martedì 8 novembre 2016

La volpe e lo sciacallo


di Vincenzo Vinciguerra
Giulio Andreotti amava dire che le “vecchie volpi finiscono in pellicceria”, senza immaginare che sarebbe toccato proprio a lui la stessa sorte.
Certo, gli è toccata in sorte una pellicceria dorata grazie all’impegno di una classe politica corrotta e di un potere mediatico asservito che lo hanno presentato come innocente quando, viceversa, era stato riconosciuto colpevole, in sede giudiziaria, di concorso esterno in associazione mafiosa ma non più condannabile per la prescrizione del reato.
Ma sempre una pellicceria era per l’individuo senza scrupoli, senza senso morale, capace di tutto pur di giungere al vertice della sua carriera politica con l’elezione a presidente della Repubblica.
Per un prete spretato come lui che aveva rappresentato gli interessi del Vaticano in Italia, il destino è stato “cinico e baro”. Era furbo Giulio Andreotti, furbissimo, ma la sicumera acquisita in tanti anni di inganni, voltafaccia e tradimenti alla fine ha tradito anche lui.
Quando inizia la fine politica di Giulio Andreotti?
Inizia un giorno di fine autunno a Venezia, il 6 dicembre 1989, quando il generale Pasquale Notarnicola, ex responsabile della Ia divisione del Sismi si presenta spontaneamente dall’allora giudice istruttore Felice Casson per raccontargli una favola, anzi un incubo che aleggia nella sede del servizio segreto militare dal 31 maggio 1972.
Ad indurre il generale Pasquale Notarnicola a compiere un passo che si rivelerà fatale per Giulio Andreotti è la pubblicazione del libro “Ergastolo per la libertà”, da me scritto nel carcere di Sollicciano a Firenze, nell’estate del 1989.
In quel libro, uscito nelle librerie nel mese di novembre del 1989, descrivo in modo piuttosto dettagliato la struttura segreta che poi diventerà nota come “Gladio” ed affermo che è ancora operante.
Tanto basta per suscitare l’allarme degli spioni italo-americani ed attirare l’attenzione di Giulio Andreotti che all’epoca dell’attentato di Peteano di Sagrado, il 31 maggio 1972, era presidente del Consiglio.
La preoccupazione nel Sismi e l’interesse di Giulio Andreotti erano giustificati dal fatto che “Gladio” era già stata scoperta da almeno due anni, dal 1988, dal giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni che era stato bloccato dall’apposizione del segreto di Stato per decisione del presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, prima, e del presidente del Consiglio Giulio Andreotti, dopo.
La conoscenza che dimostro, ancora una volta, di avere sulla struttura clandestina resuscita vecchi fantasmi, risolleva inquietanti interrogativi, si presta a nuove strumentalizzazioni.
È stato proprio Giulio Andreotti ad ordinare al direttore del Sismi, Giuseppe Santovito, iscritto alla Loggia P2, nel 1978 di agire come un ufficiale di polizia giudiziaria e far riaprire l’inchiesta sull’attentato di Peteano indicando come responsabili Carlo Cicuttini e me.
La ragione risiedeva nel fatto che doveva favorire Democrazia nazionale di Mario Tedeschi ormai in concorrenza politica ed elettorale con il Movimento sociale italiano accusando il segretario nazionale di quest’ultimo, Giorgio Almirante, di aver favorito la latitanza di Carlo Cicuttini.
L’operazione riesce fino ad un certo punto, perché all’ammiraglio Emilio Massera, iscritto alla loggia P2, ed alla sua segretissima squadra va male a Buenos Aires perché falliscono nell’intento di prendermi ed io, il 5 febbraio 1979, giungo a Parigi.
Per questa seconda strumentalizzazione, il fine di Giulio Andreotti è molto più ambizioso: indurre Francesco Cossiga a dimettersi dalla presidenza della Repubblica collegando la sua struttura clandestina prediletta, “Gladio”, all’attentato di Peteano di Sagrado del 31 maggio 1972. Ed ottenere, infine, i voti del Partito comunista per essere eletto lui, Andreotti, presidente della Repubblica.
A condurre un’istruttoria che definire grottesca è riduttivo sull’attentato di Peteano è stato Felice Casson, che ha assolto il suo compito di non far emergere praticamente nulla di pericoloso per lo Stato ed il regime contrapponendosi a me, all’ “imputato principale” per togliergli ogni credibilità.
Felice Casson se ne vanterà il 15 aprile 1985, durante la seduta segreta della commissione Bianco, a Roma, affermando:
“Non credo ad una sola parola di quello che dice, meno che alla sua personale responsabilità” nell’attentato di Peteano.
Il generale Pasquale Notarnicola sa perfettamente che il giudice istruttore Carlo Mastelloni ha scoperto “Gladio” ma non va da lui perché sa che non è disponibile ai giochi politici, che è una persona onesta ed un magistrato impeccabile.
Notarnicola va da Felice Casson al quale racconta che l’ammiraglio Fulvio Martini, tempo prima, gli aveva raccontato di sapere chi era il responsabile dell’attentato di Peteano e che, all’epoca, aveva fatto spostare un “Nasco” per impedire ai magistrati che indagavano di scoprirlo.
Casson non sa nulla di “Nasco”, di strutture clandestine, perché, come abbiano visto, si vantava di non credere a nulla di quanto io dichiaravo.
Casson non ha mai indagato su niente e nessuno.
Per lui, ad ispirare l’attentato di Peteano del 31 maggio 1972 e ad organizzare i successivi depistaggi è stata la tenebrosa Loggia P2 diretta dal “fascista” Licio Gelli.
Così ha scritto, nero su bianco, nella grottesca ordinanza depositata il 4 agosto 1986.
Il suggerimento del generale Pasquale Notarnicola di indagare sulla struttura clandestina e sul conto dell’ammiraglio Fulvio Martini (verso il quale l’ufficiale ha probabilmente del rancore personale), spalanca a Felice Casson la porta del Paradiso ricoperto da migliaia di interviste giornalistiche e televisive che parlano di lui come il “grande”, “intemerato”, “eroico scopritore di tutto”, della verità che collega una struttura clandestina dello Stato, pupilla di Francesco Cossiga, ad un attentato nel quale sono morti tre carabinieri.
Il 6 dicembre 1989, per Felice Casson è un giorno di festa.
Molla la Loggia P2, e si appresta a fare un’indagine che parte dal nulla perché niente lui ha mai fatto per approfondire le mie dichiarazioni delle quali, viceversa, ha escluso, vantandosi, l’attendibilità.
Nulla, ovviamente, il Casson conosce di quanto ha scoperto il giudice istruttore Carlo Mastelloni, quindi inizia una indagine politico-giudiziaria che ha come unico ed esclusivo interlocutore il presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
l due lavorano in tandem creando un rapporto di fiducia reciproca che si basa sulla certezza che  Felice Casson, come garantisce, proverà il collegamento fra me e “Gladio” e, quindi, fra l’attentato e i “gladiatori”, e su quella che il potentissimo democristiano saprà esprimere la sua gratitudine in modo concreto.
I due si scrivono e, infine, s’incontrano. Giulio Andreotti riceve Felice Casson e, dopo il colloquio, decide che è venuto il momento di mandarlo a “scoprire” la struttura clandestina e a trovare i documenti che proveranno in maniera inoppugnabile il collegamento fra me e “Gladio”.
La malafede e la disonestà di Giulio Andreotti sono palesi perché per “scoprire” Gladio bastava togliere il segreto di Stato imposto al giudice istruttore Carlo Mastelloni e fargli concludere l’inchiesta.
Se rivelare l’esistenza di una struttura clandestina che, dopo la caduta del muro di Berlino, appariva superata e inutile poteva garantirgli la gratitudine del Pci, non assicurava a Giulio Andreotti che avrebbe fatto saltare i nervi all’iracondo Francesco Cossiga, obbligandolo a dare le dimissioni.
Questo risultato, Giulio Andreotti poteva ottenerlo collegando la struttura prediletta di Cossiga alla morte dei tre carabinieri a Peteano.
Un risultato che Giulio Andreotti considerava certo sulla base delle assicurazioni fornitogli da Felice Casson.
Per questo motivo, dopo aver ascoltato personalmente il Casson, Giulio Andreotti rompe gli indugi ed agisce: mantiene bloccato il giudice Carlo Mastelloni mantenendo il segreto di Stato e, contestualmente, lo viola inviando Felice Casson a Forte Braschi con l’incarico di farsi consegnare la documentazione relativa alla struttura clandestina.
Furbo, Giulio Andreotti, anzi furbissimo.
Ma non troppo, perché a perderci tutto sarà lui e il solo a guadagnarci immeritata fama sarà Felice Casson.
Tutti si sono chiesti perché Giulio Andreotti la relazione sulla struttura clandestina “Gladio” l’ha inviata alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi e non al Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, come logica avrebbe voluto.
La risposta l’abbiamo data: perché è certo che Felice Casson riuscirà a provare l’esistenza del collegamento fra Gladio e l’attentato di Peteano, fra Gladio e me.
Per la prima volta, la “volpe” Giulio Andreotti si è fidata dell’uomo sbagliato.
Felice Casson non può provare nulla perché mai è esistito un collegamento fra me e Gladio, fra l’attentato di Peteano ed una struttura occulta dello Stato.
In sei mesi di corrispondenza e dialogo con la sola presidenza del Consiglio (non c’è traccia di indagini degne di questo nome condotte dal Felice Casson nel periodo 6 dicembre 1989 - 27 luglio 1990), il Casson non poteva scoprire un bel niente.
Dopo aver negato per cinque anni l’esistenza di una struttura clandestina dello Stato che aveva preso parte attivissima alla guerra politica in funzione anticomunista, come da me affermato, la pretesa di arrivare a provare addirittura il collegamento fra me e questa struttura in sei mesi di mancate indagini è degna del personaggio Felice Casson.
Non è degno di Giulio Andreotti essere ceduto nella trappola di Felice Casson.
Da questo errore colossale e pacchiano inizia la fine politica di Giulio Andreotti.
La risposta del Sismi è micidiale e significativa.
Nel mese di agosto del 1990, l’ammiraglio Fulvio Martini, direttore del Sismi, decide di utilizzare la struttura “Gladio” per “recepire indicatori di attività illegali”.
In parole più chiare, per indagare sulla criminalità organizzata cioè mafia, ‘ndrangheta e collegate.
Il 26 febbraio 1991, Giulio Andreotti si vendicherà destituendo dall’incarico l’ammiraglio Fulvio Martini reo di aver assunto questa decisione all’insaputa del governo.
Certo, nell’estate del 1990 la decisione del direttore del Sismi di impiegare la struttura clandestina Gladio contro la mafia e associazioni consimili non poteva essere considerata una risposta ed una minaccia a Giulio Andreotti che, per i propri fini personali, aveva utilizzato Felice Casson per rendere di pubblico dominio l’esistenza di un organismo segreto che non aveva esaurito i propri compiti con il crollo dell’impero sovietico, ma dopo la sentenza che ha provato l’esistenza dei rapporti fra l’allora presidente del Consiglio e la mafia non ci sono dubbi sulle finalità del servizio segreto militare.
Le confermano anche la rabbiosa reazione di Giulio Andreotti che destituisce l’ammiraglio Fulvio Martini quando apprende che ha ordinato agli uomini di Gladio di indagare sui suoi compari mafiosi.
Il servizio segreto è stato sempre di supporto alla mafia, e Andreotti non può permettere che ora, per vendetta, si volga contro l’organizzazione di cui lui è ancora, all’epoca, il “padrino”.
Si mette in moto, quindi, in maniera inavvertita il meccanismo che segnerà la fine del rappresentante del Vaticano in Italia e della mafia a Roma.
Per Giulio Andreotti le campane suonano a morte: ha sopravvalutato la sua forza e ha riposto fiducia in Felice Casson.
Due errori imperdonabili.
Non possiamo affermarlo come un fatto provato perché non abbiamo gli elementi per farlo e a differenza degli “storici” italiani non adattiamo i fatti alle nostre ipotesi spacciandole poi per verità documentate.
Però, riteniamo lecito il sospetto che anche il ritrovamento dei documenti di Aldo Moro nell’ex covo di via Montenevoso a Milano, il 9 ottobre 1990, si possa inquadrare nella reazione degli apparati, non solo italiani, di risposta a Giulio Andreotti.
Non è credibile – non lo è mai stato – che documenti di Aldo Moro siano stati “dimenticati” dai carabinieri e dal Sid nel covo delle Br scoperto il 1° ottobre 1978 a Milano, in via Montenevoso.
È più credibile che qualcuno li abbia tirati fuori dai cassetti segreti nei quali erano stati riposti e li abbia ricollocati nello stesso appartamento di via Montenevoso e, infine, li abbia fatti “scoprire”.
E nei documenti ritrovati, per non casuale coincidenza, Aldo Moro conferma l’esistenza della “strategia della tensione” alla quale dichiara di essersi opposto.
Se nella storia della guerra civile italiana c’è un uomo politico il cui nome è stato sempre chiamato in causa per gli episodi più oscuri della “strategia della tensione” questo è proprio Giulio Andreotti.
Una coincidenza il ritrovamento di quei documenti il 9 ottobre 1990?
Crediamo proprio di no.
Chi ha vinto e chi ha perso?
La “volpe” Giulio Andreotti a partire del 1993, dopo aver perso perché ammazzato dalla mafia il fido Salvo Lima, passerà gli anni restanti della vita a difendersi in sede processuale con alterne vicende (assolto per l’omicidio Pecorelli, riconosciuto colpevole per concorso esterno in associazione mafiosa) e giornalistica, peso di quel seggio di senatore a vita che rappresentava una ben magra consolazione per chi aveva aspirato alla carica di presidente della Repubblica.
Assolto dalla politica e condannato dalla storia.
Casson Felice, dopo aver fallito per ben due volte nel tentativo di farsi eleggere sindaco di Venezia, è oggi uno sherpa senatoriale del Partito democratico.
Finiti per sempre i tempi felici in cui veniva presentato come il giudice “scopritore” di tutto, intervistato a getto continuo, esaltato e complimentato da stampa e televisione.
Figura grigia del sottobosco politico, Felice Casson passa gli anni alla ricerca di chi ancora vuole credere che ha “scoperto” la verità sull’attentato di Peteano, che ha “scoperto” la struttura Gladio, che ha “provato” il legame fra Gladio e me, e via blaterando.
Come senatore qualche opportunista servile e pavido che lo elogiato, che ha cercato di avallare le sue affermazioni, lo ho trovato ma ben poca cosa rispetto ai suoi sogni di onnipotenza.
Non è finita.
Il tempo di far conoscere a tutti chi sia Felice Casson è prossimo, in modo documentato e non smentibile, come sempre.
Per ora gli riconosciamo il merito di aver avviato la “volpe” Giulio Andreotti in pellicceria gabbandolo con la certezza che lui, il genio giudiziario, avrebbe provato il collegamento nell’attentato di Peteano di Sagrado del 31 maggio 1972 fra me e Gladio.
Le favole non diventano realtà solo per il volere di chi le inventa, neanche se ha goduto della protezione e degli appoggi del ministero degli Interni, del Partito comunista e della Loggia P2.
Ma non saranno favole quelle che racconteremo in seguito.
Opera, 10 settembre 2016

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