Vi riportiamo l’interessante dibattito storico-culturale tra
il Prof. Gennaro De Crescenzo e la dott.ssa Antonella Orefice. Una inevitabile
“resa dei conti” su quella storiografia faziosa e menzognera, intrisa di
quell’ideologia giacobina che per secoli ha fatto passare come fonte di
progresso e di civiltà, una delle più sanguinose e devastanti dominazioni
straniere.
Cap. Alessandro Romano
IL MATTINO e il 1799
Premesse, analisi, proposte.
Meglio neoborbonici che neogiacobini
(Parte I)
Tela di Taurel: l'ingresso dei francesi a Napoli nel 1799
e il massacro del popolo napoletano
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Antonella Orefice ha pubblicato un libro in cui si
rivelerebbero in due paesini molisani “gli eccidi ordinati dai Borbone” (titolo
a tutta pagina su Il Mattino del 14/6 con nota storiografica articolata che
abbiamo inviato allo stesso giornale e allegata a queste premesse, in attesa di
“eventuale” pubblicazione). Orefice è stata assistente di Maria Antonietta Macciocchi,
comunista di posizioni maoiste che scrisse anche un libro dedicato alla de
Fonseca e sintetizzato (Corriere della Sera, 8 gennaio 1999) nel libretto
dell’opera allestita al San Carlo (contestata dai neoborbonici) per il
bicentenario del 1799: “sono sicura -scriveva la Macciocchi- che è stata
Eleonora a salvarmi dalle SS nel 1943… lasciai Napoli per Parigi ma credo che
anche in questa scelta vi fosse l’influsso astrale di Eleonora…”. Una forma di
cultura “neogiacobina” anche più estremizzata di qualsiasi forma di
“neoborbonismo”… Lasciando da parte alcune perplessità sulla attendibilità di
queste affermazioni e sulla scientificità della storia scritta dalla
Macciocchi, riportiamo un post pubblicato poche ore fa dalla sua ex assistente
che ha firmato il libro recensito a tutta pagina da Il Mattino: “Ecco chi sono
i Borboni che tanto rimpiangi! ESULTA POPOLO LAZZARO.... ! (Ma noi SIAMO ANCORA
QUA........... La Nostra Repubblica è VIVA!)”.
Inevitabili alcune lettere di protesta che pare siano
pervenute alla Orefice che se ne lamenta sempre sul suo profilo (e che non
condividiamo solo se sono in qualche modo offensive e minacciose). Più di un
dubbio, però, ci assale sulla imparzialità di questo nuovo libro, probabile
frutto del comprensibile entusiasmo di chi non è esattamente e sistematicamente
di casa negli archivi. E più di un dubbio ci assale anche sul distacco (quasi
un odio, diremmo) che i giacobini del 1799 avvertivano contro quel “popolo
lazzaro” (massacrato dai franco-giacobini con non meno di 60.000 caduti!) che
si ribellò eroicamente a quella invasione: tenuto conto che la cultura
ufficiale ha formato sulla base delle idee giacobine/liberali schiere di classi
dirigenti locali e nazionali, ci assale ancora un altro dubbio che si lega al
distacco che viviamo da queste parti tra governanti e governati. Distanti e
contro il popolo (di Napoli e del Sud) nel 1799. Distanti e contro il popolo
(di Napoli e del Sud) oggi. A dimostrazione della "pacatezza" e della
sobrietà di intellettuali e giornalisti locali, l'autore dell'articolo, in un
post appena pubblicato mette sullo stesso piano "neoborbonici e
neofascisti" ("tra neofascisti e neoborbonici.. stiamo proprio messi
male!")...
E se la scommessa del futuro fosse, invece, proprio una
classe dirigente finalmente e veramente radicata, rispettosa di tradizioni e
identità, fiera e autenticamente napoletana e meridionale? E’ questo, da circa
20 anni, l’obiettivo neoborbonico: una scommessa paradossalmente davvero nuova
se consideriamo i fallimenti delle classi dirigenti monopolisticamente formate
dalla cultura ufficiale giacobina, liberale, antiborbonica e antinapoletana. Il
successo e la diffusione (con la conseguente e facile rabbia degli “avversari”)
delle nostre iniziative delle nostre idee ci fanno ben sperare…
Il solito 1799 e le stragi giacobine (davvero) dimenticate
Anche per Mazzini i giacobini erano traditori…
Caro direttore, Napoli è davvero uno strano paese: da oltre
200 anni prevale in maniera monopolistica una lettura parziale e unilaterale di
certe storie (in testa quella del 1799 fino a quelle “risorgimentali”) eppure
la stessa cultura ufficiale che detiene quel monopolio continua a lamentarsi
perché qualcuno ha “osato”, in questi anni, raccontare altre storie. In questo
caso, Mario Avagliano, recensendo il nuovo libro di Antonella Orefice su alcune
stragi (“dimenticate”) del Molise durante la rivoluzione napoletana, cita i
soliti esuli che tante colpe hanno avuto nella creazione di un mito negativo e
ancora attuale di Napoli o che -nel caso di Settembrini- furono costretti a
rivedere molte delle loro tesi dopo l’Unità. Sempre i Borbone, poi, per
l’articolista, avrebbero affidato a Ruffo “il compito della repressione” e così
Ruffo avrebbe “occupato Napoli nel giugno del 1799 macchiandosi di efferati
delitti, con mercenari albanesi, contadini del luogo e avanzi di galera”…
Peccato, però, che quei mercenari fossero 50 (sui complessivi 80.000 volontari
della sua armata) e che il Cardinale non aveva avuto il compito di “reprimere”
ma di “liberare” il Regno da un’invasione straniera favorita da pochi giacobini
locali (“una minoranza impercettibile” li definì Luigi Blanch) così come Napoli
non fu di certo “occupata” da Ruffo (o dai Borbone), visto che era già “dei”
Borbone che legittimamente vi regnavano. E di certo, del resto, in nessuna
guerra (tanto più in una guerra contro l’esercito più potente del mondo)
nessuno ha mai chiesto il curriculum di chi combatte. La Orefice ha scritto
questo libro lasciando parlare “i documenti: quelli veri, quelli scomodi” contro
chi in questi anni avrebbe “santificato i briganti e definito traditori i
patrioti del 1799”. Solo che da oltre due secoli si tirano fuori sempre gli
stessi documenti e non quelli che raccontano le stragi (quelle sì e quelle
davvero dimenticate) compiute dai franco-giacobini ai danni della parte
napoletana-cristiana-borbonica: oltre ottomila (in tre giorni) nella capitale e
“oltre sessantamila i napoletani passati a fil di spada” in appena cinque mesi
di repubblica: “Napoli non era altro che un immenso campo di carneficine,
incendi, spavento e morte “ (memorie del generale Thiebault). Fu Giuseppe
Mazzini, del resto, il primo a definire traditori quei patrioti che “avevano
aperto le porte della città agli stranieri invasori… il Popolo napoletano era disposto a morire combattendo non per
superstizione, come più volte si è detto, ma per un sentimento nazionale, per
un’idea di Patria che vi pulsava al di sotto” (manoscritto, Museo
Centrale-Risorgimento). Si ricordano, allora, le fucilazioni molisane ma non i
massacri e le devastazioni sempre
molisane di Isernia (oltre 1500 morti) o quelli di Mercogliano, Caserta,
Ceglie, Carbonara, Bacoli, Benevento, Briano, Cetara, Collettara, Fondi,
Gensano, Casamari, Itri, Massa, Nola, Pomigliano, Pagani (e l’elenco sarebbe troppo lungo). Fu una
guerra di invasione in alcune occasioni divenuta una sanguinosa e (a partire
dai Borbone) non voluta guerra civile. Solo che in qualsiasi altro posto del
mondo si ricorderebbero i difensori
della propria patria o almeno “anche” loro (si pensi alla celebrazione che il
grande Goya ha fatto dei popolani spagnoli antifrancesi) e dalle nostre parti
si scrive ancora con una rabbia e una parzialità oggettivamente eccessive di
“massacri ordinati dai Borbone” o di “orde sanfediste” lasciando spazio ad una
cultura ufficiale sempre poco attenta alle nostre tradizioni e alle nostre
radici (anche borboniche e cristiane, al contrario di quanto pensano alcuni
intellettuali): la stessa cultura ufficiale che, se solo guardiamo alla
formazione delle nostre classi dirigenti, non ha prodotto risultati così
positivi…
Napoli, prof. Gennaro De Crescenzo
Movimento Neoborbonico
“Parlamento delle Due Sicilie”
Ancora verità sul 1799,
sul Mattino e sui libri "giacobini"
(Parte II)
L'esercito francese che massacra il popolo napoletano al
Carmine.
Premessa: e se Il Mattino organizzasse un dibattito? Leggo
solo ora alcune considerazioni scritte dalla sig.ra Antonella Orefice autrice
di un libro sugli “eccidi ordinati dai Borbone” in alcuni paesini molisani,
recensito da Il Mattino qualche giorno fa e al centro di alcune polemiche e di
un mio precedente intervento. La sig.ra Orefice minaccia di querelarmi ma è
difficile capire le motivazioni di queste minacce poiché avevo espresso semplicemente
alcuni giudizi (dovrebbe chiamarsi “dibattito”, mi pare) in merito a quanto
scritto nella recensione firmata da Mario Avagliano. Giudizi storiografici
(altro che “giudizi spregevoli sulla sua persona”) e che non posso che
confermare perché si nota in quelle righe effettivamente un “entusiasmo
comprensibile” per chi trova un documento, ma credo che sia necessario evidenziare le lacune di ricerche
archivistiche di fonti “dell’altra parte” (e citavo un lungo elenco di paesi
oggetto di massacri, saccheggi e devastazioni): è forse “spregevole” a Napoli
chiedersi se si tratta o no di un libro parziale o imparziale? Sempre la sig.
ra Orefice, poi, mi sopravvaluta e
sottovaluta (forse solo per un naturale istinto di difesa delle proprie
posizioni) la portata di un nuovo fenomeno culturale: io non ho “seguaci” (non
ho mai creato una setta): circa 20 anni fa ho semplicemente creato un movimento
culturale (il Movimento Neoborbonico) che ha fatto opera di ricerca e
divulgazione con tesi di segno contrario rispetto a quelle della cultura
ufficiale. Il consenso e il successo riscontrati sono andati ben al di là dei
mezzi in campo e delle più rosee previsioni anche perché, evidentemente, c’è un
forte bisogno di radici (tutte le radici), di storie ricche di orgoglio e
rispettose di tradizioni napoletane, cristiane e anche borboniche… La sig.ra
Orefice, allora, non può accusare il sottoscritto per tutte le lettere a lei
pervenute e dalle quali (ripetiamo un concetto già abbondantemente espresso) ci
dissociamo qualora fossero risultate offensive o minacciose (non è stato mai il
mio e il nostro stile e non possiamo certo disporre della volontà di quanti
hanno manifestato il loro dissenso). Lei stessa, del resto, in un post
pubblicato prima delle polemiche si rivolgeva al “popolo lazzaro” invitandolo
sarcasticamente ad esultare per le verità raccontate sui “suoi Borboni”. Chi
scrive, oltre alla specializzazione in Archivistica presso l’Archivio di Stato
di Napoli, ha all’attivo semplicemente migliaia di ore di studio con
pubblicazioni (quasi tutte esaurite) che raccontano storie diverse rispetto a
quelle raccontate dalla Orefice. Tutto qui. Altro che “storielle” o “verità
manipolate” o tentativi di “vendere chiacchiere” insieme alle (nostre)
incapacità di “comprendere i suoi lavori”, affermazioni che pure si
presterebbero a eventuali querele ma che supereremo amando i dibattiti e non
amando i tribunali italiani. In quanto alla mia critica rivolta alle classi
dirigenti, la sig.ra Orefice risponde affermando che “non ha velleità
politiche” né è alla ricerca di “candidature” ma, come la sig.ra certamente sa,
si è “classe dirigente” anche (e di più) da giornalista o da intellettuale e
resta in piedi la mia tesi sulle responsabilità di chi, in oltre 200 anni, e
nonostante un vero e proprio monopolio di segno giacobino e liberale (e che, a
quanto pare, ancora non basta), ha formato culturalmente chi ci ha
rappresentato in questi anni e (come lo stesso Mattino spesso denuncia) non in
maniera del tutto adeguata. Le inviamo, poi, i nostri complimenti per la
pubblicazione, di altre recensioni positive del suo lavoro ma la cosa conferma
quanto già scritto a proposito del monopolio della cultura ufficiale che,
naturalmente, può prevedere anche recensioni positive su Repubblica o magari (è
una citazione della sig.ra Orefice) sulla rivista ufficiale della Gran Loggia
d’Italia (e cioè di quella massoneria più volte al centro dei nostri studi e
delle nostre critiche per le sue responsabilità in merito a certi processi
legati all’unificazione). Per tornare, poi, a quella parola a Napoli (e dalle
parti del Mattino) piuttosto rara (“dibattito”), come nel mio primo intervento,
vorrei evitare le facili, semplicistiche e confortanti etichette
(”neoborbonici”, “giacobini” ecc.) ed entrare nel merito di alcune domande alle
quali la sig.ra Orefice non ha dato risposta alcuna: non è forse vero che fu
Mazzini il primo a definire traditori quei giacobini? Non è forse vero quanto
affermato dalle fonti francesi e cioè che a Napoli in 3 giorni furono massacrati
oltre ottomila “lazzaroni” e in tutto il Regno (in meno di 5 mesi) oltre
sessantamila persone di parte napoletana-cristiana-borbonica? Non è forse vero
che partivano ogni giorno per Parigi convogli con le nostre opere d’arte o che
diverse centinaia di popolani furono condannati a morte solo per non aver
gridato “viva la repubblica”? Non è forse vero che nella socialmente e
culturalmente variegata armata di Ruffo quei “mercenari albanesi” non
superavano le poche decine ed erano, invece, soldati delle comunità albanesi
fedeli alla dinastia? Non è forse vero che furono devastati tutti quei paesi
(abitanti compresi) sia nel 1799 che nel successivo periodo murattiano (su
tutti “l’onda dei morti” di Lauria)? Non
è forse vero che in tutto il mondo chi difende la propria patria dagli
stranieri è celebrato dopo secoli (un esempio su tutti i popolani spagnoli
antifrancesi dipinti da Goya) e solo da noi viene ignorato e disprezzato?
Queste sono le domande che abbiamo rivolto alla Orefice e al Mattino e su
questo dovrebbe riflettere davvero una città che, a quanto pare, non ha ancora
fatto pace con la sua storia. Concordo,
infine, con la sig.ra Orefice sul fatto che per noi il 1799 è (brutta immagine
ma cito il suo testo) "un'ulcera perforata" ma solo perché, dopo oltre
due secoli, avremmo il dovere di ricordare con cristiano rispetto tutte le
vittime della rivoluzione franco-giacobina, “perforate” (loro sì, e a
migliaia!), dalle baionette francesi al Carmine o a via Foria, a Porta Capuana
o al Mercato stando dalla difficile part dei vinti, ieri come oggi. Non era il
“popolo lazzaro”. Era il Popolo Napoletano. Il nostro Popolo.
Prof. Gennaro De Crescenzo
Napoli, 17/6/13
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