Opera, 5 settembre 2014
Vincenzo Vinciguerra
Vincenzo Vinciguerra
Sono passati quarantacinque anni dall’eccidio di piazza Fontana, a Milano, del 12 dicembre 1969 e si è giunti ad una verità solo parziale grazie all’impegno profuso dal giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, negli anni Novanta.
Oggi, è processualmente accertata la responsabilità degli uomini di una struttura paramilitare e spionistica dello Stato, denominata “Ordine nuovo”, collegata ai servizi segreti civili e militari degli Stati uniti.
Il coinvolgimento degli appartenenti al “Fronte nazionale” di Junio Valerio Borghese, nell’operazione del 1969 e negli attentati del 12 dicembre dello stesso anno a Roma e a Milano, non è stato ancora ufficialmente accertato sul piano processuale per il rifiuto dei magistrati della procura della Repubblica di Milano di svolgere le necessarie e doverose indagini, ma sul piano storico la loro responsabilità è ampiamente documentata.
Manca del tutto, viceversa, almeno fino ad oggi, la verità sulle responsabilità dell’ambiente anarchico che si fece coinvolgere in un’operazione che avrebbe dovuto sventare l’avvento di un regime clerico-marxista, con l’ingresso del Partito comunista italiano nella maggioranza governativa.
Abbiamo già documentato, sulla base di fatti e di comportamenti concreti, il ruolo di Pietro Valpreda suscitando reazioni isteriche e scomposte che non ci turbano né ci dissuadano dal proseguire nella ricerca e nell’affermazione della verità.
Sarebbe, però, errato ritenere che Pietro Valpreda abbia rappresentato il “cavallo di Troia” subdolamente inserito nella città della dell’anarchia italiana per poi poterla espugnare senza eccessive difficoltà.
Oggi, è processualmente accertata la responsabilità degli uomini di una struttura paramilitare e spionistica dello Stato, denominata “Ordine nuovo”, collegata ai servizi segreti civili e militari degli Stati uniti.
Il coinvolgimento degli appartenenti al “Fronte nazionale” di Junio Valerio Borghese, nell’operazione del 1969 e negli attentati del 12 dicembre dello stesso anno a Roma e a Milano, non è stato ancora ufficialmente accertato sul piano processuale per il rifiuto dei magistrati della procura della Repubblica di Milano di svolgere le necessarie e doverose indagini, ma sul piano storico la loro responsabilità è ampiamente documentata.
Manca del tutto, viceversa, almeno fino ad oggi, la verità sulle responsabilità dell’ambiente anarchico che si fece coinvolgere in un’operazione che avrebbe dovuto sventare l’avvento di un regime clerico-marxista, con l’ingresso del Partito comunista italiano nella maggioranza governativa.
Abbiamo già documentato, sulla base di fatti e di comportamenti concreti, il ruolo di Pietro Valpreda suscitando reazioni isteriche e scomposte che non ci turbano né ci dissuadano dal proseguire nella ricerca e nell’affermazione della verità.
Sarebbe, però, errato ritenere che Pietro Valpreda abbia rappresentato il “cavallo di Troia” subdolamente inserito nella città della dell’anarchia italiana per poi poterla espugnare senza eccessive difficoltà.
La verità storica ci suggerisce di affermare, non sulla base di personali opinioni ma di indizi convincenti e convergenti, che furono numerosi gli anarchici che consapevolmente si lasciarono coinvolgere in un’operazione politica di cui non conoscevano gli strateghi né le reali finalità.
Un’operazione che mirava a colpire il Partito comunista italiano attraverso la figura dell’editore Gian Giacomo Feltrinelli, legato in quel periodo più ai servizi segreti militari sovietici che al partito diretto da uno dei massacratori degli anarchici in Spagna, Luigi Longo.
Le smanie guerrigliere di Feltrinelli erano note ai servizi segreti italiani, americani ed atlantici così come l a sua disponibilità a finanziare “compagni” disposti ad impegnarsi in una lotta che non fosse condotta solo con le parole, i manifesti, i volantini, ma anche con l’esplosivo.
Arrestare ed incriminare Gian Giacomo Feltrinelli avrebbe permesso ai servizi segreti italiani ed occidentali di “provare” che a manovrare la “sovversione rossa” in Italia era l’Unione sovietica e che, per logica conseguenza, si sarebbe potuto affermare che il Pci conduceva il doppiogioco presentandosi ufficialmente come il difensore di quell’ordine democratico che in realtà minava attraverso gli uomini del suo apparato clandestino.
D’altronde, i conti con la “quinta colonna” sovietica in Italia (il Pci) il governo costituito dopo la proclamazione dello stato di emergenza non avrebbe potuto farli se le indagini sull’eccidio di piazza Fontana, a Milano, e su quello fortunosamente fallito a Roma avessero indicato come responsabile un ambiente anticomunista com’era quello anarchico del tempo.
Gian Giacomo Feltrinelli, comunista “eretico”, miliardario e rivoluzionario, lo stesso che Gian Carlo Pajetta aveva definito, non a caso, “l’occhio di Mosca”, non avrebbe potuto essere coinvolto se non avesse effettivamente intrattenuto rapporti con uomini e gruppi anarchici e dell’ultrasinistra, tutti debitamente infiltrati da informatori, provocatori e agenti dei servizi segreti militari e civili italiani e stranieri.
Perchè la storia della strage di piazza Fontana è quella di una operazione di polizia segreta condotta dalla raffinata intelligenza di uno specialista della Cia come James Jesus Angleton, punto di riferimento dell’estrema destra italiana.
Operazione non difficile in un ambiente come quello anarchico che non aveva la capacità di difendersi da infiltrati, informatori e provocatori.
E’ impressionante rilevare come attorno a Giuseppe Pinelli e al circolo milanese de “Il Ponte della Ghisolfa” ruotassero personaggi come Enrico Rovelli, informatore della divisione Affari riservati del
ministero degli Interni con il criptonimo “Anna Bolena”; Gianfranco Bertoli, confidente del Sid con il criptonimo “Negro”; Aldo Bonomi “anarchico sospettato d’essere confidente della polizia e collegato con i servizi segreti”, scriverà il giudice istruttore Antonio Lombardi nella sua sentenza ordinanza del 18 luglio 1998; Bevilacqua, informatore del Mossad israeliano e del Sid incaricato, scriverà lo stesso giudice Lombardi, “di infiltrarsi tra gli anarchici e fornire notizie sulla loro attività”; Pietro Valpreda; Nino Sottosanti.
La decisione dei giudici romani, Vittorio Occorsio ed Ernesto Cudillo, di indagare solo su quell'”armata Brancaleone” che era il circolo “22 marzo”, e quella successiva dei giudici milanesi, Gerardo D’ Ambrosio ed Emilio Alessandrini, di escludere addirittura la possibilità che anarchici fossero coinvolti negli attentati del 12 dicembre 1969 e in quelli che li avevano preceduti nel corso dello stesso anno ha rappresentato un colpo mortale per la verità.
Pressati dalla necessità di “provare” che la strage di piazza Fontana aveva rappresentato l’ultimo atto, il più tragico, di un’azione intrapresa dall’estrema destra, manco a dirla “fascista”, contro lo Stato, i giudici romani e milanesi hanno condizionato anche le indagini condotte successivamente dai loro colleghi di Catanzaro, ritardando l’accertamento della verità di oltre un ventennio.
La morte di Giuseppe Pinelli “volato” dalla finestra della Questura di Milano nella notte del 15 dicembre 1969, ha paralizzato la volontà di indagare sugli ambienti anarchici milanesi considerati estranei all’azione stragista, così che gli unici a finire alla sbarra sono stati Pietro Valpreda e gli appartenenti al circolo “22 marzo” di Roma, peraltro già proclamati innocenti dalla stampa e, soprattutto, dal Parlamento italiano che, per la prima volta, aveva approvato una legge ad personam per consentire a costoro di uscire dal carcere, come difatti è avvenuto il 29 dicembre 1972, senza nemmeno attendere lo svolgimento del primo grado di giudizio.
Viceversa, sarebbe stato sufficiente focalizzare la propria attenzione sul fenomeno dell'”infiltrazione” a sinistra condotta dai gruppi di destra per pervenire a ben diverse e più pregnanti conclusioni.
Tanto non è stato fatto perchè si è preferito strumentalmente considerare il solo Mario Merlino l’unico “infiltrato” fra gli anarchici romani, l’ingannatore dell'”anarchico” Pietro Valpreda che, viceversa, lo ha sempre difeso e insieme a lui ha impostato la propria difesa processuale e il proprio atto di accusa contro gli anarchici.
Ma i magistrati romani e milanesi hanno anche escluso, aprioristicamente, la possibilità di una collusione fra gruppi di estrema destra, anarchici e dell’estrema sinistra consapevole e contingente, tattica e non strategica. E lo hanno fatto ignorando tutti gli elementi che provavano il contrario.
L’ufficio politico della Questura di Roma aveva indagato sugli attentati compiuti nella Capitale a partire dal 28 febbraio 1969 e aveva, di conseguenza, rilevato che ad alcuni avevano partecipato insieme anarchici e “fascisti”.
Non può, pertanto, destare meraviglia che il questore di Roma, il 15 dicembre 1969, dichiari ai giornalisti:
“I gruppi extraparlamentari sono come i due rami di una forcella. Partono da direzioni diverse ma alla fine si uniscono”.
Il funzionario non stava rilanciando la tesi, tanto cara alla Democrazia cristiana, degli “opposti estremismi” che finiscono per combattere insieme contro lo Stato, ma parlava con cognizione di causa. E la conferma viene dalle dichiarazioni pubblicate da “Compagni”, nel mese di aprile del 1970, rese da Gian Giacomo Feltrinelli.
L’editore, difatti, riferendosi agli eventi del 1969, parla dell’esistenza di una “congiura” che aveva coinvolto “giovani più o meno anarchici”, sul conto dei quali prosegue affermando:
“Infiltrati pesantemente da agenti provocatori e fascisti, di giovani che amano con facilità parlare di bombe, che di tanto in tanto possono anche far esplodere, dimostrativamente, qualche bomba carta che fa più rumore che danni. Di giovani che forse violano qualche disposizione legislativa e quindi prestano facilmente il fianco per essere indiziati di atti criminosi come gli attentati di Milano e di Roma”.
In altre parole, Gian Giacomo Feltrinelli ammette il coinvolgimento di giovani “più o meno anarchici” negli attentati compiuti nel corso del 1969, anche se ne addossa la responsabilità ad “agenti provocatori e fascisti” che li hanno, evidentemente, utilizzati per i loro fini.
L’editore, miliardario e rivoluzionario, sa bene quel che dice perchè gli innocenti non scappano, specie se possono contare su ottimi legali e poderose protezioni politiche, come invece ha fatto lui nel mese di dicembre del 1969.
Cosa temeva Feltrinelli per sentirsi in dovere di espatriare clandestinamente in Svizzera?
Un indizio viene fornito da un anarchico sul conto del quale non si è mai indagato, o almeno non lo si è fatto a sufficienza: Ivo Della Savia.
Il 26 gennaio 1970, Della Savia è colpito da un mandato di cattura per detenzione di esplosivi, provocato dalle dichiarazioni accusatorie di Pietro Valpreda.
Della Savia ripara in Belgio, dove lo rintraccia un uomo del Sid, il giornalista de “Il Corriere della sera” Giorgio Zicari che, il 25 febbraio 1970, sul quotidiano milanese pubblica l’intervista che gli è stata concessa dall’anarchico latitante, sotto il titolo “Ho scoperto a Bruxelles Ivo Della Savia”.
L’anarchico conferma i sospetti dei servizi segreti italiani sul ruolo ricoperto da Gian Giacomo Feltrinelli. Lo fa in maniera esplicita, omettendo il nome dell’editore che traspare chiaramente da quanto lui dichiara:
“C’è qualcuno che ha interesse a fare la rivoluzione e che desidera si determini un certo clima, che si vendano certi prodotti, un certo tipo di letteratura, e che è disposto ad aiutare coloro che diano garanzie materiali che certe cose si facciano. Al limite non sono altro che profittatori…gente che appartiene a un altro ambiente sociale, che ha altre esigenze e che vede in questi giovani degli strumenti.”
“E li finanzia?” – chiede il confidente del Sid Giorgio Zicari.
“Sì. In una certa maniera ma mai chiaramente. In forma indiretta”.
Il giorno successivo, 26 febbraio, il ministero richiede l’arresto di Della Savia alle autorità belghe che, però, negheranno l’estradizione.
Il 15 gennaio 1973, Ivo Della Savia è arrestato a Wiesbaden (Germania federale) su segnalazione dell’Interpol, ma anche le autorità tedesche negheranno l’estradizione.
Un uomo fortunato Ivo Della Savia, mentre suo fratello Piero Angelo non è lo stato. Difatti, nel mese di giugno del 1971, all’interno della sua abitazione milanese satura di gas, viene rinvenuto morto con varie escoriazioni alla testa ed ecchimosi al volto.
Nessuno ha posto la sua attenzione sulle figure degli anarchici Ivo e Piero Angelo Della Savia, che nel 1969 hanno operato a Roma e a Milano.
Forse è tardi, ma si può almeno parzialmente rimediare a questa omissione investigativa oggi che, finalmente, si accetta come rispondente al vero che all’epoca ci fu una convergenza, dettata da ragioni politiche, fra certi gruppi anarchici e l’estrema destra al soldo dei servizi segreti.
Non sono i soli, i fratelli Della Savia, a richiedere attenzione sul loro operato perchè, ad esempio, risulta interessante la figura di un altro anarchico milanese, Chicco Gerli.
Per depistare occorre conoscere in tutto o in parte la verità, quindi nel momento in cui Chicco Gerli, in un comunicato del 16 dicembre 1969, firmato “Anarchici di Milano”, definisce Giuseppe Pinelli “comunista anarchico”, mente consapevolmente, perchè sa bene che il responsabile del circolo “Il Ponte della Ghisolfa” era un anticomunista anarchico allineato a quella che era la posizione ufficiale della Federazione anarchica italiana che, al termine del congresso di Carrara del 31 agosto-3 settembre 1968, aveva ribadito la sua posizione ed individuato i suoi nemici, rispettivamente, nella Chiesa, nel militarismo e nel comunismo:
“Siamo stufi di morire per rivoluzioni che danno il potere a chi poi ci stermina”, aveva dichiarato Alfonso Pailla alla rivi sta “Panorama” che ne aveva pubblicato l’affermazione il 12 settembre 1968.
Cosa sa Chicco Gerli? La domanda è pertinente perchè il 17 dicembre 1969, nella sede del circolo anarchico “Il Ponte della Ghisolfa” a Milano, c’è anche lui che, singolarmente, si presenta con il nome di Luigi Pianosa, per una conferenza stampa nella quale qualcuno, mai identificato, afferma:
“Non sapete che lo stesso giorno della strage ci furono altre due imprese terroristiche a Milano? Contro una caserma e un grande magazzino”.
Il ruolo degli anarchici è rimasto un “buco nero” per scelte politiche e giudiziarie, anche se gli elementi per comprendere ed accertare che avevano consapevolmente partecipato all’operazione destabilizzante del 1969 erano in bella vista, alla luce del sole.
La partecipazione degli anarchici agli attentati del 1969 è rimasta un segreto da tutelare ad ogni costo anche perchè la loro azione potrà essere ricondotta all’iniziativa di quel Randolfo Pacciardi che, per aver combattuto nella guerra di Spagna, era stato testimone diretto del massacro degli anarchici organizzato dai comunisti.
Chi meglio di lui, ormai ferreamente anticomunista, poteva sollecitare gli anarchici italiani ad agire per impedire che i massacratori di Spagna potessero sedersi sui banchi del governo?
E concludiamo con una domanda: il commissario di Ps Luigi Calabresi all’interno dell’ufficio politico della Questura di Milano si occupava della sinistra, anarchici compresi. Alla moglie Gemma aveva detto, riferendosi all’eccidio di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, “menti di destra, manovali di sinistra”.
Quante cose conosceva Luigi Calabresi che si ponevano in netta contraddizione con quella che era la “verità” ufficiale della politica e della magistratura? Ad esempio, il funzionario conosceva bene il ruolo di Pietro Valpreda, ormai divenuto “anarchico” ed “innocente”.
E molto altro ancora, forse troppo se qualcuno dal ministero degli Interni lo ha dato in pasto ad Adriano Sofri ed ai suoi compagni di “Lotta continua” con false informazioni che lo spacciavano addirittura per agente della Cia.
Mentre, invece, ad avere rapporti con la Cia erano propri i “lottatori continui” come dimostrano, fra l’altro, gli scomposti attacchi al presidente cileno Salvador Allende pubblicati sul loro giornale.
Sappiamo che sono stati loro ad uccidere, il 17 maggio 1972, il commissario di Ps Luigi Calabresi.
Oggi vogliamo sapere perchè lo hanno ucciso.
La decisione dei giudici romani, Vittorio Occorsio ed Ernesto Cudillo, di indagare solo su quell'”armata Brancaleone” che era il circolo “22 marzo”, e quella successiva dei giudici milanesi, Gerardo D’ Ambrosio ed Emilio Alessandrini, di escludere addirittura la possibilità che anarchici fossero coinvolti negli attentati del 12 dicembre 1969 e in quelli che li avevano preceduti nel corso dello stesso anno ha rappresentato un colpo mortale per la verità.
Pressati dalla necessità di “provare” che la strage di piazza Fontana aveva rappresentato l’ultimo atto, il più tragico, di un’azione intrapresa dall’estrema destra, manco a dirla “fascista”, contro lo Stato, i giudici romani e milanesi hanno condizionato anche le indagini condotte successivamente dai loro colleghi di Catanzaro, ritardando l’accertamento della verità di oltre un ventennio.
La morte di Giuseppe Pinelli “volato” dalla finestra della Questura di Milano nella notte del 15 dicembre 1969, ha paralizzato la volontà di indagare sugli ambienti anarchici milanesi considerati estranei all’azione stragista, così che gli unici a finire alla sbarra sono stati Pietro Valpreda e gli appartenenti al circolo “22 marzo” di Roma, peraltro già proclamati innocenti dalla stampa e, soprattutto, dal Parlamento italiano che, per la prima volta, aveva approvato una legge ad personam per consentire a costoro di uscire dal carcere, come difatti è avvenuto il 29 dicembre 1972, senza nemmeno attendere lo svolgimento del primo grado di giudizio.
Viceversa, sarebbe stato sufficiente focalizzare la propria attenzione sul fenomeno dell'”infiltrazione” a sinistra condotta dai gruppi di destra per pervenire a ben diverse e più pregnanti conclusioni.
Tanto non è stato fatto perchè si è preferito strumentalmente considerare il solo Mario Merlino l’unico “infiltrato” fra gli anarchici romani, l’ingannatore dell'”anarchico” Pietro Valpreda che, viceversa, lo ha sempre difeso e insieme a lui ha impostato la propria difesa processuale e il proprio atto di accusa contro gli anarchici.
Ma i magistrati romani e milanesi hanno anche escluso, aprioristicamente, la possibilità di una collusione fra gruppi di estrema destra, anarchici e dell’estrema sinistra consapevole e contingente, tattica e non strategica. E lo hanno fatto ignorando tutti gli elementi che provavano il contrario.
L’ufficio politico della Questura di Roma aveva indagato sugli attentati compiuti nella Capitale a partire dal 28 febbraio 1969 e aveva, di conseguenza, rilevato che ad alcuni avevano partecipato insieme anarchici e “fascisti”.
Non può, pertanto, destare meraviglia che il questore di Roma, il 15 dicembre 1969, dichiari ai giornalisti:
“I gruppi extraparlamentari sono come i due rami di una forcella. Partono da direzioni diverse ma alla fine si uniscono”.
Il funzionario non stava rilanciando la tesi, tanto cara alla Democrazia cristiana, degli “opposti estremismi” che finiscono per combattere insieme contro lo Stato, ma parlava con cognizione di causa. E la conferma viene dalle dichiarazioni pubblicate da “Compagni”, nel mese di aprile del 1970, rese da Gian Giacomo Feltrinelli.
L’editore, difatti, riferendosi agli eventi del 1969, parla dell’esistenza di una “congiura” che aveva coinvolto “giovani più o meno anarchici”, sul conto dei quali prosegue affermando:
“Infiltrati pesantemente da agenti provocatori e fascisti, di giovani che amano con facilità parlare di bombe, che di tanto in tanto possono anche far esplodere, dimostrativamente, qualche bomba carta che fa più rumore che danni. Di giovani che forse violano qualche disposizione legislativa e quindi prestano facilmente il fianco per essere indiziati di atti criminosi come gli attentati di Milano e di Roma”.
In altre parole, Gian Giacomo Feltrinelli ammette il coinvolgimento di giovani “più o meno anarchici” negli attentati compiuti nel corso del 1969, anche se ne addossa la responsabilità ad “agenti provocatori e fascisti” che li hanno, evidentemente, utilizzati per i loro fini.
L’editore, miliardario e rivoluzionario, sa bene quel che dice perchè gli innocenti non scappano, specie se possono contare su ottimi legali e poderose protezioni politiche, come invece ha fatto lui nel mese di dicembre del 1969.
Cosa temeva Feltrinelli per sentirsi in dovere di espatriare clandestinamente in Svizzera?
Un indizio viene fornito da un anarchico sul conto del quale non si è mai indagato, o almeno non lo si è fatto a sufficienza: Ivo Della Savia.
Il 26 gennaio 1970, Della Savia è colpito da un mandato di cattura per detenzione di esplosivi, provocato dalle dichiarazioni accusatorie di Pietro Valpreda.
Della Savia ripara in Belgio, dove lo rintraccia un uomo del Sid, il giornalista de “Il Corriere della sera” Giorgio Zicari che, il 25 febbraio 1970, sul quotidiano milanese pubblica l’intervista che gli è stata concessa dall’anarchico latitante, sotto il titolo “Ho scoperto a Bruxelles Ivo Della Savia”.
L’anarchico conferma i sospetti dei servizi segreti italiani sul ruolo ricoperto da Gian Giacomo Feltrinelli. Lo fa in maniera esplicita, omettendo il nome dell’editore che traspare chiaramente da quanto lui dichiara:
“C’è qualcuno che ha interesse a fare la rivoluzione e che desidera si determini un certo clima, che si vendano certi prodotti, un certo tipo di letteratura, e che è disposto ad aiutare coloro che diano garanzie materiali che certe cose si facciano. Al limite non sono altro che profittatori…gente che appartiene a un altro ambiente sociale, che ha altre esigenze e che vede in questi giovani degli strumenti.”
“E li finanzia?” – chiede il confidente del Sid Giorgio Zicari.
“Sì. In una certa maniera ma mai chiaramente. In forma indiretta”.
Il giorno successivo, 26 febbraio, il ministero richiede l’arresto di Della Savia alle autorità belghe che, però, negheranno l’estradizione.
Il 15 gennaio 1973, Ivo Della Savia è arrestato a Wiesbaden (Germania federale) su segnalazione dell’Interpol, ma anche le autorità tedesche negheranno l’estradizione.
Un uomo fortunato Ivo Della Savia, mentre suo fratello Piero Angelo non è lo stato. Difatti, nel mese di giugno del 1971, all’interno della sua abitazione milanese satura di gas, viene rinvenuto morto con varie escoriazioni alla testa ed ecchimosi al volto.
Nessuno ha posto la sua attenzione sulle figure degli anarchici Ivo e Piero Angelo Della Savia, che nel 1969 hanno operato a Roma e a Milano.
Forse è tardi, ma si può almeno parzialmente rimediare a questa omissione investigativa oggi che, finalmente, si accetta come rispondente al vero che all’epoca ci fu una convergenza, dettata da ragioni politiche, fra certi gruppi anarchici e l’estrema destra al soldo dei servizi segreti.
Non sono i soli, i fratelli Della Savia, a richiedere attenzione sul loro operato perchè, ad esempio, risulta interessante la figura di un altro anarchico milanese, Chicco Gerli.
Per depistare occorre conoscere in tutto o in parte la verità, quindi nel momento in cui Chicco Gerli, in un comunicato del 16 dicembre 1969, firmato “Anarchici di Milano”, definisce Giuseppe Pinelli “comunista anarchico”, mente consapevolmente, perchè sa bene che il responsabile del circolo “Il Ponte della Ghisolfa” era un anticomunista anarchico allineato a quella che era la posizione ufficiale della Federazione anarchica italiana che, al termine del congresso di Carrara del 31 agosto-3 settembre 1968, aveva ribadito la sua posizione ed individuato i suoi nemici, rispettivamente, nella Chiesa, nel militarismo e nel comunismo:
“Siamo stufi di morire per rivoluzioni che danno il potere a chi poi ci stermina”, aveva dichiarato Alfonso Pailla alla rivi sta “Panorama” che ne aveva pubblicato l’affermazione il 12 settembre 1968.
Cosa sa Chicco Gerli? La domanda è pertinente perchè il 17 dicembre 1969, nella sede del circolo anarchico “Il Ponte della Ghisolfa” a Milano, c’è anche lui che, singolarmente, si presenta con il nome di Luigi Pianosa, per una conferenza stampa nella quale qualcuno, mai identificato, afferma:
“Non sapete che lo stesso giorno della strage ci furono altre due imprese terroristiche a Milano? Contro una caserma e un grande magazzino”.
Il ruolo degli anarchici è rimasto un “buco nero” per scelte politiche e giudiziarie, anche se gli elementi per comprendere ed accertare che avevano consapevolmente partecipato all’operazione destabilizzante del 1969 erano in bella vista, alla luce del sole.
La partecipazione degli anarchici agli attentati del 1969 è rimasta un segreto da tutelare ad ogni costo anche perchè la loro azione potrà essere ricondotta all’iniziativa di quel Randolfo Pacciardi che, per aver combattuto nella guerra di Spagna, era stato testimone diretto del massacro degli anarchici organizzato dai comunisti.
Chi meglio di lui, ormai ferreamente anticomunista, poteva sollecitare gli anarchici italiani ad agire per impedire che i massacratori di Spagna potessero sedersi sui banchi del governo?
E concludiamo con una domanda: il commissario di Ps Luigi Calabresi all’interno dell’ufficio politico della Questura di Milano si occupava della sinistra, anarchici compresi. Alla moglie Gemma aveva detto, riferendosi all’eccidio di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, “menti di destra, manovali di sinistra”.
Quante cose conosceva Luigi Calabresi che si ponevano in netta contraddizione con quella che era la “verità” ufficiale della politica e della magistratura? Ad esempio, il funzionario conosceva bene il ruolo di Pietro Valpreda, ormai divenuto “anarchico” ed “innocente”.
E molto altro ancora, forse troppo se qualcuno dal ministero degli Interni lo ha dato in pasto ad Adriano Sofri ed ai suoi compagni di “Lotta continua” con false informazioni che lo spacciavano addirittura per agente della Cia.
Mentre, invece, ad avere rapporti con la Cia erano propri i “lottatori continui” come dimostrano, fra l’altro, gli scomposti attacchi al presidente cileno Salvador Allende pubblicati sul loro giornale.
Sappiamo che sono stati loro ad uccidere, il 17 maggio 1972, il commissario di Ps Luigi Calabresi.
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