I delitti dei partigiani, quando è impossibile negarli,
vengono liquidati come eccessi dovuti al momento e reazioni alla barbarie
criminale fascista e nazista.
Dove si intende che era giusto e comprensibile che i
partigiani reagissero in quel modo alle ‘barbare‘ esecuzioni di combattenti per
la libertà e alle rappresaglie naziste.
Ed uno degli esempi più ricorrenti nella liturgia
resistenziale è l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Come sempre, anche in questo caso, si tratta di un
ribaltamento totale della libertà.
Per dare un giudizio di quanto accaduto in maniera
imparziale, l’unico metodo è quello di affidarsi alle leggi internazionali. Nel
caso specifico alla Convenzione dell’Aja vigente a quell’epoca e alle
successive conclusioni del Tribunale di Norimberga.
Cominciamo per ordine.
L’art. 42 della Convenzione dell’Aja dice testualmente:
“La popolazione ha l’obbligo di continuare nelle sue
attività abituali astenendosi da qualsiasi attività dannosa nei confronti delle
truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che
venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza
delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine
di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio,
di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi“.
Basta questo articolo, da solo, a togliere qualsiasi
parvenza di legittimità alla resistenza.
Secondo il diritto internazionale (Art. 1 della convenzione
dell’Aia del 1907) un atto di guerra materialmente legittimo può essere
compiuto solo dagli eserciti regolari ovvero da corpi volontari i quali
rispondano a determinati requisiti, cioè abbiano alla loro testa una persona
responsabile per i subordinati, abbiano un segno distintivo fisso riconoscibile
a distanza e portino apertamente le armi.
Ciò premesso, si può senz’altro affermare che gli attentati
messi in atto dai partigiani fossero atti illegittimi di guerra esendo stati
compiuti da appartenenti a un corpo sì di volontari che però non rispondevano
ad alcuno degli accennati requisiti.
Consapevole di questo, il governo del Sud, per mezzo di
Badoglio, che aveva diramato l’ordine a tutti gli uomini della Resistenza di
evitare di fare attentati nelle città, proprio per evitare quel tipo di
prevedibili (e ripetio per il nemico legittime) rappresaglie che avrebbero
coinvolto anche civili.
Stabilito che l’attentato di via Rasella costituì un atto
illegittimo di guerra, occorre accertare, per le diverse conseguenze giuridiche
che ne derivano, quale fosse la posizione degli attentatori nei confronti dello
stato italiano in quel preciso momento (e del governo del Sud Badoglio, che
aveva diramato l’ordine a tutti gli uomini della Resistenza di evitare di fare
attentati nelle città, proprio per evitare quel tipo di prevedibili (e
ripetiamo per il nemico legittime) rappresaglie che avrebbero coinvolto anche
civili).
Solo successivamente lo Stato considerò come propri
combattenti i partigiani che avessero combattuto contro i tedeschi.
Con decreto legge n. 96 del 25 aprile 1944 (qualche giorno
dopo l’attentato di via Rasella) e col successibo decreto legge n, 194 del 12
aprile 1945 Lo Stato italiano dichiarò ‘non punibili’ (amnistiati) gli atti
compiuti dai partigiani.
Il che equivale a dire che li riteneva illegittimi, tanto da
sentire la necessità di due appositi devreti per amnistiarli.
Veniamo ora alle Fosse Ardeatine.
Secondo l’Art. 2 della convenzione di Ginevra del 1929 non
potevano essere utilizzati per una rappresaglia né feriti né prigionieri di
guerra e neppure personale sanitario.
Il Tribunale di Norimberga d’altra parte affermò:
“le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se
illegali, nelle condizioni particolari in cui esse si verificano possono essere
giustificati: ciò ‘in quanto l’avversario colpevole si è a sua volta comportato
in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata intrapresa allo scopo di
impedire all’avversario di comportarsi illegalmente anche in futuro.’“
E per finire la parte legale del ‘discorso‘ ecco le
condizioni che ammettevano una rappresaglia, sia per il diritto internazionale,
sia per l’interpretazione data dal Tribunale di Norimberga:
Dopo attacchi contro la potenza occupante, laddove la
rappresaglia si rendesse necessaria dal punto di vista militare. La
rappresaglia serviva innanzi tutto per impedire ulteriori delitti commessi
dall’avversario. L’ordine dell’alto comando dell’esercito di data 5 giugno 1941
imponeva “rappresaglie severe” quando esse si rendessero necessarie per la
sicurezza della truppa che occupava il territorio.
Quando le ricerche degli autori di atti illeciti avessero
dato esito negativo. Anche l’ordine “Barbarossa” (13 maggio 1941) contrario al
diritto internazionale consentiva l’arresto collettivo di ostaggi “quando le
circostanze non consentano una rapida individuazione degli autori di un fatto
criminoso”.
Che esse fossero ordinate da ufficiali superiori.
Che tenessero conto della proporzionalità. Nel citato caso
n.9 il tribunale di Norimberga confermò che “misure di ritorsione, qualora
consentite, debbono essere proporzionate al fatto illecito commesso”. Questo è
un punto di particolare importanza dal momento che si tratta di vite umane. Nel
caso n.7, cioè nel processo a carico dei generali List, von Weichs e Rendulic
tenutosi nel 1948, la proporzione accettata dal tribunale di Norimberga come
equa era 10.1 vale a dire fucilazione di dieci ostaggi per ogni soldato tedesco
ucciso da un atto terroristico.
Che la cerchia delle persone colpite dalla rappresaglia
fosse in qualche modo in rapporto col reato commesso a danno delle forze
occupanti. Che gli ostaggi o le persone destinate alla rappresaglia fossero
tratte dalla cerchia della resistenza. Cosa questa che venne applicata anche
dai tribunali postbellici francesi.
Non venivano stabiliti i criteri per la scelta degli
ostaggi, ma la scelta stessa era affidata a criteri di discrezionalità.
Il Tribunale di Norimberga a tale proposito, afferma:
“Il criterio discrezionale nella scelta può essere
disapprovato ed essere spiacevole, ma non può essere condannato e considerato
contrario alle norme del diritto internazionale. Deve tuttavia esserci una
connessione fra la popolazione nel cui ambito vengono scelti gli ostaggi e il
reato commesso” (quindi luogo dell’attentato o l’appartenenza a gruppi
clandestini che compiono atti terroristici).
Il diritto alla rappresaglia venne accolto anche alle forze
britanniche nel paragrafo n.454 del “British Manual of Military Law“. Le forze
americane a loro volta prevedevano la rappresaglia nel paragrafo n. 358 dei
“Rules of Land Warfare del 1940. Per le truppe francesi, l’allegato I alle
istruzioni di servizio del 12 agosto 1936 consentiva all’Art.29 il diritto di prendere
ostaggi nel caso in cui l’atteggiamento della popolazione fosse ostile agli
occupanti, e il successivo Art. 32 prevedeva l’esecuzione sommaria degli stessi
ostaggi se si verificavano attentati.
“Nel 1947 i magistrati militari britannici, nel processo a
carico di Albert Kesselring, commentarono che nulla impediva che una persona
innocente potesse essere uccisa a scopo di rappresaglia“.
(F.J.P.
Veale, Advance to barbarism (ed.The Mitre Press. Londra 1968) e dello
stesso autore, Crimes discretely veiled (ed. IHR, Torrance, California,1979)
Interessante anche ricordare alcune rappresaglie alleate:
A Stoccarda il generale francese Lattre de Tassigny minacciò
l’uccisione di ostaggi tedeschi nel rapporto di 25:1 se fossero stati uccisi
soldati francesi.
A Marcktdorf erano previste fucilazioni di ostaggi nel
rapporto di 30:1.
A Reutlingen i francesi uccisero 4 ostaggi tedeschi
affermando che era stato ucciso un motociclista che in realtà era rimasto
vittima di un incidente.
A Tuttlingen, i francesi annunciarono il 1° maggio 1945 che
per ogni soldato ucciso sarebbero stati fucilati 50 ostaggi. (L’originale del
manifesto appare nel libro di Spataro che citiamo sotto)
Ad Harz le forze americane minacciarono di esecuzione
punitive nel rapporto di 200:1.
Quando il generale americano Rose, nel marzo del 1945,
rimase vittima di una imboscata, gli americani fecero fucilare per rappresaglia
110 cittadini tedeschi. (In realtà Rose era stato ucciso in un normale
combattimento, soldati contro soldati – e l’imboscata è pur sempre un atto di
guerra se si portano le mostrine e la divisa).
A Tambach, presso Coburg, in data 8 aprile 1945 il tenente
americano Vincent C. Acunto fece fucilare 24 prigionieri di guerra tedeschi e 4
civili; accusato di omicidio venne assolto.
A Berlino l’Armata Rossa che l’occupava minacciò fucilazione
di ostaggi nel rapporto di 50:1. Il testo del comunicato era il seguente:
“Chiunque effettui un attentato contro gli appartenenti alle truppe
d’occupazione o commette attentati per motivi di inimicizia politica,
provocherà la morte di 50 ex appartenenti al partito nazista“. (Pubblicato sul
quoridiano Verordnunsglatt di Berlino in data 1 luglio 1945).
A Soldin, Neumark, i russi andarono al di là di questa
cifra: furono fucilati 120 cittadini tedeschi perchè un maggiore russo era
stato ucciso nottetempo da una guardia tedesca. (che poi risultò essere stato
ucciso perchè il russo gli stuprò la moglie (Mario Spataro, Dal caso Priebke al
nazi gold, Ed. 7° Sigillo, vol.2, Pag. 913).
Una delle più gravi fu la strage di Annecy del 18 agosto
1944, in un campo di prigionieri tedeschi gestito da americani e francesi;
proporzioni di 80:1.(ib)
A Bengasi, gli inglesi di Montgomery contro gli italiani
applicarono quella del 10:1. (Ib.)
(da le RAPPRESAGLIE)
Ma torniamo alle Fosse Ardeatine.
Nessun Tribunale italiano fu infatti in grado di imputare a
Kappler l’atto di rappresaglia.
La condanna di quest’ultimo infatti si basa solo e soltanto
sul numero delle vittime. Nelle Fosse Ardeatine furono infatti ritrovati i
corpi di 345 persone e non i 330 che ci si aspettava. Dieci di quelli in
soprannumero potevano essere ‘giustificati’ con la morte di un ulteriore
soldato tedesco avvenuta prima della della rappresaglia, gli altri cinque no.
Per inciso, se si fossero aspettati alcuni giorni, le
persone giustiziate ‘legalmente’ sarebbero state molte di più, visto che nei
giorni successivi morirono ulteriori soldati tedeschi.
Per completezza aggiungo che non fu mai trovata la lista di
coloro che dovevano essere fucilati e che, di sette corpi, non si riuscì a
stabilire l’identità.
La lista dei condannati fu scritta in gran parte dai
tedeschi, ma mancando alcuni nomi fu chiesto di completarla al questore di
Rona, Caruso. Questi scrisse 55 nomi (sembra anche i cinque in più) scelti tra
i reclusi.
Nel 1944 fu fatto il processo contro Caruso. Il primo
testimone contro di lui fu Donato Carretta, direttore delle carceri da cui
furono prelevati i confannati. Caruso fu condannato a morte il 21 settembre e
subito fucilato. Carretta era tranquillo. Aveva un certificato dibenemerenza
rilasciato da Nenni ed era in contatto con il CLN. Ma venne il suo turno e fu
accusato diessere il responsabile di quelle 56 morti. Incredulo fu portato in
Tribunale dove,.durante l’udienza una donna balzò in piedi urlando come
un’ossessa: “Ha fatto morire mio figlio, e’ stato lui a mandarlo alle
Ardeatine, deve pagare, uccidetelo…”.
La folla travolse i carabinieri , Carretta fu afferrato da
cento mani, sollevato da terra, spinto a calci e pugni verso l’ uscita. Venne
trascinato fino al bordo del Lungotevere; intanto sopraggiungeva un tram e l’
infelice fu sdraiato sulle rotaie perche’ il veicolo lo straziasse, parendo
troppo dolce per lui qualsiasi altra morte. Il tramviere fermo’ il tram, tolse
la manovella dal comando e scese. Agli energumeni che gli si scagliarono
addosso disse che lui non era un assassino, e alle accuse di essere invece un
fascista rispose mostrando la sua tessera del partito comunista: si chiamava
Angelo Salvatori e credo che il suo nome dovrebbe essere ricordato. Carretta,
ancora in se’ , fu scaraventato nel Tevere dal Ponte Umberto. Cadde in acqua,
si afferro’ ai bordi, ma gli schiacciarono le mani con i piedi, sicche’ si
abbandono’ alla corrente. Due uomini saltarono su una barca, lo raggiunsero e cominciarono
a colpirlo con i remi sulla testa. L’ infelice urlava e aveva ancora la forza
di tentare di salvarsi, nuotando e lasciandosi andare sott’ acqua per evitare i
colpi. Ma ogni volta che riemergeva il linciaggio riprendeva, finche’ una larga
chiazza rossa di sangue intorno al suo corpo fece intendere che era morto. Il
fiume trascinava via il cadavere, ma al Ponte Sant’ Angelo riuscirono a tirarlo
a riva, la folla non era ancora sazia del suo orrendo pasto. Si udiva gridare
“A Regina Coeli, a Regina Coeli”, perche’ si voleva che Carretta avesse l’
estrema punizione d’ essere esposto la’ dove avrebbe commesso i suoi delitti.
Arrivati alla prigione, Carretta seminudo, sfigurato, ricoperto di sangue, con
la testa maciullata, fu crocifisso al portone. Le urla, la marea di gente
raccolta nella strada, i colpi, le esplosioni selvagge d’ un giubilo bestiale
fecero affacciare alla finestra due donne. Erano la moglie e la figlia di
Carretta e questo completo’ la ferocia d’ una scena che si apparenta nella
vergogna e nell’ orrore soltanto alla macelleria messicana di piazzale Loreto.
La donna che in aula aveva determinato la condanna a
morte di Carretta non aveva avuto nessun figlio ucciso alle Ardeatine. Anzi,
non aveva nessun figlio. Si disse poi che era una pazza, ma qualcuno affermo’
che si era trattato d’ un elemento dello spionaggio sovietico usato per motivi
che oggi definiremmo destabilizzanti. E anche perche’ nelle vicende italiane un
pizzico di dietrologia e di giallo non guasta mai.http://rsicontinuitaideale.blogspot.it/2013/06/storia-sullillegalita-partigiane-e-la.html
L’art. 42 della Convenzione dell’Aja dice testualmente:
RispondiElimina“La popolazione ha l’obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività dannosa nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi“.
Il mio dubbio è qui... ho letto e riletto la convenzione dell' Aja e l'art. 42 dice tutt'altro... potreste mica fornire un rimando, un collegamento o una qualche pezza d'appoggio per quell' articolo?