Con il noto discorso del 3 gennaio 1925 Benito Mussolini
si era assunto la responsabilità del delitto Matteotti e, osserva
Giorgio Galli, «questa assunzione di responsabilità fu, da allora,
interpretata come un’ammissione di colpevolezza per l’assassinio di
Matteotti». Attorno a questa interpretazione ruotano ancora oggi le
principali ipotesi storiografiche tutte incentrate sulla vendetta
politica e sul complotto affaristico ma tutte decontestualizzate dalla
situazione politica del tempo. Novant’anni dopo è però possibile
ricomprendere il delitto Matteotti calando la drammatica vicenda nel
contesto storico e politico in cui essa maturò a cominciare dalle famose
elezioni del 1924.
Alle elezioni del 6 aprile 1924 i partiti della
sinistra avevano conseguito un notevole risultato, tenuto conto del
nuovo sistema elettorale e delle violenze che avevano colpito la
campagna per il voto. I socialisti unitari di Giacomo Matteotti avevano
ottenuto ventiquattro seggi, ventidue i socialisti massimalisti,
diciannove i comunisti, sette i repubblicani. Il voto complessivo
conseguito dai partiti della sinistra segnava la sconfitta di Mussolini e
del suo tentativo di "fascistizzare" le masse operaie e contadine; il
risultato elettorale fascista, nonostante le lusinghe di Mussolini ai
lavoratori, era decisamente sbilanciato a destra verso i datori di
lavoro, gli agrari e gli industriali.
Matteotti aveva vinto a sinistra,
Mussolini aveva trionfato a destra; ma entrambi avevano adesso un
problema. Mussolini intendeva sganciarsi dalla destra economica;
Matteotti intendeva bloccare la concorrenza a sinistra dei comunisti
che, peraltro, insieme ai massimalisti di Giacinto Menotti Serrati
potevano contare una forza parlamentare che raddoppiava quella dei
socialisti unitari. Il governo Mussolini, con l'avallo di economisti
come Luigi Einaudi, stava orientando la sua politica economica
verso una richiesta di consistenti prestiti agli Stati Uniti d’America.
Mussolini intendeva trattare prestiti a lungo termine con finanziamenti
erogati direttamente al governo o alle aziende senza il tramite delle
banche, al fine di ricondurre l'economia nazionale al controllo politico
sottraendola così al potere bancario. Giuseppe Toepliz, amministratore delegato della potente Banca Commerciale Italiana,
insieme agli industriali gravitanti nella sua orbita e interessati agli
appalti dello Stato, erano invece decisamente contrari che i prestiti
fossero gestiti direttamente dal governo. Nel governo, il
sottosegretario al ministero degli Interni Aldo Finzi, genero del potente banchiere romano Clementi
e legato a Toeplitz, tutelava gli interessi della filiera
bancario-industriale. Per Mussolini, dunque, sganciarsi dalla destra
economica significava liberarsi dall'opposizione del sistema bancario
alla sua politica economica, ma per fare questo era necessario spostare a
sinistra L'asse del governo.
A questo punto il problema di Mussolini si aggroviglia
con quel1o di Matteotti. A sinistra, infatti, i socialisti di Matteotti
avevano dimostrato durante la campagna elettorale un certo vitalismo,
riuscendo a intercettare il voto anche del ceto medio specie nel
settentrione. Analizzando questo dato e ponendolo in relazione al
diniego del PSU di aggregarsi al proposto alla vigilia delle elezioni dai comunisti e respinto da Matteotti, il comunista Palmiro Togliatti affermava
che .
L'accusa di filofascismo formulata da Togliatti metteva
in difficoltà il partito di Matteotti nella competizione con i
comunisti e i massimalisti e di fronte al proletariato italiano.
Matteotti doveva reagire. E lo fece con il famoso discorso del 30 maggio 1924
con il quale chiese I' invalidamento delle elezioni accusando i
fascisti di violenze e brogli elettorali. Quel discorso - ha scritto De
Felice - intendeva dimostrare <. E' in questo brano il vero significato politico
dell'intero discorso. Matteotti, infatti, realisticamente non chiede le
dimissioni del governo bensì si appella a esso sfidandolo a ristabilire
l’autorità dello Stato e a salvare la ragione morale della Nazione.
Mussolini accetta la sfida e replica a Matteotti con il noto discorso del 7 giugno 1924 nel quale, dopo una formale difesa d'ufficio dello squadrismo, si rivolge direttamente ai socialisti unitari affermando:
"non si può rimanere sempre estranei; qualche cosa, bene o male, bisogna dire o fare, una collaborazione positiva o negativa deve esserci (...) E' un quesito che pongo alla vostra coscienza; voi lo risolverete; non tocca a me risolverlo".
Questo è il momento culminante dell'intera vicenda. Le intenzioni di
Mussolini di proseguire nella ricerca della collaborazione con i
socialisti unitari anche nel 1924 sono state ricostruite da Renzo De Felice
nella sua biografia del capo del Fascismo. Ovviamente le intenzioni di
Mussolini erano state intercettate da quei settori interni al Fascismo
legati al mondo finanziario e ostili alla collaborazione tra il governo e
i socialisti unitari. Si tratta degli stessi settori che avevano
tentato di sabotare nei primi del 1924 il riconoscimento della Russia
bolscevica da parte dell'Italia, ratificato da Mussolini il z febbraio;
tentativi falliti perché smascherati dal deputato comunista Nicola
Bombacci il quale, documenta Petacco, li denunciò in aula intervenendo a
favore del riconoscimento e del trattato commerciale con la Russia che -
disse - avrebbero contribuito a . E'
questo un elemento da tenere in considerazione nel contesto politico
della vicenda: nel :-9z4le relazioni con la Russia consentivano a
Mussolini di non impensierirsi più di tanto per i comunisti italiani i
quali, semmai, insieme ai socialisti massimalisti, potevano costituire
un problema per i socialisti unitari se avessero accettato la
collaborazione col governo. Ma quale atteggiamento avrebbero assunto i
comunisti, i massimalisti e il proletariato italiano se questa
collaborazione fosse nata in seguito ad un radicale mutamento di tutta
la politica mussoliniana determinata da una clamorosa azione politica
provocata dai socialisti unitari? Ecco un ipotesi che non è mai stata
considerata dalla storiografia: cosa sarebbe accaduto se Matteotti, che
già il 3o maggio aveva sfidato il governo a ristabilire I 'autorità
dello Stato, avesse lir giugno denunciato al governo il coinvolgimento
di settori identificati del Fascismo e dello Stato in un losco traffico
di corruzione? Si sarebbe inevitabilmente creata una situazione
d'emergenza. A quel punto il governo sarebbe stato costretto a
intervenire chiedendo la collaborazione straordinaria di quelle
personalità e di quelle forze che avevano contribuito a smascherare i
corrotti all'interno del Fascismo e dello Stato. La collaborazione tra
Matteotti e Mussolini, determinata così da una situazione emergenziale,
sarebbe stata allora giustificata di fronte all’opinione pubblica
nazionale e internazionale, davanti al proletariato e in faccia ai
comunisti, ai massimalisti,'ai fascisti e agli antifascisti che
sarebbero stati costretti a valutare il fatto nuovo e a prendere una
posizione.
Tutto questo presuppone una questione che la
storiografia non ha mai osato affrontare: Matteotti e Mussolini potevano
organizzare insieme il determinarsi di una situazione d'emergenza che
avesse giustificato la loro collaborazione al governo della Nazione?
C'è da considerare, innanzitutto, su quali elementi storici dovrebbe
reggersi tale nuova questione.
Il primo elemento è costituito dal rapporto politico tra i due
protagonisti: Matteotti e Mussolini. Sul numero di gennaio di questa
rivista (vedi n. 99) si è già visto che i due uomini politici avevano alle
spalle una comune militanza socialista segnata da divergenze pratiche ma
da convergenze teoriche e che pur schierati su fronti avversi, avevano
collaborato nei momenti straordinari della storia del Socialismo
italiano; i due ex compagni, carissimi nemici, avrebbero potuto
certamente ritrovarsi ancora una volta insieme di fronte ad una
straordinaria emergenza che riguardava la Nazione.
Il secondo elemento è rappresentato dalla politica di collaborazione
perseguita da Mussolini tra il 1922 e il 1924 e avversata da Matteotti.
Nel 1924, però, il quadro politico che faceva da sfondo era cambiato rispetto al t9zz. Mussolini adesso era presidente del Consiglio con una maggioranza ampia e che, grazie al sistema maggioritario, si estendeva ben oltre i confini del suo partito.
Alla Camera e al Senato c'era un’opposizione costituzionale che sovente collaborava con il governo. Matteotti, in quanto segretario del maggior partito della sinistra, era il nuovo Leader della minoranza. Matteotti però, avverte Mimmo Franzinelli, adesso era anche un uomo solo:; una
condizione rilevata anche da Mauro Canali il quale ha osservato che
l'avversione alla collaborazione (. Lo stato d'animo in cui si trovava il deputato
socialista in quel frangente, mai tenuto in considerazione dalla
storiografia, non può non avere influito nelle sue riflessioni sulla
situazione politica personale e complessiva. E' possibile che un uomo
politico come Matteotti, nelle condizioni anche intime in cui si trovava
dentro e fuori il suo partito, non abbia tenuto conto di tutte le
possibili soluzioni tese a superare il suo isolamento e a definire I
'assetto politico italiano compreso la scelta della collaborazione, nel
1924 ancora circolante all'interno del suo partito e del sindacalismo
confederale?
Nel 1924, però, il quadro politico che faceva da sfondo era cambiato rispetto al t9zz. Mussolini adesso era presidente del Consiglio con una maggioranza ampia e che, grazie al sistema maggioritario, si estendeva ben oltre i confini del suo partito.
Alla Camera e al Senato c'era un’opposizione costituzionale che sovente collaborava con il governo. Matteotti, in quanto segretario del maggior partito della sinistra, era il nuovo Leader della minoranza. Matteotti però, avverte Mimmo Franzinelli, adesso era anche un uomo solo:
Il terzo elemento
riguarda la natura del delitto e si ricava dalla trama stessa
dell'intera vicenda così com'è stata ricostruita dagli atti processuali e
dalla storiografia: il delitto fu politico, ispirato dalla vendetta e
dettato dall'esigenza di bloccare la denuncia di un colossale scandalo
affaristico che coinvolgeva una parte del mondo politico e di quello
finanziario. E' pero necessario riesaminare la natura del crimine da una
prospettiva diversa da quella in cui fin qui è stata osservata. Il
delitto fu politico ma non va collocato nell'ambito del conflitto tra
Fascismo e Antifascismo bensì nel più ampio contesto della lotta
combattuta in quel momento tra quelle forze politiche ed economiche che
auspicavano un radicale mutamento della scena politica nazionale, e
quelle che invece intendevano lasciare immutato lo scenario italiano; e
questi due schieramenti erano trasversali al Fascismo e
all’Antifascismo. Il delitto fu ispirato dalla vendetta ma non del
fascista Mussolini contro l'antifascista Matteotti bensì dalla vendetta
dei gruppi fascisti contrari alla svolta, contro lo stesso Mussolini che
quella svolta intendeva praticare. Erano gli stessi gruppi che nel 1922
avevano sequestrato il repubblicano Torquato Nanni,
amico di Mussolini e di autorevoli esponenti socialisti, per eliminare,
spiega De Felice, nello
stesso momento in cui erano in corso le trattative per una
collaborazione dei socialisti con il governo nato dalla marcia su Roma.
Del resto, se nel caso della morte di Piero Gobetti per esempio, ,
esiste una prova documentale della responsabilità di Mussolini, che
consiste nel telegramma da questo inviato al prefetto di Torino per
rendere all'intellettuale liberale, nel caso
di Matteotti non esiste alcuna prova concreta né di un eventuale ordine
scritto né di un eventuale ordine a voce. Le frasi incriminate
attribuite a Mussolini dagli atti processuali e dalla storiografia
provengono dai memoriali di alcuni imputati ma i memoriali, come
insegnava Marc Bloch, non costituiscono una fonte storica attendibile.
Il delitto fu dettato quindi dalla necessità di impedire a Matteotti di
rivelare i loschi affari di quella che è stata definita . Anche qui è stato chiamato in causa Benito Mussolini e
addirittura il fratello Arnaldo, arruolati tra i mandanti sulla base dei
soliti memoriali e di tutta una serie di congetture a cominciare dalle
presunte tangenti che sarebbero state intascate dai fratelli Mussolini.
Tuttavia, a oggi, non esiste una prova concreta del coinvolgimento dei
fratelli Mussolini nel malaffare che intendeva svelare Matteotti. Lo
stesso deputato socialista, del resto, né per iscritto né a voce ha mai
potuto rivelare i nomi dei corrotti, mentre ha anticipato e indicato I
'identità del corruttore nella compagnia petrolifera americana Sinclair Oll.
Che e i fratelli Mussolini fossero
sovvenzionati, è stato storiograficamente accertato e documentato; in
proposito, però, analizzando le sovvenzioni ottenute dal giornale
fascista tra il ry24 e il 1928, Marcello Staglieno ha evidenziato che
non figura alcun finanziamento erogato o riconducibile alla Sinclair
Oil. La vicenda dei rapporti tra Mussolini e la Sinclair Oil, del resto,
mostra uno schema molto più articolato e complicato di quello adottato
dalla storiografia. Al primo punto si trova la necessità dell'Italia di
perseguire negli anni Venti una seria politica dei petroli attraverso un
altrettanto necessario approvvigionamento dall’estero per coprire il
fabbisogno nazionale. Al secondo punto compare la possibilità
alternativa del trivellamento sul territorio nazionale il cui costo è
pero stimato, in una relazione del 18 luglio 1923 presentata a Mussolini dal ministro dell’Agricoltura Giuseppe De Capitani, nella somma di 200 milioni.
Al terzo punto la proposta De Capitani s'infrange sul macigno del
deficit di bilancio dello Stato italiano. Al quarto punto compare
finalmente la Sinclair OiI, venuta fuori dai contatti tra l’ambasciatore
italiano in America Gelasio Caetani e il direttore
dell'Ufficio delle Miniere americano Forster Bain. I contatti cominciano
in America nel gennaio r9z3 e s'intensificano con il coinvolgimento di
emissari della Sinclair. Con il successivo coinvolgimento del ministro De Capitani,
i contatti mutano in vere e proprie trattative: incoraggiate dai
comunicati stampa di Cesare Rossi, il responsabile della comunicazione
della Presidenza del Consiglio, sostenute dal quotidiano di Filippo Filippelli e perorate anche dal giornalista Filippo Naldi.
E' a questo punto che entra in scena Mussolini il quale nel febbraio
1924, tanto inaspettatamente quanto energicamente, tronca ogni
trattativa con la Sinclair Oil e decide, aggiunge Staglieno, di avocare <.
Ci sono due eventi che concorrono a spiegare la decisione presa dal Capo
del governo. Il primo è costituito dal fatto che proprio nel febbraio
t924, come già scritto, Mussolini riconosce de jure l'Unione
Sovietica; e il riconoscimento segna una svolta non soltanto nella
politica estera e commerciale ma anche nella politica italiana dei
petroli. Come documenta Carlo Lozzi, infatti, nei primi
quindici mesi in cui fu in vigore il trattato, l'Italia aveva importato
dalla Russia . Il secondo si svolge proprio in occasione
della politica di avvicinamento all'Unione Sovietica, quando Mussolini
scopreun difetto negli ingranaggi della sua macchina governativa. Il
deputato comunista Bombacci, come già scritto, aveva denunciato in aula
un complotto all'interno del governo per impedire il trattato;
rivolgendosi a Mussolini, insinuo: <Lei sa, signor presidente,
che proprio la settimana scorsa a Mosca sono state presentate delle
precise condizioni per concludere il trattato? Io temo che non lo
sappia. Io temo che lei non venga informato con soverchia sollecitudine.
Io temo che l'Italia non abbia le mani libere per trattare!>.
Mussolini, scrive Petacco, avvio subito delle indagini e scoprì che i
documenti inviati da Mosca, cui accennava Bombacci, erano stati
effettivamente occultati; evidentemente, chi intendeva sabotare la
trattativa era in grado di manomettere la documentazione destinata al
Capo del governo. L’intera vicenda fornisce una chiave di lettura - fin
qui sottovalutata dalla storiografia - delle dinamiche politiche ed
economiche che si svolgono nel 1924, e cioè che la politica mussoliniana
verso la sinistra, nazionale e internazionale, era effettivamente
tenuta sotto controllo e ostacolata attraverso un'infiltrazione operante
persino all'interno di Palazzo Chigi.
Allo stato dei fatti non esiste una prova formale e
definitiva che identifichi in Benito Mussolini il mandante
dell'assassinio di Giacomo Matteotti. Che il . Se ancora oggi si è nel campo delle presunzioni e delle
ipotesi, allora è possibile presumere e ipotizzare una diversa versione
dei fatti non in contrasto con gli elementi che compongono la vicenda.
Alla luce di questa nuova prospettiva è possibile quindi ipotizzare che
le cose siano andate così: è presumibile che Mussolini abbia pensato nel
r94 di chiedere la collaborazione di Matteotti e che le carte
dell'affare Sinclair, se rese pubbliche, avrebbero potuto giustificare
davanti all’opinione pubblica la collaborazione tra i due ex compagni.
Canali scrive che Matteotti comincio a interessarsi dell'affare
Sinclair durante il suo breve viaggio segreto in Inghilterra,
nell'aprile 1924; il deputato socialista, dunque, ricavava le sue
informazioni nello stesso momento in cui I'ex socialista Mussolini e il
laburista Ramsay Macdonald, primo ministro britannico,
dialogavano per dirimere la questione dell'Oltregiuba (la striscia di
territorio fra Somalia e Kenya ceduta dagli inglesi alla colonia
italiana NdR) e del Dodecaneso: è presumibile che in tale frangente si
sia verificato un passaggio d'informazioni, se non di documentazioni,
sulla questione petrolifera italiana che interessava anche agli inglesi
(su questo punto si veda anche l'articolo successivo, alle pp. 24-35
NdR). Potrebbe sembrare impossibile una collaborazione fra Matteotti e
Mussolini nel 1924, eppure un precedente esiste e risale al febbraio
1923 quando Gregorio Nofri, del comitato centrale del PSU e amministratore del giornale del partito , avviò trattative con Sandro Giuliani,
capo redattore de (Il Popolo d'Italia> e uomo di fiducia di
Mussolini, su una possibile intesa tra il Duce e i socialisti unitari. Filippo Turati, come Mussolini era al corrente di tali contatti e, spiega De Felice,
. Quel
dettaglio sul consenso di Matteotti alle trattative, posto tra
parentesi da De Felice, rende presumibile che quei contatti, interrotti
nel 1923, fossero ripresi nella primavera del rgz4, in un contesto
politico cambiato nel quale, sulla base della questione morale, sarebbe
stato possibile raggiungere I'intesa sulla collaborazione tra Matteotti e
Mussolini.
E' presumibile anche che Velia Matteotti fosse al corrente della
collaborazione tra il marito e Mussolini e questo giustificherebbe il
suo comportamento dopo il crimine.
Velia rimase in Italia con i figli, non seguì gli antifascisti nell'esilio, e la famiglia Matteotti ricevette segretamente e costantemente da Mussolini un consistente sostegno economico. Mauro Canali ha documentato tali finanziamenti criticando il comportamento della vedova. Quelle somme, però, non servirono a pagare il silenzio di Velia Matteotti com'è stato affermato; dimostrano, semmai, che lei mai ritenne Mussolini responsabile del delitto perché probabilmente sapeva qualcosa che escludeva Mussolini da ogni responsabilità. Posto che questo straordinario fosse la collaborazione tra
Matteotti e Mussolini, e che Mussolini avrebbe ottenuto dalla
collaborazione un risultato storico sul piano nazionale e
internazionale, cosa sarebbe rimasto a Matteotti? Anch'egli avrebbe
conseguito un eccezionale risultato storico, sul piano del Socialismo
italiano e mondiale; 1o spiega lo stesso Mussolini quando dichiara,
negli anni Trenta, al giornalista Yvonne De Begnac: . Un governo formato dalla
collaborazione tra Matteotti e Mussolini e nato dalla questione morale,
mentre I’Italia era in sintonia con l'Unione Sovietica così come con la
Gran Bretagna laburista, e mentre in Francia il Socialismo vinceva le
elezioni e in Belgio si apprestava a vincerle, avrebbe consentito al
Socialismo italiano riunificato di indicare una nuova via a quello
europeo e una nuova relazione tra il Socialismo occidentale quello
orientale della Russia. Matteotti sarebbe stato l'artefice del
rinnovamento del Socialismo internazionale e colui che avrebbe costretto
il Fascismo italiano a una svolta a sinistra mentre nascevano in Europa
altri movimenti ispirati al Fascismo. Davvero, dunque, la
collaborazione con i socialisti, come sosteneva Mussolini, avrebbe
determinato una svolta storica nella politica italiana e nella politica
internazionale.
Velia rimase in Italia con i figli, non seguì gli antifascisti nell'esilio, e la famiglia Matteotti ricevette segretamente e costantemente da Mussolini un consistente sostegno economico. Mauro Canali ha documentato tali finanziamenti criticando il comportamento della vedova. Quelle somme, però, non servirono a pagare il silenzio di Velia Matteotti com'è stato affermato; dimostrano, semmai, che lei mai ritenne Mussolini responsabile del delitto perché probabilmente sapeva qualcosa che escludeva Mussolini da ogni responsabilità. Posto che questo straordinario
La mancata collaborazione tra Matteotti e Mussolini, resa possibile
dall'eliminazione del deputato socialista, creò una situazione
d'emergenza tanto straordinaria quanto quella che sarebbe stata
determinata da una possibile collaborazione. Gli esiti, naturalmente,
furono diversi e in un certo senso sciagurati per l'Italia. Turati,
leader dell' Aventino, aveva in mano dei documenti ma non li utilizzò.
E' certo, e anche inquietante, che Mussolini, a proposito di Turati,
confiderà a De Begnac: <mi ha considerato mandante del delitto Matteotti, pur conoscendo la mia assoluta estraneità a quel turpe episodio>. Nel 1934 molti di quei socialisti che dieci anni prima erano stati vicini a Matteotti e lo avevano pianto, da Caldara a Romita,
ritentarono la carta della collaborazione con Mussolini ma furono
ostacolati e respinti dai soliti ambienti fascisti e, tranne poche
eccezioni, dal fuoriuscitismo antifascista. Ci fu, tra quei socialisti
che nel 1934 chiesero la collaborazione a Mussolini, un ripensamento sui
fatti terribili del 1924?
Articolo scannerizzato dalla rivista “Storia in Rete”, n°104, del mese di Giugno, 2014.
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