Perché lo Stato dei Borbone veniva chiamato Regno delle «Due Sicilie»
La notte di Natale dell’a.D. 1130, nella cattedrale di Palermo, Ruggero II d’Altavilla, detto il Normanno, venne incoronato «Re di Sicilia». Questa incoronazione, riconosciuta dall’antipapa Anacleto II e, successivamente (25 luglio 1139), anche dal papa Innocenzo II, costituì, unitamente alla Bolla pontificia del 27 settembre 1130, l’atto politico ufficiale della creazione di uno Stato unitario, denominato «Regnum Siciliae», che comprendeva i territori della Sicilia e di tutta l’Italia meridionale, sino ai confini settentrionali con il Ducato di Spoleto e con lo Stato Pontificio.Il Regno, infatti, era composto dalle attuali regioni dell’Abruzzo, del Molise, della Campania, della Puglia, della Basilicata, della Calabria e della Sicilia, oltre che da gran parte dell’odierno Lazio meridionale (distretti di Sora e Gaeta) ed dall’area orientale dell’attuale provincia di Rieti (distretto di Cittaducale). Al reame apparteneva anche, incluso amministrativamente nella provincia di Capitanata, l’arcipelago di Pelagosa, oggi parte della Croazia. Le città di Benevento (oggi in Campania) e Pontecorvo (oggi nel Lazio) erano invece delle enclavi pontificie.
Si trattò del «primo modello di Stato moderno in Europa», e lo storico Vittorio Glejeses individua, proprio nella dominazione normanna l’origine di «un Regno che, tranne una breve parentesi repubblicana, vivrà fino alla venuta del dittatore Garibaldi e, quindi, per oltre sette secoli». I suoi confini rimarranno infatti immutati per ben 730 anni.
Al momento della sua istituzione, la capitale fu fissata in Palermo, ma già l’anno successivo fu spostata a Napoli. Tuttavia, Palermo, almeno formalmente, conservò la dignità di capitale, essendo considerata, appunto, «città capitale» dell’isola di Sicilia.
Sin dalle sue origini, quindi, il Regno di Sicilia individuava tutta l’Italia meridionale, mentre il toponimo «Due Sicilie» (in latino «Utriusque Siciliae») è una denominazione storico-politica, acquisita successivamente ed individuabile soprattutto sulla base di marcati aspetti di comunanza socio-culturale. Allorquando, papa Clemente IV incoronò re Carlo I d’Angiò, chiamò sia quello dell’Isola che il Regno di Napoli con un solo nome, specificando comunque che il nobile francese era stato investito quale «Rex utriusque Siciliae, citra et ultra Pharum», vale a dire «Re delle Due Sicilie, al di qua ed al di là del Faro», distinguendo quindi le parti continentale ed insulare di uno Stato comunque unitario. Sebbene non ufficiale e giuridicamente decretata – cosa questa che avverrà in distinti tempi successivi – tale denominazione risalirebbe ai «Pontefici romani, i quali cominciarono ad introdurre che il Regno di Napoli si chiamasse Sicilia».
I termini «citra» (al di qua) ed «ultra» (al di là) si riferiscono alla posizione dei relativi territori rispetto al «Farum», cioè il Faro di Messina. Ciò si perpetuerà nei secoli, tanto che, anche durante la dominazione dei Borbone delle Due Sicilie (1734-1861), nei documenti, verrà comunemente fatto riferimento ai «dominii al di qua e al di là del Faro».
L’iniziale unità politico-geografica del Regno di Sicilia, così come costituito sotto lo scettro di Ruggero II e comprendente i territori dell’antico Stato normanno-svevo, durerà solamente 152 anni, poiché la sanguinosa rivoluzione del 31 marzo 1282, nota con il nome di «Vespri Siciliani», portò al distacco dell’Isola dall’Italia meridionale continentale. Nacquero, in tal modo, due entità statali distinte ed autonome: il «Regnum Siciliae citra», o Regno di Napoli (territorio peninsulare) ed il «Regnum Siciliae ultra», o Regno di Trinacria (territorio insulare). Questa separazione si protrarrà fino al 1442. Durante questi 160 anni, mentre il Regno di Napoli fu governato da Sovrani appartenenti alla casa d’Angiò (a cominciare da Carlo I), il Regno di Sicilia (o di Trinacria) ebbe Re della casa d’Aragona (a cominciare da Pietro III). Nel 1442, Alfonso I d’Aragona, detto il Magnanimo, conquistò anche il Napoletano, ricongiungendo le due unità statali attraverso una «unione personale». Si ebbe nuovamente un Regno unito di Napoli e di Sicilia sotto la dinastia Aragonese. Il titolo ufficiale era di «Re delle Sicilie di qua e di là del Faro», ma comunemente la monarchia fu detta di Napoli, quantunque i due governi fossero separati. Tuttavia, dopo un breve periodo, i due Regni tornarono ad essere nuovamente indipendenti, uno con capitale Napoli, l’altro con capitale Palermo. Alla morte di Alfonso I, infatti, sui due troni salirono due regnanti diversi e le due corone vissero alterne vicende in cui si inserirono anche i tentativi dei re francesi di occupare il Regno di Napoli, rivendicandone il diritto d’annessione. Ma, mentre Carlo VIII fallì nell’impresa, Luigi XII riuscì a cingere, dal 1501 al 1503, la corona di «rex Neapolis». Nel 1503 il Re di Sicilia Ferdinando II d’Aragona, detto il Cattolico, sconfisse le truppe francesi (battaglia del Garigliano) scacciandole dall’Italia meridionale ed unificò nuovamente il Sud peninsulare con l’Isola. Il medesimo, tuttavia, considerando i nuovi territori acquisiti una sua eredità legittima, unì i titoli regi di Sicilia e di Napoli nella corona d’Aragona, istituendo a Napoli e Palermo due vicereami distinti.
Alla morte di Ferdinando il Cattolico, avvenuta nel 1516, il re di Spagna, Carlo I d’Asburgo (che nel 1520 diverrà anche Imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Carlo V), unì alla corona iberica quelle di Sicilia e di Napoli. Per 200 anni, quindi, la Sicilia fu retta dai «viceré di Sicilia» ed i domini peninsulari dai «viceré di Napoli».
Il 7 luglio 1707, l’esercito austriaco entrò in Napoli senza spargimento di sangue ed il Regno restò sottomesso all’Impero fino al 1734, anno in cui verrà liberato da Carlo di Borbone.
Dopo la guerra di successione spagnola, in forza del trattato di Utrecht (1713), mentre Vittorio Amedeo II di Savoia ricevette la Sicilia e, con essa, il titolo di Re, l’imperatore del Sacro Romano Impero Carlo VI d’Asburgo ebbe pieno titolo sul Regno di Napoli. Sette anni dopo, con il trattato dell’Aia (1720), Carlo VI, cedendo la Sardegna ai Savoia, ottenne in cambio la Sicilia. In virtù di questi due trattati, le Due Sicilie furono riunite all’interno della Monarchia asburgica, pur rimanendo governate separatamente, ciascuna da un proprio viceré nominato da Vienna.
Nel corso della guerra di successione polacca, grazie ad una vittoriosa campagna militare, conclusasi con la battaglia di Bitonto (25 maggio 1734), la Spagna riconquistò le Due Sicilie, le quali però non furono riannesse alla corona iberica, ma cedute da Filippo V al primo figlio avuto dall’italiana Elisabetta Farnese, l’infante don Carlo, il quale fondò la dinastia dei Borbone di Napoli. Occupato il Regno di Napoli, il nuovo re adottò inizialmente il titolo di «rex Neapolis», ma dopo aver conquistato anche la Sicilia ed essere stato incoronato nella cattedrale di Palermo il 3 luglio 1735, utilizzò in tutti i suoi atti la titolatura: «Carlo per la Grazia di Dio Re delle Due Sicilie e di Gerusalemme, etc. Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro, etc. Gran Principe Ereditario di Toscana, etc.».
I due Regni, tuttavia, rimasero sempre distinti, quantunque uniti sotto la persona di un unico sovrano, ancora per 80 anni circa.
Dopo la parentesi napoleonica, in seguito al Congresso di Vienna (1815) ed al Trattato di Casalanza, il sovrano Borbone, che prima di allora assumeva in sé la corona napoletana (al di qua del Faro) come Ferdinando IV e quella siciliana (al di là del Faro) come Ferdinando III, revocò la costituzione siciliana del 1812 (che teneva giuridicamente separati i due Stati) e riunì in un’unica entità statuale i territori dei due Regni, proclamandosi quindi Re, con il nome di Ferdinando I, del Regno delle Due Sicilie (Regni utriusque Siciliae Rex); questo titolo venne ufficialmente assunto con la «Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie» dell’8 dicembre 1816.
Tuttavia, per un’evidente continuità fra le diverse entità statali, nella trattazione storica del Regno delle Due Sicilie, si suole comunque inserire tutto il periodo di sovranità borbonica sui regni di Napoli e Sicilia, a partire quindi dal 1734.
La principale suddivisione del Regno (sebbene non avesse carattere amministrativo) rimase sempre quella fra la parte continentale, i «Reali Dominii al di qua del Faro», e la Sicilia, i «Reali Dominii al di là del Faro», con riferimento al Faro di Messina. Tuttavia, alcuni atlanti storici di autorevoli editori indicano l’opposto, ovvero la Sicilia come dominio al di qua del faro, dimostrando così l’ufficiosità dell’uso di questi termini fino al regno di Carlo di Borbone. In questa sede, ci si è attenuti alla versione desunta dagli «Atti ufficiali, Leggi e Decreti» del periodo borbonico, contenuti nella «Collezione delle Leggi e de’ Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie», in particolare quella dell’anno 1852, semestre II da luglio a tutto dicembre.
Sotto il profilo prettamente amministrativo, invece, il Regno era suddiviso in 22 province, di cui 15 nella Sicilia citeriore (Regno di Napoli) e 7 nella Sicilia ulteriore (Regno di Trinacria). Le province, a loro volta, erano suddivise in distretti (unità amministrative di secondo livello) e circondari (unità amministrative di terzo livello).
– I Reali Dominii al di qua del Faro comprendevano le seguenti province:
– I Provincia di Napoli (capoluogo: Napoli)– II Terra di Lavoro (capoluogo: Caserta, fino al 1818 Capua)
– III Principato Citra (capoluogo: Salerno)
– IV Principato Ultra (capoluogo: Avellino)
– V Basilicata (capoluogo: Potenza)
– VI Capitanata (capoluogo: Foggia)
– VII Terra di Bari (capoluogo: Bari)
– VIII Terra d’Otranto (capoluogo: Lecce)
– IX Calabria Citeriore (capoluogo: Cosenza)
– X Calabria Ulteriore Prima (capoluogo: Reggio)
– XI Calabria Ulteriore Seconda (capoluogo: Catanzaro)
– XII Contado del Molise (capoluogo: Campobasso)
– XIII Abruzzo Citeriore (capoluogo: Chieti)
– XIV Abruzzo Ulteriore Primo (capoluogo: Teramo)
– XV Abruzzo Ulteriore Secondo (capoluogo: Aquila)
I Reali Dominii al di là del Faro comprendevano le seguenti province:
– XVI Provincia di Palermo (capoluogo: Palermo)– XVII Provincia di Messina (capoluogo: Messina)
– XVIII Provincia di Catania (capoluogo: Catania)
– XIX Provincia di Girgenti (capoluogo: Girgenti, oggi chiamata Agrigento)
– XX Provincia di Noto (capoluogo: Noto, fino al 1837 Siracusa)
– XXI Provincia di Trapani (capoluogo: Trapani)
– XXII Provincia di Caltanissetta (capoluogo: Caltanissetta)
Al re Ferdinando I di Borbone si deve anche la definizione, con il decreto del 21 dicembre 1816, del composito Stemma araldico-dinastico che appariva, non solo sulla candida Bandiera, ma anche sulle monete, sui bolli e sigilli, sui documenti ufficiali, sugli edifici pubblici del Regno delle Due Sicilie. È lo Stemma che sopravvive fino ai nostri giorni, il cui disegno originale si trova riprodotto presso l’Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, Inventario sommario (Vol. I, Roma, 1961, Tavola 1). Esso racchiude, in un continuum storico, l’araldica di tutte le Dinastie che hanno governato il Sud d’Italia fino ai Borbone (il cui stemma gentilizio – costituito da uno scudo con tre Gigli d’oro in posizione 2-1 in campo d’azzurro, bordato di rosso – prende posto al centro della composizione) ed è la testimonianza di oltre sette secoli di storia non provinciale, ma europea, mediterranea ed ultraoceanica. Questa storia, con gli ultimi Borbone, è la vicenda di un regno indipendente, pacifico e civile, che, pur tra mille insidie e tradimenti, prende il suo posto di lotta contro la sovversione generale e si schiera a difesa, soffocato però da un’Europa che ha smarrito, tra rivoluzioni e tirannidi, ogni regola di diritto delle genti.
Il compianto Gabriele Marzocco, giustamente, ha affermato che «Il nostro stemma rappresentava, anzi rappresenta l’identità e l’indipendenza delle genti del Sud, alle quali non tutti hanno rinunciato per sempre».
Il Regno delle Due Sicilie, come Stato sovrano dell’Europa meridionale, cessò di esistere il 13 febbraio 1861 e, con l’unificazione d’Italia, la furia iconoclastica del regime sabaudo si abbatté su tutto quanto costituisse testimonianza dei Borbone, ivi naturalmente compresi i loro stemmi, che furono scalpellati e divelti dagli edifici pubblici. Solamente nella seconda metà del XX secolo, per iniziativa di sovrintendenti, sindaci e privati cittadini, si è recuperato e messo in onore qualche reperto dell’antica Dinastia. Il compianto Silvio Vitale ebbe a riferire ed osservare che «nel 1980, nell’ambito di una rivalutazione complessiva del periodo borbonico, si procedette anche al restauro del più antico teatro lirico del mondo, il San Carlo di Napoli, costruito nel 1737, quarantuno anni prima della Scala di Milano. Sul maestoso arco scenico comparvero allora, nell’emblema che si trova al centro, alcune crepe al dipinto della Croce dei Savoia. A di sotto fu intravisto intatto lo Stemma borbonico. La sovrintendenza decise di riportare completamente in luce l’antico emblema araldico, che ora trionfa al centro dell’arco. I restauratori non si accorsero però che lo stemma era circondato dal Collare della Santissima Annunziata, famosa onorificenza savoiarda, che lasciarono intatta. Quel collare, del tutto estraneo alle Due Sicilie, per una negligenza forse involontaria, sembra simboleggiare il “cappio” che, con la forzata unificazione, fu messo al collo di un popolo sopraffatto».
Ubaldo Sterlicchio
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