) ebbe a dirgli nel febbraio del 1945: “Qui le cose si mettono
male, ormai non c’è più niente da fare e bisogna cercare di salvare Mussolini
in qualche modo. Lui non vuole, ma bisogna cercare in modo assoluto di
salvarlo, perché se Mussolini è in salvo, o in Spagna o in Argentina, può far
del bene all’Italia. Lui non vuole, ma volente o nolente, bisogna portarlo via”.
Nel corso di questo colloquio sopraggiunse anche
Vittorio Mussolini, il figlio del Duce, il quale messo a parte di queste
intenzioni si disse d’accordo, ma aggiunse subito: “Guardate che però mio padre
non vuole”.
Ed ancora, pur con qualche variante di dettaglio tra
una versione e l’altra: • al figlio Vittorio, che proprio negli ultimissimi
giorni gli propose di nascondersi in una garçoniere, Mussolini rispose
ironicamente: “Non ti pare che
le garçoniere servono per altri scopi?!”. Ma in
altra occasione il padre, di fronte all’insistenza del figlio, ebbe anche a
rispondergli duramente: <Nessuno
ti ha pregato di interessarti della mia personale salvezza>.
• Noto è poi l’avanzatissimo progetto del generale
Ruggero Bonomi, sottosegretario all’aviazione RSI, che aveva predisposto sul
campo di Ghedi (Brescia), dei trimotori “Savoia Marchetti 79” (rimasti a
disposizione fino agli ultimi giorni di Milano) adatti a raggiungere località
come la Spagna dove risiedeva la moglie del segretario del Duce, Luigi Gatti,
disposta ad accoglierlo. Al ché, saputolo, Mussolini, più o meno, osservò con
ironia: “E’ questa di Bonomi la soluzione migliore per risolvere la nostra
situazione? E tutti gli altri fascisti, poi, dove li metteremmo in
quell’aereo?”.
• Racconta, un sia pur non molto attendibile, Virgilio
Pallottelli, tenente pilota, che ebbe modo di vedere Mussolini il 25 aprile a
sera in Prefettura dopo il ritorno dall’Arcivescovado: “... di corsa salgo dal
Duce, è pallido e nervoso. Imploro di andare subito a Linate e volare verso la
Spagna. Rifiuta gridandomi che lui non scappa:“Virgilio, andremo anche noi
sulle montagne, come i partigiani. No, Virgilio non scappo in volo. Andiamo in
Valtellina ad aspettare gli Alleati”.
• Un complesso piano, invece, con un sommergibile
atlantico e/o un aereo venne studiato da Tullio Tamburini, capo della Polizia
della R.S.I. fino al giugno '44 ed ex prefetto di Trieste. Lo riferì lo stesso
Tamburini a Ermanno Amicucci nel ’50. Il progetto coinvolgeva anche Augusto
Cosulich, l'amministratore dei cantieri dell'Alto Adriatico di Monfalcone dove
si fabbricavano navi e sommergibili, ma anche aeroplani. Come ricostruisce Marino
Viganò, nell’articolo “Quell’aereo per la Spagna”, Nuova Storia Contemporanea
N. 3, 2001, alla fine Tamburini portò al Duce carte geografiche, progetti,
cifre, disegni e gli espose il suo piano in ogni particolare [...]. Mussolini
stette ad ascoltarlo, fra l'interessato e il divertito [...]. Fatto sta che il
piano non lo mise di buon umore. Dopo aver accennato, con riso amaro, a Verne e
a Salgari, disse a Tamburini: “Queste faccende non rientrano fra i vostri
compiti. Non dovete più occuparvene. Ho il mio piano e provvederò io al momento
opportuno. Non me ne parlate mai più”. In questo progetto era stato coinvolto
anche l’ufficiale sommergibilista Enzo Grossi, medaglia d’oro RSI, che lo
raccontò nel 1963, confermando i ricordi di Antonio Bonino vice segretario del
PFR per la sede di Maderno e di Tamburini. Ricordò Grossi: “ ...[Tamburini] Mi
spiegò che con il beneplacito dei Giapponesi sarebbe stato allestito un grosso
sommergibile che al mio comando doveva prendere il mare, al momento opportuno,
con a bordo la famiglia di Mussolini e i miei congiunti. Tutto era stato
previsto per mantenere il segreto e per soddisfare le esigenze dei familiari
dell'equipaggio; durata prevista della missione: un anno. Mi impegnai in senso
affermativo. Tamburini si propose di parlarne a Mussolini. Qualche giorno dopo
lo stesso Tamburini mi comunicava che tutto era andato a monte poiché il Duce
si negava perentoriamente a quella che considerava una fuga. In occasione di un
colloquio che ebbi nel mese di febbraio del 1945 Mussolini mi ringraziò per
quanto ero disposto a fare e mi disse: comprendo perfettamente quali sentimenti
hanno indotto Tamburini a progettare la nota missione sotto-marina e ringrazio
anche voi su cui potrei fare il massimo affidamento, ma io non ho nessun interesse
a vivere come un uomo qualunque” (vedesi: E. Amicucci, “”, in: “Tempo” [Milano]
1950, N.. 19, e E. Grossi, “Dal Barbarigo a Dongo”, “Un sommergibile per
Mussolini”, in: “Il Secolo d'Italia” 25 gennaio 1958).
In ogni caso, anche se non facile, ma certamente
praticabile sarebbe stata la possibilità di porre in salvo il Duce sia in
Spagna che in Sud America o forse in Svizzera o nasconderlo in qualche località
segreta in Italia, anche se poi alquanto problematico sarebbe stato il “dopo”
ovvero il “come” affrontare il dopoguerra, ma oltre 20 anni di segreti di Stato
ed un compromettente carteggio con Churchill, Roosevelt e anche lo stesso
Stalin, gli avrebbero forse concesso la possibilità di salvare la pelle.
Ed invece, sul piano personale, si preoccupò
unicamente di porre in salvo i suoi familiari mentre egli, con tutte le
restanti autorità del governo repubblicano al seguito, andò incontro al suo
destino.
Mussolini il “sanguinario”
Per concludere dobbiamo
specificare, laddove sostenemmo che Mussolini era un rivoluzionario, che egli
era prevalentemente un “rivoluzionario politico”, dove la politica è anche
l’arte del possibile, dell’inganno e del cinismo, e se pure egli non era un
santo ed anzi utilizzò la violenza squadrista, mai mise mano ai plotoni
d’esecuzione per il mantenimento del potere o fece ricorso all’assassinio per
eliminare gli oppositori.
Chi storce la bocca al fatto
che Mussolini utilizzò nella gestione del potere, gli Archivi dell’Ovra, spesso
il ricatto, a volte la corruzione, per domare nemici e avversari, interni ed
esterni al fascismo, dovrebbe sempre ricordare che, in alternativa, il
monopolio del potere si può mantenere solamente con il sangue.
Ma per Mussolini non era nella
sua indole la risoluzione cruenta dei contrasti politici.
Ricorda la sorella Edvige come nel giugno 1934 egli
inorridì alla notizia della eliminazione in Germania di Röhm e delle SA, mentre
donna Rachele, la moglie, confidò che il Duce faceva la mascella feroce, ma era
incapace di far del male ad una mosca.
Italo Balbo, nel giugno del 1925, parlando con Carlo
Silvestri in merito alle conseguenze del delitto Matteotti, ebbe a fare una
considerazione che si rivelò esatta: “Ora invece per le conseguenze del delitto
Matteotti Mussolini sarà costretto a fare il dittatore senza averne la stoffa.
E saranno guai, perché un dittatore non deve avere paura del sangue”.
Su Mussolini così si espresse intelligentemente lo
storico Attilio Tamaro: “Il carattere
dell’uomo non era nè quello di Cromwell, né quello di Stalin, perché non era né
feroce, né inflessibile nella realizzazione delle sue idee. Era coerente più di
quanto apparisse nei fini: non nei mezzi, né nelle idee, che stimava mezzi o strumenti”.
Lo stesso Mussolini era conscio di questa sua
inclinazione e debolezza ed ebbe a scrivere:
“La politica è un'arte difficilissima tra le difficili perchè lavora la materia inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è una entità assai difficile da definirsi, perchè è mutevole. Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io non ci sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent'anni un popolo come l'italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell'oblio. Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io. (...) Tutti i dittatori hanno sempre fatto strage dei loro nemici. Io sono il solo passivo: tremila morti (tra le camice nere – n.d.r.) contro qualche centinaio. Credo di aver nobilitato la dittatura. Forse l'ho svirilizzata, ma le ho strappato gli strumenti di tortura. Stalin è seduto sopra una montagna di ossa umane. E' male? Io non mi pento di avere fatto tutto il bene che ho potuto anche agli avversari, anche nemici, che complottavano contro la mia vita, sia con l'inviare loro dei sussidi che per la frequenza diventavano degli stipendi, sia strappandoli alla morte. Ma se domani togliessero la vita ai miei uomini, quale responsabilità avrei assunto salvandoli? Stalin è in piedi e vince, io cado e perdo. La storia si occupa solamente dei vincitori e del volume delle loro conquiste ed il trionfo giustifica tutto. La rivoluzione francese è considerata per i suoi risultati, mentre i ghigliottinati sono confinati nella cronaca nera”.
“La politica è un'arte difficilissima tra le difficili perchè lavora la materia inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è una entità assai difficile da definirsi, perchè è mutevole. Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io non ci sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent'anni un popolo come l'italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell'oblio. Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io. (...) Tutti i dittatori hanno sempre fatto strage dei loro nemici. Io sono il solo passivo: tremila morti (tra le camice nere – n.d.r.) contro qualche centinaio. Credo di aver nobilitato la dittatura. Forse l'ho svirilizzata, ma le ho strappato gli strumenti di tortura. Stalin è seduto sopra una montagna di ossa umane. E' male? Io non mi pento di avere fatto tutto il bene che ho potuto anche agli avversari, anche nemici, che complottavano contro la mia vita, sia con l'inviare loro dei sussidi che per la frequenza diventavano degli stipendi, sia strappandoli alla morte. Ma se domani togliessero la vita ai miei uomini, quale responsabilità avrei assunto salvandoli? Stalin è in piedi e vince, io cado e perdo. La storia si occupa solamente dei vincitori e del volume delle loro conquiste ed il trionfo giustifica tutto. La rivoluzione francese è considerata per i suoi risultati, mentre i ghigliottinati sono confinati nella cronaca nera”.
Negli ultimi mesi della RSI Mussolini era più che
altro intento a decruentizzare la situazione, conscio che il vento sanguinario
della guerra civile veniva da Londra, Mosca e New York.
Firmava praticamente ogni
domanda di grazia gli venisse sottoposta ed era altresì intento a
salvaguardare, impianti industriali, portuali, ecc. dalla furia della guerra e
dalle possibili distruzioni dei tedeschi in ritirata.
Sperava che l’Italia in
qualche modo potesse sopravvivere come nazione moderna e socialmente avanzata e
si augurava, espletandone anche il 22 aprile 1945, un tentativo subito fallito,
di poter tramandare le sue riforme sociali e repubblicane ai socialisti e ai
repubblicani, perchè, come confidò il direttore del Corriere della Sera, Ermano
Amicucci: “Mussolini voleva che gli anglo americani e i monarchici
trovassero il nord Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte;
voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli
antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la RSI”.
E a Carlo Silvestri, ancor più esplicitamente disse:
<Vi dico che il più grande dolore che potrei provare sarebbe quello di
rivedere nel territorio della Repubblica sociale i carabinieri, la monarchia e
la Confindustria. Sarebbe l’estrema delle mie umiliazioni. Dovrei considerare
definitivamente chiuso il mio ciclo, finito>.
Proprio questa umiliazione postuma, invece, gli
riservarono i vincitori della guerra e i governi post ciellenisti, ma anche gli
epigoni neofascisti, che nel dopoguerra perseguirono anni e anni di
conservatorismo, reazione, filo americanismo e quant’altro e passo dopo passo,
arrivarono ad edificare la cloaca della Destra Nazionale, con ex monarchici,
liberali, ex papponi DC, ex tromboni trombati delle FF.AA. e dei Servizi,
perfino ex venticiqueluglisti, infine, dopo tutto questo arrivarono persino a
sostituirlo nei quadri nelle loro sezioni con il più consono Pinochet e le
bandiere della sua macelleria cilena. Ovviamente
poi quegli epigoni missisti, finirono per rinnegarlo definitivamente definendo
il fascismo il male assoluto.
Purtroppo la storia non consola e non ripaga, tanto è
vero che il suo agire lo portò, come attestò e dimostrò Carlo Silvestri (ma
anche Piero Parini, Renzo Montagna e altri collaboratori che lavorarono con
lui) a salvare praticamente la vita a quasi tutti i capi della Resistenza,
catturati dai tedeschi o ben individuati nei loro nascondigli, compresi Parri,
Lombardi, Pertini, ecc., fu “ripagato” con le parole di Sandro Pertini, il
partigiano estremista che in quei giorni di fine aprile ’45 sbraitò alla radio
che Mussolini “doveva essere ammazzato come un cane tignoso”.
Proprio quello che avvenne.
Pertini, il partigiano estremista e di sinistra, che in
quelle “radiose giornate” non mancava ad ogni comizio di aizzare le folle,
già ebbre di sangue, nel dopoguerra divenne ligio interprete del “delicato”
ruolo di Presidente della Camera (carica da assegnare a chi dà garanzie di
sapersi destreggiare tra regolamenti e inciuci) e poi divenne il Presidente
buono della Repubblica, difensore dell’Italia liberista e capitalista,
subordinata agli USA, impegnandosi come un forsennato contro i brigatisti
rossi, coloro che, di fatto, praticavano quella stessa guerriglia già
partigiana e terrorista che fu dei Gap, ovvero lo sparare alle spalle e poi
scappare, che il Pertini partigiano, a suo tempo aveva tanto esaltato. –
- Mussolini che aveva
debellato la Mafia, non tanto con il prefetto Mori, quanto con il suo Stato dove
“nessun potere, nulla doveva essere fuori delle Stato”, ci dice
invece il “compagno” Pertini, cooperatore degli Alleati che La Mafia l’avevano
riportata in Sicilia: deve morire come un cane tignoso.
- Mussolini che aveva mandato in “sonno” la Massoneria
mettendola fuori legge, ci dice invece il “compagno” Pertini, quale
Presidente di una Repubblica pullulante di Logge, dove lui finì gestito dalle
mani del suo segretario al Quirinale, il “confratello” Antonio Maccanico: deve
morire come un cane tignoso.
- Mussolini che aveva realizzato la società
socialista in Italia, ci dice invece il “compagno” Pertini, lui che aveva
realizzato l’Italia liberista, capitalista e riportato i lavoratori al rango di
salariati: che deve morire come un cane tignoso.
- Mussolini che aveva
combattuto la guerra del “sangue contro l’oro”, ci dice invece il
“compagno” Pertini, che aveva combattuto la guerra “dell’oro contro il sangue”
in nome e per conto della City di Londra e di Wall Street di New York: che deve
morire come un cane tignoso.
- Mussolini che aveva sempre
difeso il popolo italiano, in ogni componente umana e sociale ed oggi
invece questo popolo è divenuto carne di porco di interessi innominabili,
indifeso e straziato da orde di delinquenti e di extra comunitari fatti
arrivare per soddisfare gli input mondialisti, dove ogni patrimonio dello Stato
e della collettività e stato svenuto, privatizzato, alienato alle grandi banche
di affari, secondo il “compagno” Pertini, deve morire come un cane tignoso.
E Pertini mori nel suo letto d’ospedale a quasi 94
anni, avvolto dal conforto di quegli italiani scorderelli, beoti, insufflati di
edulcorati e idilliaci immaginari collettivi partoriti dalla propaganda e dai
mass media.
Quegli italiani, quei
lavoratori, ai quali per essere presi in giro bastano, non fatti, ma qualche
parola di conforto, vuote enunciazioni di giustizia, pace e libertà, prive di
ogni conseguenza realizzativa, che il “vecchio presidente buono”, era cosi
bravo a pronunciare con tanta enfasi e verve.
Mussolini invece finì
ammazzato e appeso a Piazzale Loreto.
Questa è la Storia, ma tra
qualche centinaio di anni siamo assolutamente certi che di Mussolini se ne
parlerà ancora e nel Campidoglio ci sarà il posto che compete alla sua statua
accanto ai padri della Patria, di pertini (il minuscolo è voluto) invece...
fate voi....
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