La primavera del 1945, com’è ormai risaputo e accettato, fu caratterizzata dalla ferocia più disumana. Uccisioni, atroci torture, linciaggi, stupri, sadiche violenze, rapine, saccheggi.
Prese
particolarmente di mira le donne dei fascisti: madri, mogli, figlie e le
ausiliarie, le eroiche volontarie che erano entrate nei ranghi militari della
RSI.
Ma
uccisioni anche di sacerdoti, proprietari terrieri, imprenditori, si
susseguirono per molti mesi, mentre uno Stato impotente e/o connivente lasciava
fare.
Sull’argomento è già stato scritto molto e chi volesse documentarsi, non
ha che l’imbarazzo della scelta; perciò sorvolo su tante stragi a guerra finita,
che hanno gettato una grondante placca di ignominia su tutto il popolo
italiano[1].
Era il
frutto ineluttabile dell’odio senza limiti seminato dai rossi e dai loro
complici nella guerra civile.
Una
barbara strategia, estranea alla civiltà europea, quella dei comunisti e di
tanti altri antifascisti - utili e feroci idioti strumentalizzati dai primi -
per conquistare il potere nello Stato che gli veniva regalato dagli
“Alleati”.
Secondo
quanto ammette lo storico antifascista e partigiano Giorgio Bocca: « Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire
quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo
premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli
incerti, per scavare il fosso dell’odio. E’ una pedagogia impietosa, una
lezione feroce » (
sic!)[2].
La stessa
feroce strategia fu continuata metodicamente e cinicamente, con sadica
efferatezza, anche e soprattutto dopo la resa delle forze fasciste. Infatti la teoria della guerra partigiana
« incarna l’ostilità assoluta, perde la distinzione tra nemico e
criminale[…..] cessa non con la pace negoziata , ma con lo sterminio[…..] si
svolge in base al terrorismo» .[3]
Mi si
conceda una rapida pennellata per tratteggiare il clima, assurdo fino
all’alienazione, di quell’epoca.
Voglio
accennare soltanto a qualche passo del libro di Ulderico Munzi, Donne di Salò,[4] dove si lascia
parlare un’ausiliaria che aveva conservato la sua verginità - come si
usava ancora diffusamente a quei tempi - «fino a quegli infami giorni
dell’aprile-maggio 1945».
Dopo venti, forse trenta stupri,
demenzialmente annientanti, si trattava ancora della costrizione allucinante,
imposta da partigiani schierati in un cortile, in orrenda coreografia, con la
pretesa di farsi baciare i loro membri «penduli, flosci, colore della
vinaccia» da ausiliarie e donne fasciste, o ritenute tali, costrette a
schierarsi di fronte a loro in ginocchio.
La nostra
ausiliaria, spezzata nel fisico, ma immarcescibile nell’animo, ci sputò sopra. E
fu subito presa ferocemente a calci, rotolata per terra a calci, fino a perdere
misericordiosamente i sensi, mentre gli “eroi” continuavano ad accanirsi
contro quel mucchietto di cenci inanimato.
Ostilità
assoluta.
Ci hanno
spiegato, infatti, che l’ostilità dei comunisti e degli altri utili e feroci
idioti, poteva finire esclusivamente con lo sterminio. E quando non si riuscì
con lo sterminio fisico, si tentò con lo sterminio morale.
E sterminio fu, per mesi e
mesi.
I giovanissimi sottotenenti dell’esercito
repubblicano Gino Lorenzi e Walter Tafani furono crocifissi a Mignagola (TV) e a Cavazze (MO), e tanti altri furono
crocifissi in Romagna ai portoni delle stalle; in Liguria invece, spinsero la
ferocia fino a gettare fascisti ancora vivi nei forni del pane o in enormi caldaie di acqua bollente e negli
alti forni, forse ispirandosi ai più feroci episodi della rivoluzione
bolscevica o agli orrendi supplizi delle persecuzioni ai martiri cristiani.
E non mancarono i roghi, come avvenne,
pure eccezionalmente fuori dell’area più interessata dalle stragi, a Francavilla
Fontana (Brindisi), dove l’otto maggio del 1945 vennero gettati, ancora
vivi sul rogo preparato nella piazza
principale del paese i due fratelli Chionna soltanto perché di fede
fascista.
Vennero commemorati nel 1946,
nel primo numero del periodico fascista clandestino Alba di riscossa, edito a
Cisternino (BR).[5]
In provincia di Ferrara la famigerata
banda di Portoverrara nel maggio 1945 assassinò tre uomini dopo averli evirati,
aver loro strappate le unghie, i denti e spezzata la spina dorsale; un branco di
megere linciò un uomo a Quartesana strappandogli gli occhi. Ma bisogna
riconoscere obiettivamente che la banda di Portoverrara non era neanche una
delle più feroci.
A Medolla (MO) il grande invalido di
guerra Weiner Marchi, costretto in una carrozzella, il 29 aprile, venne seviziato vigliaccamente e poi, ferito
e sanguinante, fu gettato, ancora vivo, in pasto alle scrofe affamate in un
recinto; ma furono più feroci gli uomini delle
bestie che lo straziarono per
cibarsene.
E avvenne anche in altri posti, come a
Grosseto, dove la Vedova e le figlie, bambine, del fascista Faenzi peregrinarono
per anni per scoprire dov’era stato sepolto il loro congiunto, ucciso dai
partigiani, incontrando un muro di ostilità, diffidenza e omertà fin nei più
sperduti poderi, finché non riuscirono a scoprire che il corpo del Martire era
stato lasciato divorare dai porci.
A Modena il 27 aprile Rosalia Bertacchi
Paltrinieri, segretaria del Fascio femminile e la fascista Jolanda Pignati
furono violentate di fronte ai rispettivi mariti e figli. Quindi condotte vicino
al cimitero furono sepolte vive.
Questo
era il clima della “Rossa
Primavera”.
Dopo oltre
cinquant’anni i Santoro, i Biagi e la “ridondante” schiera dei pennivendoli
allineati nel politically correct, continuano il coro degli osanna,
insensibili ad ogni resipiscenza. Vergogna!
Il Papa ha
chiesto scusa ai mussulmani per le violenze commesse dai
crociati.
Un capo di
stato tedesco è venuto in Italia a chiedere scusa per la strage di Marzabotto
(che pure era stata una rappresaglia contenuta nei limiti delle leggi di guerra,
e coscientemente provocata dai partigiani, che non ritennero di impegnarsi poi
nella difesa della popolazione inerme).
Quando
accadrà che un capo di stato italiano chieda scusa agli italiani per le stragi
della “rossa primavera” e per l’ignominia che ne è ricaduta su tutto il
popolo?
Francesco
Fatica
[1] Vedi Giorgio
Pisanò su Gente anni 1959-1960, 18
puntate illustrate da 400 fotografie, poi raccolte nel volume Il vero volto della guerra civile,
Rusconi, Milano, 1961; sempre di G. Pisanò, Sangue chiama sangue (Edizioni FPE,
Milano1962 e successive edizioni) e ancora Storia della guerra civile in Italia
1943-1945 (CEN, Roma, 1965); Gli
ultimi in grigioverde (CDL Edizioni, Milano, 1968); Il triangolo della morte (1992) e ancora
Antonio Serena I giorni di Caino,
Panda, Padova, 1990 e Gianni Oliva La
resa dei conti, Mondadori, Milano 1999; Enrico Accolla, Lotta su tre
fronti. Introduzione alla Storia della Repubblica Sociale Italiana, Greco
& Greco Editori, Milano, 1992.
Si
vedano anche i periodici: Nuovo fronte
e L'ultima crociata, dell'Ass.ne
naz.le famiglie dei Caduti e Dispersi della RSI.
[2] Giorgio Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Laterza,
Bari, 1966, pp.165-166.
[3] N. Matteucci, voce
"resistenza", del Dizionario di politica
diretto da Bobbio, Matteucci e Pasquino, Milano, 1991, in Storia del XX secolo, n. 56, febbraio
2000, citato da M. Ingrassia "La crisi
italiana del '43 e il fascismo clandestino."
[4] Ulderico Munzi, Donne di Salò, Sperling & Kupfer,
Milano, 1999, pp. 155-157.
[5] Lettera di Quirico Punzi all’estensore in
data 29.03.2001.
Nessun commento:
Posta un commento