Di Gianantonio Valli-l’Uomo Libero
Prodezze della Brigata Ebraica
Tremila assassinii
Dal sottosuolo: l'assassinio di Jochen Peiper
La stanza di MONANELLI
Gli ebrei e i falsi «squadroni della morte»
«Caro Montanelli,
Le scrivo di nuovo confidando in una sua risposta. Sono qui a chiederle un'informazione storica. Sto scrivendo un libro su un fatto che ho letto di sfuggita su di un quotidiano un po' di tempo fa e di cui mi è rimasto impresso solo il contenuto e non la fonte. Si parlava di una specie di «squadroni della morte», composti da ebrei, anche sopravvissuti ai campi di sterminio, che, all'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, avrebbero cominciato a dare la caccia ai criminali nazisti uccidendoli e uccidendo anche le loro famiglie. Potrebbe davvero avere un fondamento di verità questa notizia? Lei, come storico, ne ha mai sentito parlare?»
Federico Franceschini, Pavia
«Caro Federico,
non ricordo di aver ricevuto una tua lettera su questo argomento: si vede che non superò il filtro a cui purtroppo debbo sottoporre la corrispondenza della «stanza», essendo umanamente impossibile che io legga tutta quella che mi arriva, in media dalle 130 alle 180 lettere al giorno. Dato l'argomento, ti avrei certamente risposto per metterti in guardia dalle «patacche» che ogni tanto, anzi ogni poco Pantisemitismo mette in circolazione. La più celebre, e la più smaccata, furono i «Protocolli del Savi di Sion» che trovarono seguito e credito sulla fine del secolo scorso, nonostante la rozzezza della confezione. A inventarseli era stata infatti la polizia più brutale e sgrammaticata di allora: l'Okrana del governo zarista russo. Essa pretendeva dimostrare l'esistenza di un complotto fra i più potenti capi delle comunità ebraiche sparse nei Paesi occidentali per fomentarvi rivoluzioni e guerre fratricide. Se vuoi saperne di più, leggi l'esemplare saggio di Sergio Romano, «I falsi protocolli», che ne ha ricostruito la storia, per dimostrarne non tanto l'infondatezza, che traspare ad occhio nudo, quanto l'ignoranza e l'ottusità di coloro che le dettero credito o finsero di darglielo. Gli «squadroni della morte» appartengono allo stesso genere di panzane, anche se hanno trovato molto meno credito e seguito. Di vero c'è soltanto questo: che alcuni ebrei miracolosamente scampati ad Auschwitz dopo avervi perso l'intera famiglia hanno consacrato la loro vita alla ricerca dei responsabili per portarli sul banco degli imputati. Il caso più noto è quello di Wiesenthal che, dopo averlo scoperto in Argen.tina, riuscì (non si è mai saputo come) a trasferire il supercriminale Eichmann in Israele, dove fu regolarmente processato e impiccato. Questo è l'unico «squadrone della morte», composto da un solo uomo, di cui si. sia avuta notizia. Il resto appartiene alla grossolana fantasia degli antisemiti e alla cretineria di chi ci crede, anche se si basa su un elemento di ordine - diciamo - biblico: il culto ebraico del Castigo. A differenza del Dio nostro indulgente e perdonatore, il Dio degli ebrei è Jehova, il Dio giustiziere, quale poi fu mutuato dai protestanti, e specialmente dai calvinisti, il Dio dell'«occhio per occhio» e «dente per dente». Ma lasciamo questo discorso che ci porterebbe troppo lontano, alle origini delle tre grandi religioni monoteistiche, compresa quella islamica, tutte di fonte e ispirazione ebraiche. E torniamo alla bufala degli squadroni. Credi a me, caro Federico: l'antisemitismo è una delle cose più nefande che le società cristiane abbiano inventato. Non fartene mai complice prestando credito alle fandonie di cui è intessuto. Uno dei miei rimorsi è di non aver fatto nulla, quando furono emanate le leggi razziali, in favore degli ebrei. In realtà non ne avevo i mezzi: nessun giornale avrebbe pubblicato un mio rigo in loro difesa. Dovetti contentarmi di non scriverne, contro gli ordini del Minculpop, a loro accusa. Ma ciò che leggevo mi faceva, come italiano, arrossire di vergogna. Dio ti risparmi queste umiliazioni.»
Ad una lettera al massimo quotidiano italiano, il Corriere della Sera, con la quale il lettore Federico Franceschini chiede a Indro Montanelli di essere illuminato sul caso dei «Vendicatori ebraici», presente da due anni su giornali e periodici in tutto il mondo, il Principe dei Giornalisti risponde il 6 giugno 2000. Invitiamo i lettori a confrontare quanto affermato da Montanelli con le notizie che seguono.
Nove anni prima dell'«esplosione» del caso su tutte le gazzette, il 28 settembre 1989 appare, a pagina 17 del quotidiano Canadian Jewish News, supplemento per il capodanno giudaico Rosh Hashanah, un articolo dello storico israeliano Benny Morris dal titolo Jewish Avengers executed the Nazis, «Vendicatori ebraici giustiziarono i nazisti». Si tratta di un'intervista con Israel Carmi, capo di uno di quei gruppi di «vendicatori», che rievoca una delle pagine meno conosciute del conflitto mondiale.
Oltre a questa prima ammissione pubblica (ma già nel 1966 il buon Carmi aveva pubblicato a Tel Aviv il volume «La via dei combattenti»), era stato fino ad allora solo il libro di Michael Bar Zohar dal titolo The Avengers (l'edizione da noi consultata è la francese Les vengeurs, del 1968), edito un ventennio prima, ad avere illustrato l'attività di terroristi ebrei nella Germania occupata e in altre zone dell'Europa dilacerata postbellica. Successivi articoli, e l'opera di Morris Beckman, confermeranno quelle prime «indiscrezioni». Quegli «atti di giustizia» (il cosiddetto Piano C o Tre) sono stati in realtà semplici, sbrigative esecuzioni senza processo, assassinii privi di ogni parvenza legale, specchio e contraltare, con minore ipocrisia, delle sentenze espresse dalle varie Norimberghe contro centinaia di migliaia di incriminati per delitti «contro l'umanità» o, semplicemente, per «nazismo».
Nei paesi civili, legati al dettato della legge, quella «giustizia» non può che chiamarsi assassinio, ma gli scrittori ebrei, i politicanti occidentali e gli attivisti dei Sacrosanti Diritti - tutti quei garantisti che senza posa alzano lai contro i crimini, veri e soprattutto presunti, compiuti nei secoli contro gli ebrei - non si péritano di definire «giustizia» i delitti compiuti da bande ebraiche, assassinii e prevaricazioni tuttora misconosciuti e in ogni caso, quand'anche ammessi, giustificati mediante una «ovvia» comprensione. I protagonisti attivi, gli attori principali di quegli assassinii furono i militari inquadrati nel Jewish Jnfantry Brigade Group o, per dirla in breve, Jewish Brigade dell'Ottava Armata, che aveva risalito la penisola italiana al seguito degli inglesi, sul fianco orientale.
La prima pubblica affermazione dell'interventismo bellico da parte ebraica viene fatta al 25° congresso sionista a Ginevra a metà dell'agosto 1939, quindi ben due settimane prima dello scoppio della crisi tedesco-polacca, da Chaim Weizmann, capo della World Zionist Organization e futuro primo presidente di Israele: gli ebrei sono pronti, egli annuncia chiaramente, a collaborare con l'Inghilterra «in difesa della democrazia nella guerra mondiale che si approssima». Il 29 agosto, tre giorni prima che i tedeschi scendano in campo a frenare la follia polacca e cinque avanti l'aggressione anglo-francese, lo stesso assicura il governo inglese che ogni ebreo, ovunque si trovi, nell'imminente conflitto si schiererà al fianco delle Democrazie Occidentali.
“La vista di un tedesco bastava a risvegliare la nostra voglia di vendetta.
Quando un ciclista passava davanti al nostro Dodge aprivamo improvvisamente le porte,
l'uomo cadeva sotto le ruote e veniva stritolato.”
Sam Halevi, uno dei Vendicatori, in Der Spiegel, 23-12-1968
“Ogni ebreo dovrebbe conservare nel profondo del suo essere una zona d'odio,
odio sano, virile, per ciò che il tedesco incarna e che nel tedesco sopravvive.
Agire altrimenti sarebbe tradire i morti.”
Elie Wiesel, Legends of Our Time, 1968
“Ma se con le loro ricerche gli storici scalfissero queste rappresentazioni manichee
del Bene e del Male, finirebbero subito su un terreno minato
fatto di tabù e proibizioni a pensare, ove una bizzarra coalizione di pedagoghi di massa,
autonominatisi «giudici supremi della Storia» e modelli esemplari di political correctness,
sorveglia, diffidente, il loro comportamento nei confronti della verità storica.
Tale coalizione è rosa dal sospetto che la risaputa voglia di revisionare
la storiografia ufficiale possa alla fine lasciare ben poco del quadro un tempo così bene definito
della tirannide fascista.”
Heinz Höhne, «Gebt mir vier Jahre Zeit», 1996
Il 3 settembre 1939 la Jewish Agency, la potente Agenzia Ebraica fondata nel 1922 dalla World Zionist Organization per co-amministrare la Palestina, ed il Vaad Leumì, il Consiglio Nazionale degli ebrei in Palestina, aprono a Londra un ufficio di reclutamento per volontari: sui 600.000 ebrei inglesi, rispondono all'appello oltre 130.000 tra uomini e donne, dei quali 62.000 avrebbero combattuto nei vari teatri di guerra. Come avrebbe scritto in una corrispondenza Clara Boote Luce, futura ambasciatrice americana a Roma, se in America ci fosse stato un proporzionale afflusso di volontari gli USA avrebbero schierato un esercito di dodici milioni di uomini. Fenomeno comprensibile, d'altra parte, «perché, dopo tutto, molti ebrei hanno da regolare dei conti personali di sangue con i tedeschi».
Mentre nei mesi seguenti il governo britannico arruola i volontari ebrei disperdendoli nelle file dell'esercito invece di raggrupparli in unità compatte, nel luglio 1940 Churchill, succeduto a Chamberlain fin dal 7 maggio, autorizza il reclutamento per la formazione di unità a sé stanti; viene stabilito che gli uomini siano per un terzo ebrei palestinesi e per due terzi ebrei americani o provenienti da altri paesi.
Entro dicembre si costituiscono quindici compagnie di fanteria, cioè 1500 uomini, inquadrate nel reggimento East Kent. Loro obiettivo è la difesa del territorio palestinese in caso di bisogno. All'interno delle compagnie i comandi a voce vengono dati in inglese, gli ordini scritti in ebraico; la lingua di conversazione è l'ebraico. I capitani sono inglesi, tenenti, sottotenenti e graduati, ebrei. Segno distintivo sull'uniforme è il Magen David, la stella a sei punte. Fino al termine del 1942 i volontari restano nei campi di addestramento, mettendo a frutto una preziosa esperienza tecnico-specialistica (trasmissioni, uso di armi speciali, cooperazione con i mezzi corazzati e l'aviazione, genio, organizzazione generale, etc.) la quale, unita all'esperienza di combattimento, si sarebbe rivelata di estrema importanza nella formazione delle unità militari ebraiche prima e dopo la proclamazione dello Stato d'Israele (trentacinque saranno i generali di Zahal - Zva Haganah leIsrael, «Forze di Autodifesa di Israele», l'esercito dell'Entità Ebraica - provenienti dalla Brigata Ebraica).
Fra il 1942 e il 1943 si apre la seconda fase: le compagnie vengono raggruppate in tre battaglioni a formare il Palestine Regiment. L'unità non riceve tuttavia l'intero equipaggiamento e viene impegnata in servizi di guardia, lontano dal fronte; quei mesi tuttavia, per quanto privi di un'effettiva operatività bellica, servono a creare un saldo spirito di corpo. Ogni militare è inoltre considerato far parte dell'Haganah (o Irgun Haganah, Organizzazione di Difesa), il corpo armato ebraico clandestino in Palestina. Naturalmente la reticenza inglese alla formazione di unità separate non significa reticenza alla partecipazione degli ebrei allo sforzo bellico: nell'agosto 1943 sono 22.600 gli ebrei in uniforme britannica (4800 in fanteria, 3300 nel genio, 4400 nei trasporti, 1900 in artiglieria, 1100 nei servizi, 2000 nella RAF, 1100 nella Royal Navy, 4000 donne nei servizi ausiliari), tra i quali 450 ufficiali e 200 medici.
Le comunità ebraiche conducono intanto una lotta incessante per la costituzione di una Grande Unità composta interamente da ebrei, al motto, come recita un manifesto di propaganda dello Yishuv in cui una sagoma militare innalza la bandiera con la Stella di Davide e le strisce azzurre, di «Jews want to fight as Jews», (Gli ebrei vogliono combattere in quanto ebrei). Il 20 settembre 1944, nei giorni del capodanno ebraico, Londra dà il consenso alla costituzione di una «brigata rinforzata» completamente ebraica, formata dal vecchio Palestine Regiment ristrutturato, da un reggimento di artiglieria, da servizi e da unità ausiliarie. Il giorno 29, nel corso di una delle periodiche relazioni ai Comuni, Churchill dà l'annuncio: «So benissimo che c'è un gran numero di ebrei nelle nostre Forze Armate ed in quelle americane, ma mi è sembrato opportuno che una unità formata esclusivamente da soldati di questo popolo, che così indescrivibili tormenti ha subito per colpa dei nazisti, fosse presente come formazione a sé stante fra tutte le forze che si sono unite per sconfiggere la Germania». È questo il primo annuncio che faccia prevedere la costituzione di una entità statuale in grado di rivendicare un suo esercito ed un suo territorio.
La Brigata, che riceve aiuti finanziari dall'intero giudaismo diasporico (a Pasqua 1945, la sola comunità argentina invia 100.000 sterline per l'equipaggiamento e ne stanzia 8000 per le famiglie dei caduti in azione) viene autorizzata ad usare una propria bandiera: azzurra-bianca-azzurra, con la Stella di Davide tra due bande simboleggianti il Nilo e l'Eufrate (Esodo XXIII 31 e Deuteronomio 17; più ristretta è la terra definita sul monte Nebo,Deuteronomio XXXIV 1-4), vessillo del futuro Stato d'Israele. Dal grado di maggiore in avanti, gli ufficiali sono inglesi, tuttavia sottoposti all'ebreo brigadier generale Ernest Frank Benjamin (nato nel 1900 a Toronto). Con l'immissione di distaccati da altre unità, gli effettivi dello Hayl Hativah Lohemet, «unità di combattimento ebraica», raggiungono i previsti 5000 uomini ed iniziano un periodo di addestramento in Egitto. Il 10 novembre la formazione viene trasferita in Italia, inquadrata nell'Ottava Armata, prendendo ad addestrarsi sulle montagne dell'Irpinia fino al febbraio 1945.
L'8 febbraio Benjamin si porta a Gerusalemme, ove incontra Moshe Sharett - negli anni Trenta il principale interlocutore delle autorità britanniche in Palestina, indi primo ministro degli Esteri di Israele, capo del governo nel 1954-55, creatore della diplomazia israeliana, artefice degli accordi sulle oloriparazioni ed anzi inventore proprio del termine shilumim, «riparazioni» - deus ex machina della Jewish Agency, comunicandogli che alcuni ufficiali hanno ricevuto il battesimo del fuoco. A fine mese la Brigata viene trasferita sul fronte di Alfonsine, a nord-ovest di Ravenna, in un settore relativamente calmo.
Il primo impegno bellico lo si ha il 19 e il 20 marzo contro i tedeschi della 4ª divisione paracadutisti. Come illustra il Fucci, ricamandoci sopra stati d'animo di comodo: «I tedeschi che, al contrario degli italiani conoscevano molto bene il significato di quella stella a sei punte, cominciarono a tremare come foglie pensando che gli ebrei si sarebbero vendicati su di loro [similmente Beckman: "Ogni sentimento antisemita svanì, quando tedeschi ed austriaci si videro di fronte giovani ben armati dal grilletto facile, sprizzanti dagli occhi odio e ribrezzo"]. Naturalmente non vi fu nessuna vendetta e i soldati nazisti finirono come tutti gli altri in un normale campo di prigionia; ma l'episodio dimostra che anche il più sempliciotto dei tedeschi non ignorava cosa il suo paese aveva fatto agli Juden».
Subito dopo la Brigata viene trasferita sul Senio, al di là del quale il 9 aprile forma una testa di ponte. Nel maggio viene spostata tra l'Alto Adige, il Tirolo e la Carnia, ove «venute meno le necessità belliche, si occupa dell'assistenza agli ebrei sopravvissuti all'olocausto hitleriano» (e, aggiungiamo, si diletta in opere meno pie). Il 31 maggio reparti della formazione collaborano nella consegna all'URSS dei cosacchi e dei loro familiari che, dopo avere combattuto agli ordini del generale von Pannwitz, si erano arresi agli inglesi; scrive al proposito Frederic Reider: «Restano ancora le famiglie e i cosacchi dello Stan [15.000 uomini, 4000 donne e 2500 bambini], concentrati a Lienz.
Il 31 maggio gli inglesi interrompono il rifornimento dell'acqua e quattro battaglioni circondano il campo. Le famiglie dei cosacchi si raccolgono allora al centro, attorno all'altare, per celebrare gli uffici dei morti. Mentre s'alza un canto straziante, le porte del campo si aprono per lasciar passare gli uomini della Brigata Ebraica. Infierendo all'impazzata [cognant sans discernelnent] su bambini, mutilati e donne a colpi di bastone, cercano di spingere questa massa verso la ferrovia, ove attendono carri bestiame. Poiché le cose vanno per le lunghe, alcune autoblinde aprono il fuoco a terra per colpire di rimbalzo le prime file. Morti e feriti piombano al suolo. Alcune donne coi figli in braccio si precipitano nella Drava e vengono portate via dalla corrente. Altre si gettano sui soldati per disarmarli e vengono abbattute. La resistenza degli sventurati viene infranta con estrema ferocia [avec la dernière férocité]. Nella notte il carico sui treni è completato. Sbarrati con catene, i vagoni portano i cosacchi nella zona sovietica. Solo i morti e i cavalli restano all'Ovest. I primi saranno gettati in fosse comuni. I secondi, portati in Inghilterra. Nessuno vedrà più gli ufficiali cosacchi. I militari di truppa e i civili, condannati a otto anni di lavori forzati, saranno dispersi in Siberia. Gli ufficiali tedeschi saranno tutti condannati a venticinque anni di lavori forzati. Duecento di loro morranno in prigionia. Il 16 gennaio 1947 l'ADN annuncia la sentenza e l'esecuzione per impiccagione degli atamani e degli antichi capi cosacchi della guerra civile [...] L'SSGruppenführer Helmuth von Pannwitz, ultimo Feldataman, subirà la stessa sorte, fedele ai suoi cosacchi fino al supplizio».
Trasferita in Olanda ed in Belgio nella seconda metà dell'estate, la Brigata Ebraica vi resta un anno, svolgendo «il ruolo duplice di forza di occupazione» (e di cattura ed eliminazione di collaborazionisti) e, contemporaneamente, «di coordinamento e di centro assistenziale per i connazionali, di cui organizza l'avviamento verso il fòyer [focolare] millenario della nazione ebraica, in Eretz Israel».
La carriera militare di Israel Carmi ha inizio come semplice membro dei commando terroristici antiarabi nel Deserto Occidentale (Negev) nei primi mesi del 1940. Ma, ricorda Benny Morris, «la nostra intervista si focalizzò poi su quegli eventi poco conosciuti e su cui sempre poco si è scritto, racconto di sangue e vendetta conosciuto sotto il nome di Nokinim, i Vendicatori». È infatti Israel Carmi, ammette lui stesso con agghiacciante buona coscienza, a dare inizio all'organizzazione ed a guidare, insieme a Chaim Laskov, futuro capo di Stato Maggiore israeliano, e a Meir «Zaro» Zorea quei gruppi di militari della Brigata Ebraica che segretamente identificano e trucidano centinaia di «criminali di guerra nazisti» in Italia settentrionale, Austria, Germania e Croazia negli ultimi mesi del 1945 e nei primi del 1946.
«La campagna di vendetta» - scrive Morris - «ebbe nascita e crescita del tutto naturalmente, per Carmi e per gli altri, dopo che ebbero incontrato i sopravvissuti dell'Olocausto. Carmi dice di essere stato tra i primi ad entrare a Mauthausen e a Dachau». Come per gli altri membri dell'Haganah arruolati nella Brigata (tra i quali il «russo» Aharon Rabinowitz, poi meglio noto come Aharon Yariv e capo dei servizi di spionaggio militare israeliani), egli era già stato coinvolto nell'acquisto e nel rifornimento di armi per gli ebrei immigrati in Palestina, nonché nell'organizzazione di reti illegali di trasporto di sempre nuovi immigrati. Queste attività si saldano, del tutto naturalmente, alla vendetta da anni giurata contro tutto ciò che fosse tedesco.
Il comando della Brigata, di stanza a Treviso, assegna Carmi ad una unità di intelligence, il cui compito è raccogliere informazioni sui crimini «nazisti» e identificare e arrestare i «nazi» che hanno ricoperto cariche di una certa importanza o fatto parte delle organizzazioni di polizia. Il nostro Israel, all'epoca sergente maggiore, insieme ad un altro militare, Dov Gur nato Robert Grossman lavora presto in autonomia, con il massimo di mano libera, nelle zone assegnategli: «Dovevamo catturare nazisti sospetti e raccogliere notizie su altri nazisti».
Subito dopo l'inizio di queste operazioni ufficialmente autorizzate, egli ed un gruppo selezionato dell'Haganah che conta un centinaio di membri danno inizio ad una campagna clandestina di vendetta. Le esecuzioni si protraggono per oltre sei mesi. Che in tutto ciò ci sia una responsabilità britannica, è sicuro: «Il mio colonnello, non ebreo, può avere sospettato che andavamo al di là dei compiti assegnatici. Sono sicuro che qualcosa seppe certamente. Ma chiuse gli occhi [but he turned a blind eye]». Secondo quanto riferito da Carmi, è lui stesso a suggerire ai compari che i compiti ufficiali diintelligence potrebbero essere usati quale copertura per missioni di punizione ad ampio raggio: «Dozzine di uomini vi furono interessati, tra cui un plotone "tedesco" del Palmach [Plugot Machatz, "Compagnie d'Assalto" dell'Haganah con tendenza ad autonomia operativa, impiegate contro gli italo-tedeschi in Nordafrica], che era stato formato all'interno della Brigata negli ultimi mesi del conflitto e che si era pensato di usare come reparto esplorante nel corso dell'avanzata in Italia». Di fronte ad una domanda precisa, Carmi si rifiuta di dire quanti «nazisti», tedeschi e non tedeschi, siano stati uccisi dal suo gruppo, ma il loro numero, ci lascia capire, ammonta a diverse centinaia (Michael Bar Zohar li valuta tra 50 e 300). In una sola notte vengono «giustiziati» trenta «nazi».
Come accennato, la campagna di caccia ha inizio nella tarda estate del 1945, originata «casualmente» nel corso di una scorreria investigativa ufficiale. Carmi e Gur raggiungono la casa di una coppia austriaca sospetta di «nazismo». Parecchie ore di interrogatori non riescono, malgrado i persuasivi mezzi impiegati, a portare i coniugi a «confessare», finché, stanco, Carmi non toglie la sicura alla pistola. Di fronte a tale ultima mossa, l'uomo, ex ufficiale della Gestapo, e la moglie, che «aveva ricoperto cariche nella confisca di proprietà ebraiche nel Norditalia», crollano. Il buon Israel offre loro una via di scampo: il non arresto in cambio di un elenco dei «nazisti» nascosti nella zona. «L'uomo lavorò tutta la notte. Al mattino ci diede un elenco preciso e dettagliato di nomi, indirizzi, storie, descrizioni di dozzine di ufficiali nazisti. Per settimane ci aiutò con ulteriori dati caratterizzati da una meticolosità tutta tedesca».
Forniti degli elenchi - che servono come «lista della morte» e che comunicano a Sharett per 1'approvazione, scrive l'ufficiale della Brigata Ebraica Meir Grabowski, poi deputato knessetiano col nome di Meir Argov - i Vendicatori si scatenano: «Organizzammo gruppi che, in divisa inglese e su jeep inglesi, di notte si lanciarono alla ricerca dei sospetti. I nazisti credevano di essere interrogati dai Servizi inglesi. Gli uomini che interrogavano portavano via i sospetti, apparentemente in campi per prigionieri di guerra, ed essi non tornavano più. Gli interrogatori fornirono ulteriori nominativi. I più colpevoli li giustiziavamo subito; alcuni dei pesci più piccoli li passammo alle autorità inglesi» (torture ed esecuzioni vengono compiute anche in una cantina dell'Ospedale Rothschild a Vienna).
«Il metodo dei Vendicatori era semplice» - conferma Tom Segev - «Si vestivano da poliziotti militari inglesi e si presentavano all'abitazione della vittima con una camionetta dell'esercito, la cui targa era spruzzata di fango e illeggibile. Bussavano alla porta, si assicuravano che ci fosse l'uomo giusto e l'inducevano a seguirli col pretesto di un'indagine di routine. Di solito non incontravano resistenza. Portavano seco la vittima nel luogo prestabilito, si facevano riconoscere e le sparavano. Pressoché sempre accadeva nei pressi dell'abitazione della vittima. "Il nostro autocarro era coperto da ogni parte da un telone", riferì uno dei partecipanti. "Sul fondo c'erano dei materassi. Uno o due di noi aspettavano al buio. Appena appariva la testa del tedesco, uno di noi gli si gettava sopra, lo costringeva a unire le braccia sotto il mento e lo gettava indietro sul materasso che attutiva ogni rumore, e dove torceva stretta la testa dell'uomo. La caduta toglieva il respiro al tedesco e, all'istante, gli spezzava l'osso del collo"».
Orgoglioso, ci riporta Morris Beckman, anche Zorea: «Eliminavamo solo chi era stato direttamente coinvolto nel massacro di ebrei. Dapprima gli ficcavamo una pallottola in testa. Poi li strangolavamo. A mani nude [with our bare hands]. Non dicevamo mai niente, prima di ammazzarli. Né perché, né chi eravamo. Li ammazzavamo come si ammazza una cimice [we just killed them like you kilt a bug]».
Alla fine Carmi ed i suoi eliminano anche la coppia di cui si sono serviti all'inizio, onde evitare che i servizi inglesi possano prima o poi contattarla e, alla ricerca di informazioni sui «nazi» possano scoprire quell'operazione clandestina.
Mentre sono in corso tali operazioni di «giustizia» - assassinii di prigionieri di guerra, distruzione di proprietà e spari a casaccio da parte di cecchini contro civili (addirittura, Segev riporta il caso di almeno un'oloscampata uccisa per errore!) - una seconda campagna di vendetta viene lanciata da un gruppo di partigiani dell'haShomer haZair, la «giovane guardia», la più antica delle organizzazioni giovanili ebraiche, la cui guida ideologica è il poeta Abba Kovner, ex capo di bande ebraiche in Lituania e Bielorussia e collaboratore della NKVD nella liquidazione dei patrioti antisovietici in Ucraina, Lituania e Polonia. Tale seconda operazione, preparata scientificamente per mesi, inizia sotto la direzione di «Pasha» Reichman (che più tardi riemergerà in Israele come alto boss del Mossad col nuovo nome di Yitzhak Avidov).
Nel marzo-aprile 1946 giunge in Germania da Dublino il gruppo Nakam («Vendetta») il quale con l'aiuto di Carmi, che procura un ufficiale di collegamento e l'equipaggiamento, si propone di agire contro i 36.000 internati, tra cui molti SS e Waffen-SS, dei campi di Nürnberg-Langwasser e Auerbach. Gli uomini di «Pasha», muniti di falsi documenti e in uniforme inglese, entrano nei campi (agli internati, per sottrarli alla protezione delle leggi di guerra, era stata tolta da Eisenhower, il 10 marzo 1945 e in aperta violazione della Convenzione di Ginevra, la qualifica di POW Prisoner of War, sostituita dai mortiferi status di DEF Disarmed Enemy Forces e SEP Surrendered Enemy Personal). Per quanto l'impresa naufraghi presto dopo la scoperta degli attentatori da parte dei guardiani notturni di un panificio, gli ebrei riescono a inviare ai detenuti 2000 pagnotte - una tonnellata di pane - impastate con arsenico.
Le prime notizie del fatto filtrano il 23 aprile, tre giorni dopo, sul quotidiano Stars and Stripes, che annota l'avvelenamento di 300 internati a NürnbergLangwasser e di 2283 ad Auerbach, riportando che nessun caso mortale si è al momento verificato (che nessun decesso sia stato provocato lo afferma anche Torri Segev). In realtà dei colpiti - ben 4300 e non 2583 - ne morranno negli ospedali, tra i tormenti, 7-800. Come riferisce l'ex internato H. Trautmann di Landshut, scampato all'avvelenamento: «Ancor oggi inorridisco di notte, e sento ancora nella camerata le grida strazianti dei commilitoni che avevano consumato il pane avvelenato. Dato l'allarme, gli intossicati furono portati via in fretta e furia dagli americani, il pane avvelenato fu raccolto, imbevuto di benzina e bruciato al di fuori del campo».
Sviluppatasi ormai a livelli semi-ufficiali e a dimensioni tali da comportare il concreto pericolo di venire scoperti a causa dell'ebbrezza del sangue e della mancanza di disciplina che ha afferrato i commilitoni (tale il commento di Michael Ben-Gal, l'ufficiale dell'Haganah responsabile per la Brigata), la campagna di «vendetta» trova un freno nell'intervento di alcuni politici dello Yishuv, che non vogliono peggiorare i già non buoni rapporti con la Potenza mandataria (riferisce l'ex abbakovneriano Josef Harmatz, ardente comunista anche se figlio di facoltoso «lituano» già importatore di merci inglesi, che si era addirittura ventilata un'irruzione nell'aula del Tribunale Militare Internazionale per «giustiziare» a colpi di mitra i major war criminals!).
Contro il freno tirato da Ben Gurion, Chaim Weizmann non solo approva, però, il progetto di avvelenamento del pane (il cosiddetto Piano B o Due), ma li indirizza allo scienziato Ernst David Bergman, in seguito padre della ricerca nucleare israeliana, per la preparazione del veleno («Bergman sapeva soltanto che la sostanza sarebbe servita per operazioni contro gli ex nazisti, e non chiese nulla sui particolari», riferisce Segev): «Eravamo certi di uccidere almeno 12.000 persone. Avevamo scelto l'arsenico, una sostanza che si solidifica in fretta», rimpiange Harmatz, ora diplomatico israeliano di primo piano, vantandosi col compiacente confratello Willy Molco nell'intervista in prime time su Rauno il 14 giugno 1998 e negando trattarsi, la loro «giustizia», di omicidio: «Soltanto uccidendone sei milioni avremmo pareggiato i conti [...] I nazisti erano estranei al genere umano».
All'altrettanto compiacente domanda di Guido Chaim, che rileva come dall'ammissione emerga «l'inquietante figura dell'ebreo vendicativo, che avvelena centinaia di nazisti dopo aver assistito agli orrori della guerra. Non è forse questa una figura in contraddizione con i grandi ideali universali che siamo chiamati a rappresentare?», Molco seraficheggia: «Non necessariamente. Nessuno può giudicare le reazioni di coloro che hanno vissuto quegli anni. Per Harmatz si è evidentemente trattato di una vendetta terapeutica [sic!]. Un fatto terribile, certo, ma anche la cura che gli ha salvato la vita, la valvola di salvezza che è mancata alle esistenze tormentate di Primo Levi e di Bruno Bettelheim» (le asserzioni di Harmatz erano state precedute, quasi negli stessi termini, dal suo ex-compagno di terrorismo Arie Leibke Distel nell'intervista trasmessa il 16 agosto 1996 dal confratello Ted Koppel in ABC News Nightline, titolata The Avengers, «I vendicatori»).
Negli stessi mesi, del resto, erano stati liquidati dai Cercatori di Giustizia-Non-Vendetta numerosi tedeschi già residenti in Palestina e internati dagli inglesi nel settembre 1939, allo scoppio del conflitto.
Vengono quindi proibite ulteriori azioni, tra le quali i progetti di avvelenare con arsenico gli acquedotti di Berlino, Monaco, Norimberga, Amburgo e Francoforte (il cosiddetto Piano A o Uno, Tochnit Aluf, che a norma jahwistica del dente-per-dente prevede l'eliminazione di almeno sei milioni di tedeschi). Nel frattempo, quali autori degli attentati e degli altri crimini vengono genericamente indicati «ex deportati nei campi e polacchi»; esponenti di punta della banda assassina, che già nel febbraio 1969 saranno denuciati da Gerhard Frey alla Procura bavarese - senza esito alcuno, ça va sans dire(trent'anni dopo, anzi, riferendo delle prodezze, i massmedia televisivi e giornalistici tedeschi traboccheranno della più completa comprensione per gli eletti assassini; a ultima beffa, nel maggio 2000 la Procura di Norimberga, investita da una denuncia contro i vantati assassini Harmatz e Distel, archivia il caso con un non luogo a procedere a causa di «auβerordentliche Umstände, circostanze straordinarie») - sono Emil Brik, Manos Diamant, Alexander «Oleg» Gatmon, Kouba Sheinkmann e Marcel Tobias, quest'ultimo poi divenuto colonnello paracadutista di Zahal; complice illustre è il produttore filmico Artur «Atze» Brauner, che mette a disposizione, benevolo, i propri locali a Berlino quale base operativa del gruppo.
In ogni caso, alle vittime fatte l) dal gruppo di Carmi e 2) dal Nakain (pur commentando che «il numero esatto non sarà mai conosciuto», Beckman parla di 1500 esecuzioni complessive, compiute da «several dozen revenge squads, diverse dozzine di squadre di vendicatori»), vanno aggiunti:
3) un migliaio di vittime fatte da gruppi minori nel 1945-46 (Beckman esemplifica, giustificandoli con le motivazioni più varie, con i casi di Obernau, Glachau, Limbach, Auerbach, Hildburghausen «and several other places»),
4) un numero imprecisato di assassinati a partire dall'estate 1948 da commando israeliani («le "squadre della morte" israeliane iniziarono ad operare nei mesi seguenti la nascita dello Stato per eliminare i nazisti coinvolti nell'Olocausto», si compiace Lorenzo Cremonesi nell'ottobre 1994),
5) singoli casi di assassinio, protrattisi fino al 1958 (di tale anno, Beckman riporta l'eliminazione dell'ex tenente SS Georg Mussfeld, impiccato nella cucina della sua trattoria ad Oberammergau dai «turisti» mossadici Benno Feld e Hanna Baum, oloscampati quindicenni al cosiddetto «massacro di Lublino»), e
6) un numero imprecisato di «criminali» eliminati da gruppi inglesi, Churchill beneplacitante, quale «vendetta» per l'esecuzione di spie ed agenti britannici giustiziati durante il conflitto (a gloriarsi di tale ultima perla è, sul Sunday Times del 4 gennaio 1998, l'ex ufficiale «inglese» Peter Mason, uno dei capi di tali gruppi che, col pretesto di interrogatori, prelevavano i prigionieri dai campi e li liquidavano solitamente simulandone il suicidio).
A prescindere quindi dalle prodezze inglesi, almeno tremila sono quindi le vittime dei «Vendicatori» (e le cifre sono minimali e solo da fonti ebraiche). «Devo purtroppo dire» - concluderà Chaim Laskov, palesandosi ben lontano dalla «satanica efferatezza nazista» - «che non ne abbiamo liquidati poi molti». Di fronte al disgusto che potrebbe provare il lettore per questi sanguinari comportamenti, agli antipodi di ogni norma morale e giuridica, Morris cerca di attenuare la penosa impressione: «Carmi, tuttavia, insiste nel dire che prima che chiunque venisse giustiziato, i vendicatori avevano controllato e ricontrollato le accuse e giustiziato soltanto coloro che erano certi fossero nazisti [only those they were convinced were Nazis]». La maggior parte dei «giustiziati» furono ufficiali di medio grado delle SS e della Gestapo, maggiori e colonnelli. Nessuno dei gradi più alti fu ucciso, perché sarebbe stato più difficile occultare o giustificare la scomparsa di un generale. Problemi di coscienza? «Proprio nessuno [None whatsoever]. Entrai in azione dopo avere visto i campi di concentramento. Comunque non c'era altro modo di agire, riguardo a quella questione». D'altra parte, impone Stefano Jesurum, «chi ha attraversato lo Sterminio, la Shoah, è ingiudicabile».
L'operazione Vendicatori, conclude Carmi, comincia senza un'approvazione della direzione centrale dell'Haganah a Tel Aviv: «Allo stesso modo dell'immigrazione illegale in Palestina, tutto cominciò sul campo, da condizioni e circostanze locali. Solo alla fine, dopo l'accaduto, ricevetti il benestare per la vendetta». Onde evitare di farlo scoprire, Carmi viene fatto trasferire ad operazioni meno clandestine. Smobilitato verso la fine del 1947, torna in Palestina, dove 1'Haganah lo destina all'organizzazione delle forze corazzate. All'inizio della cosiddetta Guerra d'Indipendenza, vale a dire all'inizio delle reazioni dei paesi arabi corsi in aiuto ai palestinesi massacrati da mesi ed espulsi dalle loro case, Carmi organizza il 1° battaglione corazzato d'assalto.
Nel maggio 1948 Carmi viene inviato nel Negev, ove guida il 9° battaglione contro Beersheba e la Striscia di Gaza. Dopo il ritiro nella vita civile, nel 1951 rientra nei ranghi e dal 1962 regge la polizia militare. Nel 1973-74 è uno dei cinque membri della Commissione d'Inchiesta Agranat, che indaga sulle ragioni della «sorpresa» subìta dallo Zahal nella Guerra del Kippur. Da allora, si ritira da ogni carica pubblica.
Buoni imitatori di Carmi sono infine gli assassini (identificati come ebrei da David Irving) che nelle prime ore del 14 luglio 1976 portano a morte l'ex Obersturmbannführer delle Waffen-SS Jochen Peiper, un pluridecorato cui nessuno ha mai potuto imputare alcunché di persecutorio nei confronti degli ebrei.
Nato a Berlino il 30 gennaio 1915, Peiper, già membro della Hitlerjugend, entra nella SS-Junkerschule di Braunschweig nel 1935 e diviene Untersturmführer, sottotenente, nella primavera seguente. Nel 1938-39 fa parte dello staff di Himmler; allo scoppio della guerra chiede di essere trasferito a un reparto combattente e, dopo avere comandato la decima compagnia della Prima Divisione Waffen-SS Leibstandarte Adolf Hitler in Polonia, nel maggio 1940 guida i suoi uomini nei Paesi Bassi, combatte sull'Yssel, rigetta a Watten gli inglesi e, in Francia, forza la Sioule al Puy-de-Dôme e viene decorato due volte con la Croce di Ferro, di II e di I classe. Nell'estate 1941 Peiper guida il terzo battaglione carri del secondo reggimento Panzergrenadier, penetra per mille chilometri in Russia, rompe l'accerchiamento alla 320ª Divisione di fanteria ponendo in salvo millecinquecento feriti e resiste al contrattacco sovietico dell'inverno. Dopo la caduta di Charkov in mani sovietiche, riprende Bielgorod nel marzo 1943. Nel settembre-ottobre fa fronte alla defezione italiana operando in Piemonte e restando coinvolto in combattimenti contro gruppi partigiani (per l'effettiva dinamica degli eventi vedi l'opera di Ernesto Zucconi). Rientrato in Russia, nel novembre comanda il primo reggimento carri della Leibstandarte e viene aggregato alla 2. Divisione Waffen-SS Das Reich. Combatte nei pressi di Zitomir e viene insignito della Croce di Cavaliere della Croce di Ferro, alla quale si aggiungono le foglie di quercia nel febbraio 1944.
Trasferito nelle Fiandre nell'aprile, si porta nel giugno a contrastare l'invasione anglo-americana in Normandia e nell'agosto sfugge con i suoi uomini all'accerchiamento, combattendo a novembre a sud di Euskirchen sul Westwall. A partire dal 16 dicembre è uno dei protagonisti dell'offensiva delle Ardenne al comando di un gruppo di combattimento; viene coinvolto nell'oscuro caso di Baugnez-Malmedy, ove trovano la morte una settantina di militari americani. Per le sue azioni nel corso dell'offensiva riceve le Spade sulla Croce di Cavaliere. Dopo aver combattuto contro i sovietici sul Danubio, si arrende agli americani sui contrafforti alpini di Sankt Polten. Ferito otto volte in combattimento, colpito da epato-colangite nel 1944, al termine del conflitto Peiper ha il grado di Obersturmbannführer, tenente colonnello.
Per quanto non venga portata alcuna prova di una sua responsabilità nei fatti di Malmedy, il processo di Dachau (maggio-luglio 1946), nonostante irregolarità legali di ogni tipo, maltrattamenti, torture e false confessioni (la War Crimes Commission, diretta dal tenente colonnello Burton F. Ellis, ha quattro ebrei tra i sette membri: il capitano Raphael Shumacher; il tenente William R. Perl, nato a Praga, nel 1939 presidente aggiunto a Vienna dei Sionisti Revisionisti, stipulatore del Transfer-Abkommen con Eichmann, onde incentivare l'emigrazione illegale in Palestina per conto dell'Irgun, all'epoca di Dachau psicologo conosciuto come «il giustiziere»; l'avvocato Morris Ellowitz o Elowitz; il «braccio destro» di Ellis, Joseph Kirschbaum - nello smascherare numerose false testimonianze a carico degli imputati gioca però un ruolo l'onesto ebreo Stephen F. Pinter, avvocato militare per l'accusa) porta a: 43 condanne a morte, tra cui Peiper, 22 ergastoli, due condanne a 20, una a 15 e cinque a 10 anni. L'appello riduce a 12 le condanne a morte, riduce la pena in quaranta casi e annulla tredici sentenze. Le 12 condanne a morte vengono mutate in altrettanti ergastoli nel settembre 1948, ma sei vengono riconfermate dal generale Clay, governatore militare della Germania occupata. Nel gennaio 1951, dopo due anni e mezzo di attesa con la spada di Damocle del capestro settimanalmente sulla testa (le esecuzioni vengono praticate il venerdì), anche queste vengono mutate in detenzioni a vita dal generale Handy, suo successore.
Nel 1954 l'ergastolo di Peiper viene commutato in una detenzione di trentacinque anni, ma la cattiva coscienza dei suoi «giustizieri» lo porta alla liberazione, dalla prigione di Landsberg am Lech, il 22 dicembre 1956. Il primo gennaio 1957 Peiper viene assunto dalla ditta Porsche a Francoforte quale responsabile-vendite per l'America. Nel 1964 una campagna di stampa sui fatti di Boves (23 civili del borgo cuneense caduti il 19 settembre 1943 nella risposta ad un attacco a tradimento partigiano), pur non producendo prove a suo carico, ne provoca, affiancata da agitazioni sindacali, il licenziamento. Dopo un impiego nel servizio commerciale della Volkswagen a Reutlingen, nel febbraio 1972 nuove difficoltà lo inducono a trasferirsi da Stoccarda a Traves, un paesino francese dell'Haute-Saône, ove nel 1959 ha acquistato una casetta in legno fuori dall'abitato, in un bosco sulla riva del fiume. Con un permesso di soggiorno di cinque anni, Peiper vive, con la moglie, della pensione e del lavoro di traduttore. Figli ed amici lo visitano di quando in quando.
Il «caso Peiper» scoppia nella primavera 1976 ad opera di Paul Cacheux, un commerciante di ferramenta che lo ha riconosciuto nel luglio 1974. Il francese contatta i giornalisti del comunista L'Humanité, che lancia una virulenta campagna di stampa, chiedendo l'allontanamento del «nazi-criminale». Anche se il numero non compare sugli elenchi, Peiper viene subissato di lettere e telefonate minatorie, gli viene distrutta la cassetta della posta, vengono diffusi volantini denigratori e tracciate scritte sui muri e sulle strade che portano a Traves. Nel giugno-luglio escono articoli anche su L'Est Républicain (che il 22 giugno lo ha correttamente intervistato, scattandone le ultime foto). Il 13 luglio mattina la moglie di Peiper, il quale ha rifiutato più volte la protezione degli amici, lascia la casa per un breve soggiorno nella Foresta Nera. M.E. Ketelhut, un vicino, si ferma a discorrere con lui fino a tarda ora.
Alle due e trenta del 14 luglio un motociclista passa sulla provinciale, vede un mare di fiamme nel bosco e dà l'allarme, ma quando giungono i pompieri la casa è distrutta. Il tetto e il pavimento del primo piano sono crollati su un cadavere semicarbonizzato, accanto una Smith & Wesson 0.38 e scatole di proiettili esplose. I cani vengono trovati poco distanti dalla casa, uno con in corpo un proiettile da 6.35. La polizia accerta che al piano terreno è stata lanciata una bomba incendiaria. Sono stati esplosi diversi colpi di arma da fuoco (nessuno li avrebbe uditi, causa i festeggiamenti per la prise de la Bastille con canti, balli e fuochi d'artificio).
Crollato il pavimento di legno, il corpo di Peiper cade dal primo piano. Ai piedi di un albero viene rinvenuto un ordigno incendiario inesploso, abbandonato dagli assassini. Un fucile calibro 0.22, prestato a Peiper da Ketelhut e usato contro gli aggressori, viene trovato sul terrazzo. Decine di colpi di piccolo calibro segnano i muri e gli alberi. L'autopsia rivela tracce di cenere nei polmoni di Peiper, il che indica come sia rimasto in vita per qualche tempo durante l'incendio. Nessun proiettile viene rinvenuto nei resti calcinati. Nessun testimone si avanza, nessuno ha visto alcunché. Mentre circolano voci di un coinvolgimento dei servizi della DDR e della banda Baader-Meinhof, nessuno indaga tra i comunisti né tra gli eredi dei Vendicatori. Se l'attacco sia stato intenzionalmente omicida o si sia trattato di un «avvertimento» a sloggiare finito tragicamente, non lo si chiarirà mai. Una terza ipotesi è che qualche alticcio festeggiante bastigliano abbia voluto «dare una lezione al tedesco». Il dossier Peiper, «per calmare le passioni», viene chiuso senza luogo a procedere.
Gianantonio Valli
No! Ancora un istante!
Non ha ancora detto nulla dei capolavori di questi negromanti che
manipolano tutto quanto è nero per ricavarne bianchezza, latte e innocenza -
non ha notato a che punto arriva la loro perfezione nel raffinare, il loro artistico tocco arditissimo, finissimo, genialissimo e mendacissimo?
Faccia attenzione!
Queste bestie del sottosuolo sature di vendetta e di odio -
che cosa fanno appunto di questa vendetta e di quest'odio?
Ha mai sentito queste parole?
Sempre che si fosse fidato delle loro parole,
avrebbe mai potuto prevedere di ritrovarsi né più né meno che in mezzo a uomini del ressentiment? "Capisco e ancora una volta apro le orecchie (ahimè, ahimè, ahimè! e chiudo il naso).
Odo soltanto ora quel che essi già tanto spesso dicevano:
“Noi buoni, noi siamo i giusti' -
a quel che pretendono non danno il nome di rivalsa,
bensì di 'trionfo della giustizia';
quel che essi odiano non è il loro nemico, no!
essi odiano l''ingiustizia', 1"empietà';
quel che credono e sperano non è la speranza della vendetta,
l'ebbrezza della dolce vendetta ('più dolce del miele', già la chiamava Omero),
bensì la vittoria di Dio,
del Dio giusto sugli empi".
Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, I 14
14/01/2007
http://www.italiasociale.net/storia07/storia140107-2.html
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