venerdì 26 luglio 2013

MSI: il grande inganno


Genesi e nascita di un partito che ha disatteso gli ideali di coloro che avrebbe dovuto rappresentare, ha stravolto l’immagine del fascismo e in 50 anni di vita ha tradito indipendenza e interessi reali della nazione. 

Per gentile concessione dell'autore.


Pubblicazione non in commercio  - Ottobre 2014


INTRODUZIONE
  
       Tempo addietro, nel corso di annose ricerche sulla morte di Mussolini, avemmo modo di collaborare, attraverso email, con un importante ricercatore storico con il quale entrammo in confidenza. Questi un giorno ci pose una domanda alquanto intrigante: “ma lei, che afferma il fascismo quale una visione socialista dell’economia, distante da quella delle destre del dopoguerra, cosiddette “neofasciste”, che oltretutto ritiene anche complici dello stragismo; il fascismo potatore di una weltanschauung e di una geopolitica nazionale avversa all’Occidente, dove trova i riscontri storici a tutto questo, quando  i neofascisti hanno sempre fatto tutto il contrario”?
Domanda legittima a cui, pur rimarcando la weltanschauung del fascismo non materialista e basata sulla ineguaglianza degli esseri umani, ci sforzammo di rispondere facendo risaltare la differenza tra fascismo, destre e neofascismo e, per attestargli che queste deduzioni non erano solo parole, lo invitammo a visitare il sito della Fncrsi (ex combattenti della Repubblica Sociale Italiana), dove avrebbe potuto rendersi conto, anche tangibilmente, che i veri fascisti erano tutt’altra cosa che il MSI ed avevano espresso tutt’altra politica.
Mesi dopo avemmo modo di risentirlo e ci disse che fino ad allora non aveva  conosciuto la realtà dei fascisti della Fncrsi di cui era rimasto meravigliato e sorpreso nel costatare che si trattava di differenze sostanziali e definitive e comunque doveva riconoscere che avevamo proprio ragione e che il “neofascismo”, dal dopoguerra in avanti, era stato una contraffazione e un qualcosa di molto diverso dagli ideali, dalle politiche e dalle posizioni storiche del fascismo repubblicano testimoniato e attestato da questi ex combattenti.
Da allora ci siamo convinti che è necessario, anzi indispensabile, denunciare questa contraffazione, ristabilire la verità storica e mettere a nudo l’essenza e la pluriennale politica antifascista e anti italiana del MSI.
Con questo testo, pertanto, intendiamo produrre una testimonianza storica a contestazione di un certo “immaginario collettivo” che con superficialità e tanta malafede caratterizza il contesto politico e la credulità popolare, su cosa sia veramente stato e cosa abbia rappresentato il Movimento Sociale Italiano.
Parliamoci chiaro: a noi non interessa tanto analizzare che il MSI, oggetto di questa nostra inchiesta storica, come del resto tutti gli altri partiti politici, abbia avuto delle evoluzioni che ne hanno cambiato scopi e natura e sia poi divenuto quello che per tanti anni è stato: un partito conservatore, filoatlantico e reazionario. Cambiamenti e adattamenti che sono nella natura stessa della politica. Non è questo il punto.
Ci preme, invece, illustrare e dimostrare il “come” e il “perchè”, in realtà, nacque il MSI, partito che gli avversari e l’opinione pubblica intesero e definirono per tutti i suoi non di certo gratificanti quasi 50 anni di vita, come “neofascista”, quando non lo era affatto e i cui scopi politici erano confacenti ai più gretti interessi della conservazione, oltre che essere al servizio “dello straniero”, cioè dei nostri occupanti e colonizzatori. Si dà il caso, infatti, che già in questa genesi vi era in nuce tutta l’evoluzione che avrebbe poi dovuto realizzarsi nei termini appena accennati e fare del MSI uno dei tanti partiti antifascisti che come tale ha agito e si è comportato.
Eccetto i suoi primissimi anni di vita, dove, nonostante una nascita spuria, la partecipazione dei reduci della RSI a questo partito era preponderante, ma purtroppo non decisionale, il MSI divenne sempre più un partito di destra conservatrice oltre che filo atlantico e persino filosionista, proprio come era stato progettato ingannando i suoi militanti.
E non si tratta tanto di “tradimento” a certi ideali, che pur c’è stato, perché in politica, come accennato, adattamenti ed evoluzioni sono naturali ed inevitabili, ma nel fatto che il “grande inganno” consiste nell’aver spacciato per ciò che non era questo partito, sia all’interno, tra i suoi militanti, sia all’esterno nel quadro politico nazionale, complici gli antifascisti, con conseguenze storiche gravissime.
A noi, comunque, preme che si dia definitivamente avvio ad un processo di revisione storica e chiarezza politica affinché sia a tutti evidente che quel partito, il MSI, che ad uso e consumo di una base ingenua, sprovveduta, ma anche ideologicamente inquinata, a cui per un lungo periodo e al fine di spillare voti, si faceva credere di essere il continuatore degli ideali del fascismo e del pari ai suoi avversari, gli antifascisti, faceva altrettanto comodo spacciarlo come tale, visto che la presenza, le idee, le azioni e le politiche missiste si adattavano perfettamente alla identificazione di un fascismo repellente e da operetta,  proprio come disegnato dalla loro propaganda, sia a tutti evidente, dicevamo, di essere in presenza di un grande inganno, di una mistificazione storica e politica.
       Due parole sul nostro “metodo” di indagine storiografica.
La nostra ricostruzione storica e il metodo “indagativo” con la quale l’abbiamo elaborata, non devono essere intesi sotto l’aspetto del “complottismo”, del “cospirazionismo”, ovvero della riduzione di tutto un certo processo storico a trame e complotti.
Siamo perfettamente convinti che la Storia non si può leggere e interpretare solo sotto l’aspetto “cospirazionista” (anche se il complottare, il mascherare e l’agire sottotraccia, sono sempre presenti nella natura umana) e  in ogni caso, agiscono e interagiscono nella Storia forze di diversa natura che creano cause e concause, che poi finiscono per determinare certi avvenimenti. E del pari, siamo altrettanto consci, che gli uomini, sempre in virtù della loro natura umana, agiscono dietro motivazioni, impulsi e convinzioni che non si possono sempre ridurre a malafede, interessi personali o appiattire in un unico senso.
Questo saggio, però, non ha il compito di spiegare e ricostruire, storiograficamente, tutte le situazioni e tutte le motivazioni anche personali che hanno prodotto certi fatti e comportamenti e determinato certe conseguenze. Questa ricostruzione di avvenimenti e personaggi, infatti, è una semplice “inchiesta storica” e come tale deve essere intesa.
Agli storici che verranno, documentarla al meglio e il trarne le conclusioni.



MAURIZIO BAROZZI

MSI: IL GRANDE INGANNO


“I miei veri figli nasceranno dopo e saranno quelli che vedranno
 in me  quello che io stesso non ho potuto vedere”    B. Mussolini.

           
Quella che andremo qui a ricostruire ed illustrare, per sommi capi, è la genesi di un partito di destra, conservatore, reazionario e filo americano, ergo manutengolo dei nostri colonizzatori: il Movimento Sociale Italiano,[1] che per sua natura e sottomissione al quadro Atlantico, in tutti i suoi quasi cinquanta anni di vita ha sempre tradito gli interessi nazionali in barba a quella Patria di cui si riempiva retoricamente la bocca.
E non solo per l’accettazione delle basi Nato e la subalternità dei nostri vertici militari al sistema Atlantico, ma anche per il sabotaggio che le sue prese di posizione politico - economiche apportavano sistematicamente ad ogni minima iniziativa geopolitica, consona agli interessi nazionali, ma contraria a quelli Occidentali (vuoi terzomondista o vuoi nella ricerca di un spazio energetico che il nostro paese, di tanto in tanto, riusciva miracolosamente a percorrere).
E tutto questo è stato perpetrato spacciando questo partito come neofascista quando invece il suo essere, la sua politica e i suoi stessi dirigenti non lo erano affatto, anche se può esserci stato qualche esponente missista che, demenzialmente, si riteneva tale, non rendendosi neppure conto cosa fosse stato il fascismo repubblicano e come per un fascista, l’impegno primario, avrebbe dovuto essere la lotta per l’indipendenza nazionale e l’avversione all’Occidente.
Oggi, gli epigoni di questo partito, coerenti con le precedenti posizioni politiche, conservatrici, reazionarie, filo atlantiche, ecc., una volta buttati a mare simboli e orpelli del passato che oramai non pagavano più in termini elettorali, sono finiti a Gerusalemme a dichiarare che il fascismo è il “male assoluto”, mostrando finalmente sincerità e chiarezza. Ci sarebbe da dire: meno male!
Quella che andremo quindi a ricostruire, nelle pagine sucessive, è la genesi di questo partito, affinchè sia storicamente a tutti chiaro di che cosa si è trattato avendo, fino ad oggi, perdurato da troppo tempo un determinato equivoco, un determinato immaginario collettivo decisamente non veritiero.
Ne ricostruiremmo la storia umana e politica fino ad un certo punto, perché da quel momento in avanti, a nostro avviso più o meno verso la fine degli anni ’60, ogni equivoco viene meno, le situazioni sono chiare ed evidenti  a tutti (ma lo erano anche prima) e solo chi è in malafede può continuare a mestare nel torbido.
Con gli anni ’60 avviene anche, nell’area umana della base del MSI, già da tempo inglobata in un vasto schieramento di destra conservatrice, una specie di mutazione genetica che, unita alle situazioni non indifferenti ed equivoche, del lungo periodo della strategia della tensione e degli anni di piombo, porterà all’affermazione, in questa base, di un tipo umano conformato sugli standard di destra, americaneggianti e pregni di mode e atteggiamenti mutuati dal mondo moderno e dalla società consumista.
Si ha quindi la percezione, anche fisica, che un ciclo storico si è concluso, che certi simboli, bandiere e atteggiamenti hanno fatto il loro tempo e del resto la stessa etnia dell’italiano sta andando inesorabilmente a morire, in conseguenza della società multietnica e della società consumista per le quali l’italiano è destinato a sparire nel giro di un paio di secoli.
C’è ora chi parla di “fascisti del terzo millennio”, gruppi, personaggi, giovani che dimostrano un bagaglio di idee e di progetti, nettamente difformi dalla destra conservatrice, anche se, in questo senso, molti equivoci, sembrano permanere.
La scomparsa della ciste tumorale missista è stata decisamente  un evento positivo, ma la degenerazione, oggi ancor più accentuata di ieri, di tutta la società non consente di raggiungere molti risultati.
Noi, in questo saggio, comunque, non prendiamo in considerazione aspetti intellettuali o evoluzioni ideologiche del neofascismo, la nostra è una semplice inchiesta storica, e se proprio dobbiamo esprimerci sull’oggi, sul politico, preferiamo condividere e solidarizzare con tutte quelle posizioni, da qualunque schieramento arrivino, che dimostrano di opporsi al mondialismo e ai suoi progetti di globalizzazione totale, all’Alta Finanza e al suo potere planetario, al Sionismo e ai suoi sogni biblici di dominio mondiale. Sono queste le forze alle quali bisogna opporsi e contrastare, partendo appunto dalla consapevolezza che un ciclo storico si è oramai concluso e sono costoro, in pratica l’Occidente, il vero nemico dell’uomo.






[1] La letteratura sulla  genesi e la costituzione del MSI è alquanto carente, fatta eccezione per alcune opere autobiografiche spesso poco attendibili o di parte. Ben pochi infine, su questo argomento, si sono dedicati a lavori di ricerca e documentazione.
Un certo contributo è stato fornito dallo storico professor Giuseppe Parlato: Fascisti senza Mussolini, Ed. Il Mulino, 2006; quindi da  Giuseppe Murgia, saggista e narratore con alcune opere di cronaca storica: Ritorneremo, SugarCo 1976, e Il vento del Nord, SugarCo 1975 e ristampa Ed. Kaos 2004 (pur se inficiate da faziosità antifascista); Giuliana De Medici: Le origini del MSI, Ed. ISC, 1986;  Mario Tedeschi: Fascisti senza Mussolini, le organizzazioni fasciste clandestine 1946 – ’47, Ed. Settimo Sigillo 1996;  Nicola Rao: Neofascisti, la destra italiana da Salò a Fiuggi, Ed. Settimo Sigillo 1999;  Daniele Lembo: Fascisti dopo la liberazione. Storia del fascismo e dei fascisti nel dopoguerra in Italia, Ed. Grafica Ma.Ro., 2007. E pochi altri testi.

I fascisti della FNCRSI
             
                               



«Comunque sia, coloro i quali, a qualsiasi titolo e con qualsiasi ruolo, aderendo alle tesi della c.d. «guerra non ortodossa», di chiara matrice statunitense e assumendo la strage come strumento di lotta politica, si sono posti al servizio di una potenza straniera e hanno partecipato o invitato altri a partecipare alla strategia della tensione, tesa ad una maggiore soggezione del popolo italiano ad interessi stranieri, sono   condannabili ai sensi del codice militare di pace.  Privi di ogni qualsivoglia idealità politica e di dignità morale, essi si sono rivelati affatto alieni da quelle leggi, che, come notò Pericle,Senza essere scritte, recano come sanzione universale il disonore».
[Marzo 2000 – Il Comitato Direttivo della Federazione Nazionale Combattenti         Repubblica Sociale Italiana]

                  Se il MSI ha finito per rappresentare in Italia un partito di destra, conservatore, genericamente nazionalista e con un altrettanto generico riferimento, non tanto nostalgico, quanto più che altro coreografico al passato, oltre che divenire un abietto sostenitore dell’Atlantismo, tutto questo si è potuto realizzare anche perché era nella natura stessa delle cose che fosse occupato questo spazio politico.
Se non fosse stato il MSI, sarebbe stata qualche altra entità politica a rappresentare questa area di destra, il fatto però è che il tutto è nato utilizzando la massa dei reduci del fascismo repubblicano e di conseguenza, un certo retaggio, anche simbolico, si è perpetuato negli anni e ha caratterizzato, sia pure superficialmente, questo partito come neofascista di fronte all’opinione pubblica, producendo gravissimi danni all’immagine e al portato storico del fascismo.
Ma anche qui non ci si deve meravigliare, se l’operazione di utilizzo e quindi di trasformismo del patrimonio umano e degli ideali del fascismo repubblicano si è potuta verificare. Evidentemente ne esistevano le condizioni, i personaggi già mentalmente predisposti in questo senso e di conseguenza poi, le dinamiche politiche, l’evoluzione dei rapporti politici e sociali del paese, hanno fatto il resto. In politica, nulla resta fermo, cambiamenti, spesso abiure, sono frequenti e a volte necessarie.
Non è questo il problema.
Quello che noi vogliamo illustrare è semplicemente il “grande inganno”, ovvero l’aver spacciato per anni, per necessità tattiche e diciamolo chiaramente, per interessi elettorali, il MSI come un partito neofascista quando non lo era affatto.
Per valutare storicamente il MSI e la sua funzione essenzialmente antifascista, riteniamo opportuno che si prenda a comparazione e riferimento storico la Federazione Nazionale Combattenti della RSI  (Fncrsi).
La Fncrsi (da non confondersi con sigle quasi simili, ma profondamente antitetiche) costituitasi nel 1947 con decine di migliaia di reduci del fascismo repubblicano, ha rappresentato non soltanto la testimonianza storica della RSI , ma anche il punto di riferimento ideale e politico per i fascisti nel dopoguerra, anche se politicamente non ha potuto far nulla per incidere nella situazione politica ed oggi della Fncrsi e del suo gruppo giovanile “Controcorrente” ci resta la sua testimonianza a dimostrazione di una dirittura morale e di una politica espressamente fascista, come chiunque può verificare nel Sito on line di questa Federazione, nelle sue sezioni: Archivio, Periodici, Manifesti e Volantini e Notiziario: http://fncrsi.altervista.org/.
Il confronto con la realtà storica, incarnata dalla Fncrsi, consente anche di prevenire, ogni eventuale obiezione da parte di chi voglia sostenere che, in fin dei conti, gli ex combattenti della RSI, i reduci del fascismo repubblicano e i giovani che nel dopoguerra si affacciarono al fascismo, avevano come riferimento solo il MSI. Benchè non di grande impatto visivo e presenza nelle cronache politiche, molto importanti sono stati gli impegni di lotta della Fncrsi contro la Nato, le sue prese di posizione contro l’ “imperialismo” americano e il sionismo e quindi a sostegno dei popoli arabi e dei palestinesi, della figura e dell’opera politico militare del Che Guevara e dell’eroico popolo vietnamita;[1] la netta e decisa presa di posizione contro il Concordato, che non aveva più senso in questa Repubblica democratica e anzi costituiva un onere e una logica avversa agli interessi dello Stato ed infine la rivalutazione e affermazione delle istanze socializzatrici della RSI contro il capitalismo, il liberismo e il sistema usuraio dei banksters.
Ma soprattutto, questi ex combattenti fascisti repubblicani, capita l’antifona e ben valutati uomini e fatti, sfrondandoli dalle menzogne e dalla propaganda, già dai primi anni ’50 indicarono chiaramente ai camerati di non riconoscere nel MSI una qualsiasi continuità con il fascismo repubblicano. Di conseguenza la Fncrsi a tutte le elezioni politiche o locali che seguirono negli anni, diede sempre indicazione di astenersi o votare scheda bianca.
Una presa di posizione non solo politica, ma sostanziata da precise motivazioni storiche ed ideologiche, tanto che accadde, alle elezioni del 1958, che dalle pagine del Secolo d’Italia, il giornale allora  paramissista diretto da Franz Turchi, già Prefetto di La Spezia, suo fondatore e proprietario, si riportava in prima pagina uno squallido invito di J. Valerio Borghese di votare alla Camera il figlio candidato del suo amico Franz Turchi, Luigi. Ricordiamo pertanto  questo episodio perchè è molto importante per valutare la storia e la funzione della Fncrsi.
Devesi sapere che la Fncrsi era usa, in rispetto dei valori combattentistici che rappresentava, di offrire la sua Presidenza  onoraria a personalità di rilievo, di un certo carisma e di un glorioso passato combattentistico, anche se questi personaggi, non potevano sempre definirsi propriamente fascisti.
Così era stato per Rodolfo Graziani, così era in quell’anno per Borghese.
Inevitabilmente Borghese, per aver così platealmente disatteso le indicazioni del Direttorio Fncrsi, venne posto sotto inchiesta e nel corso del 1959 fu espulso dalla Fncrsi per ignominia tanto che il Comitato Direttivo FNCRSI, sottolineò per il desso di «essere venuto meno ad un impegno solennemente assunto con parola d'onore verso la precedente Direzione Nazionale Fncrsi>>. [2]
Gli ambienti missisti usi a trascinarsi dietro, a cene o comizi, qualche povero diavolo ex combattente repubblicano rincoglionito o abbindolato, ma che mai erano riusciti a corrompere la Fncrsi per utilizzarla come ”vetrinetta” nelle campagne elettorali, su questa storia della negazione del voto al loro carrozzone, davano di matto, starnazzando e delirando: “Chi vota scheda bianca, vota Moranino”, tanto era la paura di perdere qualche seggio.
A marzo 1968 la Federazione Nazionale Combattenti della RSI è impegnata in una massiccia campagna per la “Scheda bianca” o l’”Astensione” alle prossime elezioni politiche e viene attaccata da ambienti destristi.
Un comunicato sul Bollettino Fncrsi di marzo ‘68 riporta:
<<Un certo numero di poveri diavoli, riuniti a Roma e a Milano, rispettivamente intorno a J. V. Borghese e a Vincenzo Costa - entrambi a suo tempo espulsi dalla FNCRSI - hanno recentemente stilato e fatto diramare dal quotidiano antifascista e paragovernativo "Il Secolo d'Italia" una circolare nella quale accusano di viltà quei camerati che, non riconoscendo per fascista nessuno dei partiti attuali, voteranno scheda bianca. Votiamo Scheda Bianca.
Oggi, niente di più naturale, di più ovvio, di più opportuno, di più pulito. Non è comprensibile quindi l'infamia di tanto scomposto agitarsi, se non nel voler rendere un servigio al MSI, movimento che non si vede come possa essere ancora considerato fascista dal momento che la patente rilasciata dagli antifascisti è un falso ideologico>>.
Nell’aprile del 1967 la Fncrsi, i cui dirigenti e militanti affermavano orgogliosamente: “Noi non siamo fascisti, NOI SIAMO I FASCISTI, e si stavano battendo in favore della lotta del popolo arabo aggredito dai sionisti e del popolo vietnamita aggredito dagli americani, avendo oramai da anni ben inquadrato il MSI, nella sua Mozione conclusiva alla VII Assemblea Nazionale di Treviso, espresse su questo partito una valutazione storico - politica senza equivoci:
«Il MSI, che nella leadership militare e politica USA rispetto agli Stati Europei trova l'unica garanzia di fronte ad una aggressione sovietica è poi costretto ad accettare gli altri due punti dell'occidentalismo: Yalta ed il sistema democratico. Ogni prospettiva rivoluzionaria viene in tal modo a chiudersi ed il problema politico di fondo diventa quello dell'inserimento e della collaborazione con il sistema, magari con la giustificazione di volerlo modificare. Tutta l'azione politica del MSI è stata una testimonianza di questo indirizzo riformista e collaborazionista.
La linea di colloquio al vertice con la DC (culminata con Tambroni e tappezzata di voti «dati e non richiesti» o addirittura «non graditi» dai vari Zoli e Segni) ne è la prova maggiore, ma la stessa qualificazione di partito di destra sollecitata in mille modi e poi provocata mediante l'apparentamento coi monarchici hanno fatto assumere al MSI addirittura la funzione di scialuppa di salvataggio o di valvola di scarico del sistema democratico.
È inutile ripercorrere le tappe di un cammino ignobile che sta ora per terminare, ma non possono tacersi gli effetti che il sacrificio dell'indirizzo politico rivoluzionario ha prodotto nella stessa struttura organizzativa del MSI e che consistono esattamente nella strutturazione di vertice del partito (la cricca al potere), nell'abbandono della preparazione dei quadri, nella rescissione di ogni rapporto con una dottrina politica derivante da una concezione del mondo e nella conseguente adozione di una tematica e di una prassi politica impostata sulle piccole idee occasionali, più o meno provocate dalle deficienze altrui».
Quattro anni dopo, nel Bollettino Fncrsi, (N. 1 gennaio 1971) i camerati della Federazione dopo aver commentando il congresso missista di novembre 1970 a Roma, un congresso definito “unitario” visto che oramai il MSI, guidato da Almirante si avviava a realizzare la pattumiera della Destra Nazionale, rimarcavano:
<<L'equazione «MSI = RSI» è oggi una bestemmia e forse non è lontano il giorno in cui saranno puniti i bestemmiatori, i transfughi e i seminatori di discordia – e concludevano l’articolo osservando senza mezzi termini - Un fatto però è certo: il MSI, dopo il suo ultimo congresso, è un partito irreversibilmente antifascista>>.
Vincenzo Vinciguerra
        In questo saggio, citeremo spesso Vincenzo Vinciguerra, da decenni recluso nella carceri di Stato. La Federazione Nazionale Combattenti della RSI, quale associazione di ex combattenti fascisti repubblicani, espresse un certo apprezzamento per la posizione di Vinciguerra, riconoscendone anche il camerata, il soldato politico che con il suo sacrificio nel costituirsi per fare chiarezza, aveva contribuito a svelare le trame reazionarie di un certo pseudo neofascismo che del resto la stessa Fncrsi da sempre condannava. A suo tempo ha scritto di lui la Fncrsi:
"Giovane cresciuto nel peggiore neo-fascismo, Vincenzo Vinciguerra, con la dichiarazione resa al g. i. della Corte d'Assise di Venezia il 28/4/84, ha saputo assurgere a livello di autentico fascista: “Mi assumo la responsabilità piena, completa e totale della ideazione, dell'organizzazione e dell'esecuzione materiale dell'attentato di Peteano che si inquadra in una logica di rottura con la strategia che veniva allora seguita da forze che ritenevo rivoluzionarie cosiddette di destra e che invece seguivano una strategia dettata da centri di potere nazionali ed internazionali, collocati ai vertici dello Stato (...) decisi un'azione di rottura che segnalasse a quanti ritenevano inaccettabile il proseguimento di una lotta politica strumentalizzata, la necessità di dare il via ad una battaglia politica indipendente contro il regime politico imperante ...” (ivi, pp. XII e XIII).
In quanto portatori di un'etica che non si arresta al mero giudizio di approvazione-disapprovazione dei comportamenti riguardo al bene e al male, ma prosegue il suo iter fino ad inserirsi nell'atto che dà compimento all'azione concreta, riteniamo che, con tale dichiarazione, egli ha conseguito l'apice della coerenza etico-morale, addossandosi l'immane fardello di un “ergastolo per la libertà” di essere niente altro che fascista.
Onorevole condizione questa, che viene lealmente apprezzata dalla sentenza del 25/7/87 di quella stessa Corte d'Assise: “Una posizione indubbiamente singolare quella di Vincenzo Vinciguerra (...) la sua figura di soldato politico non è mai venuta meno e mantiene intatta la sua potenzialità offensiva nei confronti dello stato democratico” (ivi, p. XIV).
I carabinieri uccisi a Peteano costituiscono perciò l'incongruo prezzo dovuto non tanto alla lucida disperazione del Vinciguerra, quanto alla infame prassi di un sistema di potere che ha fomentato - avvalendosi di manovalanze ora di destra e ora di sinistra - e attuato l'insana strategia della tensione, delle stragi di inermi e della sacrilega divisione del popolo italiano. La FNCRSI confida che il presente definitivo chiarimento non sia vano"
(Vedesi: “Foglio di Orientamento Fncrsi”  1/’97, in Aurora N. 41, 1997).
Il giudizio sugli eventuali “collusi”
        Noi non conosciamo caso per caso il giudizio di Vinciguerra su tutti quei delatori e collusi con i Servizi (e sono tanti) che egli ha avuto modo di individuare o dedurre attraverso esperienze personali o documentazioni oggi emerse.
Da quello che scrive, però, traspare evidente che Vinciguerra fa di tutti questi “collusi” un solo mazzo e li bolla a fuoco con la patente di traditori dell’Idea e della Patria e giustamente egli nega che possano, qualunque siano le ideologie che avevano nei loro cervelli o le simbologie di cui si sono fregiati, definirsi fascisti.
Tuttavia per lo storico che deve analizzare e ricostruire certi avvenimenti il discorso è alquanto più complesso perchè nel particolare, nell’esame delle singole posizioni, a volte, potrebbero anche trovarsi storie e vicende diverse.  La politica infatti è una pratica, talvolta, inevitabilmente, anche sporca, è fatta di azioni e reazioni, cause e concause, contatti, iniziative, ecc., ed è anche condizionata dalle situazioni contingenti.
Può quindi accadere che, per esempio, quando si è giovani e inesperti, si commettano stupidaggini o leggerezze o ci si lasci trascinare dalle emotività del momento, specialmente per chi, come era il caso di tanti giovani neofascisti, viveva quotidianamente sotto il peso delle violenze, della caccia al fascista, praticata dai “compagni”, forti nel numero, alle quali rispondeva con  altrettanta violenza in una specie di guerra quotidiana, selvaggia e cruenta.
Per un altro aspetto, invece, e sempre riferendoci a quella che è la natura umana e l’attività politica (delatori e spie di professione a parte), può anche accadere che qualche militante, magari in un momento di demenza mentale, abbia ritenuto utile “per la causa” (anche se resterebbe da vedere “quale”), instaurare contatti con qualche “Servizio”  o apparato di sistema e poi ci si sia  trovato coinvolto.
Certo bisognerebbe conoscere esattamente motivi, accordi e situazioni, cosa difficilmente possibile, però, almeno in via teorica, non possiamo generalizzare ed  equiparare questi eventuali “collusi” a tutti gli altri prezzolati.
Il fatto è che qui stiamo parlando di accuse gravissime, quali “collusioni” come tradimento verso l’Idea e stragismo. Di fronte a queste accuse, non avendo noi i mezzi e le conoscenze adeguate per esprimere un parere comprovato, non possiamo che astenerci dal fare nomi, a meno che non si tratti di rei confessi o documentati con precisione.
A Vinciguerra che invece ha sciorinato nomi e cognomi di “traditori”, magari generalizzando e qualche volta errando, si tende a considerarlo  un visionario, un paranoico. Non è però con queste accuse grossolane che si ‘può contestare Vinciguerra, ma nel caso si dovrebbe dimostrare dove e come si sbaglia e perché le sue deduzioni e analisi sono errate.
In ogni modo  nel caso ci fossero state “collusioni” e queste collusioni avessero portato a compiere, non incidentalmente, atti cruenti che hanno mutilato o ucciso altri italiani, sarebbe stato opportuno e doveroso da parte di questi soggetti che parlavano di onore, lealtà e fedeltà e qualcuno si  dichiarava anche ammiratore  del Bushido, una volta costatati i danni fatti anche alla immagine del fascismo e il sangue sparso, tutto a vantaggio del Sistema o degli interessi Atlantici, farsi saltare le cervella. Ma questo, non è accaduto.
Insomma, massima severità di giudizio, ma con la dovuta accortezza e distinzione, senza generalizzare.
Scrive oggi Vinciguerra:
"Se nel 1989, potevo scrivere senza essere smentito che avevo conosciuto il fascismo nei libri e nei cimiteri, oggi posso dire che assisto alla fine ingloriosa del neofascismo la cui storia potrà essere ricostruita leggendo le note informative confidenziali redatte dai suoi dirigenti e da tanti, troppi, dei suoi militanti. Il sipario cala sulla farsa tragica del neofascismo italiano, senza applausi e lacrime, ma nel silenzio e nel disprezzo che convengono a quanti hanno attraversato la storia italiana di oltre sessant’anni usando come uniche armi quelle dell’inganno e del tradimento". [V. Vinciguerra “Aria pulita”  giugno 2013 - http://www.archivioguerrapolitica.org/http://www.archivioguerrapolitica.org/].




Come e perché  nacque il MSI

Il massimo del servilismo
"Il Movimento Sociale Italiano non può non tener conto che l'America sta oggi pagando questi errori con il sangue dei propri figli in difesa dell'Occidente ...".
Arturo Michelini, segretario del MSI, a un convegno di partito, febbraio 1966.


        Negli anni passati di fronte alla evidente trasformazione del MSI, non solo in qualcosa di profondamente diverso dagli ideali fascisti, ma addirittura nella loro antitesi, ci si interrogava per comprendere se questo movimento fosse stato progettato da perfide menti, in particolare:  Servizi americani, lobby massoniche e il Ministero degli Interni del tempo (De Gasperi e poi Scelba, DC), dietro benedizione vaticana e confindustriale o se invece, nato da sinceri fascisti avesse degenerato a poco a poco essendo finito in mano a una cricca di conservatori borghesi e carrieristi.
Chi aveva preso parte alle primissime riunioni, ai comizi ed ai “giornali parlati” tendeva a respingere l'ipotesi (ritenendola possibile e verosimile, ma priva di concreta dimostrabilità) che il MSI fosse sorto per incanalare in un alveo prestabilito la diaspora dei “repubblichini” sbandati e pericolosi. Ed in effetti, se pur si potevano avanzare sospetti “cospiratori”, la loro dimostrazione restava tutta da provare, mentre invece la generosa dedizione di migliaia di fascisti alla nascita del MSI era un ricordo ancora ben vivo nelle menti di tanti camerati.
Oltre tutto diventava alquanto problematico e difficile poter stabilire, a posteriori, se l’agire politico di certi dirigenti, dimostratisi con il tempo dei veri furfanti, fosse in malafede in partenza, o lo divenne strada facendo: sarebbe stato un po’ come stabilire se era nato prima l’uovo o la gallina.
Oggi però che sono emerse molte documentazioni d’epoca, si è arricchito il contesto delle testimonianze, precisandosi nel tempo anche certe situazioni, possiamo intuire che la nascita del MSI venne anche manipolata da certe forze reazionarie e da subito indirizzata verso determinati interessi che non avevano nulla a che vedere con gli ideali e i programmi che, apparentemente, si diceva di perseguire.
Le ricerche storiche prescindono dalla “corruzione”
         Prima però di andare  avanti e ricostruire nei prossimi capitoli  come, perché e per mano di chi, nacque il MSI e finì poi per diventare cosa ben diversa dalle intenzioni di tanti,  dobbiamo premettere una precisazione di metodo: non è negli intenti del nostro saggio, elevare accuse di corruzione e malafede per interessi personali a chicchessia (la nostra analisi vuole attenersi essenzialmente agli aspetti politici), e poco ci interessa sapere se questo partito, che in qualche modo offriva possibilità di accedere al Parlamento o negli Enti locali, di accaparrarsi qualche carica ben remunerata nel partito stesso o nella società e di trafficare in svariate situazioni, poteva far sì che molti di coloro che ci venivano in contatt0, avrebbero potuto sporcarsi le mani e la coscienza.
Una situazione questa, del resto tipica per tutti i partiti dei sistemi democratici, come per esempio il PCI, divenuto oggi una informe “cosa” liberal,   impregnata di ideologie neoradicali e invischiato, come tutti gli altri partiti, nella corruzione del potere: partiti corrotti e corruttori.
Resta il fatto, però, che nelle valutazioni storiche, queste considerazioni hanno scarso valore, perchè non rari sono i personaggi che in politica perseguono fini diametralmente opposti a quelli che per la loro storia e attestazione ideale dovrebbero praticare e magari lo fanno, con una loro presunzione di buona fede, in quanto convinti di seguire una via politica utile e necessaria.
Altri poi, pur militando in una certa area politica, possono avere ideali divergenti e così via. In questi casi quindi la “malafede”, più che altro, consiste nel raggiro, rispetto ai veri fini politici da raggiungere, perpetrato verso gli altri militanti ai quali viene fatto credere di perseguire certi obiettivi quando invece non è così.
Del resto per una ricostruzione storica non specifica, né approfondita come la nostra, è del tutto indifferente accertare se, per esempio, una eventuale collusione con i Servizi, avviene perché il desso è a libro paga e quindi esegue semplicemente degli ordini, oppure la sua collusione gli torna opportuna per situazioni o progetti politici o ancora, risponde ad una comunanza di vedute con coloro cui è colluso, ecc., perché i risultati e le conseguenze della sua “collusione” non cambiano, anche se cambia la considerazione del “colluso”: spia e infame nel primo caso; soggetto che agisce su un piano politico e ideologico diverso dagli altri con cui opera e a cui magari nasconde le sue relazioni, negli altri casi.
Ma questo aspetto, in questa sede non ci interessa e potrà semmai essere approfondito con altre ricerche se ovviamente suffragate da precise documentazioni.


I fini reconditi
          Comunque sia oggi, come accennato, a seguito della desecretazione o disponibilità di svariate documentazioni, ulteriori testimonianze, tutta una serie di fatti e circostanze  riconsiderate e valutando attentamente certi personaggi che al tempo ne furono i “padri fondatori” o comunque quelli che si installarono nelle prime cariche direttive, possiamo dire che ci sono pochi dubbi, e in qualche modo lo dimostreremo nelle pagine a venire, che il MSI nacque sì, da esigenze naturali e genuine, dalla volontà di sinceri fascisti desiderosi di riprendere ad incidere politicamente nel paese, ma venne anche progettato da personaggi legati a interessi estranei agli ideali e all’area del neofascismo, propensi ad avere una realtà politica attiva, agitatoria, ma  “costituzionale”, che controllasse e indirizzasse, gradualmente, la massa dei reduci del fascismo repubblicano su sponde conservatrici e reazionarie, per impiegarla come forza d’urto a fronteggiare le masse social comuniste, al tempo agguerrite.
In questi scopi reconditi, inoltre, vi era anche quello di utilizzare l’immagine “nazionalista” di questo partito per ricomporre lo spirito delle FF.AA. spezzato dall’8 settembre e la guerra civile (militari che avevano partecipato alla RSI e quelli rimasti con il governo del Sud) al fine di cementare i “valori” e lo spirito di corpo necessari alla  vita della neonata Repubblica democratica antifascista.
E furono poi proprio questi personaggi che dotati di ampi mezzi, finanziamenti ed appoggi, si impadronirono dell’anima e della dirigenza del partito, a poco a poco lo modellarono a loro immagine e somiglianza e su quella strada finirono per trascinarsi dietro quasi tutti gli altri.
Scrive, il sia pur anti fascista P. G. Murgia, e in questo caso non fa una piega:
"... il MSI nasce nel primo dopoguerra con il nulla osta del ministero degli interni e la benedizione del Vaticano. La Chiesa e la DC vogliono impedire che quella consistente parte dell’elettorato popolare  fascista, favorevole alla socializzazione vada ad ingrossare le fila della sinistra... Una forza politica di estrema destra rafforza la centralità democristiana quale alternativa moderata agli “opposti estremismi”.  Le trattative dei capi fascisti con il ministero degli Interni controllato dalla DC, passano attraverso l’Ufficio Speciale del “Centro antincendi Ps” e sono curate dall’ex carabiniere Giuseppe Pièche" (P.G. Murgia: Il vento del Nord, SugarCo 1975 e ristampa Ed. Kaos 2004).
E il nuovo partito, realizzato nel secondo semestre del 1946, ebbe, non a caso, il “nulla osta”, americano e del ministero degli interni.

Sangue e sudore di tanti fascisti
          Se tutto questo è vero e può oggi darsi per acquisito, dobbiamo rimarcare che è altrettanto vero che il MSI nacque anche per l’opera generosa di tanti fascisti, chi dalla macchia perché ricercato, chi rimasto in piedi in un mondo veramente di rovine, che in qualche modo volevano riprendere la vita politica e contribuire a creare un punto di riferimento per tutti gli italiani che erano rimasti fedeli a Mussolini e al fascismo, soprattutto repubblicano. [3]
A veder bene, il contributo e l’opera dei sinceri fascisti fu sicuramente superiore a quello degli altri, anche se poi, una volta creato il “partito”, preso saldamente in mano da dirigenti propensi a farne quello strumento reazionario cui abbiamo accennato, oltre che un carrozzone con annessi e connessi proiettato nell’appetitoso sistema elettorale, l’opera di sottile corruzione morale e di degenerazione di questo movimento divenne inarrestabile e, se non tutti, travolse molti.
Il fatto è che coloro i quali, magari per convinzioni ideologiche personali (nazionalisti sui generis e conservatori che in definitiva, volenti o nolenti, divergevano dagli ideali e dalle posizioni, sopratutto sociali e socialiste del fascismo repubblicano), potendo contare su appoggi, mezzi e protezioni di ogni genere e natura, indirizzarono la nuova “creatura” politica verso gli ignobili fini per i quali “chi di dovere” la voleva destinare, mentre i secondi, le forze generose dei fascisti e di altrettanti giovani che simpatizzavano per questo partito che mostrava di voler difendere l’italianità e i valori nazionali delle nostre terre e della nostra gente, furono sempre più relegati ad una funzione di supporto e retroguardia, a fare da galoppini elettorali, a difendere le sedi e i comizi tenuti dagli oratori, a fare da guardie del corpo senza poter incidere nelle decisioni dei suoi quadri dirigenti.
In ogni caso, considerando la nascita ed i primi anni di vita del MSI, dobbiamo sempre tenere presente queste due realtà coesistenti nel partito: personaggi in buona fede, sinceri fascisti (con il tempo sempre meno) e personaggi che, perseguivano altri fini e altri ideali, fino a quando una lenta, ma inevitabile trasformazione, anche generazionale, amalgamò il tutto e ne fece un qualcosa di profondamente diverso, anzi una antitesi di tutto quello che il fascismo aveva rappresentato.
Ma siamo andati troppo avanti. Ne parleremo tra poco visto che il nostro intento  è  proprio quello di stabilire come, perché e per mano di quali personaggi nacque il MSI, che scopi doveva perseguire e cosa ha finito con il tempo per diventare.
In definitiva la funzione subalterna alla DC e il ruolo di “ascaro” per gli Atlantici, ha fatto sì che il MSI rappresentasse una minoranza di italiani ovvero, escluse poche eccezioni, la parte più retriva, bottegaia, borghese e bigotta della popolazione, ma soprattutto che non potesse mai avere una politica propria, dei contenuti culturali e ideologici significativi, ma soltanto degli “stati emotivi”, delle reazioni viscerali, delle prese di posizione politiche di retroguardia.
Tutta la politica e gli ideali missisti, infatti, si sono prevalentemente sostanziati per quasi 50 anni, in un anticomunismo viscerale e per certi aspetti demenziale; in una retorica nazionalista tra l’altro condizionata dal filo atlantismo e il filo americanismo che ne erano una evidente contraddizione; in una ipocrita esaltazione, di stampo nostalgico, del ventennio fascista e della figura del Duce ad uso e consumo di una base quale serbatoio elettorale; apologia limitata dalle leggi vigenti e opportunamente e vigliaccamente sfrondata di tutti gli aspetti rivoluzionari e antiborghesi del fascismo.
E sorvoliamo sul suo ruolo ultraconservatore nel campo sociale.
E questo per gli antifascisti sarebbe stato un partito Fascista?
Tutto da ridere quello che si verificò nei primi anni ’70 quando Almirante adeguò il MSI ad una Destra Nazionale, un partito d’0rdine, ultra bigotto, forcaiolo,[4] aperto a tutte le componenti conservatrici della nazione e quindi, come allora si disse, indossò il “doppio petto” al fine di offrire una immagine “perbenista” all’esterno e a tutti i “benpensanti”. 
Orbene agli antifascisti, che pur ben ne conoscevano la vera natura, gli faceva comodo starnazzare che Almirante sotto il doppio petto indossava la camicia nera e portava il manganello.
I dirigenti missisti, da parte loro, si dannavano a negarlo, ma all’interno, ad una parte della base preoccupata di un eccessivo imborghesimento del partito (come se non lo fosse da tempo!) la si rassicurava dicendo che quello era un espediente tattico necessario per ottenere consensi. Insomma il gioco delle parti, la commedia degli equivoci ad uso e consumo di una opinione pubblica da rimbecillire.
Giusto il riferimento del giornalista, ex combattente RSI, Lando Dell’Amico,  che riporta l’affermazione  di Ezio D’Aquanno, figlio di Ernesto D’Aquanno fucilato a Dongo, a proposito del commento su la pubblica dichiarazione con cui Gianfranco Fini condannava Mussolini e il fascismo, soprattutto quello RSI, conseguendo pertanto:
"il merito di porre termine ad un equivoco che si trascinava da troppi decenni" e cioè che Alleanza Nazionale di Fini e il Msi con Almirante: "fossero i legittimi eredi ideali del fascismo e i custodi della sua tradizione e della sua ideologia" (L. Dell’Amico: “La leggenda del giornalista spia”, Ed. KOINè, 2013).
Il primo gennaio 1955, il leader socialista Pietro Nenni, già amico e poi avversario di Mussolini, aveva messo a nudo una triste realtà:
"Da noi la destra esprime soltanto istinti antisociali, di conservazione e di reazione. Tipico il caso dei fascisti che,. per inserirsi nella politica reazionaria americana, non hanno esitato a pugnalare ancora una volta il loro capo e a rinnegare l’unico elemento rispettabile della loro tradizione, vale a dire l’opposizione al dominio delle cosiddette plutocrazie".
Lo storico Ivan Buttlgione coglie in pieno l’essenza del MSI, laddove nel  suo  “Compagno Duce”, Ed. Hobby & Work 1989, scrive:
"Il [neo]fascismo dei notabili meridionali e della borghesia ministeriale. Protetto dai gesuiti, con una forte presenza al ministero degli interni, nella polizia e nell’esercito tiene insieme un vasto gruppo multiforme (socializzatori, antiborghesi, atlantisti, neutralisti, neopagani, tradizionalisti esoterici) che gravita attorno al MSI, … riconoscibili per quel che odia piuttosto che per quel che ama".
Un partito di vecchi.
         Ma la “nullità” sostanziale di questo partito, la sua indefinita attestazione ideologica, la mancanza di una cultura e di una seria e coerente politica, ha fatto anche  sì che, in un certo senso, divenisse il “partito dei vecchi”.
Era noto, infatti, che il MSI, che pur aveva le sezioni piene di ragazzi, soprattutto adolescenti o sotto i 21 anni, per i quali giocano un forte ruolo i sentimenti e gli stati emotivi, sempre e puntualmente alle tornate elettorali si evidenziava che questi stessi ragazzi, completati gli studi, laureatisi e/o entrati nel mondo del lavoro, non votavano affatto per il MSI: si erano in qualche modo distaccati, come dimostravano le proiezioni dei votanti, sopratutto al Senato dove era richiesta un età un poco più avanzata.
E nessuno poteva farci niente, perchè questo andazzo era determinato proprio dalla natura stessa, dalla nullità sostanziale, politica e culturale, come detto, di questo partito.

Una destra conservatrice e filo atlantica
               
Tu che passi di lontano,
con la vesta tutta nera,
e con l’aria un poco austera,
mi fai il filo americano,
sei un fascista o un sacrestano?  [5]


Ragionando in termini storico - politici nessuno, con il senno del poi, dovrebbe meravigliarsi che si sia realizzato, dal dopoguerra in avanti, un partito conservatore e filo atlantico, perché questa specificità e funzione, rientrava nella natura  della politica e in parte nella cultura stessa della società. C’erano, infatti, svariati ambienti e interessi attestati su quelle posizioni politiche e persone permeate di quelle inclinazioni ideologiche, ed è quindi del tutto ovvio che queste forze si fossero indirizzate verso questa tipologia di destra.
Quello che però noi vogliamo sottolineare è il fatto che tutto questo è avvenuto attraverso una mistificazione perpetrata alle spalle dei reduci del fascismo repubblicano e dei militanti del MSI stesso, perpetuando per decenni l’equivoco di un movimento spacciato per fascista quando invece ne era la totale antitesi.
Alle sue origini, infatti, questo movimento, fece credere di essere l’erede ed il mezzo con cui i reduci del fascismo repubblicano avrebbero potuto riprendere a fare politica nella Repubblica democratica e antifascista: il grande inganno.
E subito ci fu un gioco delle parti perché agli antifascisti, che ben sapevano che il MSI (e soprattutto i suoi dirigenti che contano) non era fascista, tornava però utile spacciarlo come tale. Con gli anni poi, concretizzandosi, anche grazie al MSI, il luogo comune che fascismo fosse conservazione, reazione e servilismo verso gli Usa, dare del fascista a questo partito, aveva appunto questo significato e il dramma è che l’opinione pubblica ha finito per perdere il senso e la sostanza del significato dei termini e gli stessi riferimenti storici.
Prima di andare avanti, però, dobbiamo fare un altra doverosa premessa: la nostra disamina, spietata, ma storicamente ineccepibile, andrà a toccare i sentimenti di tante persone, non solo quei sinceri e generosi fascisti poc’anzi accennati, che contribuirono a mettere in piedi il MSI, ma anche molti di coloro che vennero dopo i quali, in tutta buona fede, vi hanno poi militato.
La mancanza di una concreta alternativa politica, cioè il vuoto che il Sistema aveva di proposito creato nell’area umana del neofascismo, ha fatto sì che coloro che si sentivano portati verso questa idea, avessero poco da scegliere, anche perché, oltretutto, si avvertiva istintivamente che certe organizzazioni alternative, extra parlamentari, sostanzialmente non erano altro che un MSI fuori dal MSI.
Molti, magari, hanno anche vissuto nel MSI delle loro zone, esperienze e politiche che  presumevano aderenti a certi ideali fascisti, quindi si sono battuti per il partito e spesso ne hanno anche pagato le conseguenze.
Chiusi in una loro nicchia non hanno visto o non hanno voluto vedere quella che era la realtà e la vera sostanza di questo partito. A tutti costoro non possiamo dire nulla, ci mancherebbe, se non addebitargli una buona dose di santa ingenuità.
La mutazione genetica
            Mi riferisco soprattutto a coloro che dal dopoguerra agli anni ’60, pur  vi profusero, energie, dedizione, lacrime e sangue.
Per quelli che vennero dopo e militarono nel MSI DN il discorso è, in molti casi, diverso perché la reiterata politica reazionaria e conservatrice di questo partito, il suo ruolo di ascaro degli atlantici, aveva finito per avvicinargli e assimilargli nuove generazioni tipicamente di “destra”, una destra americaneggiante, bigotta, borghese, in alcuni casi semi benestante, dando anche vita alla moda disgustosa dei giovani “neofascisti pariolini”, in ray-ban, kashmir e camperos, che veri fascisti quali un Alessandro Pavolini segretario del PFR o un Franco Colombo, comandante della “Muti”, avrebbero preso a calci nel culo;
per non parlare di ributtanti criminali comuni in galera che, o per moda o per fare la “faccia feroce” e trasgressiva (un certo immaginario collettivo mutuato da film, letteratura e persino fumetti, dal dopoguerra in avanti aveva disegnato un certo tipo di “nazista”, criminale, sadico e perverso), ostentavano svastiche al collo.
Questo immaginario, queste “mode” ovviamente non erano generalizzate e più che altro venivano alimentate anche dagli avversari e dai mass media, ma in un partito dove il piano culturale, si fa per dire, era prevalentemente un generico nazionalismo e un insensato iper anticomunismo, facevano la loro parte.
Maurizio Murelli (al tempo neppure venti anni, del quale traspare la buona fede ed a cui non si può oggi non riconoscere l’intelligenza e la statura morale) rievocando “S. Babila” a Milano che, per quanto sia, giustamente, non rinnega, dice:
<<A S. Babila ho conosciuto persone in gamba, persone rette e bastardi>>  (Cfr.: La fiamma e la celtica, Sperling & Kupfer, 2006).
Tuttavia, in quell’ambiente e situazioni, come del resto un po’ dappertutto, che in pochi anni degenerarono in una escalation di violenze, dove giravano farabutti intenti a corrompere ed ispirare azioni insensate, tutte utili al sistema, è doveroso assolvere ragazzi, quali non lo sappiamo, ma di coraggio e figli del loro tempo, raazzi che poi, spesso, vennero travolti da una feroce ondata repressiva e criminalizzante, posta in atto, con infamie e menzogne di ogni genere,  da chi aveva interesse ad alimentare un immaginario collettivo di “eversione nera” e terrorismo fascista..
“Zecche” e  “topi di fogna”
        Tutti gli “anni di piombo”, vale a dire gli anni ’70 e ’80 furono impregnati da un odio, artatamente sobillato, quasi da “tifo da stadio”: opposti estremismi che facevano gli interessi e le fortune del sistema. [6]
Il cliché era sempre lo stesso: i compagni, enormemente più numerosi, e come in questi casi accade, spesso più vigliacchi, venivano alimentati dai cosiddetti “valori” della Resistenza ovvero  da un odio feroce verso i fascisti (che poi più che altro erano questi missisti di destra) se possibile da accoppare senza alcuno scrupolo in quanto definiti “topi di fogna”. E anche tra questi compagni si ingeneravano le mode, per cui si ostentava l’eskimo, barbe e capelli lunghi come tanti Cristo di Nazareth.
Per i missisti, viceversa, i “compagni”, che nei giovani di sezione occupavano tutti i loro pensieri e definivano le loro azioni, erano le cosiddette “zecche”,  e via di questo passo, alimentando un odio feroce e contribuendo a formare e generalizzare un immaginario collettivo di questa specie di “fascisti” che, a parte l’uso di slogan, simboli e bandiere erano, lo ripetiamo, più che altro dei destristi.
Esauritesi le “mode”, cambiati i tempi, da qui, alle moderne destre, tenute alla greppia da Berlusconi e oggi insulsa manifestazione di folclore di abietta politica bottegaia, il passo è stato breve.
Resta però purtroppo da dire che quei periodi degli anni di piombo hanno spedito al cimitero, invalidato o in galera, tanti ragazzi, di destra e di sinistra, spesso adolescenti, coinvolti in una spirale di odio, che li ha fatti massacrare senza senso e senza alcuna utilità storico – politica, specialmente se consideriamo la degenerazione totale di tutta la società e soprattutto l’asservimento totale della Nazione al sistema Atlantico.
E a quei ragazzi immolati per attuare strategie immonde, non si può non aggiungere anche i tanti uomini dell’ordine e per quel che riguarda specificatamente il MSI, morti, invalidi e in galera, tutti generati per gli interessi di bottega di un partito parte integrante del Sistema e sua faccia reazionaria.

Il “Mercenario”
       Un'altra tipica infatuazione degli ambienti di un destrismo degenerato e importata da una certa letteratura e filmografia di destra, fu quella della figura, più che altro immaginaria, del “mercenario”, una tipologia umana alla quale, nei primi anni ’60, il “Cabaret” del Bagaglino, dedicò una canzone.
Torme di giovani destristi, non solo missisti, sognavano avventure come “mercenari” da qualche parte dell’Africa.
Quella che, al limite, poteva essere una aspirazione avventurosa, riservata per pochissime persone e dettata dalla loro equazione personale ed esistenziale, divenne il classico “sogno di mezza estate” degli insoddisfatti, in genere i più frustrati e potenzialmente “borghesi”, ma oltretutto, questa aspirazione venne sostanziata dai peggiori messaggi politici del destrismo. 
Insomma, a parte il fatto che i “mercenari” della Legione Straniera erano stati i nostri nemici in guerra, tra questi giovani destristi passava il messaggio che i “mercenari”, in genere individui con tendenze criminali,  assoldati da multinazionali e governi assassini, fossero una “figura” positiva, da emulare. 
Questo passava l’ambiente e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. 

Milano 1973 la morte dell’agente Marino
          Per avere un idea di questo andazzo, che ebbe un suo clamoroso sbocco nell’assassinio dei tre giovanissimi missini a Roma nel 1978, in Acca Larenzia, un vero massacro che contribuì a far sentire alcuni di questi ragazzi (abbandonati dal partito ed esposti agli attentati dei rossi e alla repressione delle forze dell’ordine) a fare la scelta disperata dello “spontaneismo armato”, si possono  considerare i fatti di Milano del 1973 in cui trovò la morte l’agente di Ps Antonio Marino, ricostruiti da Nicola Rao nel suo La fiamma e la Celtica, Ed. Sperling & Kupfer 2006.
Prima di riportare questo episodio però occorre anche accennare ad una ipotesi, ripetuta spesso da Vincenzo Vinciguerra, che  pur non essendo concretamente provabile, merita di essere presa in considerazione.
Dice Vinciguerra che la manifestazione a Milano, indetta dal MSI per il 12 aprile 1973 rientrava in una più ampia manovra, di concerto con altri ambienti reazionari ed eversivi, al fine di forzare, tramite incidenti da  attribuire ai “rossi”, la proclamazione di uno  “stato di emergenza” nel paese, tanto da arrivare poi alla messa al bando delle sinistre.
Una manovra insomma che, a detta di Vinciguerra, aveva già avuto un precedente fallito  nelle bombe del 12 dicembre 1969 (fallito, a nostro avviso, anche perché chi prometteva la possibilità di uno “stato di emergenza” o di un Golpe, lo faceva per procacciarsi servizi criminali, ma in realtà agli Atlantici era sconveniente un Golpe in Italia).
Secondo Vinciguerra (Cfr. i suoi articoli in proposito, esposti nel sito Archivio Guerra Politica http://www.archivioguerrapolitica.org), le premesse per i gravi incidenti che dovevano avvenire nella manifestazione di Milano erano nella bomba che doveva scoppiare sul treno Torino – Roma il 7 aprile ’73, un “botto” realizzato per far incolpare della strage i “rossi”, ma che invece scoppiò solo l’innesto nelle malaccorte mani di Nico Azzi, scompaginando tutti questi piani.
Secondo versioni di giovani che al tempo parteciparono agli incidenti, invece, il MSI voleva dare una dimostrazione di forza perché, oramai da più di un anno, non era in grado di tenere comizi, non avendo più una forza giovanile di sostegno. In quella occasione quindi il partito chiese l’aiuto delle frange giovanili a lui esterne, in particolare i giovani di Piazza S. Babila, ma non solo e gli incidenti che poi seguirono, a seguito del divieto della Questura di tenere la manifestazione, furono casuali.
Ragionando per ipotesi, visto che il “botto” sul treno era fallito e quindi il Msi avrebbe dovuto annullare la manifestazione nei giorni precedenti, non all’ultimo momento, la tesi di Vinciguerra è debole, ma forse non il partito era complice di questo atto, ma “qualcuno” al suo interno. Quindi  le due tesi potrebbero  non elidersi a vicenda, anzi potrebbero anche integrarsi, perché i ragazzi che quel giorno furono chiamati in piazza, non sapevano quali manovre potevano esserci  dietro. E’  prevedibile, infatti, che qualcuno nel partito doveva ben sapere che ci sarebbero stati gravi incidenti, avendo chiamato in piazza questi giovani che non può controllare e che da tempo vivono in un clima di violenza e di scontri cruenti con le sinistre.
Comunque sia all’ultimo momento la questura vieta la manifestazione e i dirigenti missisti, vuoi secondo l’ipotesi di Vinciguerra, cioè non avendo più i pretesti che dovevano esserci (la strage sul treno) o vuoi perché ha comunque mobilitato la “piazza” per un comizio da ternesi a tutti i costi, non sanno più  cosa fare.  I “sanbabilini”, fin dalla sera prima, spinti all’azione dagli stessi missisti vogliono marciare in ogni caso, anche se i vertici del partito, cercano ora di far tornare tutti a casa. Ma oramai è troppo tardi e si innescano così violenti incidenti con le forze dell’ordine. Un bomba SRCM lanciata da un giovane, per cause anche fortuite ed eccezionali di traiettoria, va ad esplodere proprio nel petto dell’agente Marino, determinandone la morte, quando invece avrebbe dovuto, più che altro, fare un gran botto.
Non interessa qui rievocare gli incidenti o indagare su cosa poteva esserci dietro, visto che resteremmo nel solo campo delle ipotesi e delle deduzioni, ma abbiamo descritto i fatti per introdurre quello che accadde dopo, un comportamento da parte del partito che arriva al massimo dello squallore e della viltà, ma non nuovo in quell’ambiente  i cui dirigenti sono da sempre stati in ottime relazioni con i rappresentanti delle forze dell’ordine.
Il MSI si trova spiazzato e sotto l’occhio del ciclone, la sua immagine di partito d’ordine rischia di finire a carte quarantotto. Cerca così, penosamente, di addossare la colpa a fantomatici infiltrati comunisti. 
Almirante, la sera stessa, arriva a mettere una taglia da devolvere a chi fornirà elementi utili per catturare gli “assassini”.
Ma i dirigenti missisti vengono a conoscerli ben  presto questi nomi, in virtù del consueto giro degli spioni (Servello, a sua volta informato, disse ad Almirante di conoscere i responsabili e questo gli disse di denunciarli). La taglia, 5 milioni, come riportarono le cronache successive, se la intascò addirittura uno dei dirigenti missisti, che la sera prima, assieme ad altri due dirigenti, aveva contattato i sanbabilini per richiedere il loro aiuto. Verrà fatto il nome di un paio di ragazzi che arrestati e saranno poi processati e condannati. Questo era il MSI.
L’opera nefasta del MSI
        Quindi, per tornare al discoro della, “mutazione genetica” che ha finito per  plasmare il missista post anni ‘60, oggi, dopo tanti anni, non possiamo neppure più parlare di “neofascisti” che hanno disatteso, se non tradito, il fascismo, come si poteva dire dei precedenti missisti perché, tranne poche frange giovanili, che andate per conto loro  hanno riscoperto certi valori ideali e sociali e si sono scrollate di dosso il filo americanismo, forse proprio in virtù del venir meno del “tumore” missista,  questi moderni destristi (area politica del PDL, della Lega, e miriadi di destre vedove del MSI) sono la totale antitesi del fascismo, sono una estrazione umana e ideale di matrice “americana”.
            Per avere il senso e la portata della nefasta opera del MSI, sia nei confronti del fascismo che soprattutto della Nazione e del popolo italiano, bisogna considerare il suo attestarsi su posizioni atlantiche e conservatrici, mettendo a disposizione i suoi quadri dirigenti e i suoi militanti per il fronte della reazione.
Del tradimento di questo partito nei confronti della Patria, occupata dagli Alleati e da questi rimodellata a loro immagine e somiglianza, strutturandone l’economia e la finanza affinché restasse legata al mercato libero e all’usura bancaria (subordinandola agli interessi atlantici, non solo attraverso il Diktat di pace, ma anche con accordi segreti e protocolli aggiuntivi, la colonizzarono stravolgendone anche le tradizioni e la cultura in base alla loro american way of life), di questo tradimento perpetrato per tutta la sua esistenza dal MSI, attraverso le sue politiche, il suo schierarsi con l’Occidente, le sue azioni provocatorie, c’è ben poco da dimostrare tanto è evidente.
Per quel che riguarda il tradimento degli ideali fascisti e il servilismo verso la “reazione” dobbiamo invece aggiungere qualche considerazione.
Mai il fascismo era stato liberista e di destra
           Il fascismo, anche se il ventennio, era stato un regime sostanzialmente conservatore, ed oltretutto fino alla grande crisi delle borse del 1929, aveva fatto uso di una prassi economica liberista,  resa necessaria per la crescita di un paese arretrato,  non aveva però sposato idealmente questa linea liberista e mai era stato avverso agli interessi del popolo. Era stata una prassi di governo liberista che poi con la crisi del 1929, venne spazzata via con l’intervento dello Stato  a sostegno delle Aziende (IRI), regolamentando nel 1936 anche la Banca d’Italia.
Già dalla sua forma di Stato, dove gli aspetti etici e politici dovevano avere la preminenza su quelli economici e finanziari (antitesi netta al liberismo), considerando anche la conduzione dirigistica del governo da parte di Mussolini, è palese che il fascismo aveva sempre cercato di mediare tra gli interessi padronali, di una iniziativa privata che si riteneva indispensabile per l’economia nazionale e gli interessi delle classi lavoratrici, cercando di curarne anche l’elevazione morale. Tanto è vero che durante quel ventennio, nonostante che gli interessi padronali spesso finivano per prevalere (limiti del Corporativismo, poi corretti con la socializzazione)videro la luce molte avanzatissime riforme sociali e previdenziali e grandi opere pubbliche al servizio del popolo.
La stessa classe padronale, che pur aveva tratto vantaggio, dalla “pace sociale” imposta dal regime sui luoghi di lavoro, aveva sì conseguito vantaggi e guadagni, ma non come avveniva prima e avverrà poi di nuovo dal dopoguerra in avanti,  nei regimi liberisti. Con la RSI poi il fascismo aveva trovato il modo, attraverso la riforma socialista dell’economia, pur salvaguardando l’iniziativa privata, di eliminare ogni sperequazione e sfruttamento da parte del padronato.
Queste parole di Mussolini , pronunciate a Milano il 22 aprile 1945 non ammettono dubbi:
  "I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio".
  Alessandro Pavolini il 28 ottobre 1943 afferma:  "… le nuove realizzazioni da raggiungere sul campo del lavoro, le quali più  propriamente che sociali, non abbiamo alcuna peritanza a definirle socialiste".
  Fulvio Balisti,  eroe di Bir el-Goby, attacca la proprietà privata e si richiama alla Carta del Carnaro che non è il dominio della persona su la cosa, bensì un utile funzione sociale.
  Il giornale il Fascio il 26 novembre 1943  aferma: "..in ogni caso il sistema capitalistico deve pur essere distrutto,  dalle fondamenta, essendo la repubblica fascista anche disposta , se costretta dai lavoratori, ad applicare lo statismo comunista, ma mai a giungere a compromessi con il capitalismo!".
  Sulla relazione che accompagna il Decreto Legge sulla Socializzazione, si legge:  "…l’esperienza del Corporativismo ha dimostrato come lo Stato non possa, nell’attuale momento storico, limitarsi ad un funzione puramente mediatrice fra le classi sociali, poiché la maggior forza della classe capitalistica vanifica ogni parità giuridica…  e riesce a dominare e a volgere a proprio vantaggio lo stesso potere dello Stato".
Sono solo alcune dichiarazione, significative, che attestano il cambiamento epocale del fascismo. D’accordo sono  esternazioni estreme, ma  risultano inequivocabili.
Non era un caso, oltretutto, che le intenzioni di Mussolini erano quelle di lasciare in eredità, le conquiste sociali della RSI ai socialisti.
Ma ora il fascismo era stato spazzato via con la sconfitta militare e l’Italia era caduta sotto il tallone Alleato ed era stata messa in mano ai partiti ciellenisti di eterogenea natura e pur bisognava tenerne conto.
Noi sappiamo benissimo che la “Resistenza” è stata una invenzione agiografica a posteriori e che militarmente parlando il fenomeno resistenziale è stato quasi insignificante, che le cosiddette “insurrezioni” e “liberazioni “ di città sono avvenute solo dopo l’evacuazione dei fascisti e gli accordi di resa dei tedeschi con gli Alleati. Si dà poi il caso che il popolo, negli ultimi due tragici anni di guerra, non ha affatto partecipato alla Resistenza, ma ha sopravvissuto più che altro nella speranza che la guerra, le morti e le privazioni finissero al più presto.
Mentre la Repubblica Sociale Italiana, pur sotto il peso di una inevitabile sconfitta, aveva avuto una discreta partecipazione di popolo, circa 800 mila italiani, così come, sebbene fossero una minoranza, i fascisti repubblicani costituirono una cifra significativa, la Resistenza, compresi i “renitenti alla leva”, oltretutto scappati in montagna proprio per non fare la guerra, viceversa aveva avuto una partecipazione popolare quasi nulla, ma come sempre accade nelle vicende storiche, le file dei cosiddetti partigiani vennero ad infoltirsi notevolmente solo a partire dal 25 aprile 1945 nella imminenza del crollo dei fascisti. Se questi potevano chiamarsi “partigiani”...!
Questa è l’esatta verità storica che nessuna agiografia, memoriale, rievocazione di parte o altro potrà mai cambiare.
Proiettiamoci ora nel dopoguerra, dove le condizioni del paese, a seguito della guerra erano veramente penose, soprattutto per la popolazione meno ambiente.
Il padronato e le proprietà agrarie soprattutto al Sud, sotto protezione Alleata (Alleati che avevano persino reinstallato alla grande la Mafia in Sicilia) si riappropriarono di tutti i loro presunti diritti e facoltà di sfruttamento selvaggio che la nuova mecca liberista poteva garantirgli.  
E il fronte della conservazione che andava dai monarchici, ai liberali, per arrivare alla DC e alla Chiesa, si fece paladino di questa restaurazione, con la scusa del “pericolo rosso” e la difesa del “mondo libero”,  opposto alla tetra “oltrecortina”, non lesinando di impiegare brutalmente la forza pubblica per reprimere ogni sollevazione.
I socialcomunisti, che nel frattempo avevano dovuto obbedire alle imposizioni Alleate di annullare e far decadere tutte le conquiste sociali realizzate durante la RSI, a partire dalla socializzazione delle imprese,[7] non avevano alcuna possibilità, né tantomeno l’intenzione di intraprendere una strada rivoluzionaria per affermare almeno le istanze sociali di cui si dicevano portatori.
Tutto quello che i socialcomunisti potettero o vollero fare e oltretutto sempre in misura minore con il loro “inserirsi” nel Sistema, fu un lavoro sindacale a difesa delle classi lavoratrici e contadine. Per il resto affidarono ai giochi elettorali e alle alchimie politiche la possibilità di incidere nella realtà politica e sociale del paese.
Il loro anti atlantismo poi restò sempre inficiato da una certa subordinazione a Mosca per il quale, in virtù di Jalta, l’avversione alla Nato non assumeva mai la portata di una liberazione nazionale che avrebbe invece dovuto avere.
Per finire, non era poi irrilevante il fatto che, a causa dell’ideologia marxista, i social comunisti erano ostili e totalmente assenti dal difendere i valori nazionali e i diritti sulle nostre terre, arrivando persino a ignorare, se non decantare i massacri delle foibe.
Accecati dall’antifascismo, i socialcomunisti, non si resero conto che gli ideali della “Resistenza”, una Resistenza realizzata per mano Alleata e in simbiosi con altri partiti conservatori, finivano per fare il gioco del Sistema e precludere la realizzazione di una Repubblica popolare socialista. Gli stessi anglo americani, emblema del capitalismo mondiale, non potevano definirsi dei “liberatori” durante la guerra per diventare subito dopo degli imperialisti aggressori dei popoli liberi.
Al pari delle destre che, da parte loro, cavalcavano un anticomunismo viscerale a prescindere. Si innescava così il gioco infausto, criminale e inconcludente degli opposti estremismi:  fascismo – antifascismo;   comunismo – anticomunismo.
E in quella situazione storica, per quel che ci riguarda, i dirigenti missisti, anche se agli inizi ci fu qualche iniziativa contraria, seguirono la strada dell’intruppamento con la reazione, con il fronte conservatore, di fatto agendo contro le legittime istanze di rinnovamento e di giustizia sociale da parte del popolo.
Una china verso la reazione e la difesa dei più gretti interessi di classe, sempre più accentuata e sempre con lo stesso leit motiv: “chi sciopera è comunista”, “i sindacati sono rossi”, “il mostro comunista vuole impadronirsi del potere”, “il mondo libero è anche la nostra libertà” e via di questo passo con demenzialità e  raggiro degli sprovveduti.
“Fascisti” da barzelletta
            Premesso che nel MSI, come del resto in altri partiti, vi furono anche fior di galantuomini (in definitiva i partiti raccolgono adesioni e militanze per lo più in base ad assimilazioni culturali ed esistenziali e quindi non tutto può essere ricondotto a “raggiro” o “bottega”), un ultima osservazione riguardo alle grandi varietà e stranezze della natura umana: l’esperienza, infatti, ci mostra che ci furono missisti e non solo, in particolare dirigenti, quali autentici furfanti perchè ben sapevano di non essere fascisti, ma per svariate ragioni, soprattutto elettorali, stavano al gioco e si spacciavano come tali, fino a quando, venute meno le necessità di ingannare l’ambiente e di recitare questa farsa all’esterno, si sono rivelati per quello che veramente erano: degli antifascisti, né più, né meno di altri. Ma ce ne sono anche stati tanti altri che pur vivendo e operando nel MSI, quindi  di fatto da “antifascisti”,  dentro di sé si ritenevano “fascisti”, magari di un “fascismo” tutto loro conciliando l‘utile di una carriera nel partito con la pace della coscienza.
In altro ambito anche l’agente Z del Sid, lo “spione” Guido Giannettini che lavorava, stipendiato,  per lo Stato antifascista, ovvero per un Servizio, di fatto,  interno al sistema atlantico nostro colonizzatore (tutte specificità che lui, esperto di storia, storia militare e geopolitica doveva ben conoscere), si definiva “fascista”, anzi “nazionalsocialista”,, e fascista si è definito persino il massone Licio Gelli.  
Un fascismo tutto loro fatto di Ordine e Gerarchie chissà come immaginate e magari instaurate da colpi di Stato militari, treni in orario e operai che non scioperano. Quel fascismo bigotto e borghese, legato a compromessi e necessità nazionali, poi miseramente naufragato.
Qui, forse quello che li muove è unicamente l’anti, nel caso specifico l’anticomunismo, in nome del quale tutto è giustificato. Qualcuno però avrebbero dovuto dirgli che nei secoli attuali il rapporto tra padrone e lavoratore è squisitamente sociale, di paga, di profitto, di mercede. E se certi “valori” spirituali il fascismo li ha presi a riferimento, non per questo ha ignorato quello che ne consegue dal rapporto - capitale lavoro, ovvero la giustizia sociale e la supervisione dello Stato, ergo l’antitesi del liberismo.  E qualcuno dovrebbe anche dirgli che Mussolini fu il primo a voler rivedere il sistema delle “cariche dall’alto” per le gerarchie, perché, pur senza sconfinare nella democrazia, andava rivisto in quanto nel ventennio non aveva funzionato.
Comunque, noi qui non vogliamo entrare nel merito di dover definire cosa sia il fascismo, ma a parte il fatto che tutti questi personaggi ci risultano anni luce lontani dal fascismo repubblicano, vogliamo solo ricordare che non ci si può definire fascisti e al contempo essere stipendiati da un Servizio di questo Stato antifascista, subordinato ai comandi Nato, e a Gelli gli si dovrebbe ricordare che la Massoneria è stata tra i peggiori nemici del fascismo.  Non necessita altro.
Condizioni contingenti favorevoli
   Un bel lavoro, non c’è che dire
"Sto lavorando per individuare e far crescere chi dovrà prendere le redini del Msi dopo di me. Giovane, nato dopo la fine della guerra. Non fascista. Non nostalgico. Che creda, come ormai credo anch'io, in queste istituzioni, in questa Costituzione".
(G. Almirante: 1980, Intervista a microfono spento a Il Lavoro di Genova).
                            Chi col dito il cul si netta,           
                            tosto in bocca se lo metta,           
                resterà così pulito,          
                culo, carta, muro e dito! [8]

Cerchiamo adesso di capire come sia potuto avvenire il “grande inganno” che portò alla creazione del MSI e soprattutto alla sua degenerazione umana e politica sempre più accentuata  negli anni.
La nostra analisi, come accennato, prescinderà da valutazioni di eventuali atti in malafede per corruzione e collusioni per interessi personali. La storia non può seguire questa critica più di tanto e a noi non interessa minimamente dare patenti di “ladri” e “venduti” a tizio o caio, visto che, oltretutto, nella natura umana e soprattutto in politica: chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Quindi anche eventuali collusioni con Servizi, lobby di potere, o con gli stessi occupanti statunitensi, vogliamo farle rientrare, o facciamo almeno finta di farle rientrare, in atteggiamenti politici, in atti confacenti a certe inclinazioni, a una certa forma mentis, in definitiva profondamente difforme, anzi avversa al fascismo. [9]
Nella genesi del MSI, per capire cosa questo partito ha poi finito per rappresentare,  per comprendere come è potuto accadere che fascisti con tanto di coglioni sotto, non hanno spaccato a sante manganellate le teste dei dirigenti impostori, bisognerà fare una serie di considerazioni, anche di carattere psicologico, oltre che di carattere storico.
Per prima cosa partiamo dalla considerazione di quel periodo, laddove anche a distanza di mesi dalla fine della guerra, in un clima di retorica esaltazione antifascista, perdurava la caccia al fascista e funzionavano le Corti di Assise Straordinarie (mostruosità giuridiche con Leggi penali straordinarie e  con  effetti retroattivi) pronte a infliggere condanne a morte o decenni di reclusione.
Era facile che i reduci fascisti, dovendosi preoccupare della loro sopravvivenza, delle famiglie e di un lavoro, non potevano stare troppo a fare gli idealisti e i politici, a cercare intese con chi, in particolare le sinistre, si accanivano nel volerli mettere al muro o in galera. E purtroppo divenne così inevitabile, che questi fascisti trovassero interlocutori e amicizie, interessate, essenzialmente tra gli anticomunisti che andavano dal monarchico al liberale, agli uomini di Chiesa, a ufficiali e funzionari delle FF.AA. o della Polizia che magari già avevano ricoperto certi ruoli nel ventennio e che ora, in qualche caso, riciclatisi, occupavano più o meno gli stessi uffici e le stesse cariche nelle istituzioni democratiche e antifasciste, avendo costoro, essenzialmente, professionalità e attitudini da servitori dello Stato.
Secondo poi, occorre considerare che i fascisti, i reduci del fascismo repubblicano, venivano da un periodo storico dove il fascismo si era identificato nello Stato e nella Nazione, fatto questo che aveva prodotto una certa attitudine al rispetto delle gerarchie e al tenere in considerazione il senso del comando.
A questo si aggiunga il culto che i fascisti avevano sempre nutrito per i valori eroici e combattentistici. Tutte attitudini queste sicuramente positive e che caratterizzavano un ambiente umano sopra le righe.
Ma da un altro punto di vista proprio queste caratteristiche positive esponevano facilmente i fascisti, sopratutto i più generosi e magari ingenui, al raggiro, perpetrato in nome di un malinteso “cameratismo”.
Non era difficile, a volte, a furbastri di ogni risma imporre certe decisioni dall’alto di qualche carica di partito o da un retaggio storico per qualche loro impresa, vera o presunta, compiuta in passato.
La stessa cosa, del resto, era accaduta durante il regime fascista, in cui non pochi millantavano imprese e gesta eroiche nella Grande Guerra o nella rivoluzione delle camice nere, spesso mai avvenute o comunque non in quei termini agiografici (gente che magari aveva perso una mano in qualche incedente e lo spacciava come un “eroico sacrificio” durante fantomatici combattimenti).
Ma si sà, queste cose fanno parte della natura umana, ci sono sempre state e sempre ci saranno, come i millantatori e i furbastri, solo che in un ambiente in cui il culto di certi valori è giustamente sopra le righe, bisognerebbe stare molto più attenti a non farsi raggirare.
Oltretutto, se è pur vero che le stesse “gesta eroiche”, che caratterizzano uomini di valore e di coraggio, restano ad eterna memoria e ed esempio di vita, è altrettanto vero che l’ “eroe”, colui che a suo tempo le ha compiute e che ora continua la sua vita, non sempre negli anni resta quello per cui tutti hanno il ricordo, il rispetto e la dovuta considerazione. Non pochi, infatti, sono stati i casi di fior di combattenti e camerati, che molti anni dopo, in situazioni diverse, dei loro “valori eroici” non era rimasto più nulla, se non addirittura erano divenuti dei farabutti che sulle loro passate gesta ci campavano, speculando, per procacciarsi un bel posticino al parlamento, visto che tutta una area di seguaci e simpatizzanti continuava a vedere in loro quello che, purtroppo, non c’era più.
Questo dal punto di visto umano e psicologico spiega, almeno in parte perché, molti reduci fascisti si trovarono invischiati nel fronte anticomunista della conservazione, pieno di personaggi che si spacciavano per “amici”, se non per “camerati” e dove guitti e scaltri imbonitori, facendo uso di abbondante retorica hanno spesso raggirato tanti idealisti e tante persone per bene.
Ma, concretamente, dal punto di vista storico, soprattutto due fattori,  hanno creato le condizioni giuste affinché tutto questo avvenisse, e vanno quindi considerati:
1. il retaggio ambivalente della RSI che costituì il serbatoio umano a cui, in buona parte, attinse il MSI e,
2. la colonizzazione statunitense del nostro paese che ne controllò la nascita.  Vediamoli separatamente.





[1] Ecco cosa scriveranno i fascisti della FNCRSI, sul loro Bollettino Fncrsi N. 4 del febbraio 1968, dopo aver fatto un ampia analisi dell’aggressione americana al Vietnam:"
Così stando le cose, noi combattenti della, “guerra del sangue contro l'oro” non possiamo che essere vicini a coloro i quali in qualsiasi parte dei mondo difendono in armi la patria dallo straniero".
[2] Borghese, ovviamente, non rimase con le mani in mano, ma diede corpo ad un suo progetto, realizzando un altra Associazione di ex combattenti della RSI, che funzionò come appoggio propagandistico al MSI e impostò la sua politica, se così si può chiamare, a cerimonie reducistiche, messe, pellegrinaggi e pratiche e richieste pensionistiche Una ben triste fine.
[3] La sconfitta militare e la storiografia falsificata del dopoguerra hanno fatto passare sotto silenzio che la RSI fu un evento epocale straordinario sia sul piano delle idee rivoluzionarie, sia per la rottura con un certo passato “borghese” del ventennio fascista. Un epopea di combattentismo legionario, unica e forse irripetibile, a vanto del popolo italiano. Julius Evola, di certo non prodigo nel dare patenti di eroismo, ebbe a scrivere: "Forse per la prima volta in tutta la storia italiana, col secondo fascismo una massa non indifferente di italiani scelse coscientemente la via del battersi su posizioni perdute, del sacrificio e dell’impopolarità per obbedire al principio della fedeltà ad un capo e dell’onore militare" (J. Evola: Il fascismo visto dalla destra, Ed. Volpe 1964).
[4] Richieste di pena di morte, leggi speciali, campagne a favore delle forze di polizia, loro difesa a prescindere, insomma tutta una serie di esternazioni, a volte insensate, assicuravano al MSI il favore, ma spesso del tutto superficiale, di qualche benpensante, e dei tutori dell’ordine, che poi venivano demenzialmente scambiati per “camerati in divisa”.
[5] Strofette derisorie verso i missisti sul Bollettino Fncrssi nel 1974 quando costoro misero a disposizione il loro apparato per la campagna referendaria contro il divorzio. I fascisti della Fncrsi che da anni chiedevano l’abolizione del Concordato, si schierano invece a favore del divorzio. Gli italiani, al referendum, bastoneranno preti e missisti..
[6] Per avere una idea della utilità di alimentare gli “opposti estremismi”, giova ricordare una testimonianza resa nel 1981 dal colonnello Antonio Viezzer, già in servizio al Sid, Viezzer riferì che nel corso della campagna elettorale della primavera 1972 (mentre da una parte impazzavano le SAM ben dirette da “chi di dovere”, n.d.r.) il capitano Antonio La Bruna (carabiniere nel Sid) su ordine dell’allora capo del Sid Vito Miceli, fece collocare bomba carte presso alcune sedi del MSI.
[7] Del resto per i socialcomunisti annullare le conquiste della socializzazione era indispensabile per la politica marxista della lotta di classe, che altrimenti veniva resa inutile e priva di significato.
[8] Altra strofetta, apparsa sul Bollettino Fncrsi di fine anni ’60 e dedicata a quei missisti, imbroglioni e millantatori, che trafficavano e facevano i democratici fuori e, al contempo, si spacciavano per fascisti all’interno. Insomma, leva e metti, metti e leva una camicia nera sempre più sbiadita.
[9] In ogni caso, oggi, grazie a varie documentazioni o confessioni, sappiamo  che già al tempo vi erano personaggi collusi con l’Oss americano, con lo Stato Maggiore, con i Servizi e il Ministero degli interni, ecc. Confidenti, spie e attivisti di vario genere, la cui collusione, in certi casi, si configura come un vero e proprio essere in servizio di “chi di dovere”. Come inquadrare e giustificare queste collusioni, non è compito nostro, ma non possiamo non sottolineare che alcuni di questi “collusi”  hanno poi rilasciato rievocazioni storiche. Si figuri con quale attendibilità!

Il retaggio ambivalente della RSI

Il Msi si è trasformato, da quel nucleo iniziale di reduci del fascismo. Ormai fa parte stabilmente della geografia politica dell'Italia repubblicana. È stato un processo lento e difficile. Bene: ma lei crede davvero che io possa pensare di chiudere la mia carriera, la mia vita politica, facendo il becchino di un partito che muore perché una generazione si spegne per motivi anagrafici e un'altra perché chiusa in galera? Crede davvero che sia così miserabile da avere questa ambizione da nostalgico rincoglionito? Le dirò di più: io non voglio morire da fascista.”
(G. Almirante: 1980, Intervista a microfono spento, Il Lavoro di Genova).

Mussolini, da grande rivoluzionario, dopo l’8 settembre, non si era lasciato sfuggire la irripetibile occasione che si presentava in Italia, dove, per la prima volta nella sua storia, forze da sempre dominanti, erano momentaneamente fuori gioco: la grande industria, le lobby massoniche (soprattutto nell’Esercito) e il Vaticano.
Oltre ovviamente Casa Savoia un tumore maligno incistato per gli interessi britannici, circa un secolo prima, alla guida della Nazione.
Fu così che Mussolini poté portare a compimento il processo storico - ideologico del fascismo, arrivando alla RSI e al manifesto di Verona, realizzando quel modello di società socialista da lui sempre desiderato.
Egli completava in tal modo anche il Corporativismo, un altra grande realizzazione del fascismo, ma che, senza la socializzazione, come ammise Mussolini, poteva essere piegato dal padronato ai suoi interessi.
Una rivoluzione socialista
             Citiamo alcune conquiste rivoluzionarie della RSI: la socializzazione delle imprese; la revisione del mercato azionario; un effettivo controllo sulla Banca d’Italia, di fatto commissariata;  il cooperativismo sociale nei settori alimentare e del vestiario per i loro prodotti primari e in quello immobiliare per le case al popolo.
Conquiste rivoluzionarie, mai raggiunte da nessuno e che conferivano alla guerra in corso, una vera lotta “del sangue contro l’oro”.
A Genova, il 15 marzo 1945, all’epilogo di una guerra criminale imposta all’Europa dalle grandi plutocrazie occidentali, in piazza De Ferraris, un eccellente e genuino oratore, che era stato socialista, poi tra i fondatori del comunismo nel 1921 ed aveva conosciuto Lenin anche nelle ore pericolose della rivoluzione bolscevica,  cioè il romagnolo Nicola Bombacci, classe 1879, un tempo chiamato il Lenin di Romagna, arringò una enorme folla che, più che altro, fu individuata negli operai delle industrie navali liguri e delle fabbriche siderurgiche e meccaniche di Sampierdarena, di Cornigliano, di Sestri Ponente, di Pegli e di Voltri, nonché della Valbisagno e della Valpolcevera:
«Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso!
Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre…  - Ed aggiunse: -
Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno… Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario…».
Tempo prima Mussolini ebbe a dire: “Bombacci, che vive giorni di passione, è in prima linea tra coloro che si battono per una vera rivoluzione sociale”.
Ricordiamo questo per sottolineare la ricchezza di idee e di programmi, una svolta rivoluzionaria epocale che coinvolse tanti personaggi di eterogenea provenienza ed entusiasmò i fascisti repubblicani, consci di una rottura netta e definitiva con il fascismo del ventennio, tanto che a novembre del 1943, per dare un segnale del cambiamento, Pavolini voleva costituire squadre di polizia che indossassero, come uniforme, “la camicia nera, la tuta blu scura dell’operaio”.
In prossimità della sconfitta, al Direttorio del PFR di Maderno del 3 aprile 1945, presieduto da Pavolini, si discussero le indicazioni operative per una lotta da proseguire in Italia, nel dopoguerra:
"Io e il Duce - disse Pavolini - siamo convinti che occorra dar vita a nuclei clandestini di fascisti da infiltrare nelle principali città dopo l’occupazione".
Alcune correnti di sinistra del fascismo (vi si riconoscevano Borsani, Pettinato, Spampanato, ecc.) cercarono anche di ridiscutere il concetto di “autorità” e le posizioni delle istituzioni repubblicane verso la democrazia. Si determinò quindi una situazione particolare, con Pavolini e Romualdi, giustamente intenti a respingere queste deviazioni “ideologiche” in tema di democrazia.
"Il fascismo non è socialismo -  urlò Romualdi – ma è un altra cosa".
Discorso ambiguo per quanto riguardava il socialismo e giusto per le eventuali “deviazioni” democratiche, ma che nascondeva, già da allora, tutta la mentalità di Romualdi, uomo di destra. Alla fine della riunione si ebbe una dichiarazione di compromesso, ma non è questo il punto.
In quella occasione, inoltre, mentre Pavolini si dichiarava d’accordo almeno sul “socialismo fascista”, il futuro missista Pino Romualdi, d’accordo su la costituzione di strutture clandestine fasciste, una specie di movimento clandestino dotato di mezzi finanziari e quadri dirigenti, che anzi proprio lui aveva caldeggiato, non si trovò però d’accordo anche su alcuni presupposti politico - sociali, forse giudicati troppo “sovversivi”, di quelle indicazioni.
Vennero comunque abbozzate alcune direttive indicate da Pavolini, Zerbino, Solaro, Porta ed altri che prospettavano per i fascisti nel dopoguerra, anche in clandestinità, una lotta contro l’occupante e a difesa delle innovazioni sociali della RSI contro ogni restaurazione monarchica e liberista.  Come riferì Ermanno Amicucci, al tempo direttore del Corriere della Sera:
"Mussolini voleva che gli anglo americani e i monarchici trovassero il nord Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la RSI".
E al socialista Carlo Silvestri, Mussolini aveva precisato:
«Vi dico che il più grande dolore che potrei provare sarebbe quello di rivedere nel territorio della Repubblica Sociale i carabinieri, la monarchia e la Confindustria.
Sarebbe l’estrema delle mie umiliazioni. Dovrei considerare definitivamente chiuso il mio ciclo, finito".
Riportiamo di proposito questi aneddoti e queste frasi, perché i “neofascisti” o per meglio dire gli “antifascisti  missisti”, proprio queste realtà antitetiche al patrimonio ideale della RSI ebbero a perseguire!
Dei progetti abbozzati da Pavolini per una lotta clandestina da proseguire dopo la sconfitta e a salvaguardia del patrimonio ideale e sociale anti capitalista e anti monarchico, nulla rimase e quelli del suo entourage che sopravvissero alla sconfitta, finalizzarono tutto alla organizzazione di strutture atte ad aiutare i reduci braccati ed epurati nel lavoro, ad allacciare contatti  spuri con tutto il fronte della reazione, e gli occupanti statunitensi, arrivando poi alla costituzione del  MSI.
Non è quindi un fatto di “nostalgicismo” o di riproposizione di simboli oramai anacronistici, come cerca di far credere Almirante nell’aforisma riportato ad inizio di questo Capitolo per giustificare la sua liquidazione del fascismo, perché si tratta di un bagaglio  di idee, di programmi, di scelte sociali, di lotta per l’indipendenza nazionale che sono sempre validi, anzi indispensabili e se proprio vogliamo,  anche a prescindere dal riferimento storico del fascismo. Il MSI invece ne è stato l’antitesi.
Salò nera  e  Salò tricolore
          Tornando al nostro argomento, si da’ il caso che, al tempo, Mussolini aveva anche un altro grande ed urgente problema da risolvere: quello di ricreare dal nulla uno Stato ed un Esercito, dissolti dal tradimento badogliano, oltre a proteggere il paese da una spaventosa ritorsione da parte dei tedeschi ignobilmente traditi. Senza uno Stato e senza un Esercito, ebbe a dire Mussolini, tutto era vano.
Di fronte a queste primarie necessità Mussolini andò disperatamente alla caccia di personalità di un certo spessore e carisma, tecnici di valore, uomini in grado di dare prestigio alla Nazione o di risolvergli i tanti gravissimi problemi.
E dovette anche accontentarsi di non fascisti o fascisti sui generis, che aderivano alla RSI per “l’onore d’Italia”.  E aprì così le porte dello Stato anche a chi non si considerava fascista, ritenendo sufficiente che si aderisse e si partecipasse alla RSI per il solo trinomio: Italia, Repubblica, Socializzazione.
Di fatto alla Salò neradei fascisti repubblicani, rivoluzionari e socialisti, di Mussolini, Bombacci, Pavolini, Colombo, Solaro,, dei delegati fascisti al congresso di Verona, degli artefici rivoluzionari che studiarono e progettarono la socializzazione, ecc., che avevano determinato la “rottura” totale con il fascismo del ventennio, si sovrappose la Salò tricolore  la quale a causa delle contingenze belliche e delle necessità dello Stato, si pose in primo piano stante la necessità di tenere in piedi una neonata Repubblica stretta tra il nemico in guerra che avanzava e i tedeschi che oramai non avevano più tanta considerazione per l’Italia e tendevano  a comportarsi da occupanti.
E in buona parte furono poi quelli della “Salò tricolore” i cosiddetti “moderati” della RSI, assimilabili ad una vasta area di italiani dall’indole borghese, di cultura cattolica, genericamente nazionalisti e conservatori, che spesso, per conoscenze personali e trasversali si riciclarono nel MSI, assieme a qualche avvoltoio dell’ex Partito Nazionale Fascista, liquidato il 25 luglio ’43, riapparso in circolazione avendo subodorato le possibilità politiche che offriva il nuovo partito.
Quindi, in queste analisi storiche, bisogna sempre tenere presente che il MSI quale partito conservatore e reazionario non nacque per caso o dal nulla, e neppure solo in virtù di complotti e manovre occulte, ma si innestò in una realtà umana, politica e culturale già preesistente, dove semmai complotti e manovre, trovando un terreno adatto e fertile, ebbero la meglio.
Sicuramente, nella Salò tricolore, c’erano stati ottimi italiani, militari di valore, professionisti e persone per bene (del resto non era stato nè semplice, nè “igienico” aderire alla RSI consci, che la guerra era perduta), ma è indubbio che si era in presenza di persone più che altro di mentalità e attitudini, per così dire “moderate”, se non “borghesi”, tutta gente con cui si forma l’ossatura e la professionalità dello Stato, ma una volta venute meno le tensioni ideali e le gerarchie che li comandano, non assumono certo posizioni rivoluzionarie.
Uno per tutti, l’esempio di Filippo Diamanti generale dell’esercito di Graziani, che il 25 aprile ‘45, di fronte al crollo imminente e ad un Pavolini giustamente infuriato, non trovò di meglio che consigliare ai militari di togliersi il “gladio” repubblicano dalle mostrine e rimettersi le “stellette”, per lui, come se nulla fosse.
E tanti altri esempi simili li troviamo nella Polizia della RSI, nella GNR, in svariati Prefetti, a cominciare da quel Renato Celio di Como che, prima ancora che avvenisse il crollo, era in contatto con uomini della  Resistenza per contrattare un trapasso dei poteri, o meglio una resa vera e propria; e ancora funzionari delle istituzioni RSI, diplomatici, ecc.
E molti di questi “saloini tricolore” li ritrovammo come mosconi attorno a questo neonato partito, magari spacciandosi per autentici  “fascisti”.
Accanto a questi, giova ripeterlo, tanti borghesi, qualunquisti, tipici conservatori, quelli che ammiravano il fascismo perchè “i treni andavano in orario” e non si scioperava, perchè la Chiesa era rispettata, ecc., tutta quella massa di italiani, insomma, magari anche perbene, ma che già a luglio del 1943 si erano squagliati come neve al sole e avevano dimostrato come era facile adeguarsi quando la “pelle” era in pericolo.
Ebbene, nel dopoguerra, furono prevalentemente costoro che a poco a poco si assicurarono i posti direttivi del partito e soprattutto, tra questi, quelli che, meno degli altri, potevano dirsi fascisti, a cominciare da quell’Arturo Michelini, tra i fondatori del MSI di cui  ne divenne, dal 1954, segretario nazionale.
Fu così che la “rottura” epocale tra il fascismo borghese, retorico, conservatore per necessità nazionali, del ventennio e la ventata rivoluzionaria del fascismo repubblicano, fu nei fatti vanificata, dissolta, da questo connubio letale tra fascisti, qualunquisti e conservatori.
Le figure di Bombacci e Solaro
     Per valutare tutta la involuzione  di un certo ambiente e tutta l’infamità che l’ha determinata, si prendano ad esempio le splendide figure della RSI di Nicola Bombacci e di Giuseppe Solaro.  Non potendo ignorare queste due magnifiche figure, esse sono state utilizzate dal missismo unicamente per una vuota agiografia della “bella morte” a cui seppero andare incontro: Bombacci a Dongo, gridando “viva il socialismo” e Solaro a Torino immortalato dalla famosa foto che lo ritrae  sereno mentre i carnefici partigiani lo portano a morire.
Ma delle loro idee di fascisti socialisti, della opera niente, il silenzio più assoluto, tanto che bisognerà attendere storici e giornalisti storici, non di parte,  che solo dopo molti decenni ci restituiranno le loro biografe e un minimo di descrizione politica. [1]
Il MSI viceversa ha sempre steso un velo di silenzio su questi uomini, per non infastidire i suoi manutengoli della Confindustria, per non sollevare il coperchio sulle riforme sociali  della RSI di Mussolini. unica possibile realizzazione del socialismo.
Eppure di Bombacci si sarebbe ammirata la sua coerenza di pensiero e di vita, al pari dl Mussolini socialista ante 1914, che lo portò a sostenere il fascismo socialista di Mussolini.
Di Solaro , questo giovane federale, si sarebbe ammirati i suoi sforzi umani e politici per la socializzazione, per contrastare industriali e tedeschi uniti nel sabotarla. 
En passant si sarebbe notato come Solaro, aveva capito tutto, quando già nei primi tempi della RSI, da Aosta  telegrafò a Pavolini denunciando un possibile doppio gioco di Valerio Borghese. 
Ma stranamente il neofascismo missista  tacque anche su le possibili indagini atte a capire come Solaro venne catturato a guerra finita.  In quelle vicende vi appaiono sullo sfondo  anche tre figure di “fascisti”:  Tullio de Chiffre un giovane entrato nelle Brigate  Nere, ma che subito si macchiò di imprese  poco edificanti che costrinsero Solaro, che ne sospettava anche il doppio gioco con un capo partigiano,  a denunciarlo e redarguirlo più di una volta;  quindi il maggiore  Dante Massa e il vice federale Giuseppe Ravetti, uomini vicinissimi a Solaro, ma che le ricostruzioni sulla cattura di Solaro, mai appurata nelle sue esatte vicende, lasciano perplessi. Oltretutto il Massa venne poi salvato dalla sicura fucilazione dal capo del CLN piemontese generale Alessandro Trabucchi (come mai?).
Ebbene  a guerra finita questi De Chiffre, Massa e Ravetti, tutti salvatisi, indovinate dove finirono?  nel Msi !   
Bisogna sempre tenere a mente questi aspetti storici, perché se il MSI potè diventare l’antitesi del fascismo, se imboccò inesorabilmente la china della reazione, tutto questo non avvenne solo a causa di manovre occulte, di personaggi che tramarono per forzare certe posizioni, ma anche per una predisposizione di una parte della sua area umana che, specialmente se incentivata da una certa propaganda e dalle situazioni contingenti (gli attacchi dei comunisti) non poteva che scadere su posizioni conservatrici e di destra.
La colonizzazione statunitense

Il massimo del servilismo
"Siamo diventati antiamericani? Soltanto gli sciocchi possono dirlo ... In realtà, noi siamo "antiamericani" quanto lo è il Generale Westmoreland, comandante in capo del Sud Vietnam, il quale non riesce a far capire ai suoi superiori «politici» che la guerra si potrebbe vincere. Siamo "antiamericani" quanto lo fu Mac Arthur allorchè Truman gli impedì di fermare i cinesi alle porte della Corea lanciando l'atomica... Siamo "antiamericani" quanto lo è Goldwater, il quale viene considerato da metà del suo Paese un folle guerrafondaio ...".
Da "il Borghese" di Mario Tedeschi n. 46 – 17,11.1966

E’ indubbio che i veri vincitori della guerra, sul suolo italiano, furono gli americani, i quali poi, anche in virtù di un certo accordo con il Vaticano, riuscirono a scalzare gli inglesi da sempre influenti in Italia.
Il nostro paese venne quindi letteralmente rimodellato sugli standard esistenziali di vita americani;[2] la oramai obsoleta e svergognata monarchia sostituita da una Repubblica democratica; la nostra economia e finanza adeguate al libero capitalismo di mercato dell’Occidente e all’usura dei banksters, che già a Bretton Woods nel 1944 avevano progettato e varato gli Istituti, il sistema finanziario e l’ordine monetario internazionale per perpetuare il loro potere.
Naturalmente la Nazione venne subordinata militarmente alle esigenze americane che poi la inserirono nella Nato in modo che tutti gli alti comandi delle nostre FF.AA. dipendessero da quelli Atlantici.
Insomma, da allora, divenimmo una vera e propria colonia.
Ma gli americani avevano anche un altro problema: quello di realizzare in l’Italia, in prospettiva del loro ritiro militare, non solo istituzioni, ma anche strutture militari e di polizia in grado di garantire la stabilita al paese così colonizzato.
Il prevedibile esplodere della guerra fredda rendeva queste necessità ancora più impellenti, anche perchè in Italia la presenza social-comunista era molto consistente e il PCI era il più forte e radicato partito comunista d’Europa.
La portata strategica di Jalta
         Ma attenzione: gli americani non avevano paura, se non come ipotesi teorica, che i comunisti in Italia avrebbero potuto portare il nostro paese fuori dall’Occidente.
Ben sapevano, infatti, che gli accordi di Jalta con l’Urss, di livello strategico, garantivano questo inquadramento e  pertanto lo stesso PCI, a cui era stata da Mosca imposta la svolta “democratica” di Salerno nel 1944 (ben gradita ai dirigenti comunisti), sarebbe di sicuro stato ai patti.
In 40 anni di Jalta, mai nessun paese di uno dei due blocchi passerà nel campo opposto  e infatti gli americani non mossero un dito quando i sovietici intervennero in Ungheria o in Cecoslovacchia, così come i sovietici non fecero una piega quando i rivoltosi comunisti in Grecia (riserva occidentale) vennero spazzati via, o ancora in Grecia, gli americani imposero nel 1967 il colpo di Stato dei Colonnelli.
Gli americani però sapevano che le Nazioni hanno dei loro sviluppi geopolitici e certe dinamiche internazionali possono seguire strade imprevedibili e quindi vi  era anche la necessità di praticare sul piano tattico una “guerra non convenzionale”, di esercitare pressioni di vario tipo a difesa della loro ingerenza, laddove, alla lunga la sola corruzione delle classi dirigenti italiane poteva non bastare.
Un esempio dei pericoli che gli Americani seriamente paventavano in prospettiva, erano le iniziative politico - economiche come quella di Enrico Mattei che minacciavano i loro interessi economici nel delicato settore energetico, o quelle di Aldo Moro con le sue politiche di equidistanza nel contenzioso mediorientale  e aperturiste verso il PCI.
Un partito comunista che finchè non fosse stato totalmente “occidentalizzato” (lo divenne negli anni ’80 grazie all’operato di Berlinguer)[3] e finchè fosse perdurata Jalta, gli americani non gradivano entrasse nei governi nazionali perché, in un paese in crescita come il nostro poteva essere un acceleratore di iniziative politiche e sociali, proprio simili a quelle di Enrico Mattei che avrebbero causato scollamenti nel quadro internazionale dell’Occidente.
Mettere, pertanto, in piedi un baraccone di opposti estremismi, dividere governi, partiti, circoli culturali, ecc., in fautori della Nato in opposizione ai fautori del Patto di Varsavia, in pratica scemi & più scemi, era per loro quanto mai opportuno e previdente. Jalta, con la spartizione dell’Europa in due sfere di influenza Est – Ovest che, tatticamente, si sono fronteggiate in lotte e contrapposizioni tra Servizi, spesso anche cruente, ma in cui le due super potenze Usa e Urss, erano concordi nel mantenimento dello status quo e segretamente cooperavano in una ottica di “coesistenza pacifica”, è stata una grande invenzione epocale, la sola che poteva consentire e garantire sine die l’ingerenza e il colonialismo sui paesi europei che risultavano così ingessati nel “mondo libero” o nei paesi “oltrecortina”, annullando ogni spinta centrifuga che le esigenze geopolitiche e le evoluzioni internazionali, come storicamente avviene, con  il passare del tempo, vrebbero potuto far uscire questi paesi dalla loro subordinazione.
Gli americani riciclano ex”fascisti” per Servizi e Polizia
           Nell’Italia del dopoguerra, dove la sola Chiesa non poteva bastare, si imponeva la creazione di strutture, polizie, partiti ecc., che potessero da una parte contrastare  comunque il comunismo e allo stesso tempo con il gioco della falsa alternativa “mondo libero” o “oltrecortina”, garantissero gli interessi atlantici.
E qui entrò in gioco James Jesus Angleton capo dell’Oss in Italia.[4]
Oggi sappiamo che le prime strutture di polizia e gli abbozzi dei nostri servizi segreti, al tempo il Sifar, creati dietro la supervisione di Angleton, in mancanza di personale efficiente  non  potevano  che fornire una militarmente inesistente ed inaffidabile Resistenza, furono creati con il vecchio personale del regime fascista e anche della RSI, dagli americani recuperati ed ovviamente trasformati in perfetti a-fascisti o antifascisti in pectore. [5]
Di fatto però per molti agenti e funzionari non si poteva definirli “fascisti” nel senso ideale e ideologico del termine, perché si trattava di personale dello Stato che durante il ventennio o anche in RSI, avevano svolto i loro compiti e servizi, nel regime che era in vigore e tutto al più potevano essersi portati appresso una certa mentalità adeguata all’ordine, alla disciplina, alla insofferenza per la “sovversione”, che ora riversavano nelle istituzioni della Repubblica democratica.
Un altro super servizio, anomalo e segretissimo, detto l’”Anello”, conosciuto come il “noto Servizio”, dedito anche a pratiche a dir poco criminali, le cui basi vennero gettate a Roma nel 1944 dal generale badogliano Mario Roatta su direttive di un alto ufficiale Alleato, ebreo polacco, venne messo in piedi anche con alcuni reduci della RSI a cui altri poi si aggiunsero.
(Vedesi: S.  Limiti: L’Anello della Repubblica, Ed. Chiarelettere 2011, e Aldo Giannuli: Il noto servizio, Marco Tropea Ed., 2011).
Come noto gli Alleati ebbero nei confronti dei fascisti vinti e soggetti ai massacri delle “radiose giornate”,[6] un duplice comportamento: quando non gli interessavano li lasciavano allegramente massacrare; quando invece si trattava di ufficiali o sottoufficiali, specialmente ex appartenenti ai servizi segreti della RSI, allora spesso li salvavano con l’intento poi di recuperarli per i loro scopi.
Contatti pregressi con l’Oss americano
          Ma c’è di più. Noi oggi sappiamo che prima ancora della fine della guerra ci furono contatti tra alcuni esponenti della RSI e l’Oss americano, ed oltretutto gli americani avevano anche messo in piedi una rete spionistica, la Nemo, che comprendeva oltre a vari prelati, uomini della Resistenza, ma anche uomini della RSI.  Anche la massoneria  aveva “confratelli” sia nel campo della Resistenza che nella RSI, tutti “intrecci” e collusioni che ebbero un loro ruolo nel dopoguerra.
Lo stesso Mussolini, in prossimità del crollo finale, aveva lasciato liberi i suoi uomini di esplorare strade e contatti per affrontare le conseguenze della sconfitta.
Ergo, questi contatti, anche con l’Oss americano che, per esempio, come sappiamo dagli storci Giuseppe Parlato e  Frano Morini, aveva tenuto Romualdi, uno dei vicesegretari del PFR (sembrerebbe Romualdi era entrato in contatto con l’Oss americano tramite Gianni Nadotti, agente segreto del SIM infiltrato prima nella segreteria federale di Parma e poi nella vice segreteria del PFR a Milano, sempre al seguito di Romualdi. Cfr: G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed, Il Mulino 2006 e articoli di Morini su Historica Nuova.),[7]  potevano rientrare in compiti di “ufficio”,  ma ci si domanda anche cosa poi accadde al momento del crollo militare dove a Como entrarono in gioco gli agenti americani e del SIM Salvatore Guastoni e Giovanni Dessì con i quali Romualdi trattò la “tregua” della rimanente colonna armata fascista? E ancora quanti altri “contatti” di questo genere erano in atto durante la RSI e furono, per così dire, tutti finalizzati alla risoluzione dei gravi problemi contingenti di un trapasso dei poteri, oppure proseguirono anche dopo, su altri piani e con altro genere di collusioni?
Domande inquietanti, a cui bisognerà prima o poi dare risposta.
A Como finì e finì male, il fascismo
         Costatiamo, per esempio, che la colonna armata di circa 4 mila fascisti, giunta al mattino del 26 aprile 1945 a Como, in poche ore e senza una minaccia militare incombente sul posto, si squagliò come neve al sole, soprattutto per la dabbenaggine dei comandanti fascisti che invece di proseguire verso Menaggio dove li attendeva Mussolini, si fermarono in città, si misero a discutere e poi a dialogare con il fantasma di un inesistente CLN locale.
Fu così che mentre Mussolini, che fino all’ultimo aveva rifiutato ogni offerta di mettersi in salvo all’estero, in particolare nella Confederazione Elvetica, si stava allontanando dalle zone dove stavano per arrivare gli Alleati, nell’intento di restare libero e giocarsi le ultime possibilità di trattativa, alcuni comandanti fascisti, per loro forma mentis, mostravano di non vedere l’ora di arrendersi agli Alleati e magari con il segreto intento, oltre che salvare la pelle, di riciclarsi in futuro come anticomunisti.
Andò a finire che Mussolini, rimasto isolato e senza scorta a Menaggio, circa 31 Km. dopo Como, venne poi catturato a Dongo da uno sparuto gruppetto di partigiani, mentre questi comandanti fascisti, firmarono in città una ignominiosa resa, mascherata da tregua e alcuni di loro furono in qualche modo messi in salvo, mentre altri, per esempio l’ “estremista” Franco Colombo, vennero fucilati.
Anche quella che, andatosene oramai Pavolini verso Menaggio a morire con il Duce,  poteva dirsi l’autorità più importante tra i comandanti fascisti rimasti in Como, ovvero il vicesegretario del partito Romualdi, chiuse a notte alta oramai del 27 aprile ’45, le trattative con il CLN locale e i due rappresentanti americani Guastoni e Dessì, riusciva a mettersi in salvo. [8]
Tempo dopo Romualdi verrà accusato dai camerati di essersi «involato da Como con la cassa del PFR», accusa che, ad onor del vero, non fu dimostrata.
(vedesi:  P. G. Murgia, "Ritorneremo!", SugarCo, 1976),
Gli storici sono concordi nel ritenere che il fascismo cadde, e cadde male, proprio a Como all’alba del 27 aprile 1945, una pagina penosa di tipica storia italica, che in parte riscattarono Pavolini, Mezzasoma, Casalinovo, Porta, Bombacci, Utimpergher e gli altri che vollero seguire il Duce e morirono dignitosamente, anzi meravigliosamente a Dongo e Vezzalini fucilato poco tempo dopo.
Con la sconfitta ci fu poi la caccia al fascista, i criminali massacri di fascisti  o presunti tali nelle “radiose giornate”, ed entrarono in funzione le famigerate Corti d’Assise Straordinarie a comminare condanne a morte ed ergastoli.
In questa situazione, per l’Oss di J. J. Angleton fu uno scherzo mettersi in tasca vari esponenti e dirigenti neofascisti del primissimo dopoguerra, interessato com’era ad utilizzarli per un fronte comune contro il comunismo.
Perché certe “collusioni” divennero inaccettabili
             Oggi, con il senno del poi, non possiamo biasimare se alcuni neofascisti, epurati dal lavoro, braccati, minacciati, in quelle condizioni del tutto eccezionali, accettarono in buona fede le offerte di salvezza che gli prospettavano gli ufficiali Alleati e che gli facevano anche sperare in una rivincita da prendersi sui loro aguzzini.
Quello che è inaccettabile è che determinati “contatti” non avrebbero mai dovuto andare più in là di tanto e avrebbero dovuto, in pochissimi anni, se non mesi, essere troncati, ribaltati, specialmente dopo che risultava evidente la subordinazione del nostro paese che gli americani avevano colonizzato.
Ed invece non solo queste collusioni, per la maggior parte continuarono, anzi in molte occasioni si trasformarono in vero e proprio assoldamento da parte dell’ex nemico, che nemico in ogni caso restava, ma quando gli statunitensi misero in atto le loro strategie criminali Stay Behind, il cui falso scopo era la lotta al comunismo, mentre il vero fine era l’utilizzo anche di civili per gli interessi politici e militari americani, molti di questi, oramai ex fascisti, entrarono nelle Gladio. [9]
Ma questa è un altra sporca pagina di altre sporche storie laddove bisognerebbe andare anche a considerare la subdola opera dei nostri colonizzatori, coadiuvati da ufficiali e uomini d’ordine delle nostre istituzioni,  che ingannarono le persone che avevano selezionato, in genere anticomunisti, nazionalisti. uomini pervasi dall’amor di patria, facendogli credere che entrando nelle Gladio avrebbero difeso l’Italia dal comunismo e da una invasione straniera di titini o sovietici.
Sempre gli americani: prima e dopo 
      "Un clamoroso retroscena sulla svolta moderata dell’Msi all’inizio degli anni Settanta verso una Destra Nazionale più moderna e post-fascista.
Secondo la testimonianza di Giulio Caradonna, esponente di spicco dell’MSI, l’intera operazione venne pilotata e finanziata dagli Stati Uniti, proprio per indebolire una democrazia cristiana pericolosamente sbilanciata a sinistra. Secondo la testimonianza di Caradonna fu un imprenditore italo-americano Pier Francesco Talenti, uomo di fiducia di Nixon, a far da intermediario all’intera operazione.
Il denaro, 600 mila dollari fu consegnato dall’allora capo dei servizi segreti militari Vito Miceli, nelle mani di Almirante stesso, senza che i suoi referenti politici ed istituzionali fossero stati messi al corrente. Una testimonianza, quella di Caradonna, confermata dalla voce stessa di Giulio Andreotti in una delle sue ultime interviste concesse a Marco Marra prima di morire". 
(Cfr.: Rai La Storia siamo noi – G. Minoli – giugno 2013)


Il neofascismo del dopoguerra
Servi che più servi non si può
"L’equidistanza  di  Moro favorisce gli arabi…  il MSI DN fa osservare che l’ipocrita “neutralità” governativa si risolve in un avallo delle posizioni antiisraeliane".
Il Secolo d’Italia 18 ottobre 1974

Trallallero, Trallallà
le chiappe a Nixon andiamo a leccà  
Trallallero, Trallallà
viva l’America e la libertà.  [10]

    Nel 1946 la maggioranze delle formazioni clandestine neofasciste,[11] un miscuglio di gruppi incredibile ed eterogeneo: Fasci di azione rivoluzionaria,  Squadre di azione Mussolini, Credere, Onore  e Combattimento, Figli d’Italia, Fronti antibolscevismo o monarco-fascisti (sic!), ecc., alcuni dagli intenti genuini e formati da splendidi e coraggiosi fascisti, altri  un misto di camerati in buona fede (la maggioranza) e qualche balordo, altri ancora sicuramente equivoci: erano sotto controllo americano, come recita un rapporto dell’Oss intitolato “Il movimento neofascista - 10 aprile 1946, segreto”:
«I neofascisti intendono stabilire un contatto con le autorità americane per analizzare congiuntamente la situazione del paese. La questione politica italiana sarà quindi collocata nelle mani degli Stati Uniti».
Il fatto che fossero sotto controllo dell’Oss americano (evidentemente per contatti presi con l’Oss da alcuni dirigenti o presunti tali), non pregiudica che comunque stiamo parlando di ottimi camerati che in condizioni particolari e difficilissime cercavano di riprendere a far politica e a mantenere viva l’Idea.
Trattasi di gruppi spesso organizzati in una clandestinità sui generis, da alcuni definiti, se considerati sul piano paramilitare, delle “armate brancaleone”,[12] che a Roma se ne contavano una mezza dozzina mentre a Milano si muoveva più che altro Domenico Leccisi con il suo Partito Democratico Fascista. Forse, proprio Leccisi, con il suo gruppo, compì un gesto decisamente di spessore, quello del trafugamento della salma del Duce nella notte tra il 22 e il 23 aprile 1946.
In alcuni  casi i dirigenti di questi gruppi agivano dietro la supervisione e i finanziamenti di James Angleton determinando purtroppo conseguenze devastanti per tutta l’area.
Il principe J. V Borghese
        Anche altre personalità che, pur non fasciste, avevano avuto un ruolo militare nella RSI, ma anche mantenuto sottili fili con i comandi Marina del Sud, come per esempio il principe J. Valerio Borghese (un conservatore per tradizione e convinzioni) appositamente salvato da Angleton, vennero subito utilizzate dagli americani.
Emblematico il caso di J. V. Borghese, anche se per questo rampollo di nobile stirpe non possiamo parlare di un fascista.[13]
Non devesi interpretare quanto andremo a riassumere, come pavidità o interesse personale dell’uomo, ma come attitudine, come forma mentis di un personaggio di un certo ceto, conservatore e reazionario, ossessionato dal comunismo, che non ebbe scrupoli, per affermare queste sue idee, a schierarsi con gli americani.
Durante la RSI, come noto, era in contatto con elementi dell’Ammiragliato della Marina del Sud, quindi nel febbraio del 1945 entrò in contatto con gli Alleati, attraverso il comandante Marceglia, come raccontò nel 1976 proprio J. J. Angleton. Quell’Angleton, capo dell’Oss americano in Italia, di cui, anni dopo, Borghese (foto a lato), si vantò della sua pluriennale amicizia.
Sciolta la Decima Mas a Milano il 26 aprile 1945, Borghese, grazie ad accordi precedenti, si mise sotto tutela del tenente della Polizia partigiana Nino Pulejo rifugiandosi in casa di amici. Il 9 maggio ’45 infine venne prelevato da Angleton (tra gli altri testi, vedesi: S. Nesi: Decima Flottiglia Nostra, Mursia, 1997). Nel dopoguerra, di fatto rimase sotto la protezione dei Servizi americani. Dal settembre 1945 al 1947, in attesa di giudizio, venne trasferito nel carcere di Procida.[14]
Lo storico Giuseppe Parlato (Fascisti senza Mussolini, Ed. Il Mulino 2006), rettore della Libera Università S. Pio V e vicepresidente della Fondazione Ugo Spirito, ha dato corpo e documentazioni a quanto, del resto, era noto a molti, sia pure a livello di voci:
"[Parlato] rovescia la lettura di un partito meramente nostalgico, lumeggiando i rapporti con gli USA, in funzione anticomunista. Una estesa trama di contatti – quelli tra neofascisti e Amministrazione americana – che risale a prima della fine della guerra, grazie al lavoro di tessitura di alcuni fascisti clandestini al Sud, oltre che di Borghese e di Romualdi con ambienti dei servizi segreti statunitensi.
“Da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere la nascita del MSI in modo totalmente diverso: non un movimento di reduci, ma una forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerra fredda.
Tra i personaggi chiave della tessitura segreta  negli anni della guerra spicca il principe Valerio Pignatelli della Cerchiara, un irrequieto e romantico personaggio mandato nel Sud per organizzare i gruppi fascisti. Le carte che ho consultato mostrano i contatti del nobile calabrese che, di fatto, era il capo del fascismo clandestino, e soprattutto della sua influente moglie con ambienti dell’Oss che facevano capo ad Angleton”. (S. Fiori: Una storia taciuta, in La Repubblica 9.11.2006)" [15]

Uomini della Xa Mas in Sicilia
           Un documento Usa, per esempio, classificato top secret, del 20 febbraio 1946 e solo recentemente desecretato, recita:
 <<molti elementi neofascisti provenienti dal nord Italia sono stati inviati in Sicilia>>.
Borghese era in galera a Procida, ed è facile dedurne, che gli americani avessero il suo consenso per questi impieghi in Sicilia. E nella Trinacria, guarda caso, usando l’isola come base strategica e con l’apporto mafioso, gli americani vi stavano giocando il controllo del mediterraneo e sulla stessa Italia scalzando gli inglesi.
Non è stato dimostrato con prove incontrovertibili, ma sembra credibile che prima di quel maledetto 1 maggio del 1947 erano sbarcati in Sicilia una pattuglia di uomini della ex (ci sarebbe da aggiungere: veramente ex!) Decima Mas, fatti addestrare da J. J. Angleton, così come si deduce da altri “rapporti” e alcuni indizi, però non prove, fanno sospettare che a Portella della Ginestra, agli uomini di Salvatore Giuliano si sovrapposero anche uomini in possesso di lanciagranate, bombe-petardo di produzione americana, che lasciarono schegge di metallo in alcune vittime.  Chi erano costoro? Vogliamo sperare che non erano della Decima.  (Cfr: Casarrubea G., Cereghino M., Lupara Nera, Ed. Bompiani, 2009; e Limiti S. Doppio Livello, Ed. Chiarelettere, 2013).
A disposizione degli israeliani
              Comunque sia gli uomini di Borghese non solo agirono, anche se non si sa bene come, pro USA nella Sicilia del 1947, ma è noto, comprovato ed ammesso dagli stessi, che aiutarono  militarmente il nascente stato di Israele, offrendo agli israeliani supporto, addestramento e sostegno. Fu attraverso la sionista Ada Sereni che vennero contattati e si resero disponibili per addestare gli israeliani.
(Cfr: Salerno E., Mossad Base Italia, Ed. Saggiatore 2010 e l’ articolo di Don Curzio Nitoglia; L’Italia, Israele e il Mossad dal 1945 ad oggi, reperibile on line:  http://www.doncurzionitoglia.com/italia_israele_mossad.htm).
Tra le azioni più clamorose che gli israeliani portarono a termine, grazie agli istruttori ex Decima Mas, in particolare Fiorenzo Capriotti (aveva partecipato nel luglio 1941 ad una eroica, ma sfortunata impresa contro gli inglesi a Malta), vi fu il 22 ottobre 1948 l’affondamento nel porto di Gaza, tramite barchini esplosivi, della nave ammiraglia egiziana Emir El Farouk.
Si da il caso ora, che non tutti questi uomini ex Decima Mas potevano definirsi propriamente dei fascisti, più che altro erano degli ottimi soldati, ma comunque sia è indicativo il fatto che non avvertirono minimamente il disgusto e l’infamia di dover aiutare l’ebraismo, una della principali forze che avevano voluto la guerra totale di distruzione contro l’Italia e la Germania.
Ebraismo che oltretutto stava dando la caccia agli ex esponenti della Germania nazionalsocialista, braccandoli in tutto il mondo al fine di istruirgli contro processi simili a quello di Norimberga.
Con queste premesse, che già indicano il come e il perché, i neofascisti finirono poi per diventare gli ascari [16] degli atlantici,  si arrivò alla nascita del MSI.
E finalmente Pinocchio disse la verità
            Si aprano bene le orecchie e si ascoltino queste parole di Giulio Caradonna, pluri deputato missista e membro della Direzione del partito, che ci ha lasciato una inequivocabile, decisiva - e aggiungiamo noi - vergognosa testimonianza:
"Ho scritto tempo fa un articolo per elogiare James Angleton [sic! N.d.A], capo dei servizi americani in Italia, che nell’immediato dopoguerra svolse un ruolo decisivo per bloccare l’avanzata del PCI. Fu lui a salvare dalla fucilazione Romualdi e Junio Valerio Borghese, dopo la sconfitta della RSI. E poi sicuramente contribuì anche alla nascita del MSI.
Michelini, leader della fiamma per lunghi anni, mi confidò che i primi finanziamenti ci erano arrivati dal santuario di Pompei tramite gli americani e un alto prelato, Roberto Ronca, 
Angleton capì che era bene permettere ai fascisti [per gli interessi americani, ovviamente! N.d.A], di uscire dalla clandestinità in modo che si schierassero a destra, anche per bloccare l’operazione avviata da Togliatti per arruolare i reduci di Salò: ad esempio il comunista Guido Fanti, primo presidente dell’Emilia Romagna , era stato un ufficiale della RSI.
Detto questo, va aggiunto che la base missina rimase a lungo ferocemente antiamericana.
Per fare cambiare orientamento ai giovani, io puntai sulla contrapposizione dura  al PCI, a forza di scontrarsi con i comunisti nelle piazze, i nostri militanti accantonarono l’antiamericanismo. "
(A. Carioti: Il MSI figlio dell’America imbarazza la destra, in Corriere della Sera 27.11.2006).
Pur volendo passar sopra a queste primogenite collusioni, ritenendole figlie del tempo, ovvero di un periodo in cui i fascisti braccati oggetto di massacri, obtorto collo furono costretti ad accettare gli “aiuti” che potevano dargli gli Alleati (ma come abbiamo appena visto dalle parole di Caradonna le cose non stavano del tutto così, perché ci furono esponenti neofascisti e dirigenti del neo nato MSI per i quali quegli aiuti avevano una valenza strategica e addirittura una “comunanza” ideologica), cessato il periodo straordinario di necessità, colonizzata  dagli Alleati l’Italia, queste collusioni non solo avrebbero dovuto cessare, ma si sarebbero dovute ribaltare in una lotta contro i nostri colonizzatori.  Ed invece le collusioni continuarono, venne poi nel 1949 l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico e ben presto il MSI si schierò in toto a favore della Nato.
Con gli anni ’50 presero corpo le strategie stay behind e si crearono le Gladio (tutti strumenti ambiguamente mascherati in nome dell’anticomunismo, ma in realtà strutture di oppressione e controllo, del nostro paese, da parte statunitense), e così via fino ad arrivare agli infami periodi della “strategia della tensione” degli anni ’60 e ’70, tutti periodi in cui agli Atlantici necessitò, al fine di destabilizzare il nostro paese per “stabilizzarlo” ovvero tenerlo fermamente ancorato al sistema atlantico, di dispiegare una “guerra non ortodossa” o non convenzionale che tanto sangue italiano ha sparso nel paese, e oggi ben sappiamo da ampie documentazioni e inchieste giudiziarie e testimonianze di pentiti e dissociati, che tutta un area neofascista ne venne coinvolta. Quindi le collusioni tra i neofascisti, che meglio sarebbe definire “neo antifascisti”, partirono da lontano e continuarono arrivando ben presto ad un coinvolgimento totale.

Testimonianze significative
           La indagatrice e ricercatrice storica Stefania Limiti, ci descrive un passaggio di queste collusioni, verificatosi nel 1952 , episodio di per sè pur non eclatante, ma alquanto significativo.
Trattasi di una confessione dell’ordinovista Giampaolo Stimamiglio il quale, intanto  riferisce di stretti rapporti avviati da Pino Rauti  con gli organismi che presidiavano il nostro territorio, cioè i padri di Gladio, già da un paio di anni prima della scissione di Ordine Nuovo nel congresso missista del 1956. E quindi racconta:
"Nel 1952 cioè nell’ultimo periodo del Tlt  [Territorio Libero di Trieste nato nel 1947 e cessato nel 1954, N.d.A], un colonnello inglese che si era qualificato come responsabile dell’Intelligence di tutto il fronte della guerra fredda nell’Est in Europa, convocò: Pino Rauti, Guida, Ierra o Jerra [probabilmente Enzo Erra direttore della rivista “Imperium”, N.d.A.], lo zio materno di Ranieri Mamalchi, noto esponente della destra italiana, e un quinto che al momento non ricordo, tutti ex della RSI (…).
Ne vennero chiamati cinque perché erano persone di indubbia intelligenza ed erano esponenti della destra italiana.
Con Guida intendo riferirmi a colui che fu anche Prefetto a Milano. Ho ragione di ritenere che sia gli incarichi che i luoghi di destinazione dei quattro siano stati studiati a tavolino. Ho detto quattro perché lo zio di Ranieri Mamalchi si alzò disgustato dalla riunione ricordando proprio al Rauti che erano seduti davanti ai loro ex nemici".
(S. Limiti: Doppio Livello, Ed. Chiarelettere, 2013)

Qui sotto,
anni ’60 volantino della FNCRSI contro Nixon e gli Usa
 
IL QUADRO STORICO POLITICO
DELL’EPOCA

Per introdurre la genesi del MSI diamo qualche nota di cronaca, circa il quadro politico dell’epoca, pre e post referendum Istituzionale del 2 giugno 1946.
Bisogna, intanto, considerare che gli Alleati, in previsione del ritiro delle truppe di occupazione si preoccuparono affinché nel paese si rendesse stabile un quadro politico che non ponesse in pericolo la democrazia capitalista e borghese da loro ripristinata ed ovviamente la subordinazione dell’Italia nella sfera occidentale per altro anche imposta da Mosca al PCI che l’aveva accettata di buon grado.
Gli americani in particolare, vinta la disputa con gli inglesi per il predominio sulla penisola e quindi sciolta l’opzione istituzionale con la vittoria referendaria della Repubblica, del resto a loro gradita, si appoggiarono al Vaticano e alla DC partito scelto come loro referente politico, per governare il paese.
Premunitisi che l’economia nazionale fosse saldamente nelle mani dei capitalisti, imponendo la cancellazione immediata di tutte le rivoluzionarie riforme socialiste della RSI (successivamente nel 1947, attraverso il piano Marshall, praticamente, porranno una loro ipoteca su tutta l’economia futura del paese) e riorganizzate le forze di Polizia e i Servizi, attingendo a piene mani da personale del passato regime fascista e anche con ufficiali recuperati dai reduci fascisti repubblicani, predisposero le cose al fine di sbaraccare i social comunisti dal governo di cui facevano parte dal periodo post liberazione, anche in previsione di un lungo e duro confronto tattico Est – Ovest che si andava chiaramente delineando nel mondo (precisiamo, confronto tattico, non strategico, perché Sovietici e americani strategicamente erano totalmente in sintonia sugli accordi di Jalta).
·       Il governo Parri, di intonazione resistenziale, cade nel dicembre 1945 ed è sostituito dal primo governo De Gasperi con le province del Nord Italia ancora sotto le autorità di occupazione Alleata. Purtuttavia il governo De Gasperi vede la presenza di ministri socialisti e comunisti, a cominciare dai due leader Pietro Nenni e Palmiro Togliatti e la DC vi si pone come forza di mediazione tra la destra liberale e la sinistra socialcomunista. Il governo va avanti tra ambiguità e doppiezze, mentre il PCI impone al suo interno, dove occorre, anche con mano pesante, la linea della “via democratica al socialismo”, di fatto l’accettazione dell’Italia nell’area Occidentale e la rinuncia ad ogni tentativo sovversivo o rivoluzionario.
·       Il 9 maggio 1946 il Re fellone  Vittorio Emanuele III, chiamato ”sciaboletta” in RSI e “mezzo feto” da Ezra Pound, con un ultimo gesto disperato per salvare la monarchia,  accetta di abdicare a favore del figlio Umberto II di Savoia (chiamato “Stellazza”  in RSI per via delle voci su certe sue “inclinazioni”) a cui nel 1944 aveva concesso la sola “luogotenenza. Il 13 giugno ‘46, a Referendum concluso e perso, Umberto lascerà l’Italia con casse di documenti di Stato e abbondanti fondi.
·       In questo periodo, il fatto politico più rilevante, può considerarsi il referendum Istituzionale del 2 giugno 1946 vinto dalla Repubblica, forse con qualche broglio, ma più che altro conta .la difficile situazione economia del paese, con fame e carestie diffuse. Divampano spesso e un pò dappertutto scioperi e agitazioni, mentre al sud e non solo prende consistenza il movimento di occupazione delle terre da parte dei braccianti. Le forze padronali, sotto tutela Alleata, diventano sempre più tracotanti non curandosi della indigenza in cui versa tutto il paese.
·       Il 22 giugno 1946, su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti viene approvato un provvedimento di amnistia, una specie di condono, per vari reati comuni e politici, compreso il collaborazionismo con il nemico. Sarà poi Giulio Andreotti, nel febbraio del 1948, con un opportuno decreto a consentire la definitiva estinzione dei reati di tutte le persone coinvolte.
·       Il 1 luglio del 1946 è eletto il Capo dello Stato provvisorio, in Enrico De Nicola.
·       Nel frattempo l’Italia non viene neppure invitata alla conferenza per la pace che si apre a Parigi, ma Alcide De Gasperi vi si reca ugualmente.
·       A Parigi si firmeranno accordi Italia – Austria che rendono il Trentino Alto Adige una regione autonoma, lasciandola all’Italia, ma questi accordi sono ambigui e in parte disattesi e si innescheranno, fino agli anni ’60, molti atti di terrorismo.
·       Dagli Usa intanto arrivano ingenti scorte di derrate alimentari: farina, scatolette, cioccolate, ecc., per un Paese in cui ancora vige il razionamento. A gestire la maggior parte di questi aiuti sarà la Chiesa e la DC attraverso Enti e Ministeri.
·       Il 1 ottobre del 1946 si conclude il processo di Norimberga, una farsa incredibile, un processo dei vincitori ai vinti della Germania nazionalsocialista, senza garanzie per gli accusati, con leggi retroattive e con l’obbligo di utilizzare solo le documentazioni scelte dai vincitori. Alcuni dei capi di imputazione risultano poi assurdi e cervellotici. Il processo si concluderà con diverse condanne a morte e all’ergastolo e conferirà una certa veste “legale” alla cosiddetta “propaganda di guerra”. Da notare che l’area neofascista tenne un vergognoso silenzio, e tranne qualche intervento o articolo, non spese molte parole per difendere gli ex alleati in guerra, messi sul banco degli imputati. Un sintomo chiaro di come tutta l’area dei reduci fascisti era condizionata da “forze” che la dovevano incanalare in ben precisi binari.
·       A novembre del 1946 Togliatti si incontra con Tito, anche per la situazione di Trieste, e i nazionalisti insinuano che si tratta di un complotto contro l’Italia.
·       Alle amministrative di novembre 1946, svoltesi nelle grandi città, la DC registra un forte calo dappertutto. Comunisti e socialisti invece si presentano uniti in un Fronte popolare. Forse proprio per questo a dicembre, Pio XII scende in campo direttamente contro il comunismo, definendo la Russia un “popolo senza Dio” e minacciando scomuniche.
·       Sempre a dicembre 1946 il presidente americano Truman invita ufficialmente De Gasperi in America e fa capire che, in quel viaggio, il vice premier Nenni, socialista, non è desiderato. Un chiaro segnale dei cambiamenti di governo desiderati dagli americani.
·       Il 26 dicembre 1946 è costituito ufficialmente il MSI e lo stesso dicembre Giorgio Almirante tiene uno storico discorso il cui contenuto si presta a varie ambigue interpretazioni:
<<Il fascismo è stato nella sua ventennale evoluzione tutto il paese e chi volesse esser ligio a tutti gli aspetti del recente passato, dovrebbe essere ad un tempo repubblicano e monarchico, conservatore e rivoluzionario, pragmatista e dogmatico, individualista e collettivista>>.
In pratica, dietro queste ovvietà teoriche, si nascondeva la liquidazione del portato di “rottura” del fascismo repubblicano, con tutto il passato del ventennio  e con tutte le componenti borghesi, aprendo le porte a conservatori e buffoni del ventennio che in quel neo partito ci si ritrovarono alla grande e a loro agio.
·       A gennaio del 1947, mentre De Gasperi è in America, nei socialisti a congresso a Roma a Palazzo Barberini, l’ala socialdemocratica, di intonazione anticomunista, guidata da Giuseppe Saragat e che gode segretamente di finanziamenti americani, si scinde dal partito costituendo il partito socialdemocratico.  Al suo ritorno in Italia De Gasperi annuncia le dimissioni del governo. A febbraio però vara un suo terzo gabinetto ancora con il PCI e PSI, ma ora con le sinistre emarginate e in difficoltà.
·       Le direttive che ha avuto De Gasperi negli Usa sono precise, ma l’abile politico agisce con una certa tattica. Non arriva subito alla rottura con le sinistre, avendo tra l’altro lo scopo di far includere i Patti Lateranensi nella Costituzione, a cui la Chiesa tiene moltissimo. Il ricatto democristiano è evidente, i socialisti non lo accettano, ma Togliatti obtorto collo dà il voto favorevole e i Patti Lateranensi, con il voto decisivo dei comunisti, vengono incorporati nella Costituzione.
·       Nonostante gli sforzi moderati di Togliatti, i giochi dettati dagli americani sono oramai decisi. A maggio De Gasperi si dimette di nuovo e a fine mese vara il suo quarto governo: questa volta senza i socialcomunisti.
·       Il 1947 è anche l’anno in cui a Parigi si concludono le condizioni di pace da imporre all’Italia, un vero e proprio Diktat, mentre nel frattempo in tutto il paese prenderà a crescere una ventata nazionalista a difesa delle nostre terre che si vorrebbero strappare definitivamente alla madrepatria.
·       Il 10 febbraio 1947, giorno della firma del Diktat impostoci dai vincitori, con il quale, tra l’altro,  veniva ratificata la cessione dei nostri territori orientali agli slavi e di Briga e Tenda alla Francia, Maria Pasquinelli, del 1913, fiorentina di nascita, insegnante alle elementari, uccide a colpi di pistola, per protesta della cessione “delle terre più sacre d’Italia” alla Jugoslavia,  il Generale inglese W. De Winton, massima autorità Alleata nella città e comandate della guarnigione Alleata di Trieste. Un gesto eroico degno del miglior Risorgimento. Sarà condannata a morte, poi commutata all’ergastolo. Verrà liberata nel 1964.
·       Il 1 maggio 1947 a Portella delle Ginestre in Sicilia, dove gli americani hanno riportato la Mafia riconnettendola alle centrali americane, uomini della banda di Salvatore Giuliano, coadiuvati da altri elementi ancora non ben identificati, aprono il fuoco contro operai e contadini che stanno manifestando, sotto le insegne sindacali per la festa del Lavoro. Si contano oltre 10 morti e molti feriti. Tutta la vicenda resta ancora ambigua: si ha la sensazione che al bandito Giuliano sia stata assegnata la parte del capro espiatorio in vicende che lo trascendono.
·       A giugno ’47 George Marshall annuncia il suo piano economico e di investimenti per la ricostruzione in Europa. Come si disse: lo Zio Sam, si compra l’Europa.
·       Il 31 agosto l’Onu  propone la divisione della Palestina in due Stati con la creazione di uno Stato ebraico che gli ebrei, dopo violenti raid bellici, proclameranno  a maggio del 1948.
·       A settembre ’47 Trieste e l’Istria diventano “Territorio libero di Trieste”.
·       Il 28 dicembre 1947 ad Alessandria d’Egitto dove era esiliato muore Vittorio Emanuele III.
·       Il 1 gennaio del 1948 entra in vigore la Costituzione italiana.
·       La situazione politica (sta delineandosi una specie di “guerra fredda” tra sovietici e americani, ma sempre di natura tattica, non strategica) torna a farsi ancor più incandescente e raggiunge il culmine con le elezioni dell’aprile ‘48. La Chiesa e tutte le forze della conservazione, MSI compreso, sono scatenate nel presentare le elezioni come l’ultima spiaggia per la difesa della libertà e della cristianità minacciate dal comunismo ateo e dal pericolo sovietico. I missisti, ovviamente, faranno da truppe cammellate alla reazione, ma pagheranno in termini di voti questa loro doppiezza perchè sarà la DC a raccogliere, con grande abbondanza, i frutti di una campagna elettorale all’insegna del terrore del comunismo.
·       Avvenimenti di rilievo di quel 1948 sono la nomina a Presidente della Repubblica, da parte di un nuovo parlamento uscito fuori dalle elezioni di aprile, del liberale Luigi Einaudi, votato dal centro destra, e l’attentato a Togliatti.
·       Il 14 luglio ‘48 a Roma, Palmiro Togliatti, segretario del PCI, viene ferito con due colpi di pistola sparati da un mezzo esaltato, mai ben definito, che frequentava anche ambienti di destra: un certo Antonio Pallante. L’attentato scatena le sinistre e provoca, per qualche giorno scioperi e sommosse in tutto il paese. Soprattutto al Nord, i rivoltosi in molti casi riescono ad avere la meglio nella piazza e occupano varie fabbriche. L’attentato comunque non risulterà mortale e la piazza sarà ricondotta alla normalità anche grazie all’opera moderata e di persuasione dei dirigenti del PCI preoccupati dalle conseguenze della rivolta.
·       In sostanza il risultato di tutto questo scompiglio sarà la sostituzione di altri vari Prefetti con personale del vecchio regime fascista e un forte aumento degli organici di Polizia e Carabinieri.
·       A giugno 1948 con la scoperta a Cortemaggiore di giacimenti di metano, inizia in sordina l’avventura di Enrico Mattei che era stato incaricato dallo Stato di liquidare una piccola società che si dedicava a ricerche petrolifere.
·       A luglio la componente cattolica della CGIL esce dal sindacato.
·       A novembre ’48 gli USA annunciano una conferenza di 12 paesi tra cui l’Italia per gettare le basi del futuro Patto Atlantico.
·       A marzo 1949, il ministro degli Interni Scelba fa la faccia feroce e si dichiara pronto a reagire e colpire le manifestazioni sindacali o comuniste. Si preannunciano ed infatti ci saranno in  seguito molti morti e feriti in tutto il paese.
·       Ad aprile ‘49, dopo che a marzo alla Camera ci sono state violente discussioni, il governo sancisce l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, in pratica la fine totale di ogni residua speranza futura di indipendenza nazionale. L’accordo di adesione sarà ratificato dal parlamento a luglio.
·       Non ci sono solo i comunisti a lottare per le terre ai braccianti: il 29 ottobre ‘49 i contadini di Melissa (Crotone), guidati dal militante MSI Francesco Nigro di 29 anni, e i propri familiari occuparono delle terre incolte prospicienti la contrada Fragalà. I carabinieri, chiamati dai proprietari del fondo, ingaggiarono scontri con i manifestanti usando anche le armi da fuoco. Rimasero uccisi il Nigro e Giovanni Zito, di 19 anni, oltre a 14 feriti tra cui due donne, una delle quali morirà in seguito.
·       Fine anni ’40 e primi anni ’50 saranno quelli delle grandi manifestazioni per l’italianità delle nostre terre, come Trieste. L’impegno nazionalista consentirà in parte al MSI di nascondere la vergogna della sua adesione al Patto Atlantico.
Ma anche il “fuoco” nazionalista sarà di breve durata e si cercherà di alimentarlo con quello contro l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956). Grandi manifestazioni di piazza assieme a tutte le componenti nazionaliste, anticomuniste e conservatrici del paese, che però venendo da un paese colonizzato dagli atlantici e senza contemporanee proteste o almeno prese di posizione contro i nostri colonizzatori occidentali, risultano chiaramente ambigue e devianti.
Ignorando, infatti, lo stato di sudditanza dei paesi dell’Europa occidentale agli Stati Uniti, tutti gli sforzi propagandistici missisti saranno concentrati sull’Ungheria, che del resto, gli Occidentali, in base agli accordi di Jalta, non hanno alcuna intenzione di aiutare; “aiuti” che in caso sarebbe meglio leggere quale inquinamento e stravolgimento del popolo ungherese e delle sue tradizioni e culture, che verrebbero devastate dalla american way of life. Dalla padella nella brace!




[1] Quello che non hanno fatto i “neofascisti”, lo ha fatto la Storia.  Due autori, non di parte ci hanno regalato due splendide biografia di Solaro e Bombacci:
“Giuseppe Solaro il fascista che sfido’ la Fiat e Wall Street”, di Fabrizio Vincenti, Ed. Ciclostile, euro 13,60;  e - “Nicola Bombacci un comunista a Salò”, di Guglielmo Salotti, Ed. Mursia. Euro  19,00.
[2] La cultura americana comunque era già stata da tempo introdotta  nel nostro paese, basta sfogliare giornali e  riviste del ventennio per rendersene conto. Era il retaggio di un certo  risorgimento massonico, dei contatti con gli immigrati in America, della filmografia hollywoodiana e dI una letteratura portata avanti da case editrici come Nerbini, Mondadori e BompianI, ecc.
[3] I Berlinguer (capostipite Mario, già massone, posto nel 1944 dal PWB britannico a fare l’Alto commissario alle epurazioni) latifondisti, in qualche modo attigui ad altre famigli sarde, a volte tra loro imparentate per via endogamiga: i Cossiga, i Segni, i Siglienti (IMI), i Manconi (Giuseppe, padre di Luigi passato in Lotta Continua, che sposerà Bianca Berlinguer), i Pintor (tra i fondatori del Manifesto), ecc., tutte famiglie sarde  notabili, intellettuali, spesso plutocrati o facoltosi latifondisti, in una realtà storico geografica dove operavano da sempre lobby di massoneria britannica.
L’Euro comunismo berlingueriano, che poteva essere giustificato per lo sganciamento da Mosca, aveva però dei presupposti politici ed ideali di stampo “occidentale” che avrebbero facilmente portato, come infatti è poi avvenuto, il PCI nell’orbita occidentale, aprendo la strada all’inquinamento delle ideologie neoradicali e facilitando la nascita di un Europa mondialista posta nelle mani dell’Alta finanza.

[4] Se Angleton, al tempo non ancora trentenne, è la figura principale della Intelligence statunitense in Italia, non dobbiamo dimenticare anche altri personaggi influenti e determinanti, come per esempio il “colonnello” “inglese” Ralph Merril, alias Renato Mieli (padre del giornalista Paolo Mieli) del PWB, che gestì varie strutture clandestine socialcomuniste durante la guerra civile, e senza dimenticare il futuro Papa G. Battista Montini, al tempo a capo dei servizi segreti Vaticani.  Angleton, che conosceva perfettamente l’italiano, era figlio di Hugh Angleton, ricco imprenditore e tenente colonnello dell’Oss, ma anche un potente massone della loggia di “Rito Scozzese Antico e Accettato”, l’ala filo britannica della massoneria americana. Collaboratore di Angleton, fin dal 1944, fu quell’Umberto Federico D’Amato futuro capo del servizio segreto civile AA.RR.
[5] Per avere un idea che i nostri Servizi non erano “deviati”, ma semplicemente subordinati agli americani, un esempio tra tanti: un memorandum del Comando generale di Stato maggiore (Jcs) del governo USA datato 14 maggio 1952 e rimasto segretissimo fino al 1978, stabiliva che il capo del Sifar fosse segretamente vincolato a rispettare gli obiettivi di un piano permanente di offensiva anticomunista (nomato demagnetize)  per operazioni politiche, paramilitari, e psicologiche atte a ridurre l’influenza del PCI in Italia.
[6] Oggi, dopo tanti balletti delle cifre, che riguardano il numero dei fascisti o presunti tali, uccisi e talvolta in modo efferato, dalla vendetta partigiana (giravano cifre assurde: chi sparava oltre cento mila uccisioni, chi come gli antifascisti, minimizzava a un paio di migliaia), possiamo attestare con ragionevole certezza circa 40 mila uccisioni, un numero considerevole, con massacri che in alcune regioni perdurarono per diversi mesi se non qualche anno.
[7]  A parere del ricercatore storico F.  Morini di Parma, forse non fu proprio attraverso il Nadotti che Romualdi sarebbe entrato in contatto con l’OSS, in quanto il Nadotti era interno alla rete spionistica Nemo, facente riferimento all’Intelligence Service.
[8] E’ evidente che Romualdi, come del resto altri comandanti fascisti, per esempio Vincenzo Costa, poterono salvarsi e dileguarsi da Como, grazie agli elementi del CLN locale e ai due rappresentanti americani Guastoni e Dessì con i quali avevano trattato la “tregua” all’alba del 27 aprile. Senza mezzi termini, scrive il Murgia: <<Romualdi era stato scarcerato grazie all’intervento di un agente del servizio segreto americano, ma lui ha fatto credere di essere rocambolescamente fuggito>>.
 P. G. Murgia: Il vento del Nord, SugarCo 1975 e ristampa Ed. Kaos 2004.
[9] Lo  stesso discorso, ovviamente, lo si può fare, pari, pari, per certe “amicizie” e collusioni che per stato di necessità si erano instaurate nel primo dopoguerra tra i reduci fascisti e uomini e ambienti anticomunisti: Chiesa, industriali, militari, carabinieri e poliziotti, magari ex fascisti riciclati. Finito il pericolo delle “radiose giornate” e loro strascichi, cessato lo stato di “clandestinità” e ripreso in qualche modo dai reduci un posto nella società, queste “amicizie”, queste collusioni avrebbero dovuto essere allontanate come la peste, perché tali ambienti facevano parte del fronte della conservazione e dell’acquiescenza al colonialismo americano e quindi costituivano un nemico, esattamente come i socialcomunisti.
[10]  Febbraio 1969: per accogliere Nixon a Roma Il Secolo d’Italia, aveva imbrattato una pagina con la servile scritta bilingue: "Attenzione Nixon! L’Italia si prepara a tradire gli impegni atlantici sottoscritti con gli Stati uniti e a portare i comunisti al potere". Il Bollettino della Fncrsi riportò la strofetta canzonatoria verso i missisti mandati a manifestare per Nixon.
[11] Queste organizzazioni clandestine condussero una lotta che di “rivoluzionario” o “insurrezionale” aveva ben poco. Progetti tanti, ma in definitiva si limitarono alla stampa clandestina e ad alcune azioni goliardiche con esposizione di bandiere o diffusione attraverso altoparlanti di canti fascisti in particolari luoghi. Alcune si finanziarono con qualche rapina, altre fecero esplodere delle bombe, ma più che altro petardi dimostrativi. A differenza dei comunisti che con la loro clandestina “Volante Rossa” e altri gruppi simili, procedettero alla eliminazione di diversi fascisti o avversari anche oltre due anni dopo la fine della guerra. Per avere il senso della scarsa attitudine dei fascisti, clandestini o meno, a compiere drastiche vendette o azioni cruente, basti considerare che Walter Audisio, alias Colonnello Valerio, spacciatosi e spacciato dal PCI come uccisore del Duce (non ha importanza che poi, come oggi sappiamo, il vero uccisore non era lui) e che oltretutto aveva rilasciato una serie di memoriali mendaci per descrivere un Duce tremebondo e terrorizzato di fronte alla morte, ebbene questo Audisio, a parte un paio di progetti,  ovviamente non portati a termine, e vendicare Mussolini, arrivò a morire di morte naturale (infarto) nel 1973.
[12] Vedesi D. Lembo: Fascisti dopo la liberazione, Ed. Grafica Ma.Ro. 2007.
A ben vedere l’unico gesto “insurrezionale” di rilievo fu compiuto da una donna, l’insegnante Maria Pasquinelli che il 10 febbraio 1947 uccise il generale Alleato, l’inglese W. De Winton, a protesta della cessione delle nostre terre alla Jugoslavia.
[13] A proposito di Valerio Borghese, la FNCRSI, in un suo Foglio di Orientamenti 3/2000 ebbe ad esprimere queste considerazioni:
<<Sulle capacità di J. V. Borghese in campo navale, nulla quaestio, ma non su altri campi (non s’improvvisa dall’oggi al domani un comandante di G.U.); nondimeno, egli ebbe il privilegio di disporre di un eccellente S. M., dei migliori ufficiali del disciolto R. E. e di un’ottima truppa composta esclusivamente di volontari. Tuttavia, sin dalla fine del ’43, Borghese divenne preda degli emissari dell’ammiraglio badogliano De Courten, tanto che il colonnello F. Albonetti (prefetto di palazzo a Villa Feltrinelli fino alla destituzione di Renato Ricci da Comandante generale della G.N.R.), dopo averlo più volte catturato, paventò seriamente di doverlo fucilare, ma Mussolini si limitò a farlo sorvegliare, al fine di valersene come fonte di notizie riguardanti il Governo del Sud. Comunque, che egli abbia collaborato con i «servizi» angloamericani durante e dopo la RSI, è un fatto storicamente certo>>.
[14] Nel dopoguerra Borghese, oltre al sostegno propagandistico al Msi, eccetto la costituzione del famigerato Fronte Nazionale nel 1968 (che i fascisti della Fncrsi definirono una lazzaronata) e la mezza pagliacciata del Golpe del 1970, di cui ancora non si capiscono i veri fini, non si cimentò in particolari imprese politiche, ma di fatto fu sempre in sintonia con i Servizi Occidentali risultando, in definitiva, il cosiddetto “mondo libero”, specialmente se ammantato di “ordine” e anticomunismo, conforme ai suoi principi.
[15] U. M. Tassinari: Fascisteria, Sperling e Kupfer 2008.
[16]  Useremo spesso, come dispregiativo, il termine “ascari” riferito al servilismo missista, Anche se è ingeneroso verso gli Ascari che pur si batterono e morirono dignitosamente. I missisti meriterebbero dispregiativi ben peggiori.

Come valutare e interpretare
ruolo ed essenza del MSI
Oltre ogni decenza: Messaggio al Presidente americano Nixon –  
Sig. Presidente, mi è gradita l’occasione della sua venuta a Roma per rinnovarle l’assicurazione che i lavoratori della Cisnal (ma chi, dove sono?! N.d.A.) apprezzano profondamente i propositi di pace che sono alla base della sua venuta in Italia e negli altri paesi europei ”.
(1970) - Dal Segretario Gen. Della Cisnal On. Gianni Roberti

               Prima di entrare, con il prossimo capitolo, nella analisi delle situazioni e dei personaggi che fondarono il MSI, anche per cercare di capire come fu possibile che questo movimento fu spinto a recitare un certo ruolo politico in antitesi ai veri ideali dei reduci del fascismo repubblicano, vogliamo accennare ad un paio di considerazioni, quasi dei paradossi, che abbiamo a volte ascoltato da anziani camerati, pur consci delle malefatte compiute da questo partito, i quali però ne rilevano, nonostante tutto, una indiretta funzione positiva.
Costoro infatti, riconoscendo, almeno fino ad un certo punto (per carità, da certi ingenui all’eccesso, non pretendiamo troppo!) l’opera nefasta del MSI, affermano che, purtuttavia questo partito, avendo nel bene e nel male, rappresentato l’immagine del fascismo, ha fatto sì che fungesse da “centro di raccolta”, da culla, soprattutto di giovani che scoprivano o si sentivano fascisti i quali, diversamente, se il MSI non fosse esistito non si sa bene che fine avrebbero fatto.
Questo discorso, a veder bene, si regge solo in via teorica, in virtù del fatto che la politica, essendo soprattutto per un giovane e al primo approccio, più che altro un fatto emotivo, di entusiasmo e di “ambiente” (solo poi con la crescita l’uomo procede alle verifiche razionali delle sue idee che vengono anche messe alla prova delle sue vere inclinazioni esistenziali), ha bisogno di “presenze”, “simboli” concreti, visibili, a disposizione di tutti per realizzarsi, quindi è necessario un partito, un gruppo che, nel bene o nel male, vero o falso che sia il suo attestato ideologico, funga da raccolta e da catalizzatore.
Tutto in buona parte vero, però storicamente manca la controprova e quindi non sappiamo, nel caso non fosse esistito il MSI, come si sarebbero ritrovati e riuniti coloro che si sentivano spinti verso il fascismo. Essendo, in ogni caso, la presenza dei reduci del fascismo molto vasta, è possibile ipotizzare che sicuramente una alternativa si sarebbe prima o poi concretizzata.
Quello che invece sappiamo per certo è che seppur vi sia stata questa indiretta e casuale funzione positiva nella immagine della Fiamma quale simbolo (ovviamente falso) riferito al fascismo, tale occasionale ruolo è stato ampiamente annullato, anzi totalmente superato dalla effettiva e riscontrabile funzione negativa che questo partito ha assunto nello stravolgimento degli ideali del fascismo, nell’aver capovolto ogni programma e ogni progetto fascista nel suo esatto contrario, nell’aver condotto una politica ad esclusivo interesse dei nemici del fascismo e della Patria. E scusate se è poco!
Per un eventuale aspirante fascista, che si è realizzato grazie alla presenza del MSI, cento altri si sono realizzati o trasformati, nell’antitesi del fascista, in squallidi esemplari del peggior destrismo.
E costoro che venivano spacciati per fascisti, con il loro partito che aveva quella falsa etichetta, hanno seriamente macchiato l’immagine storica del fascismo stesso.

Paradosso di una “presenza” anomala
        Un'altra sottile, ma pertinente considerazione l’ha espressa il quotidiano Rinascita a commento di una versione ridotta di questo saggio, dal giornale pubblicata in due puntate il 18 e 19 giugno 2013.
Osservava Rinascita che il MSI “pur strumentale alle manovre conservatrici del centro destra atlantico e a questo soggetto, rappresentò comunque un elemento significativo di – diciamo così – “ideale” distacco dalla omologazione al verbo dei vincitori”.  
Ed anche questa è una osservazione giusta che si configura nel paradosso di un partito, falso nella sua etichetta ideale e politica, strumentale ai nemici del fascismo e utile ai nostri colonizzatori atlantici, tutte forze che poi in definitiva contribuirono a crearlo, ma la cui presenza nell’immaginario collettivo che pur lo vedeva in un certo modo, cioè come “neofascista”, rappresentava una “diversità”, una anomalia, da quella omologazione democratica imposta dai vincitori al nostro paese.
Fu questa, a nostro avviso (come per le vecchie simbologie marxiste e comuniste, anche se appannaggio di un PCI del tutto occidentalizzato) una delle ragioni per cui, con la Seconda Repubblica, se ne pretese la totale eliminazione, anche simbolica, dalla politica italiana. Eliminazione a cui, ovviamente, gli esponenti missisti, nonostante la farsa di qualche “resistenza” nei loro ultimi congressi, a Fiuggi finirono poi per eseguire le disposizioni che gli venivano dai loro storici padroni.
Ma se questo è vero, è altrettanto vero che questi paradossi: del simbolo di un passato e della anomalia di una certa presenza scomoda, sono a prescindere da ogni merito e volontà del MSI stesso.
Guardare solo i fatti
           Affrontando adesso la ricostruzione storica che portò alla nascita del MSI è necessario premettere che il miglior schema valutativo e interpretativo di uomini e fatti che ci riguardano, è quello di descrivere senza troppi fronzoli avvenimenti e circostanze e tratteggiare il profilo di quelli  che possono considerarsi i “padri fondatori” di questo partito. Di conseguenza: chi vuol capire, capirà.
Chi volesse, invece, decodificare cosa sostanzialmente fosse e che ruolo ha avuto il MSI nella politica italiana e prendesse come riferimento i manifesti, gli articoli, gli enunciati, le mozioni, rilasciati a quel tempo da questo partito o dai suoi dirigenti, ne sarebbe sviato, perché tra le parole, gli enunciati e i fatti concreti della politica missista, quelli che poi contano veramente, non c’è corrispondenza.
Questa discrasia è dovuta al fatto che alcuni dirigenti che tenevano saldamente in mano il MSI, agendo con scaltrezza, soprattutto nei suoi primi anni di vita, fecero sfogare tutte le componenti, lasciarono dire e scrivere di tutto, tanto sapevano bene che certi programmi, certe idee sarebbero rimasti sulla carta senza l’impegno concreto della direzione del partito e dei suoi organi dirigenti.
Ci sono tesi e riassunti storici che riportano ed analizzano le diverse posizioni politiche e culturali dell’epoca nell’area neofascista. Ma a nostro avviso hanno tutte scarso valore perché sono le iniziative e i fatti concreti quelli che contano, mentre tutto il resto è rimasto solo sul piano teorico o delle buone intenzioni.
Non vogliamo fare i cultori della malafede, ma in questo partito ne abbiamo viste e sentite tante, abbiamo visto estendere e restringere come un elastico tesi ideologiche e posizioni politiche, correnti che vanno e vengono a puntellare manovre di bottega, per poi vederle, dai loro stessi leader, ribaltate dopo qualche anno e pur sforzandoci di analizzare il decorso storico su di un piano squisitamente politico, non possiamo non presupporre che svariati interessi hanno avuto il loro peso, hanno condizionato tutto il gioco e quindi, come si dice: “le parole se le porta via il vento”.
Tanto per fare un esempio uno dei primi atti politici del MSI, appena costituito, fu l’Appello agli italiani con il quale si chiamavano a raccolta lavoratori e altri che volessero servire la Patria. Seguivano dieci punti programmatici a difesa della integrità della nazione, ecc.
Al punto ottavo si faceva un esplicito richiamo alla socializzazione, e così via, come le affermazioni per le tradizioni nazionali e contro il comunismo.
Ma di tutto questo, con il tempo, restarono solo gli aspetti superficialmente nazionalistici e ovviamente l’anticomunismo.
A poco a poco, con gli anni, tutte le idee sociali, quelle di indipendenza nazionale ed equidistanza dai blocchi, si sarebbero annacquate e dissolte, così come certi progetti antitetici al Sistema o contrari alla politica conservatrice del partito.
D’altro canto, leggendo i primi manifesti, articoli e mozioni congressuali missiste, si riscontrano spesso  principi e punti programmatici validi e accettabili (seppur inficiati da frasi e altri enunciati ambigui), ma si sarebbe tratti in inganno da quegli enunciati a cui mai seguirono fatti concreti, mentre dall’altra parte, per i passaggi che invece già fanno intuire rinunce, tradimenti agli ideali e svolte contrarie a ciò che il fascismo doveva rappresentare, nell’evidenziarli si presterebbe il fianco alla obiezione che certi “annacquamenti”, certi “mascheramenti” erano espedienti tattici, resi necessari per governare il partito, farlo crescere e presentarlo in un certo modo all’opinione pubblica.
Sono le stesse false obiezioni che al tempo i dirigenti missisti avanzavano ai camerati, che contestavano o non si capacitavano di tante ambiguità e rinunce.  Prendiamo ad esempio il primo congresso del partito quello di Napoli.

Il congresso di Napoli del 1948
Un capolavoro di falsità e ipocrisia si ebbe con quello che fu definito Il primo congresso del MSI a Napoli  (27 giugno - 29 giugno 1948), segretario uscente, poi confermato Almirante.
Il dibattito precongressuale, con una base che bisognava turlupinare con accortezza e gradualmente, essendo in maggioranza  ancora  su posizioni socialiste e antiamericane (nonostante le massicce immissioni di qualunquisti), verte su  tre relazioni approvate dal Comitato Centrale: "Politica sociale ed economica",  "politica interna e costituzionale" e  "Politica estera".
Vi si dice ce il MSI si oppone all’Istituto delle Regioni previsto dalla Costituzione, quindi si protesta contro lo «strapotere dei partiti che si sovrappongono all'azione dei pubblici poteri», e che il partito non vuole  «sopprimere la democrazia». Tutti enunciati che lascano il tempo che trovano
In politica estera, nascosta tra le frasi, già vi è la prima “perla”: ovviamente si rifiuta il Trattato di Pace, sia per le abiette modalità della firma e sia per i contenuti, chiedendone la revisione, ma a scanso di equivoci, si precisa che il Msi opera una precisa scelta di campo, definendosi «presidio dei valori Occidentali».
Neppure un minimo di dignità per porsi almeno come “terza via”.
La relazione  sulla "Politica sociale ed economica", capolavoro truffaldino e perfido, dice che  si tende al  «processo evolutivo che è stato interrotto dalla guerra» ovvero la sintesi tra il corporativismo del ventennio  e la socializzazione della RSI.
Vi si parla di riconoscimento giuridico delle categorie; l'obbligatorietà dei contratti collettivi; introduzione della magistratura del lavoro e difesa dell'unità sindacale e più che di una libera concorrenza si propone una «programmazione nazionale».
E’ questo  il contentino, oltretutto ambiguo, dato alla corrente detta di “sinistra”, che poi di lì a un paio di anni sarà smentito e ribaltato con la scelta liberista.
Sarà poi proprio l’esponente “liberista” Augusto De Marsanich, a concludere il Congresso mediando una sintesi  tra socializzatori e corporativisti, spolverando i temi del ventennio conservatore e proponendo  «la dottrina dello Stato nazionale del lavoro: nazionale e non nazionalista, sociale e non socialista», che di fatto pone le premesse per liquidare la socializzazione.
E sempre De Marsanich, rispetto al fascismo, troverà l’escamotage del motto: “non rinnegare e non restaurare” per accontentare un po’ tutti.
Ma di questi enunciati, niente sarà tradotta in pratica nei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, come battaglie parlamentari o negli Enti locali. Solo l’enunciato della posizione filo Occidentale, avrà seguito nei fatti,  manifestando la penosa presenza di un partito che dicesi “nazionale” e che come tale avrebbe dovuto assaltare ogni giorno i consolati americani e manifestare contro la Nato e invece, con la scusa dell’anticomunismo, tradisce gli interessi e le aspirazioni della nazione.
Altrettanto scarsa importanza assumono purtroppo vari episodi,  valide azioni e iniziative di militanti del partito che di certo non possono essere considerate di natura reazionaria, anzi tutt’altro. Ma anche qui, tutto rimase sempre relegato a fatto locale, ad iniziative di singoli, perchè la Direzione del MSI andava e si poneva su un diverso piano: quello della destra conservatrice, con  annessi e connessi.
Insomma il MSI venne a trovarsi in una situazione falsa e ingannevole  di certo peggiore di quella in cui, in parte, si trovavano i veri comunisti nel PCI.
Il PCI, infatti, per anni ha mantenuto, sia pure teoricamente, alcuni capisaldi del marxismo leninismo, che avrebbero dovuto attestare la sua natura rivoluzionaria in alternativa al riformismo socialista.
Capisaldi che venivano insegnati anche alle scuole di partito. Nei fatti però il PCI aveva da tempo rinunciato alla scelta rivoluzionaria e smantellato ogni struttura interna in questo senso.
Quindi la stessa “lotta di classe”, per questo partito, era più che altro, finalizzata a rivendicazioni sindacali, al confronto con il padronato, a pressioni politiche, non certo per arrivare, attraverso  l’atto rivoluzionario, alla dittatura del proletariato.
Per il MSI le cose stavano ancora peggio, non si poteva neppure parlare di “necessità tattiche” o di “adeguamenti ai tempi” come potevano giustificare al PCI, perchè, a parte i richiami del tutto teorici per un “edulcorato” corporativismo, quei pochi cenni sulla socializzazione (prima di sparire del tutto), restavano sulla carta e neppure erano utilizzati per almeno avanzare rivendicazioni, richieste di autogestione nelle Aziende. Niente di tutto questo: di fronte al padronato, agli industriali, il MSI ha sempre avuto, nei fatti, una posizione esclusivamente  liberista, motivo di più per giudicarlo solo nei suoi atti concreti, nelle sue politiche quotidiane e non su ingannevoli frasi di propaganda.
Intattendibilità di rievocazioni e ricordi
           Un ultimo aspetto, riguardante il metodo con cui procedere nelle ricerche e rievocazioni sul neofascismo, un metodo assolutamente inconsistente oltre che inattendibile, è quello usato da certi autori, in genere giornalisti più che storici, che hanno pubblicato testi in merito corredati da spezzoni di interviste e ricordi di molti militanti di quest’area. Tomi di oltre 400 pagine a dir poco sprecate.
Esclusi alcuni pareri, in genere di giovani militanti che hanno vissuto certi avvenimenti, per il resto, a nostro avviso, è tutto materiale da buttare.
Per quel che riguarda pareri e ricordi di vecchi esponenti del MSI,  personaggi che vi hanno fatto carriera e che in quel partito ne hanno combinate di tutti i colori, tutti questi personaggi, insomma, cosa volete che possano oggi attestare?
Quanta attendibilità possono avere i loro ricordi e rievocazioni di fatti e situazioni?
A nostro avviso nessuna, perché sono tutti ricordi, oggi edulcorati e “aggiustati” che possono ingannare chi al tempo non c’era, non chi li ha veramente vissuti.
Questi testi in giro, di centinaia di pagine, che pretendono di ricostruire la storia del neofascismo dal 1945 ad oggi e nel farlo chiedono a questo o quell’ex esponente di tali gruppi o del MSI di rievocare quei tempi, di ricostruire certe situazioni - ci si dia retta - è meglio lasciarli perdere.
Noi tagliamo la testa al toro, sorvoliamo su tutto questo, non ci facciamo prendere in giro a distanza di mezzo secolo e andiamo diritti al nocciolo della questione, osservando e analizzando uomini e fatti e fidandoci solo di rievocazioni e ricordi di persone degne di stima.

Afascisti e conservatori furono preponderanti e decisivi
         Per venire ad un altro aspetto che viene osservato alla nascita del MSI, ovvero la partecipazione di  personaggi eterogenei non propriamente fascisti,  si potrebbe obiettare che per la costituzione di un partito politico, nazionale, era naturale che vi partecipassero personaggi di varia estrazione politica, molti dei quali non propriamente fascisti.
Si da il caso però  che questa obiezione, pur essendo realista, non giustifica il fatto che certi personaggi risultavano tutti del campo conservatore o in evidente collusione con gli statunitensi, con la massoneria, con il ministero degli Interni, con lobby reazionarie, ecc., in pratica, con i peggiori nemici del fascismo e se poi andiamo a ben vedere, furono proprio questi personaggi, che risultarono decisivi e influenti nella nascita del MSI.
Altri, tranne quelli che se la batterono disgustati e a gambe levate da quel partito, finirono anche loro prima o poi per storcersi, per adeguarsi all’andazzo conformista e alle sue posizioni di destra bottegaia.
Come dire: chi va con lo zoppo...
E la controprova che contano i fatti e non le parole, la si ha nel fatto che il MSI, proprio quella politica ad uso e consumo di questi ambienti reazionari e antifascisti andò a perseguire.


Il “Senato

Proprio di Destra doc questi “padri fondatori”
In un ambiente ideologicamente instabile, demagogico, fortemente populista… c’erano soltanto due persone autenticamente di destra: Ernesto Di Marzio e soprattutto Pino Romualdi, dice Domenico Mennitti [giornalista, deputato  MSI DN, poi in Forza Italia]”.
N. Rao, La fiamma e la celtica, Sperling & Kupfer 2006

Tutte le rievocazioni storiche sono concordi nell’individuare in una certa struttura, definita il  “Senato” (più che altro punto di incontro e relazioni,  una specie di organismo “consultivo” per i reduci che prese ad attivarsi verso la primavera del 1946) le premesse per le basi programmatiche e organizzative che portarono alla nascita del MSI. Il Senato, che veniva presieduto da Romualdi (foto a lato),  venne messo in piedi a Roma  da Puccio Pucci, amico di Romualdi, con l’ausilio di Olo Nunzi (ex sindacalista, già Capo di gabinetto nella segreteria politica di Pavolini),[1] ma di questa “struttura” sempre poco si è saputo eccezion fatta da qualche rievocazione autobiografica e alcune ricostruzioni degli eventi recuperate dallo storico Giuseppe Parlato (vedesi: G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed. il Mulino 2006).
Di una certa importanza anche un pregevole articolo critico del ricercatore storico Franco Morini: “Nome: MSI - Paternità: SIM”
 (“Aurora", n. 44, 1997, reperibile anche telematicamente in http://www.movitaliasociale.it/aquila-oggi/47.htm).
Secondo Cesco Giulio Baghino, ex ufficiale in RSI, giornalista, al tempo su posizioni sociali e propenso al lavoro politico in clandestinità, il compito di questa struttura clandestina era quello di vigilare sulla nuova classe dirigente che i fascisti si stavano dando. Come vedremo invece, vigilò in un senso solo, quello di indirizzarla verso Destra.


Profili storici e politici
           Diamo quindi un breve accenno ai profili dei personaggi che fecero parte o furono comunque attigui al Senato, accenno che poi estenderemo, parlando delle riunioni costitutive del MSI, anche agli altri cosiddetti “padri fondatori” di questo partito, perchè più della considerazione di atti, mozioni e proclami, è necessario rendersi conto da quali mani nacque il MSI, anche se rimarranno fuori altri personaggi, che pur avendo dato un certo contributo, restarono alquanto defilati.
- Pino Romualdi, di cui parleremo diffusamente più avanti, chiamato il “dottore”, assunto lo pseudonimo di Giuseppe Versari, dalla sua latitanza (era ricercato e sul suo capo pendeva il pericolo di una condanna a morte, ma godeva di protezioni e teneva vari contatti).
Si parlò di un occhio benevolo da parte dell’Oss americano e  di  un  importante esponente democristiano (vedesi: G. Murgia, Il vento del Nord, Ed. SugarCo 1975 ed Ed. Kaos 2004). Quello che viene spontaneo chiedersi, se veramente ci fu questo “occhio benevolo”, è come mai, colui che, in un certo senso, appariva come il pesce più grosso tra i “criminali fascisti” ricercati, godeva di questa protezione? A  chi e cosa serviva l’opera di Romualdi?
- Puccio Pucci ex capo di Stato Maggiore delle Brigate Nere, collaboratore di Pavolini ed ex presidente del Coni. Era stato incaricato da Pavolini stesso di costituire cellule clandestine per continuare la lotta nel dopo guerra, assieme ad Aniceto Del Massa, saggista, poeta, filosofo e cultore di scienze tradizionali ed esoteriche, (il famoso PDM dalle loro iniziali).  Interessanti, a questo proposito, alcuni ricordi del Del Massa che negli ultimi giorni della guerra, rimase perplesso da certi “contatti” che si prendevano con ambienti non ben definibili.
Progetto PDM che nel dopoguerra si dissolse del tutto e valutando le situazioni che portarono alla costituzione del MSI, lascia a pensare che, di fatto, il Pucci, un personaggio così importante, non venne disturbato dagli Alleati, ma ancor più fa riflettere la carriera successiva di questo ex stretto collaboratore di Pavolini: un appunto del Sifar (Servizio Informazioni Forze Armate) del 1955 dice che il ministro dell'Interno democristiano Ferdinando Tambroni:
ha recentemente provveduto alla ricostituzione dell'apparato anticomunista noto sotto il nome di Ufficio Affari Speciali del Viminale, costituito nel 1954 dall'allora presidente del Consiglio on. Scelba per intensificare l'azione anticomunista.
Tambroni avrebbe preso tale decisione di fronte alle pressioni dell'ambasciatore americano a Roma signora Luce.
Il nuovo organismo si chiamerà Ufficio Studi e Documentazione e sarà diretto dal dott. Puccio Pucci, già in servizio presso la segreteria dell'on. Scelba e attualmente addetto al Gabinetto del ministro Tambroni”.
Cosicchè quello che avrebbe dovuto essere uno dei dirigenti clandestini per la lotta fascista contro l’occupante, finirà per collaborare invece con il ministero degli Interni (inquadrato quale ufficiale di PS), nella riorganizzazione di quello che poi, anni dopo, divenne il famigerato AA.RR. di Umberto Federico D’Amato, già uomo di J. J. Angleton.
- Nino Buttazzoni, uomo di Borghese, amico dell’Ammiraglio Agostino Calosi della Marina del Sud, valente militare che poi si mise anche a disposizione degli israeliani. Fu l’ammiraglio Calosi, a sua volta attraverso la sionista Ada Sereni, a indurre Buttazzoni e Fiorenzo Capriotti ad operare militarmente per gli israeliani; Un rapporto del 10 aprile 1946 dei Servizi americani, segnalò che questo ex capo degli NP (nuotatori paracadutsti) era diventato un confidente di J. J. Angleton.
- Biagio Pace docente di Archeologia che aveva ricoperto negli ultimi anni del ventennio la carica di consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.  Di Pace si diceva che era stato un confidente dei carabinieri passati con i partigiani e come tale era stato scoperto dal principe Valerio Pignatelli che ne chiese l’espulsione dal partito. Ma Almirante e altri rifiutarono e sembra che fu per questo che Pignatelli fu lui a dimettersi.  Che dire? Nulla.
- Domenico Pellegrini Giampiero ex ministro delle Finanze della RSI, una delle più belle ed efficienti figure tra i ministri di Mussolini (in pochi mesi di governo repubblicano aveva mostrato al mondo come si sarebbe dovuto procedere per sottrarre le finanze della Nazione dall’usura bancaria. Pellegrini commissariò di fatto la Banca d’Italia e compì il miracolo di lasciare il Bilancio dello Stato in attivo). Successivamente lasciò questo partito.
- Valerio Pignatelli della Cerchiara, già esponente, stimato da Mussolini, della resistenza clandestina dei fascisti al sud durante l’occupazione Alleata,[2] ma che una volta catturato dagli americani, si legge in un loro documento segreto:
la sua cattura si rivela un colpo grosso per le informazioni che egli fornisce e per l’autorevolezza del personaggio… In qualità di militare e di proprietario terriero, il soggetto è fortemente allarmato dall’espansione del comunismo” (Vedesi: Casarrubea G., Cereghino M., Lupara Nera, op. cit.);
- Bruno Puccioni, avvocato fiorentino del 1903, era stato Consigliere Nazionale della camera dei Fasci e Corporazioni e ufficiale in Africa decorato da Rommel. Sfollato, dopo la caduta di Firenze, sull’Alto Lago di Como, crocevia delle ultime tragiche ore di Mussolini, venne ospitato a Villa Camilla a Domaso, dagli amici  conti Sebregondi.  Vale la pena dare particolari informazioni su questo avvocato perchè lascia sgomenti la sua partecipazione alla nascita di un partito neofascista.
Iniziamo con il dire che, per gli ultimi tempi della guerra, il suo esser stato un fascista moderato, aver aiutato gli ebrei, il porsi ora in una posizione defilata, l’amicizia con i tedeschi e contemporaneamente con i partigiani del luogo e agganci vari sia nella Resistenza che tra le autorità della RSI, fecero di lui l’elemento ideale a cui un po’ tutte le componenti politiche e militari potessero fare affidamento per i più disparati motivi e intercessioni. Connubi questi non infrequenti in quei tempi.
Caduto in disgrazia, venne momentaneamente arrestato dai fascisti, ma al contempo era anche sospettato dai partigiani di collusioni con questi ed i tedeschi. I comunisti lo definirono, nel dopoguerra, “una nota spia fascista di Firenze, a cui era stato concesso, dopo la Liberazione, un attestato di innocenza”.
In quei primi tragici mesi del 1945, la sua residenza a Villa Camilla, alle spalle della montagna, via vai di clandestini fu, udite, udite, un appoggio e un centro strategico per i partigiani della 52a Brigata Garibaldi, proprio lo sparuto gruppetto che ebbe la ventura di catturare il Duce e che il Puccioni in qualche modo controllava e gli faceva da consigliori.
A lui, in quelle ore drammatiche, fecero un primo riferimento i partigiani Pier Bellini delle Stelle “Pedro”,  Urbano Lazzaro “Bill”, il brigadiere della Guardia di Finanza Antonio Scappin “Carlo” e lo svizzero Alois Hoffman, detto “mister sterlina”.  Tra costoro vi era anche il comunista Michele Moretti, di sicuro presente alla uccisione del Duce, che pur diffidava del Puccioni.
Il tutto avveniva sotto l’egida degli Alleati, soprattutto americani,  a cui tornava utile questo ponte tra “fascisti” e partigiani. (Vedesi: A. Zanella, L’ora di Dongo, Rusconi 1993);
Comunque sia, ancora oggi non è perfettamente chiaro il vero ruolo giocato da questo Puccioni nelle ultime ore di Mussolini, le sue relazioni in più campi, i suoi consigli e pareri forniti ai partigiani della 52a Garibaldi, anche circa il sequestro dei preziosi documenti alla “colonna Mussolini”, ecc. Lui in seguito cercò di far passare la versione che, in quei momenti, stava cercando di poter salvare il Duce, oramai catturato, ma i fatti che si svolsero tra il 26 e il 28 aprile 1945 sull’Alto Lago di Como, dicono tutt’altra cosa, è evidente la sua presenza nella ricerca di documenti segreti di Mussolini  da passare agli americani..
Puccioni resta una figura emblematica e significativa per illustrare i personaggi che ebbero un ruolo determinante nelle discussioni e nelle riunioni che portarono alla nascita di un MSI già ambiguo e bacato in partenza. Come indica R. Festorazzi, nel suo “Mistero Churchill” Ed. Maccione: “(fondato il MSI) curò i rapporti con  gli americani. Riuscì a far giungere fondi  USA al partito, attraverso i collettori dei finanziamenti all’Italia, in chiave anticomunista e filo atlantica: il cardinale di New York  F. Spellmann  e J. Angleton capo dell’OSS”.
- Giorgio Pini (foto a lato da anziano), giornalista durane il ventennio per vari quotidiani compreso il Popolo d’Italia, direttore durante la RSI di Il resto del Carlino. Era stato uno dei migliori collaboratori di Mussolini che negli ultimi mesi lo aveva fatto sottosegretario al Ministero degli Interni. Con qualche altro camerata, Pini rappresentava la corrente di sinistra del fascismo.
Al congresso del MSI dell’Aquila del 1952, Giorgio Pini, disse queste sacrosante parole, che il futuro confermerà in pieno:
Il MSI deve scegliere tra la sua naturale funzione dinamica, rivoluzionaria, riservata ad una minoranza ardita e oppositrice e l’errore immenso di lasciarsi trascinare nella funzione di satellite e di braccio secolare delle forze statiche e conservatrici”.

Uscì in seguito dal MSI avendo capito che razza di partito conservatore fosse e come non vi fosse alcuna possibilità di cambiamento. Partecipò al periodico Pensiero Nazionale di Stanis Ruinas (Giovanni Antonio De Rosas) considerato al tempo un “nazionalcomunista”.
Un giorno Giorgio Pini con poche parole  ebbe a sottolineare il dramma della sua , e purtroppo lo sarà anche della nostra,  generazione:
“Mi nego sistematicamente, apertamente a destra (e perciò non trovo lavoro), ma non posso abbracciare la sinistra attuale, perché marxista, perché sanguinaria e assassina, perché totalitaria nei suoi fini, perché sostanzialmente anti-nazionale non meno della destra. Combatto il nostalgismo e perciò sono all’indice, ma non posso sentire offendere Mussolini.(…) Sono convinto che l’ex fascismo deve dividersi nei suoi residuati di destra (non fascisti) e nei suoi germogli di una sinistra nazionale. Questo aggettivo ci separerà sempre dai comunisti”.
Negli anni ’70, mentre il MSI era oramai la cloaca Destra Nazionale, Pini assunse la carica di presidente della FNCRSI.
- Alberto Giovannini, nel 1946 fondatore della rivista Rosso e Nero (intendeva conciliare il fascismo con il socialismo, ma successivamente finì a scrivere nell’ambito di vari giornali e riviste liberali o di destra);
- Giovanni Tonelli di Rivolta Ideale (giornale che successivamente e per un certo tempo divenne una specie di organo del MSI). Nel mese di settembre ‘46 il Tonelli cercò di anticipare i tempi nel varo del partito, costituendo una specie di Fronte (dell’) Italiano. Il giornale Rivolta Ideale, una volta costituito il MSI proclamerà: “è avvenuta la fusione dei più importanti movimenti politici e sociali nel nome della patria".
Anni dopo, nel 1949 il periodico di Tonelli nel contestare la politica del “repubblicano” Almirante si farà promotore di una campagna per l’apertura politica verso gli altri settori della destra nazionale e dei monarchici. Accoglierà tra i suoi collaboratori il mutilato Carlo Delcroix che, sotto lo pseudonimo “croce di guerra”, scriverà articoli in favore della monarchia e della “voce divina” della Chiesa. Contatterà anche i venticiqueluglisti Bottai e De Marsico.
- Augusto Turati ex, ma veramente ex, segretario del PNF (Partito Nazionale Fascista) che nel ventennio, dietro accuse scandalistiche finì anche al confino, il quale neppure aveva aderito alla RSI.
Nonostante fosse stato contrario alla guerra ed ovviamente alla RSI, Turati era stato processato e condannato, nel post liberazione e poi amnistiato come tutti nel 1946. Fatto sta che ora, seppur invecchiato, era di nuovo attivo nel variegato mondo dei fascisti semi clandestini e non si saprà mai come, perchè e chi, lo spinse a questa attività politica.
- Di Arturo Michelini, e Giorgio Almirante, il primo che di fatto non aveva aderito alla RSI restando a Roma anche dopo l’occupazione Alleata e il secondo ex capo Gabinetto al Ministero della Cultura Popolare di Ferdinando Mezzasoma, parleremo meglio più avanti.


L’operato di Romualdi
A quanto pare Romualdi, che evidentemente aveva maturato  convinzioni tutte sue rispetto a indirizzarsi per una lotta contro l’occupante e a difesa delle innovazioni sociali della RSI contro ogni restaurazione monarchica e liberista, si muove ora, sia pure in clandestinità su di un altro piano.
In un suo diario, scritto tra la fine del 1945 e gli inizi del 1946 confesserà che il problema per lui e per altri era la creazione di un vero e proprio partito o movimento anche clandestino, fornito di quadri, di ampi mezzi finanziari, atto ad una lotta politica in caso di totale invasione del territorio nazionale, in modo da consentire al fascismo di sopravvivere in futuro.
La distinzione tra le due “intenzioni” sembra minima, e del resto anche la scelta di formare un partito politico potrebbe essere, tutto sommato, condivisibile, ma sono gli scopi di fondo, che, come sarà chiaro in seguito, cambiano profondamente.
Comunque sia, nei primi mesi del 1946, Romualdi radunò personalità del vecchio regime e qualche giornalista, ma ad ispirare la nascita di un partito costituzionale, ad adoperarsi in diversi modi, ci furono anche altri reduci fascisti, alcuni importanti e alla macchia e molti con intenti genuini e sinceri.  Qualcuno, tra quelli veramente attivi e importanti, ne ha contati circa 19.
Romualdi prendeva contatti con tutti i partiti ad esclusione delle sinistre estreme (qualche contatto con il PCI lo tentarono Giorgio Pini e Concetto Pettinato) e ovviamente sia con monarchici e repubblicani e a tutti prometteva che poteva tenere a bada i fascisti, millantando una forza che poi era anche esagerata, facendo capire (cambiando i termini a seconda dell’interlocutore) che comunque fosse andato il referendum Monarchia – Repubblica del 2 giugno ‘46 e le conseguenze di ordine pubblico che potevano esserci, i fascisti avrebbero potuto rimanere estranei o intervenire  a fronteggiare chi non ne accettava l’esito e naturalmente i “rossi”.
Tra l’altro gli stessi monarchici avevano contattato diversi reduci anche rinchiusi nelle carceri, ma avevano constatato che la maggioranza era fedele alla RSI.
La DC e gli americani alle sue spalle, sia pure con prudenza sembravano essere per la repubblica mentre gli inglesi per la monarchia.
La situazione era quindi complicata e Romualdi non poteva troppo sbilanciarsi; in cambio  dell’appoggio, chiedeva una specie di “amnistia” per tutti i reduci fascisti in quei tempi braccati, incriminati, epurati ed esposti a varie persecuzioni.  Era ovvio che sia per quanto riguardava una eventuale amnistia, che successivamente per le premesse costitutive di un nuovo partito, vi parteciparono i personaggi e gli ambienti più eterogenei e non si poteva pretendere che si operasse solo con fascisti di pura fede. Ma il fatto è che dietro la pur lodevole e opportuna richiesta in favore dei reduci, queste offerte di Romualdi, prive di una vera valenza strategica, nascondevano progetti ambigui e sicuramente reazionari, senza contare il “ponte”, tra l’altro già gettato da tempo, che veniva a consolidarsi con quella Monarchia, infame e traditrice della nazione, che i fascisti Repubblicani avrebbero dovuto considerare come la peste.
E’ pur vero che il “trafficare” di Romualdi, dopo il referendum diede dei “frutti politici”, facendo uscire i neofascisti dall’isolamento, ma li instradò decisamente verso i sentieri della conservazione.
Agli incontri partecipavano, anche per conto di Romualdi, Arturo Michelini, un amico di questi, Sistro Favre ben introdotto negli ambienti della Curia romana, Puccio Pucci, Olo Nunzi, il generale Muratori, Concetto Pettinato, Biagio Pace, Bruno Puccioni e Vincenzo Tecchio.
Al tempo,  DC esclusa ed ambigua, buona parte del fronte della conservazione era schierato per Casa Savoia e  una miriade di  partitini,  nati dopo l’8 settembre 1943, di  ispirazione monarchica, erano presenti nella vita politica italiana.
Repubblicana la massa dei reduci della RSI, non pochi, però, erano, gli elementi neofascisti che, dietro le loro sigle clandestine, fungevano da attivisti di questi partitini monarchici tra i quali, in particolare, il Partito Democratico Italiano sorto a Roma il 6 giugno del ’44, con l’occupazione Alleata della capitale e che aveva anche un quotidiano “Italia Nuova”.
Anche un ex gerarca del PNF del ventennio e console della Milizia, Felice Mentastri, funge da segretario particolare del generale Bencivenga capo del Blocco Nazionale della Libertà che raccoglie i vari movimenti monarchici.
Questo per dire, che le contingenze del tempo, fecero perdere a molti neofascisti il senso  della misura e dell’orientamento politico, anche per il fatto che quelli che dovevano essere i suoi rappresentanti erano su posizioni contraddittorie. [3]
Per colmo dell’ironia e a beffa di una politica che barattava l’amnistia anche con un certo flirt con i monarchici, questa amnistia venne concessa, dopo il referendum del 2 giugno ‘46, per iniziativa del segretario del PCI e Ministro della Giustizia, Togliatti, cosicché circa trentamila fascisti uscirono dalle carceri e tanti altri furono sollevati da procedimenti inquisitori (nel frattempo, agli inizi del 1946, i prigionieri rinchiusi nei campi angloamericani erano quasi tutti stati liberati, mentre un certo numero di reduci erano anche riparati all’estero, Sud America soprattutto).
L’atto di ”clemenza e pacificazione”, era pronto da aprile, ma si decretò dopo il Referendum e con esso il guardasigilli Togliatti si era prefisso vari risultati: guadagnare alla causa della repubblica i non pochi fascisti repubblicani, normalizzare il più possibile la situazione del paese e al contempo risolvere non poche situazioni di comunisti e altri pseudo partigiani implicati in gravi reati che non potevano essere spacciati come ”atti di guerra”.
Attorno a quel giugno del 1946 Romualdi, che aveva preso accordi un po’ con tutti, ma forse gli impegni più consistenti con la DC e il Vaticano (il referendum poi vide la vittoria della Repubblica),  comincia a prospettare ai  neofascisti l’uscita dei gruppi dalla clandestinità, usando però una certa accortezza tattica.
Su “Rivoluzione”, il primo giornale romano clandestino dei FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria), abbozza un programma il cui obiettivo finale vorrebbe essere una “Seconda Repubblica Sociale”, attraverso lo sfaldamento del fronte antifascista.
Si  preconizzavano futuri scontri di piazza, asserendo, in sintesi, che tutti gli schieramenti anticomunisti, vigliacchi per natura,  si sarebbero trovati in difficoltà ed allora, secondo lui, i fascisti potevano sfruttare l’occasione, perché ci sarebbe stato bisogno di chi è capace di fronteggiare validamente il comunismo.
Un programma subdolo, che in teoria definisce il fascismo al di sopra di tutti gli schieramenti,[4] ma in pratica lo rende subalterno alle componenti reazionarie del paese, a cui si offriva il potenziale umano costituito dai fascisti, alimentando al contempo l’oltranzismo anticomunista.
Per reggersi in piedi, tutto il programma, tracciato da Romualdi, ruota praticamente sulle opzioni tattiche.
A questo proposito il ricercatore storico Franco Morini, nel suo articolo citato, farà giustamente rivelare come la strategia dei FAR, dettata principalmente da Romualdi (a nostro avviso sottilmente disegnata per confondere gli stessi seguaci) appare veramente antesignana di quella che sarà in seguito l'essenza del MSI.
Eccone, dice Morini, alcune perle, estratte dalle documentazioni d’epoca:
Nel secondo periodo che va dal 25 aprile '45 al 2 giugno '46, e che è dominato dal problema istituzionale, il Fascismo ha assunto per motivi puramente tattici, un indirizzo prevalentemente monarchico”.
E poi conclude con questa lungimirante iniziativa da “grande destra”: «...abbiamo ridotto di metà i nostri nemici, non solo, ma contro l'altra metà non siamo solo noi a combattere, perché ci possiamo valere di quel 46 per cento che è rimasto deluso dal referendum".
Turati, Romualdi e Leccisi
          Ancora di estremo interesse anche la ricostruzione fatta sempre dal ricercatore storico Franco Morini, nel suo già citato “Nome MSI – paternità SIM”, dove si ricorda che prima ancora dell'esito del referendum istituzionale, Turati  e  Romualdi avevano incontrato a Roma il maggior esponente del neofascismo clandestino milanese, Domenico Leccisi, con cui intavolarono fin da allora un inquietante discorso. Questo incontro - scontro è così riportato da Leccisi:
A Roma si facevano molte chiacchiere da parte di Romualdi e dei suoi amici. Per la vicinanza con i centri di potere e la fitta rete di contatti stabilita con molti ex-fascisti - che avevano tempestivamente cambiato casacca e continuavano ad operare all'interno dei partiti – il gruppo degli ex-gerarchi che facevano capo ad Arturo Michelini, nello studio del quale in Viale Regina Elena s'incontravano, aveva potuto intavolare trattative sia con esponenti repubblicani, sia con ambienti monarchici. Per questo avevo deciso di raggiungere la capitale e rendermi conto di persona della situazione. (...). La situazione mi si rivelò in tutti i suoi aspetti soltanto quando, condotto da Michelini e Romualdi, mi trovai faccia a faccia con il redivivo ex-segretario del PNF, Augusto Turati”.
Precisa Morini che secondo l'impressione ricevuta da Leccisi, in quel periodo era proprio Turati che “... menava la danza e che sia Michelini che Romualdi pendevano dalle sue labbra”. Ciò dovette apparirgli piuttosto strano, dal momento che Turati, a parte i precedenti e il confino, si era rifiutato di aderire alla RSI ed aveva perfino espresso giudizi denigratori contro Mussolini.
Avendo dunque presenti questi precedenti dell'ex-segretario del PNF, prosegue Morini, il Leccisi si dispose ad ascoltarlo con le riserve del caso ed infatti i suoi argomenti si dimostrarono subito sospetti. Quale preambolo Turati pose il problema politico dell'inserimento nella legalità, per consentire:
“... la nostra partecipazione, di pieno diritto, alla vita democratica del Paese... e, a quel punto, la rinuncia dell'aggettivo "fascista" sarebbe stata una scelta obbligata e consequenziale”.
Turati, continuando nella sua esposizione precisò che l'orientamento a consentire la costituzione di un movimento politico che raccogliesse gli ex-fascisti e coloro che ne avevano accettato il programma, beninteso restando nell'alveo democratico, si stava facendo luce presso alcuni uomini politici come De Gasperi e i notabili democristiani, con l'appoggio dei liberali, qualunquisti e monarchici.
Anzi con questi ultimi il dialogo era in fase avanzata essendo disposto il Re a offrire determinate garanzie non solo riguardanti il provvedimento di amnistia, in cambio di un appoggio, se del caso anche armato, dei gruppi fascisti alle forze monarchiche impegnate in uno scontro durissimo contro le sinistre. Turati poi concluse che:
“... per rendere fattibile il compromesso con il governo (e si trattava del governo del CLN ! - N.d.R.) e facilitare l'intesa con il Re era necessario smobilitare i gruppi clandestini armati, apprestandoci a far affluire gli ex-fascisti in un movimento politico in grado di svolgere la propria attività alla luce del sole nella legalità democratica”.
Nutrendo qualche perplessità in merito, continua Morini, Leccisi provò a ribattere che prima di smobilitare dalla clandestinità pretendeva garanzie che non si trattasse dell'ennesima fregatura:
L'imprevidenza - disse a  gran voce all'ex-segretario del PNF - c'era costata sangue e sofferenze inenarrabili. Ricadere nell'ingenuità di credere nella buonafede degli avversari potrebbe avere conseguenze ancora una volta gravissime per il movimento e per quanti ci seguono”.
Turati reagì vivacemente a queste obiezioni e con tono autoritario gli notificò che da quel momento egli rispondeva delle sue azioni direttamente a lui e a un non ben precisato gruppo dirigente istallatosi a Roma. Leccisi prese cappello e se ne andò insalutato ospite. (Cfr. D. Leccisi, "Con Mussolini prima e dopo piazzale Loreto", Ed. Settimo Sigillo, Roma 1991, e  P. G. Murgia, "Ritorneremo!", SugarCo, 1976).
Ci siamo soffermati su questi ricordi di Leccisi, perchè condividiamo appieno le conclusioni che ne trae Franco Morini su Augusto Turati:
A nostro parere quanto esposto da Leccisi fotografa un istante particolare di tutte le varie acrobazie politiche effettuate da Turati nel dopoguerra; che si possono così riassumere:
inizia cercando di avvicinarsi, inutilmente, ai partiti del CLN.
Dopo di che, prende posizioni di sinistra all'interno dei FAR e, contemporaneamente si collega al Movimento Tricolore per spingere i suoi aderenti a mettersi al servizio dei circoli dinastici e dei generali badogliani. Dopo l'uscita di Romualdi dai FAR, non avendo ottenuto un posto adeguato nel MSI, Turati si pone alla testa del gruppo dissidente dei FAR. (Cfr. P. G. Murgia, "Ritorneremo!", SugarCo, 1976).
Concluderà la sua carriera negli anni '50 al servizio di Gedda e dei suoi Comitati Civici». (Cfr. R. Comini - G. Rabaglietti, "Le leggi dell'Italia libera", Bologna, 1945).
Traffici con preti e conservatori
              Come si vede, anche dalla semplice rievocazioni di questi fatti, risulta una evidente collusione e quindi ingerenza di ambienti antifascisti e soprattutto conservatori nella nascita del MSI. Una collusione che non sarà mai più possibile recidere.
Noti, infatti, diverranno anche i traffici che imbastirà successivamente Almirante, assurto alla carica di segretario, in un primo momento più che altro burocratica, del partito, con ambienti democristiani e clericali.
Una compromettente lettera di Almirante venne ritrovata nelle tasche di Franco De Agazio, direttore del Meridiano d’Italia, assassinato dai comunisti della Volante rossa nel marzo 1947, probabilmente perché stava scoperchiando compromettenti aspetti sulle vicende dell’oro di Dongo e sulla identità del famigerato “colonnello Valerio”,  spacciato falsamente come il fucilatore del Duce. Gli scriveva Almirante:
Caro De Agazio, a nome del Movimento ti prego di una missione urgente e importantissima. Abbiamo avuto notizia sicura che il cardinale Fossati di Torino ha convocato parecchie persone e personalità allo scopo di addivenire alla fondazione in Piemonte di squadre di resistenza anticomunista.
Tu capirai cosa significa e cosa può significare ciò. Affidiamo quindi a te la missione di andare a Torino, possibilmente con altra persona di tua fiducia, di farti ad ogni costo ricevere dal Fossati e di prospettargli la possibilità che il Msi collabori con lui. Gli puoi dire – perché è vero – che i gesuiti di qua ci conoscono, ci approvano e ci appoggiano.
En passant sottolineiamo che questo De Agazio, ex giornalista della Stampa, venne poi spacciato, da missisti e avversari, per neofascista (era stato messo in galera per “collaborazionismo”), quando non lo era affatto, se non in senso superficiale ed anzi durante la RSI aveva anche avuto seri problemi con i fascisti repubblicani.
Insomma,  era sullo stesso piano di quel Franco Servello (che gli era nipote), già caporedattore e successivo direttore del “Meridiano”, altro elemento che, come vedremo, godeva di grande fiducia presso gli Alleati).
Accennato a tutti questi personaggi, come visto un mixer di ex fascisti, fascisti sui generis, personaggi ambigui e sinceri fascisti repubblicani, rievochiamo i passi successivi che potarono a costituire il partito.  


Le riunioni pre costitutive del MSI

Il massimo del servilismo
“…secondo De Gaulle, l'Europa dovrebbe rafforzarsi per “far fronte alla potenza economica degli Stati Uniti”, come se gli Stati Uniti fossero i nostri nemici...”.
"Il Tempo", quotidiano di destra, 28 novembre 1967
La riunione decisiva, ma i “giochi” erano già fatti, per la costituzione del MSI, un partito reazionario mascherato da neofascismo, da utilizzare come bassa manovalanza anticomunista, si tenne a Roma il 26 dicembre 1946 nello studio del padre di Arturo Michelini, un avvocato già iscritto al partito liberale.
Le riunioni, che da ottobre 1946 si erano intensificate, e tutta la genesi che aveva portato a questi risultati non era stata semplice anche se, parallelamente ai gruppi clandestini come i FAR, prendeva corpo una volontà “legalitaria” per la costituzione di un Movimento politico.
Purtuttavia una linea comune era ostacolata non solo dalla eterogeneità del pensiero politico che aveva sempre contraddistinto l’area del fascismo (la politica spesso spregiudicata e pragmatica di Mussolini, aveva sempre coagulato attorno al fascismo ambienti e componenti eterogenei e personaggi che solo il grande carisma del Duce poteva controllare e far lavorare a vantaggio della Nazione), ma soprattutto da troppe diffidenze e ricorrenti personalismi e anche dal fatto che il  mondo dei reduci del fascismo repubblicano, eccetto la Salò tricolore, in prevalenza era tutto meno che reazionario ed anzi molti erano su posizioni decisamente rivoluzionarie.
Bisognava quindi agire con circospezione, gradualità ed inganno nel distillare le gocce di veleno che dovevano fare di questo partito la guardia bianca degli americani e dei peggiori e più gretti interessi borghesi.
Ma i furbastri erano però agevolati dal fatto che politicamente potevano convincere la gente che in quel momento si necessitava di una certa duttilità e bisognava anche aprirsi a componenti eterogenee come del resto era spesso avvenuto nel passato. Ragionamenti politicamente anche logici e plausibili, se non fossero stati in malafede.
In politica, infatti, ci può anche stare che si accantonino posizioni estremiste e magari si apra ad altre componenti; oltretutto, viste le leggi vigenti, non era possibile una ricostituzione del partito fascista.
Ma qui il nascosto progetto del MSI, gli ideali che avrebbe dovuto perseguire e le sue aperture politiche, furono tutte in un senso solo, anche se in un primo momento mascherato: quello reazionario e conservatore estraneo al fascismo repubblicano, di cui ne costituivano una netta antitesi, essendo invece strategicamente utili ai nostri colonizzatori statunitensi, così come era negli scopi di chi lo stava  creando con l’inganno.
Per le cronache, considerando alcuni raggruppamenti politici già formatisi, tralasciando i gruppi clandestini come i FAR, possiamo accennare, più che altro, che parteciparono alla nascita del MSI: Il Fronte del Lavoro, il Movimento italiano unità sociale, il Movimento de La Rivolta Ideale ed il Gruppo reduci indipendenti.
Pochi giorni prima, il 3 dicembre 1946 a Roma nello studio di Michelini, era stato redatto quello che può considerarsi il documento costitutivo del partito, laddove si auspicava la nascita di un “organismo politico nazionale” con la denominazione di Movimento Sociale Italiano (MO.S.IT).
Ecco il verbale sottoscritto alla fine della riunione:
Convinti della necessità di coordinare tutte le iniziative già esistenti allo scopo di creare un fronte unico della gioventù italiana, dei combattenti, dei reduci, degli ex prigionieri, e di tutti gli italiani che credono nella rinascita della Patria e nei valori spirituali della vita, i dirigenti del Fronte dell’Italiano, del Partito Nazionale Italiano, dell’Olda, dei Gruppi nazionalisti Lombardi, del Png, dei reduci indipendenti, e degli altri gruppi affini a tale scopo oggi riuniti, ritengono indispensabile dar vita ad un unico organismo politico nazionale che con oggi è creato sotto la denominazione di Movimento Sociale Italiano (Mosit).
I dirigenti dei giornali Fracassa, Rataplan, Rivolta Ideale, Rosso e Nero, della rivista Lettere, si impegnano ad affiancare con adeguata opera di propaganda il movimento politico unificato: pur mantenendo ogni giornale la propria intera indipendenza, concordano di seguire gli indirizzi della direzione politica del nuovo movimento. I firmatari decidono di lanciare un manifesto che li chiami a raccolta nella lotta per i supremi interessi del paese dimenticati o traditi da quanti nelle sue rovine si valgono per interesse di fazione”.
Il documento venne sottoscritto da:
Arturo Michelini, Pino Romualdi, Giorgio Pini, Biagio Pace, Nino Buttazzoni, Giorgio Bacchi, Valerio Pignatelli, Ezio Maria Gray, Emilio Profeta Trigone, Italo Carbone, Giulio Cesco Baghino, Giovanni Tonelli, Ernesto De Marzio, Costantino Patrizi, Giacinto Trevisonno.
In extremis aveva anche aderito il piccolo Movimento Italiano di Unità Sociale (Mius) fondato da Mario Cassiano, Giulio Baghino, Giorgio Bacchì e Giorgio Almirante.
Il 26 dicembre 1946 la costituzione del partito verrà quindi formalizzata nella accennata riunione decisiva, presieduta da Biagio Pace, con la partecipazione di Jacques Guiglia capo dell’Ufficio stampa della Confindustria e del generale Ennio Muratori, aggiungendosi altri sottoscrittori:
Bruno Puccioni, Roberto Mieville, Francesco Galanti, Gianluigi Gatti, Nicola Foschini.
Lo stesso giorno venne formata una Giunta Esecutiva composta  da Giacinto Trevisonno, Raffaele Di Lauro, Alfonso Mario Cassiano, Giovanni Tonelli e Carlo Guidoboni. Trevisonno nominato segretario di questa Giunta, potrebbe considerarsi, ma non era proprio così, come il primo segretario del partito. Tra tutti questi personaggi: Guiglia, Michelini, Romualdi, Puccioni, Buttazzoni, Pignatelli e Muratori avevano avuto contatti con ambienti legati ai servizi segreti americani e guarda caso erano fortemente impegnati ad imprimere al nascente MSI una linea decisamente, ma meglio sarebbe dire, esclusivamente, anticomunista.
(Vedesi anche: G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed. Il Mulino, 2006).
Anche se non li ritroviamo tra i “firmatari” e a parte Almirante, che del resto era nel partecipante Mius (Movimento Italiano di Unità Sociale) con Baghino e Bacchi, occorre aggiungere l’apporto dato alla costituzione del partito di tanti altri camerati, che rimasero in secondo piano o poi lasciarono il partito.
In particolare vogliamo aggiungere e ricordare il professor Manlio Sargenti, capo gabinetto al ministero dell’Economia Corporativa e tra gli estensori del manifesto di Verona, uno dei padri della Socializzazione. Anni dopo Sargenti, abbandonò il MSI e successivamente gli chiesero come considerò il momento in cui il MSI condivise l’adesione alla Nato, dopo accese discussioni interne e dopo che a marzo del 1949 c’erano state veementi opposizioni in Parlamento, e questi rispose che in quel momento si perse lo “spirito” del partito.
Varie anime e correnti del fascismo, ma non solo del fascismo, si ritrovano così in questo nuovo movimento, dove almeno per il momento i traditori venticinqueluglisti sono banditi e anche verso i monarchici si stabilisce di non avere rapporti. Ma sono tutti specchietti per le allodole perché già alcuni di coloro che hanno partecipato alla fondazione del partito hanno rapporti con i monarchici e amicizie tra i venticinqueluglisti, tanto che anni dopo ci sarà anche un ravvicinamento addirittura con Giuseppe Bottai.
Il nuovo partito stabilirà la sua prima sede in Corso Vittorio Emanuele, al numero 24 in un appartamento di cinque locali affittato dalla marchesa Vittoria Serafini a Michelini, inaugurando, fin da subito, il penoso e disgustoso andazzo di contesse e altri nobili svolazzanti attorno a questo partito che evidentemente sentono affine al loro ceto sociale e di un Michelini controllore della borsa del partito.

Altri padri fondatori del MSI
[Cesco Giulio] “Baghino - senza ovviamente specificare di quale idea si trattasse - ha scritto che: “nel grande salone congressuale aleggia gigante l'Idea ...”.
L'idea ce la spiega poi Almirante: “Noi siamo la destra nazionale». «Noi siamo l'idea corporativa». «Noi siamo l'alternativa al sistema”.
Proposizioni che, evidentemente, si elidono a vicenda, poiché chi si pone a destra ed accetta un ruolo destra non può non precludersi qualsivoglia soluzione corporativa; soluzione che nasce da una concezione unitaria dello Stato non suscettibile di essere contrabbandata come fatto di destra” .      Bollettino Fncrsi  N. 1,1.1971

           Completiamo l’album di famiglia, sia pure sommario, di questi “padri fondatori” (di alcuni: Pignatelli, Buttazzoni, Puccioni, Pace, Tonelli, Pini, ecc,, abbiamo già dato un accenno) lasciando per ultimi quelli che poi saranno i più importanti dirigenti  del partito (i pesci grossi: Romualdi, Michelini, Almirante, De Marsanich, ecc.).
Come detto, dai profili di tutti costoro e dagli sviluppi futuri delle loro politiche e comportamenti, i lettori potranno farsi un idea da che mani era nato il MSI, tenendo oltretutto conto che anche alcuni, tra costoro, che in partenza erano sinceri e animati da buone intenzioni, finirono poi per adeguarsi all’andazzo generale.
- Ezio Maria Gray  un nazionalista che aveva ricoperto vari incarichi nel ventennio. Dopo il 25 luglio aveva però mandato un telegramma di congratulazioni a Badoglio, ma comunque aderì poi alla RSI, ricoprendo ruoli di giornalista e presidente dell’Eiar (l’ente predecessore della Rai). Alla costituzione del MSI, Gray trovò quelle prime premesse programmatiche (anche se erano uno specchietto per le allodole) troppo sbilanciate a sinistra (figurarsi!) e quindi lui, nazionalista e conservatore, entrò nel partito (ci mancherebbe altro!), solo successivamente.
Poi ovviamente in questo partito, oramai a suo specchio e somiglianza, ci stette magnificamente, divenendo deputato, poi senatore e anche vice segretario nazionale del partito. Nell'ottobre 1949 fondò il settimanale Il Nazionale, "giornale indipendente di politica e cultura".
- Costantino Patrizi, tra i promotori della riunione del 26 dicembre, era legato alla Democrazia Cristiana e amministratore del periodico “Rataplan” che finanziava e sul quale scriveva anche Nino Tripodi come caporedattore (apparentemente sinistroso) e Augusto De Marsanich.
- il generale Ennio Muratori che era impegnato in una specie di fronte anticomunista pregno di ex badogliani e collaboratore di Nino Buttazzoni nella costituzione di gruppi filo monarchici.
-  Cesco Giulio Baghino giornalista, che a novembre del 1946 era tra i costituenti di un piccolo partito, il MIUS, Movimento italiano di unità sociale, tra i cui esponenti c’erano Giorgio Almirante e Giorgio Bacchi.[5]  
Baghino in un primo momento aderisce al progetto di costituire il MSI, ma resta con la convinzione di mantenere anche le strutture clandestine. Racconterà poi Baghino che precedentemente:
“Romualdi un giorno mi disse: “basta con il clandestinismo si esce tutti allo scoperto”. Io, Lucci Chiarissi e altri giovani camerati, tra i quali l’ultimo segretario del Gruppo Universitario Fascista di Roma, gli diciamo di no (…) Noi non ci faremo contaminare dalla politica di Palazzo”.
Con il tempo tante buone intenzioni si volatilizzeranno e il Baghino farà la sua brava carriera politica e sociale nel MSI. Valente giornalista fu per un breve periodo direttore del Secolo d’Italia, e dagli anni ’70 in avanti deputato al Parlamento per 5 legislature: degli ideali del fascismo repubblicano nel suo MSI DN non ne resterà più alcuna traccia.
- Roberto Mieville (1919), carismatica figura di giovane fascista. Ex ufficiale carrista, fattosi onore in Nord Africa, era reduce, quale “non cooperatore”, dal campo di prigionia militare americano di Hereford nel Texas. Fu tra i fondatori dei FAR, giornalista e coraggioso oratore, rappresentò il volto rivoluzionario del partito di cui guidò il Fronte giovanile. Fu uno tra i primi sei deputati eletti alle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Nei primi anni del MSI cercò di battersi contro la svolta conservatrice e reazionaria, e filo atlantica, ma non avendo lui partecipato alla RSI, perché prigioniero degli americani, non poteva vantare qualifiche nel partito fascista repubblicano per opporsi ad altri dirigenti che invece avevano avuto cariche in repubblica. Venne rieletto alla Camera anche nel 1953. Camerati coevi raccontano che a poco a poco, a dimostrazione dell’essenza demoniaca di questo partito, anche lui si adeguò all’andazzo missista e alla fine si fece in parte complice delle politiche dei dirigenti del partito, da sempre impegnati a rintuzzare e opporsi proprio a quelle istanze che lo stesso Mieville aveva difeso. All'età di 35 anni, morì in un incidente stradale (ad alcuni apparso “strano”) nell’ aprile del 1955. Viene da pensare che pur nel dramma della sua morte e nel dolore di amici e famigliari, gli Dei vollero risparmiare a questa splendida figura di combattente fascista la sorte di tanti altri dirigenti che finirono per rinnegare tutto e di più.
- Giorgio Bacchi, volontario in varie campagne militari, pluri decorato al valor militare; ufficiale superiore di complemento dell'Esercito, aderì alla RSI. All’atto della costituzione del partito faceva parte della componente di “sinistra”, come Giorgio Pini. Solo che il Bacchi, a differenza del Pini, rimase nel partito e ne attraversò, dalla fondazione fino alla sua morte (1974), tutta la sua involuzione, evidentemente immemore delle sue idee e di quello che avevano rappresentato. Nel giugno 1969 fu nominato vice segretario nazionale del MSI. Lui, ex fascista di sinistra, fu eletto Senatore della Repubblica nel maggio 1972 nel MSI DN la massima espressione della conservazione nel panorama politico italiano. Una magnifica coerenza!
- Giacinto Trevisonno ex collaboratore editoriale di Roberto Farinacci, membro dei “Reduci indipendenti”, risulta una figura marginale che poi Romualdi volle subito come segretario della costituita giunta esecutiva del partito, in quanto poco esposto con il fascismo. Sintomatico, per avere il senso di questi avvenimenti è il fatto che il Trevisonno dopo cinque mesi si dimise, anche perché contrario ad accettare nel partito i deputati alla Costituente dissidenti dell'Uomo Qualunque [6] e gli ex fascisti che non avevano aderito alla RSI. Non si sa bene se fu proprio questa la vera motivazione di Trevisonno per le sue dimissioni, ma di certo il movimento dell’Uomo Qualunque, oltre che di impronta fortemente borghese era costituito prevalentemente da italiani ex pseudo fascisti del ventennio, e al suo interno si era usi definire Mussolini “il buffone di Predappio”.
- Ernesto De Marzio, pugliese, ex componente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, un ex “fascista” sui generis, a suo agio nel periodo badogliano, schierato su decise posizioni di destra, lo ritroviamo ora attivo nell’opera di costituzione del MSI. In quel momento rappresenta più che altro il giornaletto “Fracassa”, un foglio che attaccava la DC pretendendo di rappresentare il vero cattolicesimo, ma al pari di Gray, risulterà utile per contrapporlo alle correnti di “Sinistra”. Sarà sempre fedele alla strategia micheliniana dell’inserimento ed ovviamente del dissolvimento, del patrimonio, soprattutto sociale del fascismo. Nel 1976 uscì dal MSI aderendo al gruppetto scissionista di parlamentari della Democrazia Nazionale. Tanto per le cronache il fratello Giulio, fu tra i dirigenti della struttura “atlantica”, “Pace e libertà”, nei primi anni Cinquanta.
- Jacques Guiglia il cui pedigree è tutto dire: capo dell’Ufficio stampa della Confindustria. Non c’è altro da aggiungere.
- Francesco Galanti, sindacalista durante la RSI ed esponente della componente di sinistra del costituente partito assieme a Pini e Bacchi.
- Gianluigi Gatti, già segretario del GUF di Milano ed anche lui esponente di sinistra nel  costituente partito.
- Nicola Foschini, al tempo leader dei fascisti napoletani, di cui c’è poco da dire se non che nel 1958 uscì dal partito, di cui aveva partecipato alla fondazione, per creare il Movimento Nazionale Italiano che si presentò alle elezioni politiche assieme al Partito Monarchico Popolare di Achille Lauro. Poi aderì al Partito Democratico Italiano, guidato da Achille Lauro e Alfredo Covelli che raggruppava alcuni movimenti monarchici. Rientrò nel MSI alla fine degli anni ’80 parteggiando per un suo vecchio sodale: Pino Rauti.
- Emilio Profeta Trigone, di una specie di Partito Nazionale Italiano, costituito nell’agosto del 1946, che cercava di raggruppare neofascisti e Qualunquisti indipendenti.
- Italo Carbone che rappresentava l’OLDA.
I Pesci grossi tra i padri fondatori
Consideriamo ora meglio i più importanti, almeno per le cariche di partito che poi andranno ad assumere, tra quelli che furono definiti i “padri fondatori”.
Così come per alcuni dei precedenti nominativi, qui non ci interessa e neppure si pone il quesito se costoro agirono in malafede per interessi personali, se in malafede ci finirono successivamente o se una visione ed una attitudine di destra e conservatrice era loro implicita, naturale e connaturata.
Ancora una volta, rimarchiamo che ogni valutazione non può che essere squisitamente politica e quindi diamo al termine “malafede” una valenza altrettanto  politica ovvero di aver celato all’esterno e soprattutto ai militanti del neocostituito MSI le loro vere intenzioni politiche e i loro veri ideali.
Qui va considerata solo la loro nefasta opera da cui partorì quel movimento, di fatto, potenzialmente “antifascista” e di come poi ebbero a guidarlo; il resto lo lasciamo agli storici e alla coscienza, se c’è l’hanno mai avuta, delle persone.
Nel frattempo però possiamo già produrre una prima importante osservazione: la maggioranza dei profili politici fin qui tracciati e gli altri che andremo ora a riportare, attestano personaggi chiaramente di destra (conservatori, liberali, nazionalisti, monarchici, ecc.) e quindi cosa si pretendeva da costoro?
Come abbiamo visto ci furono anche validi e bravi camerati in buona fede, personaggi anche importanti che dedicarono tutto sè stessi alla nascita di questo partito, ma qui li omettiamo, perché purtroppo le regole del gioco, gli appoggi trasversali di cui godevano i malversatori del fascismo, erano tanti e tali che non ci fu niente da fare e il MSI seguì la strada che per lui avevano tracciato americani, lobby massoniche e circoli industriali, dietro benedizione vaticana.
Una strada il cui fine principale era, sul piano ideale, quello di spostare a destra i reduci del fascismo repubblicano e sul piano operativo quello di fornire una massa di manovra in funzione anticomunista.
- Arturo Michelini (1909 - 1969), un ragioniere che si definiva ex Federale di Roma, ma che di fatto non aveva aderito alla RSI perchè rimase nella Roma occupata dagli Alleati continuando tranquillamente le sue attività professionali, fu il vero burattinaio di tutta l’operazione (mentre Romualdi, dietro le quinte della clandestinità ne fu l’artefice politico) anche perché, la sua figura di afascista, faceva da garante a quei potentati e finanziatori per la nascita del partito, vale a dire, a parte l’Oss americano: ambienti confindustriali, Vaticano, lobby massoniche e la stessa Democrazia Cristiana.
Ed infatti buona parte dei finanziamenti al partito passavano per le sue mani.
Negli anni successivi Michelini assunse praticamente una posizione dittatoriale nel MSI (a gennaio 1954 ne divenne il segretario nazionale) anche grazie al controllo della “borsa” del partito, a cui impresse un linea sostanzialmente liberale, una posizione politica che fallì dopo il crollo del breve ed effimero governo Tambroni (1960) e la nascita del centro sinistra, quando fu evidente che la DC preferiva, a destra e come controparte, il minuscolo PLI e non il MSI, che teneva relegato al perenne ruolo di ruota di scorta nei momenti di necessità  “numeriche” in parlamento.
- Di Pino Romualdi (1913 - 1988), dei suoi contatti pregressi con l’Oss (di qualunque natura fossero non ha importanza) si è già detto. E’ noto poi che mentre i vari Pavolini, Colombo, ecc., erano considerati fanatici e irriducibili estremisti, una nota interna del Sim-Nord Italia (S.I.M.N.I.), degli ultimi mesi di guerra, attestava che Pino Romualdi fosse degnissimo sotto tutti gli aspetti morali.
Sappiamo poi che, nel 1946/’47, elementi terroristici ebraici ebbero, proprio da Romualdi, attraverso i FAR, la disponibilità di esplosivo da loro utilizzato in attentati a Roma. Lo attestò la figlia di Romualdi, Marina, ma anche Carlo Dinale all’epoca giovane collaboratore di Romualdi e infine il senatore Alfredo Mantica, già suo stretto collaboratore. Romualdi stesso, uomo mentalmente di destra (chissà, forse per ”ricordare” agli ebrei certi “favori), finì per confidare la faccenda (vedesi: G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed. Il Mulino, 2006, ed E. Salerno, Mossad base Italia, Il Saggiatore, 2010).  
Quel che viene subito in mente, considerando queste collusioni, è  che se gli ebrei si fidavano di lui e ci intrattenevano certi delicati contatti, mentre oltretutto gli pendeva una  condanna a morte ed era ricercato, non solo doveva godere di valide protezioni, ma era anche evidente che gli ebrei stessi non lo dovevano considerare un fascista irriducibile, né tanto meno un nemico.
Fu Romualdi che in vista della nascita del MSI ne tracciò le prime linee direttive tipicamente reazionarie, come per esempio quella di prepararsi per una insurrezione anticomunista; di restare in un primo momento equidistanti dal contenzioso monarchia – repubblica, in attesa di definire a chi “prestarsi”, anche se nel frattempo, di fatto, si appoggiavano i monarchici.
Finì ovviamente per rappresentare fino alla sua morte, all’interno del MSI, l’ala di destra del partito e almeno in questo fu coerente con la sua mentalità e convinzioni (fatta forse eccezione, secondo i ricordi di un camerata di Parma, di quando, nel 1944, sulla Gazzetta di Parma, alcuni suoi articoli, ferocemente antiborghesi, inneggiavano alle riforme rivoluzionarie e socialiste della RSI).
Romualdi oltretutto, precedentemente alla nascita del MSI, dalla sua latitanza, aveva avuto modo di incontrare, sondare e conoscere molti ex presunti fascisti del ventennio, che non avevano aderito alla RSI o comunque non erano venuti al Nord con Mussolini, ma ora si trovavano ugualmente nei guai per il loro passato nel clima post liberazione. Trattavasi, in genere di anticomunisti, conservatori, persone anche qualificate, che tornarono poi utili quando si dovettero formare i quadri dirigenti del MSI. [7]
- Giorgio Almirante (1914 - 1988), all’epoca trentaduenne, partecipò alla costituzione del MSI e successivamente, il 15 giugno 1947, eletto a Roma da un nuovo Comitato Centrale, successe  a Trevisonno e fu il secondo segretario (in realtà Trevisonno, designato da una specie di giunta esecutiva, solo superficialmente si può considerare come il primo segretario e anche lo stesso Almirante seguì come segretario, ma in un primo momento, più che altro “burocratico”).
La figura di Almirante tornava utile, dopo la costituzione del MSI, per tranquillizzare i fascisti che temevano una svolta troppo moderata del neonato partito, ma ovviamente Almirante non era temuto dagli ambienti e dalle forze che avevano contribuito a fondare e finanziare il MSI per scopi reazionari, le quali ben sapevano che costui non era un rivoluzionario, nè un velleitario.  Scrive di lui G. Murgia:
agli uni si presenta come l’integralista più acceso, il sacerdote della insurrezione purificatrice, con gli altri ha trattato mostrandosi duttile e attento al realismo politico”.
(P. G. Murgia, Il vento del Nord, SugarCo 1975, ristampa Ed Kaos 2004).
Questo figlio di attori, che si rivelò in seguito un vero guitto politico  rivestendo, da abile saltimbanco, all’interno del partito, spazi di destra, oppure facendosi pseudo assertore di posizioni socializzatrici (tenacemente contrastate da Romualdi) che poi immancabilmente ad ogni congresso disattendeva, era anche un abile oratore e in quei primi anni del neo nato partito si impegnò instancabilmente nell’arte oratoria. In repubblica aveva ricoperto la carica di capo gabinetto del ministro Fernando Mezzasoma al Minculpop. [8]
Il 25 aprile ‘45 Almirante saluta  Mezzasoma che gli dice “vado a morire con il Duce” e quindi con preveggente saggezza lui si invola dall’altra parte. Conscio della discrasia in questi due comportamenti dirà poi che fu il ministro a vietargli di seguire la “colonna Mussolini” (mah!).
Raccontò che si era rifugiato in casa di un israelita a Milano, dicesi un certo Levi che lui, durante la guerra, ma guarda un po’, aveva a sua volta nascosto al ministero (gesto umanitario a parte, essendone all’oscuro il Ministro, fu una specie di tradimento). Successivamente, mantenendosi clandestino, se ne andò a Torino.
Sia come sia non si capisce, o forse si capisce fin troppo bene,  come Almirante, sia pure un funzionario di ministero, ma nel ventennio  già Capo redattore  al Tevere di Telesio Interlandi e poi segretario di redazione alla Difesa della Razza, dal gennaio 1945 tenente della Brigata Nera autonoma ministeriale, che pur aveva anche ricoperto qualche piccolo ruolo, anche se non militarmente attivo, nelle azioni antipartigiane e un bando di avvertimento, con sua firma, verso i renitenti alla leva, era stato trasmesso alla prefettura di Grosseto, in quei mesi del primo dopoguerra, non fosse incriminato e ricercato per “collaborazionismo” (vera mosca bianca, visto che si può dire che venivano incriminante persino semplici ausiliarie della RSI), potendo così operare indisturbato alla nascita del MSI.
Lui no, non ebbe persecuzioni inquisitorie da parte delle nuove istituzioni, imposte dagli Alleati e nate dalla Resistenza, ma soltanto poi, dal 1947 in avanti eventualmente subì qualche incriminazione e procedimenti per le sue affermazioni pseudo apologetiche o ritenute eversive nel nuovo partito. [9]
Succedendo a Trevisonno, Almirante, almeno privatamente, si spacciava per un sostenitore del “sociale”, contrastato da Romualdi che lo accusava anche di gestire il partito onde ...farne un feudo per le sue ambizioni”. (P. G. Murgia, "Ritorneremo!", SugarCo, 1976).
Le divergenti posizioni all’interno del neonato MSI non ebbero però modo di esplicitarsi subito in vere e proprie posizioni politiche anche perchè il 17 marzo 1948, Romualdi venne arrestato:
Subito, negli ambienti del rinascente partito, si sparge la voce che a fare la spiata alla polizia sia stato lo stesso Almirante, e la voce non si spegne tanto facilmente. Ad alimentarla ancor più vengono le indiscrezioni sussurrate a mezza voce dall'Ufficio politico della Questura: il Romualdi, malvisto dagli stessi fascisti, è cascato nella rete dietro una denuncia degli stessi suoi camerati”. (P. G. Murgia, "Ritorneremo!", SugarCo, 1976).
Sia come sia, questa supposizione lasciava a pensare, visto che precedentemente la polizia poco e niente aveva fatto per ricercare Romualdi.
Di Almirante resta infine da dire che concluse la sua esistenza politica, raggiunta la carica di Segretario del MSI a giugno 1968, dopo la morte di Michelini, in sintonia con i suoi veri “ideali” (o meglio con la sua vera “indole”, perchè è difficile attestare a questo soggetto un qualsivoglia ideale), cioè quegli ideali genericamente di “destra” che precedentemente aveva sempre occultato fino ad arrivare a farsi paladino, al congresso missista di Pescara del 1965, della corrente sociale di “Rinnovamento” che poi, a quel congresso, immancabilmente tradì, accordandosi con Michelini e scatenando violenze e rimostranze di un ampia base così turlupinata che era giunta a Pescara piena di speranze di cambiamento.
Per  colmo dell’ironia a quel congresso del 1965 anche la corrente di destra di Romualdi, spiazzato dall’accordo Almirante – Michelini, venne relegata momentaneamente all’opposizione.
Vale la pena spendere qualche parola in più per riassumere le varie posizioni politiche assunte negli anni da questo vero e proprio “saltimbanco” della politica.  
Prima di “Rinnovamento” e di questo suo “ritorno” a “sinistra”, vergognosamente tradito poi al congresso di Pescara del 1965, Almirante si era schierato, ma mai integralmente, con la sinistra del partito ai congressi di Napoli e Roma del 1948 e 1949; quindi nel 1950, estromesso dalla segreteria del partito da De Marsanich, collaborò con questi per far accettare, sia pure con discrezione,  dalla base del partito, il Patto Atlantico e l’alleanza con gli USA e sul piano interno per far digerire l’alleanza con i Monarchici in vista delle elezioni amministrative (praticamente, volente o no, si prestò al gioco centrista).
A luglio del 1952 al congresso dell’Aquila, Almirante si avvicinò con prudenza all’ala moderata del partito che voleva collaborare con le forze politiche di Centro. Al quarto congresso missista del 1954 a Viareggio, lasciò perdere la prudenza e si allineò decisamente con le correnti moderate e vincenti di “destra liberale” di De Marsanich e Michelini.
Ne fu ripagato entrando nella Direzione e nell’Esecutivo Nazionale. Fu la svolta definitiva, oramai da tempo in atto, per lo spostamento definitivo a destra del partito.
Al quinto congresso, Milano novembre 1956, Almirante ricambia posizione e precongressualmente si schiera, questa volta, contro Michelini e De Marsanich riavvicinandosi alle correnti di sinistra, nelle quali molti esponenti se ne erano oramai andati dal partito o stavano per andarsene. Almirante cercò di trattenerli facendosi paladino di una battaglia da condurre “dentro” il MSI. Durante il congresso però si sposta “al centro”, premessa per “trattare”. La sinistra verrà battuta di misura ed Ernesto Massi lo accuserà di “doppio gioco”.
Di “Rinnovamento”, negli anni ’60 abbiamo detto.
Ebbene con l’avvento degli anni ’70 in avanti, finalmente, Almirante trasformò, o meglio adeguò, perché di fatto lo era sempre stato, il MSI in Destra Nazionale (1972), inglobando, anche nelle alte cariche del partito, gli ex monarchici, liberali e democristiani di destra falliti, tromboni trombati dei Servizi, generali delle FF.AA., industriali anelanti allo stato forte e, perché no, vecchi ordinovisti in cerca di un “ombrello”.
Un transitorio momento elettoralmente favorevole, alle elezioni Comunali e Regionali del 1971, gli consentì di ottenere il consenso dei militanti del partito ingolositi dalle possibilità che si spalancavano per accedere alle cariche elettive. Alle elezioni politiche del 1972, con questo carrozzone di Destra Nazionale, ultra borghese e forcaiolo (in un periodo che aveva visto un forte aumento della  criminalità comune e in piena “strategia della tensione” la retorica richiesta d’ordine e pena di morte faceva un certo effetto) il MSI raggiunse tra l’8 e il 9 percento dei voti, suo massimo storico. Voti che ben presto, ovviamente, la DC riuscì a riprendersi determinando anche, per un utilizzo immediato di quei voti, una scissione nel partito  (nascita di Democrazia Nazionale).
Inguaribili ingenui ritengono che fu Gianfranco Fini, oltretutto una “creatura” proprio di Almirante, il primo “rinnegato” a ripudiare il fascismo, ma dimenticano che nel 1971, determinando reazioni e proteste nel MSI, fu Almirante che si recò a rendere omaggio a Porta S. Paolo a Roma, piazza simbolo della Resistenza ed espresse il desiderio di recarsi in Sinagoga e l’anno successivo, nell’aprile del  1972, giunse  “ad  esaltare  i valori della   Resistenza  in  quanto  valori  di  libertà”.  (Vedesi: Bollettino Fncrsi N. 17 Novembre 1971;  e  De Grazia V., Luzzatto S.: Dizionario del Fascismo, voce Almirante, Einaudi 2002).
Quello “strappo”, così pubblico di Almirante alle tradizioni del partito, sia pure false e retoriche che i missisti avevano sempre sbandierato, produsse lacerazioni e forti proteste nella base missista e persino Julius Evola ebbe una reazione di fronte al “non simpatico cedimento.
Starnazzamenti che poi, di fronte all’effimero e transitorio successo elettorale che per un paio di anni si sarebbe offerto al MSI, vennero ben presto riassorbiti.
Fatto sta che, sul momento, arrivarono alla FNCRSI, da molti camerati ritenuta depositaria di una certa ortodossia e rettitudine di comportamento, lettere di protesta, contro Almirante, che qualcuno avrebbe persino voluto ammazzare.
Ecco come il Bollettino Fncrsi N. 17, novembre 1971 commentò quelle lettere “indignate”:
“Ci avete inviato indignatissime lettere per il fatto che Almirante ha risposto all'appuntamento antifascista dell'8 settembre. Tradimento, infamia, tralignamento, ecc.! Taluno, addirittura, non disdegnerebbe di assistere al funerale del Segretario del MSI. Ammazzare Almirante? Ma nemmeno per sogno. A chi gioverebbe? E poi, francamente, non si possono mica far fuori tutti gli antifascisti (...).
Almirante ha dimostrato in mille maniere di non essere fascista.
Dunque che pretendete ancora da lui? Non vi ricordate quando si vantò di aver aiutato non so quale ebreo durante la RSI e di esserne stato ripagato abbondantemente a guerra finita? Non vi ricordate quando sostenne che, se Mussolini fosse vivo, difficilmente gli avrebbe affidato la presidenza onoraria del suo partito? Del resto voi stessi, nelle vostre lettere parlate di successi di destra, di forze sane, di destra giovane e di altre corbellerie che non potranno mai riguardare i fascisti. I fatti parlano chiaro, Almirante antifascista raccatta voti da tutte le parti.
Ma veniamo alla storia che, non per nulla, può essere maestra di vita. Quale è stato e quale è ancora lo scopo perseguito dal MSI, oltre a quello di obbedire ciecamente alla DC?
Crearsi uno spazio politico a destra del sistema antifascista con i voti dei fascisti che di destra non sono. Ora che lo spazio (non troppo, non illudetevi, solo quanto ne consente chi indirizza e sovvenziona) si è cominciato ad intravedere ed è tale che può essere mantenuto e consolidato anche a prescindere dai voti fascisti, perchè mai, vi domandiamo, il segretario del MSI, dovrebbe mettersi a fare il fascista? Le federazioni missiste non solo hanno ricevuto la nota circolare con la quale si aboliscono i saluti romani, si gettano nella pattumiera i gagliardetti e si vieta l'antica liturgia - già abbondantemente scaduta nel grottesco per la risaputa cialtroneria dell'ambiente- ma vengono costantemente orientate verso una sempre più netta sterzata a destra che non può, ovviamente, non comportare il rigetto di ogni principio fascista.
Voi ben sapete come il contenuto fascista nelle mozioni e nei discorsi dei responsabili missisti si sono via via rarefatti tanto da dar luogo ad affermazioni chiaramente antifasciste. Questo fenomeno, pur evidentissimo sotto il povero Michelini, si sta ora accentuando per l'azione determinante svolta dall'ultimo cospicuo gruppo di massoni, approdati al MSI, non certamente per fare la rivoluzione fascista. Per noi tutto ciò era scontato...”.
Con questa Destra Nazionale “almirantiana”, il MSI assunse, anche esternamente, il suo vero aspetto reazionario, bottegaio, forcaiolo e ultra atlantico che neppure con il “liberale” Michelini aveva avuto.
Da questo momento le nuove generazioni che si identificavano o si avvicinavano al MSI, potevano definirsi un “qualcosa” di informe, genericamente di destra, ma decisamente antifascista, nonostante il perdurare, ma ora di nascosto e più che altro nella base del partito,  di certa simbologia atta a carpire voti agli ingenui.
- Augusto De Marsanich (1893 - 1973), fu un esponente di rilievo del MSI e ne rappresentò l’anima “corporativa” del partito in opposizione a quella socializzatrice.
Si noti bene: attestare una corrente, definita “corporativa”, oltretutto in via teorica, sulla carta, significava, dietro un generico richiamo al ventennio, ostentare una concezione economica non troppo ostile al liberismo e soprattutto, voleva dire liquidare in toto ogni intento di riforma socializzatrice.
Parlare di Corporativismo, oltretutto in uno Stato democratico e liberista, era pura demagogia, ma serviva per tranquillizzare gli ambienti industriali e raggirare i nostalgici.
De Marsanich, la cui sorella Teresa Iginia, sposata con l’israelita Carlo Pincherle, era  la madre di Alberto Moravia, era un uomo alquanto indicato, per garantire gli ambienti industriali, avendo a suo tempo ricoperto la carica di presidente del Banco di Roma  e quella di presidente dell'Alfa Romeo. Assieme a Michelini e Nino Tripodi (che pur era stato “di sinistra”) fu il massimo  interprete della operazione di inserimento del MSI nello schieramento parlamentare di destra, facendosi anche fautore di una linea “moderata” che mirava a fare del MSI l’interlocutore della Democrazia Cristiana. 
Fu il furbo De Marsanich, al primo congresso missista di Napoli del giugno 1948 (venne confermato Almirante segretario, con due vice: Michelini e Roberti),[10] a coniare l’ambiguo slogan “non rinnegare e non restaurare”, utile a fregare la base ancora di sentimenti fascisti, rassicurandola con quel “non rinnegare” (quando invece sostanzialmente si era rinnegato di tutto e di più) e mettendo le mani avanti con il “non restaurare” per giustificare la mancanza di iniziative e prese di posizione che il MSI, se veramente si fosse, almeno idealmente, rifatto al fascismo repubblicano, avrebbe dovuto prospettare.
Fu ancora principalmente De Marsanich (che ricoprì la carica quale terzo segretario nazionale dal 15 gennaio  1950, quando Almirante decadde da analoga carica, fino al 1954) ad aver pilotato gradualmente e con grande destrezza, piegando le tante resistenze, la sporca operazione che portò il MSI ad appoggiare ed avallare senza riserve l’Alleanza Atlantica per il nostro paese.
E sempre sotto il suo “interregno” si perfezionò la  tendenza a porre, sul piano sociale, il MSI come propugnatore di un Corporativismo senza capo né coda (ovviamente mettendo nel dimenticatoio la Socializzazione) in modo da fare del partito uno strumento liberista e filo capitalista.
Di socializzazione, infatti, nelle sedi missiste, non se ne parlò più fino a quando, nella prima metà degli anni ’60 non venne demagogicamente e transitoriamente rispolverata dalla corrente di base “Rinnovamento” guidata da Almirante per giochi interni di potere.
La trasformazione borghese impressa da De Marsanich al partito, fu evidente e decisiva, aprendo poi le porte alla successiva e naturale svolta altrettanto liberista di Michelini.
Già il precedente passaggio di consegne del gennaio 1950 tra la segreteria Almirante e quella di De Marsanich, fu indicativo di una certa liquidazione, dal vertice massimo della segreteria del partito, di uomini troppo caratterizzati dall’esperienza della RSI.
Almirante era pur stato al gioco e i suoi precedenti atteggiamenti “estremisti” o socializzanti erano stati più che altri apparenza, ma ora “chi di dovere” richiedeva espressamente uomini meno compromessi con il fascismo e di esplicita tendenza liberista. Saranno De Marsanich prima e Michelini poi, ad assumere la segreteria missista con la quale traghettarono, definitivamente, il partito nella sfera atlantica e nella destra conservatrice Il nuovo segretario De Marsanich e al contempo Michelini segretario amministrativo del partito, ebbe subito buon gioco nell’imprimere una certa svolta al partito ancor più marcatamente a destra, facendo leva sul fatto che il programma da “Stato del Lavoro” che aveva caratterizzato il MSI alle elezioni del 1948 non aveva pagato, dando appena un 2 percento di suffragi. Ancor meno però pagò poi la svolta “liberista” dove, eccetto per le elezioni, del tutto particolari del 1953, in cui il MSI ebbe un certo successo, il partito si assestò su percentuali del tutto minoritarie.
Si completa la trasformazione reazionaria
          Con De Marsanich e Michelini si completò così in pieno una definitiva e irreversibile trasformazione moderata, “liberale” e borghese del partito, che precedentemente pur essendo in bozzolo era rimasta mascherata, dove gli ideali del fascismo, edulcorati da ogni aspetto rivoluzionario, furono relegati in una configurazione del tutto nostalgica, superficialmente nazionalista.
Dentro e attorno al MSI si avviarono i contatti con ex gerarchi del ventennio, per esempio Giuseppe Bottai o Alfredo De Marsico, emblemi del venticiqueluglismo e si accentuarono le proposte di una alleanza con i monarchici, con i liberali e con ambienti cattolici, scaricando le posizioni repubblicane e socialiste. L’alleanza con i monarchici, annunciata da De Marsanich ad agosto ’50, viene ratificata dal  Comitato Centrale il 23 dicembre dello stesso anno.
Ovviamente non mancarono le reazioni, anche veementi, soprattutto dalla sinistra del partito, varie dimissioni e persino il “Meridiano d’Italia” di Servello, dove però vi scrivono anche penne eterogenee e di sinistra, eleva proteste, ma soprattutto un altro foglio di battaglia, l’Asso di Bastoni” di Pietro Caporilli sferra violenti attacchi alla Direzione del MSI: Michelini viene definito:
“un sudicio letamaio che appesta un movimento di prodi” -  e Romualdi un -“mussolinetto entrato in galera antipapalino e uscitone vestito da gesuita - . accusandolo anche di essersi definito “figlio di Mussolini” e di essersi squagliato da Como, a fine aprile ’45, con la cassa del partito  dopo aver abbandonato Mussolini –“.
Ma tutte queste reazioni passeranno sopra la nuova dirigenza, con il tempo si stempereranno, molti oppositori abbandoneranno il partito, mentre altri, come per esempio Almirante, cambieranno più volte posizione e politica.
Questa nuova veste, esplicitamente di destra del partito gli, consentì  alle elezioni amministrative del 1952 di prendere sei sindaci monarco-missisti, in sei città del Sud Italia e un conteggio sul MSI da solo indicava che il partito era arrivato, sempre nel Mezzogiorno, al’11,8 percento dei voti.
Alle politiche del 1953, il MSI conquistò il 5,85%, dei voti grazie al favore del ceto medio, moderato, sopratutto al sud. Fu, in quell’epoca, la sua percentuale massima di voti nelle elezioni politiche, ovviamente poi subito perduta alle elezioni successive del 1958 e bisognerà attendere gli anni ’70 per ripetere questo effimero boom elettorale, quando Almirante rimodellò il partito quale Destra Nazionale e riuscì sempre con i voti del ceto medio borghese a superare l’8 percento, ma sempre in modo effimero e transitorio, essendo il MSI la ruota di scorta della DC che subito, quando gli occorreva, ne svuotava il contenitore elettorale.[11]
Il governo Tambroni
               La funzione da “ruota di scorta” della DC, e la politica “entrista” di Michelini ebbero il loro momento migliore, del tutto effimero, nella primavera del 1960 quando venne varato il governo di centro destra di Fernando Tambroni con i voti determinanti di monarchici e missisti, dando  l’impressione di una mezza assunzione del MSI nel governo.
Filippo Anfuso, l’ex (anche questo veramente ex) ambasciatore della RSI a Berlino, non stava nella pelle e già preannunciava che al prossimo congresso missista, che si sarebbe tenuto a luglio a Genova, il partito avrebbe rotto definitivamente con il passato e forse avrebbe anche cambiato nome.
Da quello che si è potuto poi appurare, in realtà quel governo di centro destra, transitorio, nelle strategie dei democristiani che contano, doveva essere un sottile tentativo destinato al fallimento proprio per rendere poi  inevitabile la successiva apertura a sinistra, da tempo progettata.
Andò a finire che il PCI, con la scusa del congresso missita nella “città medaglia d’oro della resistenza”, scatenò la piazza creando gravi incidenti a Genova, dove il MSI non potè finire il congresso e i missisti dovettero scappare a gambe levate e altri scontri si accesero a  Roma a Porta S. Paolo, cosicchè il governo Tambroni, da cui tutti presero le distanze,  naufragò penosamente.
Probabilmente se così non fosse stato, per la gola di una possibile partecipazione governativa, avremmo visto il varo di una specie di Alleanza Nazionale ante litteram.

Qui sotto, volantino della FNCRSI ANNI ‘60




[1] Pucci, Nunzi e la moglie, avevano avviato un ufficio di rappresentanza in Via Veneto a Roma *che divenne un punto di incontro e di sostegno per i reduci.
[2] Personaggio di coraggio, idealista e spirito avventuroso, Pignatelli era nato a Chieti nel 1886 e morì nel 1965. Comandante degli Arditi nella grande guerra; distintosi poi in Etiopia e in Spagna. Lo troviamo anche in Russia dove parteggiò  per i "Bianchi" di Wrangel e durante la rivoluzione comunista di Bela Kun in Ungheria, addetto militare a Budapest (fu l’unico diplomatico straniero a occuparsi degli interessi dei paesi europei). Nel 1920 lo troviamo in Messico dove tra una “rivoluzione” e l’altra  fu acclamato Imperatore in una provincia del Sud, per dieci giorni. Ma in quel periodo perdette la sua prima moglie e dovette riparare negli Stati Uniti. Qui sposò la figlia del miliardario editore Hearts, ma ne divorziò dissentendo con il loro stile di vita.
Tornato in Italia, sposò poi la principessa Maria De Seta figlia di un ufficiale di Marina che conosceva da anni e che sarà una indimenticabile compagna di avventure.
Pignatelli aveva aderito al  fascismo, ma spesso si dimetteva per contrasti, in particolare con Farinacci. Sembra che dopo il 25 luglio 1943 assieme a  Ettore Muti e Barracu intendeva liberare Mussolini. Tornò invece in Calabria.  Mano a mano che gli Alleati risalivano la penisola, Pignatelli cercò di organizzare una resistenza e una rete clandestina di fascisti al Sud assieme alla moglie.
Processato e condannato a guerra finita beneficiò dell’amnistia.
Se gli americani riuscirono ad ottenere da lui una collaborazione fu probabilmente in virtù dell’appartenenza del suo ceto sociale ai proprietari terrieri e aristocratici spaventati dal comunismo. In ogni caso una figura eccezionale che non può essere giudicata con i normali parametri politici e di cui ne resta tutto il suo valore.
[3] Per esempio, il prof. Ernesto Massi, uno dei massimi esponenti della corrente di  sinistra del fascismo, cattolico, era però attestato su posizioni filo monarchiche Difficile dire come poi votarono i fascisti al referendum, visto i segnali contraddittori che venivano da vari personaggi. Lo stesso Romualdi non è ben chiaro se all’ultimo diede indicazioni per votare repubblica come desiderato dalla maggioranza dei reduci, oppure no.
[4] Come loro postulato i FAR intendevano riferirsi alla autentica natura del fascismo, antiborghese con nemici sia di destra che di sinistra e nella considerazione che tutto quello che non è prettamente ed esclusivamente fascista è automaticamente antifascista.
[5] Tra i fondatori del MIUS vi è Mario Cassiano, avvocato e giornalista che fonderà anche un giornale per le Forze Armate grazie a certi finanziamenti del Sim (Vedesi G. Murgia: il vento del Nord, SugarCo 1975 e ristampa Kaos 2004). Con Almirante  inaugureranno le riunioni interne al MSI con i militanti chiamate “giornale parlato”.
[6] L’Uomo Qualunque era stato un movimento “antipartito”, fondato da Guglielmo Giannini di Pozzuoli (NA), bizzarro giornalista  pungente, commediografo satirico e canzonettista. Nacque attorno all’omonimo giornale fondato da Giannini nella Roma da poco occupata  dagli Alleati. Da quello che era una  specie di “fronte” di opinione, divenne partito, interpretando le insofferenze borghesi e le proteste della gente. Era incline a posizioni filo capitaliste e i suoi militanti si confondevano spesso con i monarchici. Già con il governo Parri (giugno 1945) Giannini chiese la fine dei consigli di Gestione, lo sblocco dei licenziamenti e la massima libertà imprenditoriale per il padronato. Questo schieramento, senza riferimenti ciellenisti, offri alle masse dei reduci fascisti, una prima possibilità di riprendere a praticare la politica in Italia, ma l’accomunamento con una base qualunquista e reazionaria ebbe anche gravi conseguenze nella base dei reduci e nel loro  portato ideale e storico della RSI, diametralmente opposto al qualunquismo borghese e che avrebbe dovuto essere il patrimonio ideale principale in questa area.
[7] Su Romualdi girava anche una diceria, con buona pace per la onorabilità della madre: che fosse un figlio illegittimo di Mussolini. Come possa essere uscita fuori una idiozia del genere non si sà, forse una larvata somiglianza in certe foto, forse la comune origine romagnola. C‘è anche chi sostiene che fu lo stesso Romualdi ad avere interesse a diffonderla.  (vedesi: G. Murgia, Il vento del Nord, Ed. Kaos 2004). Altri, tra cui Daniele Lembo, nel suo Fascisti dopo la liberazione, Ed. Grafica Ma.Ro., si limita a dire che “la diceria non fu da Romualdi mai decisamente smentita”.
[8] Nel Bollettino Fncrsi, (N. 2, aprile 1970) i fascisti della Federazione, con l’articolo “Almirante”, resero magnificamente le doti da guitto politico di questo soggetto:
Almirante - Come combattenti avvertiamo una profonda repulsione per tutte le frasi altisonanti e per il frenetico agitarsi oratorio fatto di espressioni vacue inutilmente nostalgiche o patriottarde. Vi si nasconde dietro sempre la bassa ricerca del facile applauso. Nel caso del povero Almirante - guitto per vocazione e per tradizione - vi si nascondono anche il falso e l'inganno. Quando infatti parlando al recente Consiglio Nazionale del suo partito ha detto che, mentre gli altri prendono gli ordini da Mosca o da Washington, lui (che in realtà li riceve dal Ministro dell'interno) li prenderebbe dall'Oltretomba, tutti pensando al Duce, lo hanno a lungo applaudito L'attore non pensava a Mussolini, ma a Michelini del quale non manca occasione di osannare non comuni (e sappiamo quali sono!) pregi, tanto più che ha potuto assumere la segreteria del m.s.i. solo assicurando al già citato ministro il mantenimento della linea micheliniana”.
[9] Non solo proprio Almirante non ha mai fatto cenno ad eventuali incriminazioni da lui subite nel primissimo dopoguerra, ma alla udienza del 25 gennaio 1972, nel processo di Roma per “falso e diffamazione”, circa il famoso bando del 1944 firmato da Almirante con la pena di morte per i renitenti alla leva, Almirante stesso ci tenne a precisare: “Faccio presente che sono deputato in Parlamento dal 18 aprile del 1948. Allora, oltre le regole costituzionali, vi erano norme eccezionali che vietavano di entrare in Parlamento a coloro i quali avessero assunto cariche o ricoperto determinate responsabilità nella Rsi. Personalmente non ho mai subito alcun procedimento penale né fruito di amnistie».
[10] Ai congressi del MSI di Napoli (1948) e Roma (1949), si contrapposero le due anime del partito: la sinistra socializzatrice con Giorgio Pini, Manlio Sargenti, Giorgio Bacchi, Concetto Pettinato e Bruno Spampanato; e i nazional corporativi con Ezio Maria Gray, Augusto De Marsanich, Arturo Michelini, Nino Tripodi e Pino Romualdi. Almirante in quell’epoca si pose tra i primi che gli garantirono il successo alla Segreteria, ma l’organigramma della Direzione fu poi una specie di compromesso tra le due correnti. Il congresso di Roma, invece, fu dominato dalla questione “Atlantica”: l’Italia il 4 aprile ‘49 aveva aderito alla Nato, e fu contraddistinto da forti lacerazioni tra i “possibilisti”, che poi in realtà erano intimamente favorevolissimi e i decisi negatori dell’Alleanza che, tra l’altro, sostenevano giustamente che non si poteva essere “alleati e vinti allo stesso tempo”.
[11] I voti, anche sottobanco, del MSI, vennero spesso offerti e spesso richiesti in particolare dalla DC, utili per far passare o bocciare certe Leggi. Anche per i governi ci furono molti “intruppamenti”:  dal governo democristiano di Giuseppe Pella nel 1953 /’54, con la scusa di un certo appoggio per Trieste, poi quello di Adone Zoli nel 1957 /’58 anche con la scusa della restituzione della salma del Duce, e quello di Antonio Segni 1959 /’60. Tra questi vi fu anche la beffa di un governo Fanfani che rifiutò i voti offerti dal MSI. Analogamente i voti missisti furono spesso disponibili nelle elezioni per il Presidente della Repubblica. Negli anni successivi questa pratica continuò imperterrita.

Servello e il “Meridiano d’Italia”

Ma guarda un po’…
"Quando mi accorsi che i carabinieri tentarono di infiltrarsi tra di noi – ricorda [Servello] - chiesi dei chiarimenti al servizio investigativo dell'Arma. Li sollecitai a smetterla con quel doppio gioco che facevano. Ero talmente esasperato che mandai una lettera di protesta al comandante generale della Lombardia".
2010 Repubblica.it: Intervista a Franco Servello  di A. Custodero

Abbiamo così tratteggiato le figure di vari storici “padri fondatori”, ma non indifferente è anche spendere qualche parola per l’opera di Franco Maria Servello, americano di nascita (Cambridge) del 1921, filo americano doc, anche se in quei primi anni del dopoguerra tendeva a non mostrarlo troppo, ma tanto filo americano che negli anni ’60,  dopo una sua pubblica presa di posizione in favore della Nato, i fascisti della Fncrsi, ne riportarono le sue frasi attribuendole ad un certo “Servello, di nome e di fatto”.
Questo Servello, che ha attraversato tutta la storia del Msi, per poi finire coerentemente in Alleanza Nazionale,[1] nei mesi precedenti la fine della guerra,  mentre i fascisti combattevano e morivano per difendere l’Italia invasa dagli Alleati o sotto le revolverate alla schiena dei GAP, scriveva su un giornale al sud occupato dagli americani e dietro loro autorizzazione.
Ergo è facile suppore che il Servello, tutto poteva essere, meno che un fascista e di certo in quel tempo al Sud non stava scrivendo contro gli Alleati occupanti
Colpisce, ma come abbiamo visto per tanti altri casi, non stupisce, che poi, come se nulla fosse, questo giornalista lo si ritrovi allegramente e con importanti ruoli, nelle fila del neofascismo e in pubblicazioni a questa area riferibili, contandosi successivamente a Milano tra gli organizzatori del MSI.
Servello, nel 1947, da caporedattore, dopo l’assassinio di De Agazio, prese in mano la direzione del Meridiano d’Italia e poi del Meridiano Illustrato, un rotocalco con belle illustrazioni e qualche buon articolo, ma finalizzato più che altro a rivalutare sul piano nostalgico il regime fascista, Mussolini e i meri aspetti nazionalistici della guerra, guardandosi però bene dall’illustrare adeguatamente la parte socialista e rivoluzionaria del fascismo.
Almeno fino alle importanti elezioni del 18 aprile 1948, Il Meridiano, pur riportando una cernita eterogenea di firme, molte anche valide e di fascisti e simpatizzando per il MSI, tirava anche la volata al Movimento Nazionale per la Democrazia Sociale dell’ex deputato qualunquista Emilio Patrissi. Successivamente, riportata la direzione a Milano, divenne fiancheggiatore del Msi.
Raccolti, infatti, dal MSI nel 1948, circa il 2 percento dei voti, e ottenuti 6 deputati e 1 senatore, il Servello con una lettera al delegato missista per l’Alta Italia, Achille Cruciani, dichiarava di voler contribuire ad unificare attorno al MSI le “forze nazionali” (anticomuniste, ovviamente!).
Di Servello e del Meridiano ne riparleremo più avanti, quando accenneremo alle manovre che portarono il MSI a schierarsi per la Nato.
Qui sotto, volantino FNCRSI anni ‘60

La collocazione a destra

Il destrista: più chiaro di così…
Giorgio Almirante

Il fascista:
Benito Mussolini

L’ovvia e perfidamente studiata sistemazione di questo partito fu quindi alla destra dell’aula parlamentare e chi si ribellò, e furono tanti, a questa scellerata decisione, gli venne fatto presente che “a sinistra c’erano i comunisti assassini”, come se a destra ci fossero gli amici. Ma quella scelta era funzionale e preveggente verso il varo di un vero partito di destra reazionario e conservatore il cui penoso e ripugnante cammino finalmente si concluse nel 1995, anche se purtroppo gli escrementi umani che ha lasciato ancora sguazzano nell’agone politico alla ricerca di qualche posticino elettivo.
Avendo comunque scelto il MSI di partecipare al sistema parlamentare era evidente che da qualche parte delle aule di Camera e Senato gli eventuali eletti si sarebbero dovuti collocare. Ma era altrettanto evidente, per quello che aveva rappresentato il fascismo repubblicano, per il portato ideale e programmatico delle sue rivoluzionarie leggi socialiste, i parlamentari di questo partito si dovevano mettere e pretendere di mettersi, a sinistra, volenti o nolenti i comunisti.
Una collocazione a sinistra che non avrebbe avuto niente di ideologico, tanto più che proprio il fascismo aveva superato le categorie hegeliane “destra – sinistra”, ma non potendo i parlamentari del MSI sedersi sui lampadari, questa era l’unica scelta meno “inquinante” e più consona ad una certa politica, considerando oltretutto che a destra vi erano i partiti conservatori e reazionari e soprattutto i monarchici, quintessenza del tradimento.  A sinistra, questi parlamentari, si sarebbero potuti battere contro gli occupanti occidentali, opporsi al futuro Patto Atlantico, difendere l’indipendenza del paese, sostenere riforme e iniziative socialiste nell’economia e tanti altri programmi ancora. 
A destra invece... fate voi, ma di certo sarebbe stato impossibile portare avanti tutte le rivendicazioni per attuare le leggi sulla Socializzazione, con tanto di gestione delle imprese in cui viene elevato e inserito il mondo del lavoro nell’impresa,  e così via.
Falsa anche la collocazione a destra con la scusa di difendere gli interessi nazionalisti della nazione in opposizione all’internazionalismo delle sinistre. Intanto il nazionalismo non si poteva di certo conciliare, nonostante tutti gli artifici e panegirici tattici,  con  l’Atlantismo ed infatti, come osserva giustamente Vinciguerra, se questi missisti fossero stati veramente dei nazionalisti, avrebbero dovuto assaltare giorno dopo giorno le ambasciate americane, britanniche e israeliane, cioè le sedi di quegli Stati Occidentali nostri colonizzatori che ci avevano privato e tuttora ci privano di indipendenza e sovranità.
Come accennato,  Giorgio Pini e gli altri di “sinistra”, compresi altri validi camerati di eterogeneo pensiero, purtroppo furono tutti ben presto piegati dalle manovre e dai mezzi in possesso di chi doveva far nascere e crescere la creatura missista in un certo modo. Molti, successivamente, se ne andranno schifati dal MSI.
Forse l’ultimo e più concreto tentativo di trovare una alternativa alla collocazione a destra anche per l’area che rappresentava il retaggio del fascismo lo compì, quando però era oramai troppo tardi, Stanis Ruinas, il cosiddetto “fascista rosso”  attraverso il suo giornale il  “Pensiero Nazionale” cercando di creare in Italia anche un fronte anti-imperialista:
“Nel ’56 venne effettuato il tentativo più consistente di costituire un Movimento di Sinistra Nazionale, area di aggregazione per uno schieramento antagonista (…..)
Sul piano ideologico e politico la elaborazione di Stanis Ruinas e dei suoi collaboratori, che provenivano in massima parte dalla RSI, li collocò fuori dall’orbita del parlamentarismo (…..)
Ruinas e i suoi diedero vita ad una linea fatta di ideali repubblicani e socialisti, di populismo nazionalistico ed anticapitalistico, di inequivocabile ostilità verso la NATO, gli USA, le “democrazie plutocratiche” occidentali che avevano colonizzato l’Italia dopo il ’45. (…..)
I “fascisti rossi” (…) condannavano la resistenza borghese (….) Alla contrapposizione tra fascismo ed antifascismo, il “Pensiero Nazionale” propose, dunque, di sostituire quella composta tra una sinistra composta dalle forze antiborghesi, anticapitalistiche, antiamericane e una destra “plutocratica”, clericale, filo atlantica”.
(Vedesi: F. Ronchi, Stanis è vivo e lotta insieme a noi,
in “Aurora”, marzo 1998).
Ma la forzatura a destra del MSI ebbe anche qualcosa di abietto, di infame. Confesso in più occasioni Giulio Caradonna, pluri parlamentare missista,  che per convincere ed anzi spostare ancor più a destra i reduci del fascismo repubblicano, che di destra non erano, tornavano utili gli scontri con i rossi: “Più questi attivisti si picchiavano con i social comunisti – disse - e più ci si spostava a destra”. 
(testimonianza reperibile anche sul periodico “Italia Tricolore per la terza Repubblica” edito a Ravenna). Con buona pace di tanto sangue e violenze che questa scelta comportò.
Una volta collocatosi a destra, con il passare del tempo e la lenta, ma inevitabile assimilazione, da parte della base del MSI, delle tematiche di destra, propagandate e diffuse a viva forza dai dirigenti del partito, non ci fu più nulla da fare: il MSI era oramai diventato un partito di destra a tutti gli effetti.[2]
Per reazione ci fu chi rinunciò a fare politica e si ritrasse nel privato, chi trovò più consona collocazione in qualche altro schieramento politico (non escluso il PCI), chi fondò gruppi, piccoli partiti e altro, ma sostanzialmente, anche a causa della complessità politica e sociale della nazione, dei mezzi e delle forze a disposizione del Sistema, ecc., non ci fu spazio per la costituzione di un vero partito alternativo, in quest’area umana, che si facesse interprete delle istanze del fascismo repubblicano e di una lotta di liberazione dal colonialismo americano.

La valutazione del MSI non è un fatto di “correnti”
Riconsiderando personaggi fatti e avvenimenti del passato, con tutti i retroscena che gli sono inerenti, se andiamo a soppesare il tutto, possiamo anche dire che, a determinare il ruolo del MSI non si trattò neppure di un fatto di correnti di destra o di sinistra, che in politica sono diversificazioni normali e comprensibili e del resto al fascismo avevano sempre aderito correnti politiche e di pensiero eterogenee,[3]  perchè qui siamo in presenza della costituzione di un partito da mettere al servizio di innominabili poteri, tra cui la subordinazione agli americani costituiva, in ogni senso, un vero e proprio tradimento degli interessi nazionali.
Queste “premesse”, queste operazioni, evidenti, seppur non esplicite, condizionarono poi tutte le componenti del partito ed ovviamente, tanto più quelle predisposte su posizioni tendenzialmente di destra.
Ci furono vere e proprie trame, che spiazzarono, raggirarono tanti bravi camerati, molti dei quali ben presto, capita l’antifona , uscirono disgustati da quella latrina nella quale si infilavano strati qualunquisti del disciolto Uomo Qualunque,  persino ex monarchici ed ex venticiqueluglisti e arrivisti di ogni genere.
Molti di coloro, pur fascisti e in buona fede, che restarono nel partito, con il tempo, grazie alle tante sirene che il “gioco democratico” offriva, subirono una lenta, ma inevitabile corruzione, prima di tutto dell’animo e poi, un poco alla volta di tutti i loro ideali che una attitudine e una politica sostanzialmente antifascista, seppur mascherata, non poteva non determinare.
Ma a dimostrazione della grande varietà del genere umano, non mancarono neppure inguaribili sentimentali che, in mancanza di una vera alternativa politica (la politica vive di concrete “presenze”, non di strutture ideali e sulla carta), vollero restare nel MSI fino alla loro morte, ben sapendo, o non volendo sapere, in che letamaio si trovavano.  Ma tant’è, sono oramai tutti ricordi e discorsi inutili, fatti con il senno del poi e che appartengono al passato.  
Il 30 maggio del 1949, come citano le cronologie (Cfr. l’eccellente Cronologia storica della Fondazione Luigi Cipriani) Beltrami Nemesio, sulla rivista "Il pensiero nazionale", dedica un articolo al congresso nazionale del Msi previsto per il 28 giugno a Roma, rilevando che:
Almirante, Michelini, Russo Perez hanno in mano le chiavi del movimento, le chiavi anche della cassa, nominano dall’alto fiduciari e federali e sono appoggiati e manovrati dai sottosegretari DC Marazza e Andreotti.
Due parole allora anche su questo citato Russo Perez che ci danno il polso di cosa stava diventando il MSI. Russo Perez, palermitano, nel dopoguerra era stato eletto nel Fronte dell’Uomo Qualunque, quale deputato alla Costituente. Aderì poi alla Unione Nazionale, ma alle elezioni politiche del 1948 si presentò e venne eletto nelle fila del MSI (deputato su 6 deputati, si pensi un pò a chi andavano quei pochi primi posti al parlamento!).  Filo atlantico troppo prematuramente scopertosi come tale, nel 1950 fu sospeso dal partito e persino schiaffeggiato da giovani dirigenti giovanili. Finì nella Democrazia Cristiana: se avesse ben celato le sue predisposizioni politiche attendendo ancora pochi anni, il MSI si sarebbe conformato proprio come lui desiderava e ci si sarebbe trovato a suo agio.


18 Aprile 1948: elezioni all’ultimo sangue 

          “Chi vota Dc vota bene, chi vota Msi vota meglio”
            Passa parola, in famiglie missiste, alle elezioni del 18 aprile 1948

A proposito delle elezioni politiche del 1948, le prime “politiche” per il MSI, il partito, affiancato al Fronte anticomunista (molti paventavano la vittoria elettorale delle sinistre) ebbe un comportamento ambiguo a causa della necessità di non danneggiare la DC e farla risultare come il partito di maggioranza relativa.
Come ricorda Vincenzo Vinciguerra nel suo articolo “Una diversione strategica: il Msi”, alle decisive elezioni del 18 aprile 1948 (lo testimoniò il missista Gianni Roberti), in varie famiglie dei militanti venne data l’indicazione di spartire i voti tra il proprio partito e la Dc, ritenuta una congrua “diga al comunismo”, veicolando lo slogan: “Chi vota Dc vota bene, chi vota Msi vota meglio” e fornendo anche squadre di attivisti per consentire ai democristiani di affiggere manifesti e fare propaganda sostenendo gli scontri con i comunisti. 
Al tempo, il pericolo che il PCI, alleato con i socialisti, potesse scavalcare la DC, pur non molto probabile, almeno teoricamente, c’era. Due anni prima, ma ora le cose erano un pò cambiate, alle elezioni per la Costituente del 2 giugno 1946, la sola DC con oltre 8 milioni di voti aveva raggiunto il 32,2 percento e i comunisti il 18,9 percento. Sommati però quei voti comunisti a quelli dei  socialisti (20,7 percento) si erano superati i 9 milioni. Nelle ultimi amministrative del 1947 poi, i democristiani erano sensibilmente calati nei grandi comuni.
In vista di quelle decisive elezioni politiche, a febbraio del 1948 il presidente dell’Azione Cattolica Luigi Gedda, con l’appoggio del Vaticano e con finanziamenti di ogni genere, vara i famigerati “Comitati Civici” a sostegno della DC.
La campagna elettorale è condotta all’insegna della paura.
Film di provenienza hollywoodiana invadono le sale per raccontare le gesta di religiosi e uomini di pace, insinuare, dietro qualche film di fantascienza, che alieni e “marziani” che vogliono soggiogare il mondo, sono come i comunisti (tematica questa che andrà avanti per qualche anno anche a uso interno agli Stati Uniti) o decantare la potenza statunitense dotata di benedette atomiche a difesa del mondo libero; la DC passa la voce che  la farina, pane che mangiamo, viene dall’America e se dovessero vincere quelli del Fronte democratico popolare, i socialcomunisti, gli aiuti americani cesserebbero. Tutta una pubblicistica e un bisbigliare nei confessionali, si cimenta nel descrivere orrori e sevizie che i comunisti stanno commettendo in tutto il mondo, in particolare in Russia o in Grecia dove è in corso l’insurrezione comunista che poi, abbandonata dai sovietici, in rispetto degli accordi di Jalta, sarà repressa.
Miracoli, apparizioni di Madonne, processioni impazzano in tutto il paese.
Gli americani da parte loro fanno affluire ingenti finanziamenti, ma al contempo all’ertano le loro forze militari che si tengano pronte ad intervenire nel caso di una vittoria dei comunisti che determini una loro presa del potere.
Anche un mezzo squilibrato come il “mostro di Nerola”, alcuni organi di stampa cercarono di far passare per comunista.
Ancora oggi molti furbastri che intendono difendere le male azioni missiste del tempo, ripetono a pappagallo il ritornello: “era una necessità sconfiggere il Fronte comunista, altrimenti gli Americani ci avrebbero fatto morire di fame e saremmo finiti sotto i russi”.
Sono scuse penose, in quanto dei fascisti repubblicani avrebbero dovuto battersi, a prescindere, per la riscossa sociale della nazione, rigettata di nuovo, dagli angloamericani, nelle braccia dello sfruttamento capitalistico. Per fare un paragone con la Cuba di Castro, sappiamo bene come dopo la vittoria rivoluzionaria di Castro e Guevara, il nuovo governo, libero di Cuba, prese ad emanare le prime importanti leggi in favore del popolo cubano, che però danneggiavano, seriamente gli interessi americani nell’Isola. Come noto gli americani decretarono sanzioni, fino ad arrivare all’embargo totale che cacciò Cuba in una gravissima crisi, sull’orlo della bancarotta.  Eppure Castro riuscì ad andare avanti ugualmente, a portare a termine le sue riforme. Dovette si, stringere rapporti commerciali e politici con i Sovietici ed altri paesi comunisti, ma mantenne sempre una sua dignitosa indipendenza.
In ogni caso,  il pericolo che l’Italia sarebbe passata con i sovietici, era inesistente, perché a differenza di Cuba, che avrebbe anche potuto entrare a far parte del blocco Sovietico, i rapporti internazionali per l’Europa erano regolati da Jalta, e l’Italia, non poteva passare nel blocco dell’Est, tanto che neppure i Sovietici si sarebbero azzardati ad accoglierla. Quello che veramente temevano gli americani, come hanno sempre poi temuto, era il fatto che una vittoria delle sinistre avrebbe permesso all’Italia di recuperare una certa autonomia e quindi avrebbe potuto indirizzarci verso posizioni autonomiste, prima ancora di essere inseriti nel Patto Atlantico  già previsto e che sarebbe entrato in vigore l’anno successivo.
E’ ovvio quindi che parteggiare per il fronte conservatore e filo occidentale era andare contro gli interessi nazionali.
Se oggi il nostro paese, dopo 70 anni, è  ancora colonizzato, anzi ha perduto ogni minimo residuo di sovranità nazionale, ed ha ben 113 basi Nato, sotto controllo straniero , nel suo territorio, le cause, le origini e le responsabilità di tutto questo, risalgono proprio a quegli avvenimenti e il MSI ne porta una pesante e infamante responsabilità.
Come si poteva prevedere quelle elezioni del ‘48, oltre ogni più ottimistica previsione, diedero alla DC, con complessivi 12 milioni e 700 mila voti, il 48,5 percento quindi,  la maggioranza relativa dei voti e quella assoluta dei seggi (le sinistre del Fronte democratico popolare, sotto l’effige di Garibaldi, presero il 31 percento dei suffragi) e al contempo al MSI, che alle elezioni è comunque andato da solo, per la camera, diedero 526.670 voti, ovvero il 2 percento, e 6 deputati: Almirante e Michelini per il collegio unico nazionale e 4 deputati per il Centro Sud: Mieville, Roberti, Filosa, Russo Perez.
Al Senato, con l’1,1 percento dei voti, il MSI ottenne un solo senatore: Enea Franza.
L’analisi del voto, oltretutto, dimostrava che il MSI aveva raccolto voti solo nel Centro Sud mentre al Nord era stato un fiasco completo.
Oltretutto il MSI, oltre alla riserva che abbiamo accennato circa un suo appoggio sottobanco alla DC,  era andato a queste elezioni con un programma decisamente sociale, ma evidentemente non era stato reso credibile, tanto più per il fatto che non pochi dirigenti di questo movimento esprimevano atteggiamenti e politiche decisamente conservatrici. Come abbiamo visto, lo scarso successo elettorale del MSI consentì successivamente alle correnti interne di destra di liquidare, in breve tempo, ogni apertura del partito verso programmi socialisteggianti e del pari anche l’annacquamento e poi la liquidazione delle posizioni, in politica estera, terzaforziste ed europeiste o comunque di una certa equidistanza sia dall’Urss che dagli Usa. I grandi burattinai di queste operazioni saranno De Marsanich e Michelini, ma possiamo dire che molti altri dirigenti ne furono artefici o comunque complici, del resto tutti azzannavano l’osso nel partito e ben pochi intendevano staccare le mascelle per combattere battaglie ideali fino alle estreme conseguenze.
Tanto per gradire il clima cannibalesco che già aveva improntato questi novelli “neofascisti”, è bene ricordare che Luigi Palmieri, primo dei non eletti missisti in Calabria, denunciò Luigi Filosa per attività clandestina e sovversiva nel 1944.
La Camera dei deputati, accogliendo il ricorso dichiarò decaduto il Filosa ed elesse al suo posto il Palmieri. Il MSI, non potendo passar sopra lo squallido episodio, espulse il Palmieri e rimase con un deputato in meno.
Il Patto Atlantico
Il massimo del servilismo:
Bisogna contribuire a riannodare i legami della solidarietà europea, concependo l'Europa occidentale come legata per necessità di vita al grande continente americano”.
Documento politico della Direzione Nazionale MSI 8 luglio 1966.


Le accennate vicende di Servello e del Meridiano d’Italia, ci consentono anche di considerare un altra sporca pagina della storia del MSI, quella della sua accettazione della Nato, il Patto Atlantico.
Si badi bene, il Patto Atlantico non fu solo una “alleanza militare” per fronteggiare un ipotetico e oltretutto, stante Jalta, inesistente pericolo sovietico. Questo “Patto” scellerato era invece un “sistema” attraverso il quale gli statunitensi avrebbero potuto creare strutture politiche e militari che ingessassero e subordinassero nell’Alleanza Atlantica e quindi agli Stati Uniti, le singole nazioni europee e i rispettivi Stati Maggiori,  perpetuando il loro colonialismo in Europa. Nazioni che erano state già conformate, inglobate e subordinate nei meccanismi economici finanziari dell’Occidente ipercapitalista e dell’usura bancaria.
Tradimento della Patria


Il teatrino dei “Possibilisti”
          Come abbiamo visto, dopo le elezioni del 1948, Servello e il suo “Meridiano” decisero di puntare sul MSI. La scelta tornerà anche opportuna, per partecipare, da dentro, all’infuocato dibattito che dagli ultimi mesi del 1948 spaccava il MSI tra “Possibilisti”, favorevoli al Patto Atlantico, e “Terzaforzisti”, decisamente contrari.
Il governo italiano ad aprile 1949, nonostante infuocate polemiche in parlamento, firmò a Washington questo patto scellerato che poi, tra lacerazioni, altre proteste e polemiche, il parlamento ratificò a luglio.
Alquanto sfumata o viceversa contraddittoria risulterà la linea politica del Meridiano su questo argomento, visto che ci scriveva anche Concetto Pettinato, tutt’altro che fascista intransigente, ma contrario all’Italia nell’Alleanza, mentre il Servello, evidentemente conscio che anche la base missista al tempo era prevalentemente contraria, tenne una posizione più che ambigua, scaltra.
Al congresso missista di Roma dell’estate del 1949, terminato il 1 luglio,  infatti, pur “ritenendo” negativa (ma guarda un pò!) l’adesione al Patto Atlantico, Servello chiedeva di:
 «conferire ai vertici del partito il potere di valutare e orientare definitivamente questo mandato, nella eventualità che intervengano fatti nuovi di enorme importanza».  
Almirante e De Marsanich, si dichiararono favorevoli.  E voilà, il gioco era fatto a nome dell’unità.  
Per salvare la faccia i parlamentari missisti si astennero a luglio nella votazione di ratifica del Patto Atlantico, ma le premesse per far passare al più presto, tra i militanti del MSI, l’accettazione di questa alleanza, erano oramai gettate.
Nel frattempo Pio XII, di fatto favorevole al Patto Atlantico, il 1 luglio 1949 emanò la scomunica verso i fedeli che professano la dottrina del comunismo, soprattutto chi lo difende e ne fa propaganda.
Come era negli intenti di molti, il nuovo Segretario Nazionale, De Marsanich dal gennaio 1950, dopo che in Direzione Nazionale, con 25 voti contro 19, aveva scalzato Almirante [4]  (sembra che ambienti democristiani, per mantenere un certo “dialogo”, avevano preteso un segretario, il meno implicato possibile con un passato fascista), riuscì poi a completare l’accettazione della adesione del Msi alla Nato. Anzi con il tempo questo partito ne divenne un fanatico difensore.
A novembre del 1951 entrò ufficialmente nel MSI  J. Valerio Borghese, che il mese successivo venne fatto presidente onorario. Borghese, il buon amico di Angleton, dall’alto del suo prestigio, si dichiarò subito favorevole all’Alleanza Atlantica.
Dal canto suo De Marsanich, il 27 novembre 1951, alla vigilia del primo Consiglio Atlantico proprio a Roma, in una conferenza,  senza provare alcuna vergogna, ebbe lo spudorato coraggio di affermare che:
I giovani del MSI erano pronti a morire per le forze Atlantiche”.[5]
Ma in spudoratezza e mancanza di vergogna, forse lo superò Filippo Anfuso, già ambasciatore  e poi sottosegretario agli esteri in RSI, che era rientrato in Italia nel 1950 dopo essersi rifugiato in Francia e poi in Spagna, ed aveva aderito al MSI, il quale, da buon filo atlantico, se ne esce con una trovata, a dir poco idiota, affermando che non sono stati i fascisti a spostarsi su posizioni Atlantiche, ma al contrario gli Alleati Occidentali, avendo questi cambiato il vecchio motto del Duce: “O Roma o Mosca”  in “O Washington o Mosca”.
Il “nazionalista” Ezio Maria Gray, che si era messo da un certo tempo in “quarantena”, rientrò nel partito, ora a suo perfetto agio, e lo stesso Almirante, ondivago come sempre, scrisse su “La Patria degli italiani”, di cui era direttore, queste altre ignobili indicazioni:
<"Bisogna convincere i padri di famiglia che, se si combatterà, lo si farà per le mogli e per i figli. Convincere i giovani figli che ripetere, come molti, come troppi fanno, lo slogan che fu di Moranino e di Moscatelli – andremo in montagna – è nelle circostanze attuali, la più colossale, la più vile delle diserzioni".
Insomma Almirante, esperto nell’arte della retorica parolaia, usando i richiami alle dolorose vicende della guerra civile, si dava da fare per spingere tutti all’arruolamento nella Nato, specialmente se dovessero accadere eventi bellici.                                
Queste tristi vicende che segnarono una svolta definitiva nel MSI, collocandolo inequivocabilmente tra i partiti filo americani e filo atlantici influenzandone per sempre tutta la sua politica interna ed internazionale, sono segnate dalle  commoventi parole dell’ex ufficiale della Marina Militare RSI, Ferruccio Ferrini, ispettore nazionale della Federazione Nazionale Combattenti RSI, il quale bollò, nel febbraio del 1952, le iniziative filo-atlantiche di Junio Valerio Borghese:
"Sono stato Sottosegretario alla Marina della RSI – diceva questo ufficiale - e ho sempre creduto che la nostra adesione alla RSI volesse dire rottura definitiva con le caste monarchiche, vaticanesche e capitaliste (….) ho sempre creduto che la nostra adesione alla RSI volesse dire affermazione del principio storico per l’Italia di combattere contro le plutocrazie occidentali, cioè contro l’Inghilterra, la Francia e l’America.
In nome di tale principio storico, noi abbiamo continuato la guerra nella quale sono caduti, in combattimento o nelle imboscate, centinaia di migliaia di italiani degli opposti schieramenti.
Quando ho letto le dichiarazioni atlantiche di Borghese, dal profondo della mia coscienza di soldato è venuto questo interrogativo: ma come?
E la nostra guerra del sangue contro l’oro, dei poveri contro i ricchi?
Era necessario, per arrivare a vestirsi da inglesi e da americani, prolungare di venti mesi la guerra sacrificando centinaia di migliaia di italiani, facendo processi clamorosi, condannando a morte i membri del Gran Consiglio, il re, i monarchici, i clericali (….)?  Perché oggi Borghese, Presidente Onorario del MSI si dichiara apertamente per l’esercito integrato d’Europa, cioè per il patto angloamericano?
Era necessario, per giungere a questa conclusione, votare al macello centinaia di migliaia di italiani?".
(Le dichiarazioni di Ferrini comparirono anche ne “Il Pensiero Nazionale”, 16-29 febbraio 1952).
Il “Meridiano” proseguì le pubblicazioni con una linea contraddittoria, vista la penna di Pettinato e altri che divergevano anche da quelle tendenze missiste che appoggiavano l’intervento americano in Corea: la china era oramai divenuta inarrestabile e ben presto il partito divenne più filo americano degli stessi americani.
Per valutare l’ignominia e il suicidio politico del MSI è sufficiente leggere le parole espresse da Daniele Lembo, scrittore pur non avverso ad ambienti di destra e nazionalisti e che non può certo definirsi un “estremista”. Scriveva Lembo:
"L’adesione all’Atlantismo fu una scelta ideologica disastrosa. Significava sancire la colonizzazione americana e con questa l’assimilazione culturale ideologica agli Stati Uniti. Il MSI avrebbe potuto svolgere nella politica italiana il ruolo di custode dei valori nazionali e tradizionali: scelse invece, in nome dell’anticomunismo di aggiogarsi al carro del vincitore".
(D. Lembo: Fascisti dopo la liberazione, Ed. Grafica Ma.Ro., 2004).
Ci sarebbe però da far osservare che il MSI non “scelse”, quella linea, ma nei fini di alcuni di quelli che lo avevano creato, era proprio nato per perseguire gli interessi statunitensi in Italia. E in pochi anni quei fini furono raggiunti in pieno.
Se nelle intenzioni e nell’operato di alcuni di coloro che avevano contribuito a farlo nascere, Il MSI era destinato a rendersi disponibile per servire gli interessi americani in Italia, è con il suo totale allineamento all’atlantismo che questo partito viene anche ad essere permeato dalla cultura americana di destra, a dover giocoforza optare per tutte quelle posizioni internazionali filo americane e quindi ad essere destinato a recitare un ruolo essenzialmente contrario agli interessi nazionali, perché c’è poco da fare: in campo internazionale, alleanze tattiche possono anche essere necessarie, ma gli interessi geopolitici dell’Italia erano sempre stati e ancor più lo erano ora in una Europa occupata, divergenti da una collocazione Euro Atlantica.
 Oggi che ci ritroviamo un paese che ha perso ogni minimo residuo di indipendenza nazionale, costretto a impegnarsi in sporche guerre per gli interessi Occidentali e che è stato occupato da ben 113 basi Nato, anche nucleari, tutte sotto controllo Atlantico, collocazione che ci espone a rischi incredibili in caso di conflitti,[6] la responsabilità ricade anche sulla servile politica del MSI tenuta per quasi 50 anni!
E a proposito dei giorni nostri un altra precisazione si rende necessaria.
In questo testo abbiamo spesso utilizzato il termine “Atlantismo”, strategie atlantiche. In realtà  questo termine andava bene per le vicende storiche perdurate fino al Watergate in America (1974), un evento di cambiamenti epocali che si concretizzarono soprattutto a partire dalla caduta del muro (1989) e la fine di Jalta. Da quel momento in poi gli scenari geopolitici internazionali cambiano e le strategie mondiali e di riflesso anche quelle dispiegate in Italia dagli occidentali, uscirono dalle situazioni contingenti, dal confronto con l’Unione Sovietica ed assunsero la loro vera dimensione “mondialista”.
Abbiamo tuttavia continuato a definire gli scenari che ci riguardano come conseguenza di  “strategie atlantiche”, in quanto la Nato, pur ristrutturata e con altri scopi,  perdura quale braccio armato dell’Occidente e del mondialismo appunto. Resta comunque il fatto che l’analisi geopolitica complessiva, meriterebbe, altre valutazioni e definizioni, da farsi magari in altra sede.


Il gioco delle parti: le richieste di “scioglimento”
Quando si dice “portare le mutande in faccia”
"Mai avrei creduto, quarant'anni fa (…), che un giorno avrei sollevato le grida di una tale moltitudine di giovani. E tutto ciò senza intaccare la purezza della nostra Idea, senza accettare compromessi da nessuno e, soprattutto, senza rinunciare al nostro passato".
 (Almirante in comizio a Mestre, giugno 1987)


           Sono stati quelli, fine anni ’40, primi anni ’50, momenti cruciali per l’assestamento a destra del MSI e la sua definitiva trasformazione reazionaria a seguito della quale non potevano che accentuarsi, proprio come si voleva, gli scontri con i “rossi”.
In particolare dopo una serie di gravi scontri con i comunisti, sopratutto a Roma, accadde che il democristiano ministro degli interni Scelba nel 1950 proibì di tenere il terzo congresso missista a Bari.
Successivamente Scelba arrivò a presentare un disegno di legge, approvato a giugno del 1952, la cui formulazione avrebbe potuto anche consentire di chiedere lo scioglimento del MSI, per tentata ricostituzione del Partito fascista, punire l’apologia del fascismo, ecc., cosa che era tutta da ridere.
Probabilmente ci fu un gioco delle parti visto che alla Democrazia Cristiana faceva comodo “demonizzare” questo partito e carpirgli qualche voto tra i moderati e i  benpensanti, mentre la dirigenza missista, liberale e moderata, come era nei desiderata degli ambienti democratico-conservatori, poteva azzittire ogni opposizione interna nascondendosi dietro lo “stato di necessità” e il pericolo di scioglimento (come dire: non tutto il male, gli veniva per nuocere).
Anche a tutti gli altri avversari, comunisti compresi, che ben sapevano che il MSI era tutto meno che fascista, tornava utile, in nome dell’antifascismo, dipingerlo come tale e chiederne la messa al bando, che però non conveniva a nessuno.
Queste richieste di “scioglimento” si ripeteranno altre volte, in particolare negli anni ’70, con richieste anche da parte della magistratura, visti i tanti coinvolgimenti del MSI in vari episodi di violenza nel periodo della strategia della tensione e sempre possiamo inquadrarli in una specie di “gioco delle parti” con gli scopi sopra accennati.
A parte, infatti, qualche richiesta di “scioglimento” avanzata da settori della magistratura politicizzati, in base ad un loro pronunciarsi più che altro, “per ufficio”, a seguito di fatti ed episodi che potevano riguardare la Legge Scelba, nell’agone politico nazionale o tra tutti gli altri partiti, “compagni di merende” dei missisti, nessuna persona seria, informata e intelligente, poteva veramente credere  che questo partito volesse riproporre o addirittura restaurare il fascismo.
Un gioco delle parti, quindi, atto anche a ricatti e alchimie politiche che, negli anni successivi, si ripeté altre volte, ma guardandosi bene dal portarlo a compimento.
Spesso e senza vergogna alcuna, i dirigenti missisti, accusati da qualche militante di aver svenduto tutto il patrimonio fascista, avevano anche il vile e barbaro coraggio, di negare quest’opera infame, replicando che, anzi, proprio le richieste di scioglimento per presunta ricostituzione del partito fascista, dimostravano il contrario.
Come stavano le cose, rispetto alla volontà dei missisti di rifarsi al fascismo e volerlo restaurare, lo aveva da tempo capito anche Guglielmo Giannini (giornalista, drammaturgo, fondatore dell’Uomo Qualunque) che ben conosceva i suoi polli, il quale il 9 aprile del 1948 in un articolo intitolato: "Ah! Ah! Ah! Questo branco di fessi!", già apparso su "Il Buonsenso", scrisse che il Msi rappresenta uno:
"squadrismo di seconda mano a disposizione della Democrazia cristiana"; - privi di alcuna possibilità di restaurare il fascismo per mancanza di capi, difatti, che valore possono avere, si chiedeva Giannini - «poveracci del tipo di Giovanni Tonelli, di Giorgio Almirante e d’altri fregnoni che non sono mai stati niente e che non potranno mai essere niente?
E’ dunque pazzesco, oltreché ridicolo, credere che il fascismo si possa restaurare con simili melensi cercatori di posticini».
Come già abbiamo accennato in altra parte, questa farsa delle richieste di scioglimento per tentata ricostituzione del partito fascista, presentano due aspetti da considerare e che oltretutto variano anche nel tempo.
In questi primi anni di vita, le richieste di scioglimento del MSI erano del tutto pretestuose perché i partiti antifascisti sapevano bene che i dirigenti del Msi tutto potevano volere meno che la ricostituzione di un partito fascista e gli unici riferimenti al passato erano solo in una certa retorica da comizi, mentre per quanto riguarda gli atti e i contenuti dei programmi missisti, già da allora, divergevano nettamente da quello che era stato il fascismo repubblicano.
Negli anni successivi, stante il perdurare della pretestuosità di queste richieste, a causa del conformarsi evidente e totale del Msi quale un partito conservatore e reazionario, tipicamente di destra, quello di cui si andava a chiedere lo scioglimento non poteva di certo dirsi che si trattava del fascismo, anche se oramai l’imaginario collettivo e i luoghi comuni ad arte creati dagli antifascisti, dai missisti e dai benpensanti imbecilli, tendevano a definire per fascismo proprio questa balorda accozzaglia di ideali di destra.
Un vero e proprio inganno e dramma storico.
Per la cronaca, in quei primi anni ‘50 e nelle nuove situazioni determinatesi dopo la sua segreteria,  Almirante, questo saltimbanco, da una posizione politica nel partito all’altra, smise di fare l’intransigente e collaborò con il nuovo segretario  De Marsanich il quale, cogliendo al volo l’occasione, rivolse un appello a monarchici e liberali, onde stipulare un “patto di unità d’azione” tra tutte le destre.
A dicembre del 1951, infatti, il Comitato Centrale del MSI deliberò a maggioranza l’apparentamento con i monarchici del Partito Nazionale Monarchico per le elezioni amministrative del 1951 – ’52: il 25 luglio e Badoglio erano oramai un lontano ricordo!
Anche il “Meridiano” finirà per gettare la maschera facendosi portavoce di quella corrente che interpretava il connubio con i monarchici e gli  ex badogliani, come una necessità tattica.
Qui sotto, volantino dei fascisti ella FNCRSI contro Nixon e la Nato.








La scissione “ordinovista”
  
Pancia in dentro, petto in fuori,          Ne consegue e ciascuno stima,
noi marciam tutti inquadrati,              come in effetti è già successo
nel partito siam tornati,                       niente facevamo prima
orsù dateci gli allori.                            meno ancor faremo adesso. [7]
Noi marciam in fitta schiera,
con il passo e il far dell’oca,                                                                                   
ma la nostra forza è poca,
non potremo far carriera.

File:Rauti giuseppe umberto.jpgEn passant accenniamo anche al 1956 quando, al congresso missista di Milano, che riconfermò Arturo Michelini segretario, [8] si determinò la fuoriuscita dal MSI di un gruppo di militanti che diedero vita al Centro Studi Ordine Nuovo, un gruppo le cui premesse ed un abbozzo di struttura erano nate alcuni anni prima.
Molti anni dopo, nell’autunno del 1969, con grandi lacerazioni interne, il Centro Studi Ordine Nuovo, capeggiato da Pino Rauti (foto a lato), rientrò nel MSI con Almirante neo segretario, mentre una parte consistente, non accettò questa decisione e diede vita al Movimento Politico Ordine Nuovo, poi sciolto per Legge.
Le cronache storiche e varie documentazioni ci dicono che ON entrò in quasi tutte le inchieste sulla strategia della tensione risultando una sua dipendenza dallo Stato Maggiore e collusioni di vario tipo con le Intelligence Usa, in particolare nell’aerea del Triveneto.
La  desecretazione di tanti documenti, le inchieste giudiziarie, i processi, testimonianze di pentiti e di ex autorità dei nostri Servizi Segreti, hanno potuto svelare molte ambigue storie che in questo caso, purtroppo, sarebbero state  spesso giocate alle spalle dei tanti camerati che, in tutta buona fede, avevano creduto e militato in quel movimento.
Su O.N., scrive Vincenzo Vinciguerra, mai adeguatamente smentito:
"Buona parte di coloro che formavano i quadri e i nuclei militanti dell’organizzazione erano in diretto contatto con funzionari di Polizia e ufficiali dei Servizi Segreti e, alcuni di essi, erano addirittura stabilmente inseriti nelle “strutture parallele” tipo Gladio"
(Vinciguerra: La strategia del depistaggio, Ed. Il Fenicottero Sasso Marconi 1993).
Dalla analisi di queste vicende e per avere il senso della situazione, si evince che Ordine Nuovo esternamente si esprimeva per posizioni antiamericane quando invece era occultamente a disposizione delle strutture Atlantiche.
Già una certa acritica infatuazione per la Oas francese, chiaramente strumentalizzata dalla Cia in opposizione a De Gaulle, le simpatie per regimi dittatoriali come quello di Franco in Spagna e di Salazar in Portogallo, oltre al golpe dei Colonnelli greci, made CIA (tutti risolutamente filo Atlantici, fin quando gli americani non li scaricarono) e vari connubi con organizzazioni di destra europee, avevano mostrato il carattere spurio di Ordine Nuovo, ma fu a gennaio 1967 che venne gettata la maschera, quando su "Noi Europa" ", foglio di O.N. ci si chiese:  "Nasceranno i centurioni americani dalla guerra nel Vietnam?", dove si cercava di dare una valenza positiva a quella sporca guerra americana nel Vietnam.
Purtroppo per l’articolista, non molto tempo dopo, gli “eroici centurioni”, dovranno fuggire dal Vietnam, umiliati e sconfitti, anche aggrappati agli elicotteri.[9]
Come sempre accade nelle vicende del neofascismo, se dovessimo decifrare gli avvenimenti, attraverso interviste a posteriori e ricordi di vecchi esponenti, oltre a non avere alcun accenno, come è ovvio che sia, a certe “collusioni” e fini reconditi, non ne ricaveremmo nulla. Ad esempio Pino Rauti, ebbe a sostenere:
<<ON, nacque dalla fusione di istanze intellettuali e di istanze attivistiche. Fu il frutto di un accordo fatto a Roma tra me, Lello Graziani e Sergio Baldassini. Sentivamo l’esigenza di incidere maggiormente sulla linea del partito>> (Cfr.: N. Rao, La fiamma e la Celtica, Ed. Sperling & Kupfer, 2006),
Una versione questa solo parzialmente e superficialmente vera.
Da ricordi di camerati coevi, alla genesi di Ordine Nuovo (lasciando da parte  eventuali interessi reconditi dello Stato Maggiore, in linea con le strategie stay behind), non fu estraneo anche un segreto interesse dello stesso segretario nazionale Michelini, che probabilmente appoggiò sotto banco la corrente scissionista e di opposizione di Pino Rauti, quella che poi risultò preponderante nel nuovo organismo ordinovista. Anche se opposta alla corrente “liberista” di Michelini, paradossalmente, per il segretario missista, questa corrente culturale “tradizionalista” di Rauti era meno fastidiosa delle altre opposizioni interne.
Evola e il Tradizionalismo: infatuazione e alibi
      Vale la pena di spendere due parole per accennare alla corrente di Ordine Nuovo che si caratterizzò per una impostazione culturale ”Tradizionalista” del fascismo, rifacendosi al pensiero di J. Evola.
A prescindere dai temi propriamente iniziatici e di studi esoterici, Julius Evola ha avuto due grandi meriti: quello di dimostrare e rendere palese che certi riti e simbologie erano preesistenti al Cristianesimo ed alla stessa Massoneria e quello di qualificare il fascismo anche su di un piano “metastorico” integrandone e precisandone meglio i valori eroici e spirituali che lo caratterizzavano, attestandolo in tal modo in una dimensione che trascendeva i soli aspetti reducistici e sociali.
Si può senz’altro dire che molti aspetti della “sapienza antica” evidenziati e rielaborati da Evola, danno alla dottrina del fascismo dei punti di riferimento importantissimi.
E’ qui che però si pone un grosso problema, perché la visione di Evola, mutuata da una antica conoscenza sapienziale, doveva costituire, più che altro,  una “indicazione di riferimento” a cui, in un certo senso, lo stesso fascismo si era rifatto, potendo dirsi che il fenomeno fascista rientrava in quelle affermazioni storiche della Tradizione.
Ma il fascismo, era anche una affermazione del XX secolo, il secolo delle masse, e quindi certi prìncipi li aveva adattati ai nostri tempi attingendo anche, seppur superandole, a quelle trasformazioni storiche come la Rivoluzione francese e il Risorgimento, che sono state manifestazioni sovversive rispetto al “mondo della Tradizione”. 
I tempi di certe “Aristocrazie” erano oramai finiti: ora i “nobili” sperperavano nei Casinò e nelle stazioni termali e le nuove aristocrazie potevano riconoscersi solo nella rivoluzione e nelle trincee. [10]
Si dà il fatto, invece, che il pensiero di Evola, sconfinando sul piano politico, non solo era chiaramente reazionario, ma come molti avevano fatto notare, era rimasto a  Donoso Cortes e Metternich.  Evola, che oltretutto non aveva aderito alla RSI, ritenendone il suo portato repubblicano e socialista, contrario alle sue idee, praticamente, aveva come riferimento ideale  i tempi delle caste.
Egli asseriva che se il Re aveva sbagliato e tradito, andava semmai sostituito, ma  senza abbattere il principio monarchico. Ma proprio qui stava il problema, perché, anche a prescindere dalla indegna dinastia dei Savoia, proprio quel principio monarchico, la storia, i fatti, la realtà avevano dimostrato che non poteva più  assolvere quelle funzioni sacrali e spirituali che lo legittimavano. E stessa cosa si poteva dire per il sociale: se nei tempi moderni il rapporto padrone – lavoro era regolato dalla paga, dove era il problema se il fascismo cercava di regolarlo anche secondo giustizia e oltretutto senza rinnegare la funzione imprenditoriale, poneva anche la forza lavoro ai vertici dell’azienda?
Ma l’aspetto peggiore di questa visione reazionaria lo si riscontra nelle sue conseguenze. Nonostante che dottrinalmente Evola avesse ben inquadrato gli aspetti negativi e nefasti sia del bolscevismo che dell’americanismo, politicamente finì per elaborare una specie di graduazione del “male minore” che finiva per indurre a parteggiare per il cosiddetto “mondo libero” onde contrastare il  comunismo.
A parte il fatto che questo “mondo libero” tutto era meno che preferibile ad alcunché, si creava anche un alibi per  giustificare connubi e collusioni con l’Occidente che invece era proprio il principale ”nemico dell’uomo” e del fascismo, distruttore della dimensione spirituale dell’esistenza, essendo il comunismo, nella sua attuazione pratica, una utopia irrealizzabile nella condizione umana e quindi una “nomenklatura” per quanto criminale, del tutto fittizia e transitoria.
Fatto sta che gli  “Orientamenti” di Evola, presi alla lettera e trasposti in politica, furono anche funzionali alla reazione e un alibi per chi operava, sotto dettatura Atlantica, di fatto in senso antinazionale.
Ma c’è ancora un altro aspetto nell’ “evolismo”, che presenta inquietanti aspetti: gli studi e le prospettive esoteriche che non dovrebbero essere per tutti, ma solo per chi ha determinate qualifiche per percorrerle. Così come, non per tutti, è anche il Cavalcare la Tigre. Diversamente possono anche potare qualche esaltato a infatuazioni da “figli del sole” e pericolose devianze.  Infatuazioni che vanno anche al di là del pensiero di Evola e che unite ad un esasperato anticomunismo viscerale, possono arrivare a prospettare “l’uomo indifferenziato”, al di sopra  dei comuni civili, considerati, come  sostiene il giudice Guido Salvini,  semplici bipedi che possono essere sacrificati per realizzare il “Nuovo Ordine europeo”.
Di Ordine Nuovo, forse il gruppo più impregnato di “evolismo”, scrive appunto il giudice Salvini: "Ordine Nuovo ha compiuto molti attentati prima e dopo il 12 dicembre (Pz. Fontana)".
Se questo risponde al vero noi non possiamo saperlo con certezza (è doveroso non fidarsi mai di questa magistratura) e comunque riteniamo che Ordine Nuovo ha anche avuto tantissimi militanti di valore e in assoluta buona fede,  ma a detta di vari magistrati numerosi sono i responsabili di attentati inchiodati da prove o reo confessi, risultati quali militanti di Ordine Nuovo e molti, in qualche modo attigui, se non in forza con i Servizi, tanto da avere a volte anche un criptonimo di riconoscimento interno.
Per un fenomeno del genere che, praticamente, avrebbe anche partorito “mostri”, una ragione pur dovrà esserci e non può essere solo quella della dipendenza dai Servizi e dalle strategie Stay.behind.
Lungi da noi l’intento di criminalizzare il pensiero Tradizionale, al quale in molti aspetti ci riconosciamo, ma non è un mistero che certa “sapienza” era sempre stata celata con un linguaggio allegorico e ermetico, per iniziati appunto e appartenenti a regolari scuole iniziatiche. Ora tutto questo, nel mondo moderno, non c’è più e la stessa Sapienza aveva avvertito dei pericoli, soprattutto di “corto circuito mentale” e di “contro iniziazione” a diffondere intellettualmente e a tutti una certa “conoscenza” (qualcuno ha anche affermato che il fenomeno delle Sette Sataniche è il meno che possa accadere).
Risultanze inquietanti
            Ecco quanto emerse dalle inchieste del giudice Guido Salvini, rese nel corso di una intervista video, in seguito  rivista dallo stesso giudice,  il 27 novembre 2000 prima di pubblicarla:
"Nelle ultime indagini si è messo a fuoco il ruolo delle basi americane in Veneto della NATO, che sono coinvolte nei fatti più importanti della strategia della tensione, in particolare addirittura che elementi di Ordine Nuovo entravano e uscivano dalle basi, svolgendo con una doppia veste attività di informazione, mentre si stavano preparando gli attentati. Recentemente l’ordinovista Carlo Digilio ha parlato di rapporti diretti fra suo padre, anch’egli agente americano e il capo dell’OSS in Italia, James Angleton".
Ma ancora più inquietanti sono le testimonianze rilasciate dal generale Gian Adelio Maletti, Nro 2 del Sid, in una intervista rilasciata in Sud Africa in cui, dopo aver confermato le collusioni di O. N. con il Sid, ha espresso il convincimento che l’esplosivo, utilizzato per Piazza Fontana, arrivò in Italia da basi Nato in Germania e venne consegnato a Mestre a elementi non precisati di Ordine Nuovo. [11]
Ci sarebbe altro da dire, ma ci fermiamo qui.
Per quanto riguarda la genesi di Ordine Nuovo, altri ricordi di camerati coevi, di cui purtroppo si sono perse le documentazioni, attestano che:
"Il primissimo Ordine Nuovo ebbe origine da un piccolo gruppo di ex-militanti del MSI, raccolto intorno a P. F. Altomonte (ex-comandante di un Battaglione di BB. NN., già responsabile culturale del MSI e futuro presidente della Fncrsi), con l'intento di delegittimare la dirigenza missista.
Il massone Michelini, valutatane la pericolosità, ma anche l'assoluta povertà di mezzi - al fine di procurarsi un mezzo di vigilanza e di condizionamento dei giovani fascisti più volitivi e più culturalmente preparati - affidò a Rauti, giovane tanto intelligente quanto ambizioso, l'incarico e gli fornì i mezzi per fondare un altro Ordine Nuovo che neutralizzasse quello esistente. Questa operazione si saldò con quella più generale di controllo e di strumentalizzazione nell' ”ambiente”" (Vedesi: Direttivo Fncrsi, Foglio di orientamento n° 1 /1997).
Ma questi giochi politici, in un certo senso, sono una consuetudine della politica, quello che invece è poi emerso è il fatto che, dietro a tutto, ci dovette anche essere stata una manovra del nostro Stato Maggiore, il quale dentro al contesto occidentale, che a quei tempi stava mettendo in atto le strategie stay behind e le successive “Gladio”, ispirate dalle centrali atlantiche, creava in pratica un “diversivo strategico” per arrivare al controllo e alla disponibilità di strutture politiche che potessero mettere a disposizione, fuori dagli ambiti militari, ma a questi in qualche modo riferibili, personale civile, per utilizzarlo in compiti di propaganda, ma all’occorrenza anche paramilitari.
Di Pino Rauti, invece, scrive Ugo Maria Tassinari, osservatore del fenomeno neofascista:
"Il viscerale disprezzo per la democrazia definita “sifilide dello spirito” e la mai rinnegata venerazione per le eroiche SS, non hanno impedito a Rauti di essere in busta paga di apparati della Repubblica nata per la Resistenza e, secondo acquisizioni istruttorie, da lui sdegnosamente smentite, anche direttamente dalla Cia. (…)
Secondo l’ex colonello Oscar Lee Winter, Rauti sarebbe stato un agente della Cia, con uno stipendio mensile di 4.000 dollari".
 (U. M. Tassinari:  Fascisteria, Ed. Sperling & Kupfer 2008).
Ma in questa nostra ricostruzione storica, tali aspetti di possibile, chiamiamola, “corruzione” a noi non interessano, sarà compito delle future generazioni, in base ad ulteriori documentazioni accertarle, a noi interessa solo il fatto che Rauti, come del resto Ordine Nuovo, erano in “sintonia”  con le politiche dello Stato Maggiore degli anni ’50 e ’60 e quindi, volenti o nolenti,  erano funzionali alle strategie atlantiche.
Non è il caso qui di approfondire questi aspetti, ma un ampia letteratura, suffragata da molte documentazioni, è a disposizione di chiunque voglia approfondirne l’argomento  (Vedesi: V. Vinciguerra:  http://www.archivioguerrapolitica.org/;  
S. Limiti:  Doppio Livello, Ed. Chiarelettere 2013;  F. Imposimato: La Repubblica delle stragi impunite, Ed. New Company 2013;  A. Seresini, N. Palma, M. Scandaliato: Gianadelio Maletti: P. Fontana - Noi sapevamo,  Ed. Aliberti 2010).


La Massoneria
     "Anche a Piazza del Gesù, come in tutte le Massonerie del mondo, esisteva una loggia coperta destinata a riunire i fratelli più in vista. Si chiamava Giustizia e Libertà e in passato aveva visto una comparsa (rapida) dell’ex presidente del Senato Cesare Merzagora, dei generali Giuseppe Aloja e Giovanni De Lorenzo, persino il caporione fascista Giulio Caradonna era entrato e uscito diverse volte"-
(R. Fabiani: I massoni in Italia, Editoriale L’Espresso 1978).

              Sebbene molti se ne possano sorprendere,  non ci sono però dubbi che la Massoneria, onnipresente e influente in tutti i settori sociali e politici della Nazione ha sempre avuto un ruolo decisivo nelle vicende storiche del nostro paese.
Storicamente sappiamo che venne messa al bando per legge dal regime fascista, ma di certo non venne smantellata e massoni continuarono ad essere anche molti gerarchi fascisti.
Andata in “sonno” nel ventennio, venne richiamata all’azione dalla Grande Massoneria d’oltreoceano per sabotare la guerra e abbattere il fascismo.  Compito che eseguì magnificamente, anche a costo della pelle dei nostri soldati e si può dire che le vicende del 25 luglio 1943 si svolsero dietro fitte trame massoniche tra Casa Savoia, alcuni gerarchi fascisti e generali dell’Esercito (alcune testimonianze attestano addirittura che il 25 luglio venne pianificato alla Banca Commerciale, da quel nucleo “massonico-finanziario-affarista”, erede di Giuseppe Toeplitz).
La Resistenza, ma purtroppo anche la Repubblica Sociale Italiana ebbero nelle loro fila elementi massonici che facevano il doppio gioco. Per la verità il discorso andrebbe anche esteso agli ambienti e personaggi ecclesiastici, del Vaticano, Impero di immenso potere con intereressi in tutto il mondo, al tempo sotto le direttive di quel G. Battista Montini, futuro Papa, ritenuto oltretutto in sintonia con la massoneria finanziaria americana. Anche questi ambienti contavano presenze in un campo politico e nell’altro, ma prove e documentazioni, come quelle di secoli di storia, sono tombate in inaccessibili archivi vaticani, gestiti da personale scelto da generazioni e che forse mai vedranno la luce
Ricostruire ora le collusioni dei missisti con la massoneria, con un concreto grado di affidabilità, non è possibile farlo,  per la natura stessa della segretezza di queste lobby e non avendo a disposizione le tessere da massone, tranne quelle uscite fuori con lo scandalo P2. Resta, quindi, anche difficile dare la patente di massone a questo o quell’esponente del MSI, ma la manipolazione massonica del MSI comunque è evidente e si evince da tanti particolari, fin dall’epoca della sua nascita, una nascita che non è germogliata per caso, ma ha avuto il suo bravo “aiutino” per vedere la luce e per indirizzarsi poi in un ben prestabilito cammino.
Stante così le cose, però, sono tutti elementi che oramai lasciano il tempo che trovano, così come la decisione di Almirante di togliere l’ostracismo verso i massoni o le inchieste che vennero aperte per appurare di certi finanziamenti richiesti da Almirante a Licio Gelli e di cui aveva parlato anche il missista Caradonna.
Ci sono molti testi che cercano di descrivere ruolo, struttura e funzione della massoneria in Italia, la cui forte presenza, in funzione anglo francese, si riscontra già agli albori del Risorgimento e poi nella nascita della nostra moderna economia e finanza. A nostro parere però sono tutti testi da prendere con una certa cautela, mentre invece è molto più istruttivo e importante leggere alcuni lavori che descrivono fatti e avvenimenti inerenti al potere  massonico.
Tra questi rimandiamo a due testi in particolare: Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, Ed. Bur, 2007, e Fabio Zanello, Italia La massoneria al potere, Ed. Castelvecchi, 2013.
Noi qui, accenniamo solo ad alcune cronache a integrazione di quanto abbiamo precedentemente esposto.
Arrivato in Italia nel 1944, al seguito delle truppe Alleate, J. J. Angleton (figlio di Hugh Angleton, facoltoso benestante, pezzo grosso dell’Oss americano e potente massone della loggia di “Rito Scozzese Antico e Accettato”, l’ala filo britannica della massoneria statunitense), si avvalse di un ampia rete massonica per organizzare le strutture dell’Oss nel nostro paese e si assicurò l’apporto della Massoneria, della Mafia e di elementi neofascisti, per mettere in piedi strutture in grado di garantire il colonialismo americano anche dopo il ritiro delle truppe americane  dall’Italia.  
Tra il 1946 e ’47, Angleton, che parlava perfettamente l’italiano, arrivò anche a creare strutture paramilitari clandestine, tra le quali l’AIL, Armata Italiana della Liberta, e l’EVIS in Sicilia, un fantomatico gruppo separatista che, a quanto sembra, eliminò alcuni esponenti del PCI e del sindacato con azioni simili ad una “strategia della tensione” ante litteram.
Riferisce Umberto Federico D’Amato, futuro dirigente degli AA.RR. del Viminale, che nel 1946 quando era ancora un giovane commissario di Polizia, Angleton lo invitò a cena e dopo aver tergiversato, arrivò al dunque: fino a quel momento si erano occupati di fascisti, ma adesso il fascismo era finito, sconfitto, mentre il vero pericolo era il comunismo. Occorreva cambiare obiettivo.
Tra i primi elementi che Angleton pensò di utilizzare, oltre alla Mafia siciliana, vi furono gli ex Decima Mas, alcune migliaia di uomini, che riteneva efficienti e ancora con un certo morale e soprattutto fedeli a Valerio Borghese che Angleton, dopo aver salvato nel maggio del 1945,  procurò poi di mettere al sicuro nel carcere militare di Forte Boccea. Trasferito poi da Procida, Borghese viene processato nel 1947 da un Tribunale Speciale della Corti di Assise di Roma e condannato a dieci anni. In due sbrigative revisioni successive ne ottiene nove di condono quindi viene liberato ed immediatamente impiegato in operazioni di controspionaggio per conto di Angleton e dell’Oss. Negli Archivi della Intelligence statunitense è abbondante la documentazione su queste operazioni (Cfr.: F. Zanello, Italia La Massoneria al potere, Ed. Castelvecchi 2013).
Fatto sta che Angleton,  al tempo operante per una strategia anticomunista e per giunta filo israeliano, con la collaborazione di Frank Gigliotti, una specie di reverendo evangelico consigliere capo dell’Oss e massone, mise in piedi una rete di Intelligence e di manovalanza anche con ex fascisti, partigiani bianchi anticomunisti e altro, creando poi il primo nucleo del costituendo Sifar.
Negli anni successivi Gigliotti, che aveva anche ricomposto l’unità massonica in Italia, aprì diverse Logge massoniche nel nostro paese, in particolare nelle basi Nato. Sono tutte situazioni queste, a latere della nascita del MSI quale partito filo atlantico, ma di certo non ininfluenti nella storia successiva di questo movimento e di tutta l’area neofascista.
Angleton aveva trovato in Italia una massoneria sparpagliata, dopo la scissione non ricomposta tra Palazzo Giustiniani e la sua “obbedienza” al Grande Oriente di Francia e Piazza del Gesù fedele alla “obbedienza“ alla Gran Loggia di Londra.
Soprattutto su questa loggia di Londra fece affidamento il capo dell’Oss, ma in definitiva bisogna sempre considerare che nonostante dissidi, rivalità anche feroci e difformità ideologiche, i massoni nei momenti cruciali, come fu il caso della guerra, sono sempre stati richiamati all’ “obbedienza” dalla “Massoneria Universale”.
Non ci sono, sostanzialmente, massonerie deviate, come si è cercato di far passare la P2 di Gelli, ma soltanto massonerie che, di volta in volta, nei periodi storici, assumono determinate vesti e atteggiamenti, perseguono determinati programmi, confacenti all’epoca, agli uomini e alle situazioni geopolitiche del momento, anche se poi, quando non più necessarie, vengono smantellate anche con dolorosi e traumatici interventi e scandali. [12]
Da considerare anche che la Massoneria, a parte i riferimenti alle diverse obbedienze, per sua natura cambia spesso pelle e comunque opera in tutti i settori, i circoli e i partiti, anche di sinistra, della nazione, come si confà ad una grande lobby di vasto e storico potere.
Anche nella nostra storia recente e nelle vicende che imposero la Seconda Repubblica, la massoneria, soprattutto quella espressione di importanti lobby finanziarie, ha avuto un ruolo decisivo nella manipolazione degli eventi e nella strumentalizzazione e snaturazione del vecchio PCI totalmente “de-marxistizzato” dalle ideologie neoradicali, tanto da farlo divenire una “cosa liberal”.
A dimostrazione di una certa “continuità”, è interessante notare come il famigerato progetto pidduista di rinascita democratica, portato come esempio di una specie di golpe silenzioso contro le sinistre, in realtà, uscito di scena Gelli, liquidata e criminalizzata la P2, realizzata la Seconda Repubblica, e sfrondato da ogni coloritura “anticomunista” oramai anacronistica, di fatto, si è silenziosamente attuato nella nostra società dove si può constatare l’accentramento di vari poteri, stampa compresa, e il dispiegarsi di politiche al di fuori dei partiti (governi o immissioni di “tecnici”) in mani ben individuabili nell’Alta finanza. Vale a dire che dietro una strategia anticomunista prima o pseudo antireazionaria dopo, quelli che contano sono sempre i progetti che i massoni in silenzio riescono a realizzare.
Sul potere della massoneria e sulla sua ingerenza nella vita politica dell’Italia, ci sarebbe da scrivere un intero testo, ma preferiamo aver dato questi brevi accenni, rimandando i lettori ai due testi da noi sopra segnalati.


A cosa e a chi serviva il MSI
Il rammarico del rifiutato
"Ero favorevole ad avere rapporti con la DC, [non ne dubitiamo! N.d.A.] ma quando erano graditi. Se invece non li volevano, perché dovevamo imporre loro il nostro appoggio?"
Ernesto De Marzio


Quanto fin qui esposto ci consente ora di dare più esauriente risposta a una domanda che abbiamo sempre fatto aleggiare: a cosa e a chi poteva servire un partito come il MSI a prescindere dai desideri e dalle necessità politiche dell’area neofascista del primo dopoguerra.
Sostanzialmente la nascita di un partito, quale il MSI, in quei primi tempi difficili e turbolenti del dopoguerra, tornava utile a vari interessi, tutti di carattere reazionario  e a  esigenze esterne antinazionali.
Considerando, infatti, la presenza di una larga base di reduci e militari della RSI e anche di Italiani, che gli antifascisti definivano “nostalgici” (a dicembre del 1944, con la guerra che oramai aveva imboccato la tragica fase finale e con tutte le sofferenze e privazioni della popolazione, Mussolini al Lirico di Milano e poi per le strade cittadine ottenne ancora un enorme successo di folla entusiasta), la nascita di un partito che controllasse e rappresentasse queste masse, conveniva a tanti.
A cominciare dagli statunitensi, già interessati ad ufficiali, sotto ufficiali, funzionari e gente specializzata del passato regime e della RSI, a cui affidare compiti e incarichi che gli consentissero di mettere in piedi strutture di una certa affidabilità per le loro politiche future in Italia e di cui abbiamo già parlato.
C’era poi da tenere in considerazione il mondo industriale e la borghesia in genere, non poco spaventata nel post liberazione dalla forte presenza social-comunista nel paese e dal sindacato CGIL nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro.[13]  
Anche se questi social-comunisti, avevano meravigliosamente obbedito, alle disposizioni Alleate, del resto sollecitate dagli industriali, per la immediata abolizione delle Leggi fasciste sulla socializzazione delle imprese, la presenza dei “rossi” e dei sindacalisti sui posti di lavoro, con le loro rivendicazioni, spesso sacrosante (basti pensare a come venivano fatti lavorare gli operai edili, con orari assurdi, senza alcuna protezione e senza adeguate attrezzature e indumenti, o le condizioni dei lavoratori dell’agricoltura in molte zone riserva esclusiva di latifondisti egoisti e privi di scrupoli), davano fastidio ed incutevano timore agli industriali e alla borghesia.
Stessa cosa poteva dirsi del Vaticano che, attraverso l’accordo con gli americani, aveva puntato tutto sulla DC per la gestione del potere in Italia, ma a cui non dispiaceva la presenza di frange di destra, anche attivisti, a difesa dei valori (e degli interessi) della Chiesa.
Ultima, ma non ultima, si rendeva necessaria la ricomposizione,   tra i militari che avevano aderito alla RSI e quelli che erano rimasti con il governo del Sud. In pratica un opera di “pacificazione”, dove però e con il tempo la componente ex RSI sarebbe stata dissolta, relegata a funzioni meramente reducistiche, più che altro attraverso elargizioni di qualche riconoscimento morale, economico e pensionistico, perché era implicito in partenza che le istituzioni, partorite dalla Resistenza, grazie alle truppe Alleate, sarebbero state democratiche e antifasciste.
I militari ex RSI che in seguito vennero ammessi nell’esercito ebbero la carriera limitata in quanto oltre un certo grado non potevano accedere.
Una ruota di scorta
          In un secondo momento, constatato che il nascente MSI, presentatosi su basi di destra, nazionaliste e qualunquiste, si stava assestando verso una percentuale interessante, anche se decisamente minoritaria di voti, la sua funzione divenne oltremodo utile per avere un serbatoio di riserva, una ruota di scorta per la Democrazia Cristiana, come risorsa in momenti di crisi, alchimie politiche, per esercitare pressioni verso i suoi alleati di governo o per fronteggiare gli avversari, in località problematiche.  Una ruota di scorta, elettoralmente non pericolosa per i democristiani, data la natura di destra estrema del MSI.
Insomma, per il MSI era stato ritagliato un ruolo politico subalterno a quei poteri e quelle forze conservatrici che avevano contribuito a crearlo. E questo ruolo lo mantenne per tutti i suoi circa 50 anni di vita.
Questo andazzo lo si percepì subito, quando nel novembre 1947, i primi tre eletti missisti alle amministrative  per il Comune di Roma (a quella prima sua uscita elettorale il MSI prese 24.600 voti), misero i loro voti a disposizione per la elezione del sindaco democristiano Rebecchini e della sua giunta di centro destra.
I democristiani si giustificarono dicendo che avevano dovuto accettarli stante lo stato di necessità. In futuro, queste ”necessità” si ripresenteranno molte volte.
Volendo oggi dare una valutazione di quella prima uscita elettorale del MSI, che alcuni ritengono positiva, possiamo dire che pur tenendo conto delle difficoltà oggettive e organizzative del tempo, incontrate dal MSI nell’esercitare un ruolo politico pubblico, la sua essenza e funzione di ibrida “destra” dovette essere percepita e non gradita dall’elettorato, laddove a Roma quei 24.600 voti (3,94 percento), furono ben poca cosa e oltretutto non portarono al partito neppure i voti dell’oramai in via di disfacimento Uomo Qualunque (questi prese il 10,51 percento), che la DC tendeva a dissolvere.
Ai democristiani, infatti, tornava molto più utile a destra un partito estremista, falsamente fascista, disponibile a fungere da “riserva voti” nei momenti di emergenza, che non il partito Qualunquista che alle elezioni amministrative del 1946, in molte zone del centro sud aveva  insidiato l’egemonia democristiana addirittura superando in voti la DC proprio a Roma
In quello stesso novembre del 1948, Lando Dell’Amico, un giornalista addentro a vari segreti dei partiti e della Repubblica, scrive su "La Repubblica d’Italia" una nota sulla sua espulsione dal Msi, definendone i dirigenti:  
«Due dozzine di gerarchi ottusi, alleati con la Democrazia cristiana, con la monarchia e con gli americani [che] non vanno confusi con una massa di giovani onesti, disinteressati, leali e repubblicani».
Truppe cammellate
Come abbiamo visto alle elezioni politiche del 1948 il MSI mostrò tutta la sua subalternità alla DC cooperando al fine di fargliele vincere.
A proposito di quelle elezioni, come riporteranno le cronologie, il 18 aprile 1948:
«a Sedegliano (Udine), elementi dell’organizzazione ‘O’ fra i quali Turco Franco Florindo, reduce della Rsi e iscritto al Msi, piazzano le mitragliatrici nelle case poste di fronte ai seggi elettorali, in collaborazione con i carabinieri locali».
E non era questo un caso isolato, perchè analoghe situazioni si verificavano un pò dappertutto.
Lo storico Giuseppe Parlato, attraverso varie testimonianze, ha ricostruito molte delle circostanze per le quali, se la situazione dell’ordine pubblico, a seguito di una vittoria delle sinistre o investito da qualche reazione socialcomunista fosse degenerato, la Democrazia Cristiana, il ministero degli Interni e i Carabinieri, facevano conto sul MSI e i suoi attivisti per difendere le istituzioni, pensando addirittura di utilizzare i fascisti detenuti per la bisogna.
In Toscana, in provincia di Lucca, il maresciallo dei Carabinieri, disse ai dirigenti del MSI che se le elezioni del 18 aprile 1948 avessero preso una brutta piega si sarebbe dovuto intervenire militarmente e a questo proposito consegnò al locale dirigente missista le chiavi dell’armeria (vedesi G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed. Il Mulino 2006).
E’ quindi indubbio che c’era una certa intenzione di utilizzare, se le cose si mettevano male, i missisti come ascari. Ernesto Massi ricorda i depositi di armi nascosti prima delle elezioni del 18 aprile ’48 e che potevano ora essere utili. Attraverso il suo vecchio amico Fanfani, conosciuto ai tempi della Cattolica, egli entrò in contatto con un generale dell’Esercito. Il Massi quindi si mise anche in contatto con ufficiali del neo costituito Servizio informazioni militari e scoprì che era pronto un piano in caso di vittoria dei comunisti o di una invasione sovietica, ovviamente dietro il placet dei diplomatici di paesi Occidentali a Roma. Nel MSI, dice Massi, tutti ne erano al corrente di questi progetti che si configuravano come una specie di Golpe.
Qualcuno potrebbe obiettare che, in definitiva, anche la rivoluzione fascista degli anni ’20 fu fatta attraverso diversi connubi con l’esercito e le forze dell’ordine e che del resto se i comunisti, nel 1948, avessero prevalso, i fascisti sarebbero stati i primi a vedersela brutta.
Ma queste scusanti non sono del tutto valide. Intanto negli anni ’20 il fascismo e i fascisti erano proiettati alla conquista del potere e non alla difesa da ”guardie bianche” delle istituzioni oltretutto antifasciste e poi lo ripetiamo ancora una volta: si trattava di un periodo storico dove il nostro paese era una Nazione indipendente, uscita vittoriosa dalla Grande Guerra e non colonizzata come nel secondo dopoguerra, per cui adesso, difendendo le istituzioni, si difendeva e si perpetuava questo colonialismo.
Per il secondo aspetto, quello della difesa della vita degli stessi fascisti, non era detto che dovesse per forza avvenire accettando di essere usati come carne da cannone per la difesa di istituzioni antifasciste e di personaggi del potere, democristiani e conservatori, di sicura fede antifascista. Usati e poi ovviamente scaricati da tutti costoro una volta passato il pericolo.
Comunque sia, il ruolo da truppe cammellate era iniziato ben presto e del resto come, giustamente, nota il ricercatore storico Franco Morini, nel suo citato articolo “Nome Msi - paternità SIM”:
"Sono peraltro noti i rapporti diretti fra il Viminale e gli organizzatori del MSI tramite il generale dei carabinieri Giuseppe Pièche, ex-capo della 3ª sezione del  SIM e, nel dopoguerra, incaricato da Scelba di riorganizzare i servizi segreti italiani.  Per copertura, il generale Pièche era stato messo a capo della Protezione civile e dei servizi antincendio del ministero dell'Interno (F. G. Murgia: "Il Vento del Nord", Sugarco 1975 e ristampa Ed. Kaos 2004; dello stesso autore: "Ritorneremo!", 1976. Si veda inoltre: C. De Lutiis "Il lato oscuro del potere", Editori Riuniti 1996).
Quanti inzupparono il pane
E tutte queste componenti reazionarie e conservatrici, attraverso la nascita del MSI, colsero in pieno gli obiettivi che si erano prefissi vediamoli:
Gli americani, oltre ad un serbatoio di manovalanza varia, ben “filtrata” e garantita, per le loro future “Gladio” (come abbiamo accennato, ulteriore selezione venne successivamente realizzata attraverso la creazione di Ordine Nuovo), si assicurarono anche uno strato di popolazione, deviata, distorta, rincoglionita dai dirigenti missisti, che si facesse paladina del loro cosiddetto “mondo libero” e del Patto Atlantico, spacciando una vera e propria colonizzazione del paese, come un baluardo atto a impedire che “i cavalli dei cosacchi venissero ad abbeverarsi in Piazza S. Pietro”.
Gli interessi industriali e la borghesia trovarono i loro difensori in questo partito che, messi in sordina gli ideali rivoluzionari di Mussolini sulla socializzazione e altri aspetti sociali “sconvenienti”, ridisegnò una sua politica economica e sociale, oltretutto solo sulla carta, di carattere meramente “corporativo” e, di fatto, sostanzialmente conservatrice.
Le cronologie storiche riportano, l’11 febbraio 1948:
«Roma, una nota al ministero degli Interni registra alcune informazioni circa i finanziamenti al Msi e alla sua attività paramilitare: "un importante accordo concluso tra il Msi e alcuni industriali dell’Alta Italia, già sovvenzionatori del fascismo… per l’apporto di fondi per un maggiore incremento dell’organizzazione del movimento"; nonché la creazione "a Roma di una brigata composta di ex combattenti ed elementi fascisti per la difesa esterna della capitale contro gli attacchi comunisti", affidata al comando di un ex console della Milizia)».
Passato il dopoguerra e cessato del tutto il pericolo “rosso” per gli industriali, la funzione di “guardia bianca” degli interessi capitalisti, da parte dei missisti, non era più necessaria, anzi era sconveniente, perché la grande Industria mirava ad una sua razionalizzazione ed espansione anche sui mercati esteri e quindi si cercava di instaurare rapporti e contatti anche con i sindacati di sinistra, del resto oramai “democraticizzati”. Cosicché il MSI questo scomodo e ripugnante partito, l’Industria che conta, proprio non se lo filerà più e dovette accontentarsi di essere al servizio della piccola e media borghesia in buona parte quella dei cosiddetti “cavalieri del lavoro”, lavoro altrui ovviamente, e spesso in nero. E qualcuno ha forse dimenticato l’avversione del MSI verso la nazionalizzazione dell’energia elettrica, andando contro gli stessi dettami sociali del fascismo?

Il Vaticano, a cui in genere poco andava di sporcarsi le mani con i missisti, non disdegnava comunque la loro presenza e la loro funzione,  piccolo borghese con tutta la retorica “Dio, Patria e famiglia” e simili, per non parlare della difesa ad oltranza che il MSI portava avanti del Concordato. Patti Lateranensi che oramai non avevano più alcun motivo di perpetuarsi visti, oltre ai presupposti politici che li avevano partoriti oramai inesistenti, gli onerosi costi per la Nazione e il venir meno della controparte quale un vero Stato Nazionale come poteva esserci nel ventennio (ma del resto il MSI era uso disattendere gli interessi dello Stato a vantaggio di entità straniere a lui consone e anche il Vaticano ne beneficiava).
Alla vigilia di Natale del 1949 papa Pio XII nel suo messaggio natalizio prende posizione contro i massacri di cui sono stati vittime i fascisti al nord dopo il 25 aprile. Una apertura notevole che non poteva nascondere amorosi contatti e intenti comuni tra la Chiesa e il MSI.
Significativo che il 21 gennaio del 1950 il giornale "Lotta politica", organo del MSI, informerà che Pio XII aveva ricevuto in udienza una delegazione del Movimento femminile italiano, benedicendone l’attività.

DC e Pacificazione dei militari. Dei vantaggi assicuratisi, con la nascita del MSI, dalla Democrazia Cristiana, abbiamo detto, così come per l’opera di ricostruzione delle FF.AA., pacificando gli ex nemici, “repubblichini” e militari del Sud (fenomenale fu un manovra, anche a proprio vantaggio elettorale, di Giulio Andreotti recatosi nel 1952 ad Arcinazzo Romano dove venne abbracciato da uno sprovveduto Rodolfo Graziani) 

Che cultura per i giovani!
Anderson capo dei giovani  missisti

         Massimo Anderson:  nel 1954 Segretario generale della Giovane Italia. Nel 1960  consigliere comunale di Roma MSI. Nel 1967 Segretario nazionale Giovanile. Nel 1972 è tra i cofondatori del Fronte della Gioventù ed entra nella Segr. Naz. del MSI. Nel 1975 è eletto alla Regione Lazio. Nel 1977 getta la maschera del “neofascismo” e aderisce a Democrazia Nazionale - Costituente di Destra. Nel 2010 è presidente di Federproprietà, 90 associazioni di proprietà edilizia organizzate su base provinciale.
Lineamenti di una politica per la gioventù
        Quale cultura lascia ai giovani del partito lo rileviamo da un suo opuscolo per il Fronte della Gioventù – Lineamenti di una politica per la gioventù -  del 7.9.1972 dove descrive la politica e la cultura italiana negli ultimi anni di quell’epoca, le degenerazioni della contestazione giovanile, il solito anticomunismo, ecc., il tutto sotto l’ottica di una cultura di destra nazional borghese e cattolica,: Fede, Dottrina (quale?), Etica (quale?), fede in Dio e così via; la solita retorica di una cultura che aveva oramai fatto il suo tempo, naufragando nell’ipocrisia delle vecchie generazioni.
Ma è alle analisi internazionali che si arriva alla farsa: come esprimere, come indicare ai giovani, una linea anti Jalta e filo europea e conciliarla, allo stesso tempo, con il filo atlantismo, se proprio Jalta è un accordo voluto dagli Usa?  Il modo c’è, da ridere, ma c’è:
     "La sfida mondiale del comunismo esige che l’Europa occupi un posto di avanguardia in quella che è nei suoi tratti più generali, e anche per noi, soprattutto per noi, lotta di civiltà. E’ in questo ampio quadro che va giudicato il più importante strumento politico militare  di resistenza al comunismo nato dalla solidarietà delle Nazioni Occidentali, l’Alleanza Atlantica. Affinché  sia atta a garantire la sicurezza europea e a segnare un margine insuperabile  all’espansionismo Sovietico, l’Alleanza va però caratterizzata da una maggiore accentuazione nazionale ed europea. Questa accentuazione segnerebbe Il primo passo di una politica intesa a scalzare, a beneficio dell’Europa, il rigido ordine di Jalta e le sue nefaste conseguenze di ordine morale, politico, territoriale".


Si afferma l’ “uomo d’ordine” borghese

Tutto viene da lontano

"E’ stato Pino Romualdi l’ispiratore di quel fiume carsico missino che ora ricompare con il nuovo Fini ".

Il Foglio.It, 10 maggio 2009, Dove va e da dove viene Fini,

Non resta che sottolineare come, dopo un paio di decenni di missimso, ogni componente rivoluzionaria dell’area fascista venne dissolta e al suo posto subentrò decisamente la componente “nazionalista”, borghese, la ex Salò tricolore ancor più “cloroformizzata” e annacquata, in sintonia totale con ambienti delle  FF. AA., dimenticandosi che esse erano nate dal tradimento badogliano e che ora erano inquadrate e subordinate nel sistema Nato nostro colonizzatore.
Anche tutto questo non avveniva a caso o solo per opera di abili mestieranti, perchè c’era un terreno fertile su cui germogliare: la storia e le tradizioni del fascismo, il suo essersi identificato con lo Stato per un intero ventennio. Una tradizione storica che aveva finito per conformare una certa mentalità che spesso stabiliva una spontanea intesa tra il “camerata” e la “divisa”, per il culto dell’ordine, in nome di una comunanza di vedute contro i “rossi“, i sovversivi.
Cosicchè le “simpatie” che si istaurarono tra i militari, i rappresentanti dell’Ordine, ufficiali e funzionari dello Stato e i missisti, trovando il punto di intesa nella comune avversione al comunismo e nella stessa attitudine di vita borghese e conformista e retoricamente nazionalista, non ebbero più alcun freno.
Degli apparati di polizia e dei Servizi ricostruiti sotto la supervisione americana, abbiamo già detto, ma c‘è anche da rilevare che se nel maggio 1945 vennero messi a riposo 52 tra Questori e vice questori, e 18 commissari capi di Polizia, ritenuti troppo compromessi con il fascismo, dopo poco tempo vennero quasi tutti riammessi in servizio. Vecchie conoscenze o amicizie, tra costoro e i dirigenti del MSI, ebbero occasione di incontrarsi, ma questi “contatti”, non agirono mai, a vantaggio dell’Idea, ma come era ovvio, a parte i “soliti favori”, sempre e solo a vantaggio delle istituzioni antifasciste e delle componenti reazionarie del paese.
E anche questa “sintonia”, questa affinità di intenti e mentalità che portava il missista a simpatizzare spontaneamente con la ”divisa” e l’“uomo d’ordine”, in nome dell’anticomunismo (e specifichiamo in un clima e in un ambito del tutto diversi da quello dei fascisti del 1919, che agivano con presupposti rivoluzionari in una nazione sufficientemente indipendente e non sotto totale controllo straniero), ritornava poi opportuna quando lo Stato Maggiore, come diversivo strategico e attraverso i suoi Servizi, aveva necessità di “arruolare” i neofascisti per compiti reazionari, se non “illegali”, simili a truppe cammellate a difesa delle istituzioni antifasciste e della Nato. [14]
Laddove possano esserci stati “neofascisti” delatori, collusi con i Servizi, con i Commissariati o i Carabinieri, questi nascono, oltre che per corruzione, proprio da questa affinità “ideale” con l’”ufficiale”, con l’”uomo d’ordine”, da un malinteso spirito nazionalista e borghese.
In politica ci sta che molti possono anche essersi trovati a coltivare “amicizie” e “intese” con ufficiali degli apparati dello Stato senza per questo essersi “venduti”, ma di certo non hanno considerato che questo Stato nasce e si perpetua antifascista e questo sarebbe il meno, ma soprattutto è uno Stato subordinato al sistema Nato e quindi, di fatto, magari indirettamente, si diventa complici dei nostri colonizzatori.
Comunque sia tutto questo doppiogiochismo del partito è anche sottolineato dalla scelta fatta dai missisti di eleggere a nome e simbolo del nuovo partito la fiamma tricolore che, come ricorda ancora Vinciguerra, era il simbolo del Movimento Sociale Francese, MSF,[15] movimento conservatore che raggruppava principalmente ex combattenti, ed in cui, ovviamente, quel “Sociale”, nella denominazione di questi partiti reazionari, era solo uno specchietto per le allodole.
Se qualcuno pensa che stiamo esagerando, che le cose non stanno propriamente così e che magari ci sono anche stati momenti e serie iniziative missiste di genere diverso e in sintonia con il retaggio sociale della RSI, se lo tolga dalla mente.

Un ruolo solo: sempre reazionario
           Per avere la certezza del ruolo reazionario del MSI, esclusa qualche iniziativa e qualche intervento del tutto sporadico se non retorico o subdolo, basta andare a leggere la collezione del Secolo d’Italia e, se possibile, andare a recuperare le mozioni, gli atti e gli interventi parlamentari che riguardano mezzo secolo di storia del MSI, ma soprattutto verificare “come” votarono in tante delicate questioni vitali per la Nazione i parlamentari missisti. Si avrà così la certezza che questo partito ha SEMPRE operato in senso antinazionale in conseguenza della sua subordinazione agli Stati Uniti, e in senso anti socialista (intendendo per socialismo quel patrimonio di Leggi, di ideali e di programmi del fascismo repubblicano) in ossequio alla sua acquiescenza e complicità con la borghesia e il mondo industriale.
E’ veramente raro che ci sia stata qualche iniziativa geopolitica nell’interesse dell’Italia, qualche necessità di praticare una via “terzo mondista” per allentare un poco il cappio Atlantico che, contro i nostri interessi nazionali, era stretto al collo del Paese, che non abbia visto il MSI o suoi esponenti mettersi di traverso, ovviamente con la solita scusa che altrimenti si “apriva” ai comunisti o agli amici dei sovietici.
Niente da fare: il partito perseguiva prevalentemente scelte politiche, sociali ed economiche di stampo borghese e conservatore e  tutte le posizioni di politica internazionale di subalternità al quadro atlantico.
Così come quando nel 1985 il presidente del Consiglio Craxi (che pur precedentemente aveva operato in senso filo americano rispetto alla faccenda dei missili da installare nella nuova base di Comiso in Sicilia) ebbe un alzata di orgoglio, che forse in seguito gli costò l’esilio e la morte, e si oppose alla prepotenza e ingerenza sul nostro suolo degli americani a Sigonella (un evento quello che, se subìto, avrebbe anche messo in pericolo la credibilità del governo Craxi verso i paesi arabi): Craxi ovviamente si trovò di traverso, nel suo governo, il “confratello”  Spadolini e fu investito da attacchi del parlamentare missista Mirko Tremaglia, mentre il MSI, preso dalla volontà di sostenere gli americani e il suo ipocrita “nazionalismo”, si lacerava tra sconcerto e polemiche.
Ed era tutta da ridere, se non ci fosse da piangere, assistere negli anni a come questi esponenti missisti, spavaldi Rambo (a parole), spesso delusi dagli americani (usi a perseguire gli interessi USA anche tramite accordi segreti con i sovietici, nello spirito di Jalta), si strappavano le vesti, pretendendo di insegnare loro, agli americani, come ci si doveva comportare con i “rossi”.
Oggi, molti storici e politologici hanno giustamente valutato che se proprio vogliamo avere un termine di paragone con la politica del fascismo e al suo senso dello Stato, ritroviamo più “fascismo”, in alcuni sprazzi di politica, confacenti agli interessi geopolitici nazionali, in uomini di governo come Enrico Mattei, Amintore Fanfani, Aldo Moro o Bettino Craxi e forse persino Andreotti ed alcuni esponenti comunisti, tanto per citarne alcuni, che fascisti non erano, anzi erano decisamente antifascisti, che non in Michelini o Almirante e soci. Il ché è tutto dire!
Penoso è stato anche l’accennato “mutamento genetico” determinatosi nella base di questo partito, nel suo elettorato, mano a mano abbandonato dai reduci fascisti repubblicani e schifato dagli italiani sensibili e intelligenti  che non si facevano ingannare dalle esternazioni forcaiole di Almirante.
Si iniziò cercando adesioni nel disciolto movimento conservatore dell’Uomo Qualunque e frange reazionarie del Paese, si proseguì con quella fiamma tricolore che di giorno in giorno, estirpava dal suo mondo, come i petali da una margherita, gli ideali del fascismo, che obbligava i suoi aderenti a parteggiare in ogni campo per gli americani, magari per quelli più conservatori e di destra (famosa nei primi anni ’60 la simpatia missista per il miliardario candidato americano repubblicano ed ebreo Barry Goldwater, o i manifesti affissi dai missisti per accogliere nel 1969 Nixon a Roma), a sostenere la Nato, ad opporsi a qualunque seria rivendicazione sociale, con la scusa dell’anticomunismo, fino ad arrivare a mettere nelle sezioni le bandiere dei Colonnelli greci e della macelleria cilena di Pinochet e a far accettare come Presidenti del partito il monarchico Alfredo Covelli e l’ex badogliano, Ammiraglio Nato, Gino Birindelli.
A tutto questo si aggiunga il disgustoso esempio mostrato durante ogni elezione, dove candidati missisti spendevano a piene mani per le loro campagne elettorali “all’americana”, ovviamente personalizzate (ci tenevano, perbacco, al posticino Parlamentare o Comunale!) e si cimentavano in squallide e cannibalesche lotte intestine.
Ridicola, penosa e ancor più squallida fu la megalitica campagna elettorale di fine anni ’50 di tal Ernesto Brivio, autodefinitosi l’ultima raffica di Salò, che poi dovette scappare e rifugiarsi in Libano per truffe reiterate e fallimento.[16]
Questo era il MSI ed è facile capire come, negli anni, possa essere cresciuta e deformatasi la sua base e che genere di soggetti si vennero poi a iscrivere e a simpatizzare con questo partito. Le leggi della natura prevedono che il simile si avvicina sempre al simile. Qualcuno avrebbe pur dovuto ricordargli le parole della Dottrina del Fascismo:
"La vita quale la concepisce il fascista è seria, austera, religiosa: tutta librata in un mondo sorretto dalle forze morali e responsabili dello spirito. Il fascista disdegna la vita «comoda».





[1] Servello venne eletto, per la prima volta, al Consiglio Comunale di Milano nel 1951 nel MSI, quindi venne eletto alla Camera dei Deputati nel 1958 e fino al 1994. Nel 1996 venne eletto Senatore per Alleanza Nazionale. Un carriera esemplare da uomo di destra in tutto e per tutto. Che caratterizza esemplarmente l’essenza e il portato storico del MSI e la sua naturale evoluzione in Alleanza Nazionale che certi imbecilli o “vedove” del missismo, ritengono invece un tradimento.
[2] Questa tara, ancora oggi, dopo tanti anni e tante malefatte da parte di questo partito di destra, la si può constatare in certi epigoni, vedove inconsolabili, che si riciclano in giro con i loro gruppuscoli, magari a volte con buone intenzioni, ai quali danno i nomi di destra sociale, destra ideale, destra nazionale, ecc. Tutti aggettivi per edulcorare il termine “destra”, il quale dopo oltre mezzo secolo di tradimenti degli interessi nazionali, dovrebbe essere bandito dal vocabolario della politica italiana..
[3] Non si può però non constatare che mentre tutte le correnti di destra di questo partito furono, sempre e comunque, la quintessenza della sua implicita conformazione antifascista e della sua subordinazione al quadro atlantico, alcune correnti di sinistra, attestarono invece una più coerente aderenza agli ideali del fascismo repubblicano e a un certo spirito di indipendenza nazionale.
[4] In quel gennaio del 1950 De Marsanich  divenne segretario nazionale e Michelini segretario amministrativo del partito. Le forze liberiste e conservatrici del partito erano oramai saldamente al comando e si misero in tasca quasi tutti gli altri.
[5] Vedesi: Giulio Salierno: Autobiografia di un picchiatore fascista, Einaudi, 1976.
[6] Le leggi della strategia bellica implicano che un eventuale “avversario” sia costretto a infliggere il primo colpo, il più risolutivo possibile, alle strutture nemiche che lo potrebbero colpire a morte. Ora, seppure in via teorica, si dà il caso che, per esempio, la Russia, ipotetico nemico dell’Occidente, in caso di conflitto, dovrebbe obbligatoriamente preoccuparsi delle basi nucleari ai suoi confini e nel Mediterraneo ovvero in Italia, in grado di raggiungere con precisione il suo territorio, più che dei  lontani Stati Uniti d’America. Come dire: “chi di dovere”, si è coperto sulla nostra pelle!
[7] Strofette  sul bollettino Fncrsi del novembre 1969 dedicate dai fascisti della Fncrsi agli ordinovisti che rientravano nel MSI.
[8] A quel congresso di Milano del 1956 si assisté ad uno di quei squallidi andazzi tipici dei congressi “democratici”. Lo schieramento di Almirante, infatti, in quella occasione allato con la “sinistra”, arriva al congresso con una netta maggioranza: per Michelini sembra la fine. Allo spoglio però i micheliniani vincono per sette voti. Delle due l’una: o prima del voto ci fu una compravendita da mercato delle vacche, oppure ci furono brogli allo spoglio delle schede.
[9] Nel Bollettino della Fncrsi (il N. 15/16 dell’ottobre 1971) i fascisti della Fncrsi precisavano :
«Per contrastare le nostre tesi taluno elaborò la curiosa teoria detta dei centurioni". Usciti vittoriosi dal Vietnam e passati sotto gli archi di trionfo allestiti dalla destra americana, questi novelli centurioni, si sarebbero impadroniti degli USA e avrebbero mosso subito guerra all'URSS ed alla Cina. Il disegno di certe organizzazioni (il cui asservimento a qualche ambiente dello Stato Maggiore fu evidentissimo) prevedeva che le truppe ausiliarie della NATO (paras, corsi di ardimento, ecc.) si sarebbero coperte di gloria nei vari fronti all'unico scopo di meglio consolidare il dominio ebraico-yankee sul mondo.
Senonchè, nonostante le abbondanti libagioni di droga per vincere il terrore dei Viet-cong, i centurioni incominciarono a vedere abbastanza chiaro... ». .
[10] La Dottrina del Fascismo a questo proposito è esplicita: <<Le negazione del Socialismo, della Democrazia, del Liberalismo, non devono tuttavia far credere che il fascismo voglia respingere il mondo a quello che era prima del 1789,… Non si torna indietro. La Dottrina fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre, L’assolutismo monarchico, fù e così pure ogni ecclesia. Così furono i privilegi feudali, e la divisione in caste impenetrabili, e non comunicabili tra di loro.>>.
[11] Cfr.: Piazza Fontana Noi sapevamo. Le verità del generale Maletti, di Seresini A., Palma N. e Scandagliato E. M., Ed. Aliberti 2010. Anche l’ex ministro Paolo Emilio Taviani sostenne una tesi simile, con la variante che l’esplosivo venne fornito a uomini di Avanguardia Nazionale da  un agente nord americano che proveniva dalla centrale tedesca e apparteneva ai Servizi segreti dell’esercito molto più efficienti della Cia  (vedesi: Testimonianza agli atti del processo Meroni – Pradella). A nostro avviso però queste notizie lasciano il tempo che trovano, visto che poi nessuno le ha dimostrate
[12] Per fare un esempio, dai documenti liberati dagli omissis, risulta che i principali esponenti militari che nel 1964 ebbero incarichi  per la preparazione del “piano Solo” erano tutti massoni quando al tempo il venerabile Licio Gelli non era ancora stato delegato, dal gran maestro Lino Salvini, nella gestione della loggia P2 (delega conferita nel giugno 1970).
[13] Come già era avvenuto con la scissione socialista, anche il mondo sindacale unitario della CGIL subì un paio di scissioni tra il 1948 e il 1950, provocate e finanziate anche dagli americani. Dapprima uscì la componente cattolica, rappresentata da Giulio Pastore, poi la componente socialdemocratica e repubblicana. Queste due componenti diedero vita alla CISL e alla UIL.
[14] I presunti neofascisti che le cronache giudiziarie o il pentitismo ci hanno dimostrato essere collusi con Commissari, Carabinieri, Ufficiali, ecc., spesso nasceva proprio da queste premesse, diciamo psicologiche. Non rari anche i casi di ottimi camerati, seppur sprovveduti all’eccesso, confidenti di “uomini d’ordine”, da loro ritenuti un “amico”, se non un “camerata”. Prezzolati a parte, è stato anche questo un modo, attraverso il quale il fascista perdeva la sua inclinazione di antagonista nei confronti dello Stato democratico e antifascista, per trasformarsi, di fatto, in un reazionario. Il “fascista” invece avrebbe dovuto attenersi anche ad un patrimonio ideale, sociale e storico, tale da fargli mantenere una certa “distanza” e diffidenza verso FF.AA. di una Repubblica antifascista e oltretutto colonizzata.
[15].A chi appartiene l’idea della scelta del simbolo del nuovo partito non è cosa facile da ricostruire anche perché, probabilmente, vi contribuirono diverse persone. La supposizione di V. Vinciguerra comunque resta una delle più attendibili.
[16] Che pena, ripensare a quelle folle oceaniche che a Roma, con il ricordo di ben altri personaggi,  si recavano a Piazza del Popolo o al Colosseo ad ascoltare gli antifascisti e ultra conservatori, mascherati da fascisti, De Marsanich e Michelini, che le imbonivano con qualche ipocrita richiamo al Duce e prima o al termine dei comizi vedere la gente spintonarsi e accalcarsi per prendere ciondoli, portachiavi, fiammelle e altri gadget che venivano distribuiti. Qualche candidato facoltoso distribuiva anche orologi. Il MSI fu all’avanguardia nell’introdurre il disgustoso andazzo clientelare e propagandistico “all’americana” nei ludi elettorali.

Nessuno pretendeva la rivoluzione
Il massimo del servilismo
(Cfr. N. Rao La fiamma e la Celtica, Ed. Sperling & Kupfer, 2006)

Allargando il discorso e prevenendo certe obiezioni, si può tranquillamente sostenere che nel dopoguerra nessuno pretendeva la ricostituzione di un partito fascista, tra l’altro vietato dalle Leggi immediatamente introdotte dai CLN e quindi dalla Costituzione e neppure si poteva pretendere che questo partito scendesse sul piano rivoluzionario, stante la presenza americana e il quadro internazionale per il quale, se una rivoluzione era preclusa ai comunisti, tanto più lo sarebbe stata per i fascisti.
Preso atto della situazione del momento, i vincoli coercitivi e le necessità di “tornare alla vita” dei reduci fascisti, nessuno si sarebbe scandalizzato se esteriormente certe premesse rivoluzionarie del fascismo repubblicano si fossero celate, certi programmi troppo spinti camuffati per ragioni tattiche, diluendoli nel tempo a seconda delle possibilità che si sarebbero presentate in futuro, a patto però che la classe dirigente di questo partito avesse mantenuti integri gli ideali e soprattutto avesse manifestato la ferma volontà di perseguirli.
Viceversa non solo il MSI nacque con intenti subdoli, ponendosi al servizio dei peggiori nemici del fascismo, occupanti compresi e quindi la sua attitudine politica, non poteva che essere contro gli interessi nazionali, ma per realizzare il “grande inganno” alle spalle dei fascisti, questo partito fece l’esatto contrario, ovvero procedette a ritroso come il gambero, annacquando, eliminando, distorcendo, uno dopo l’altro gli ideali del fascismo che in un primo momento non poteva del tutto ignorare. In pochi anni il gioco era fatto, molti veri fascisti si erano allontanati schifati e il partito era divenuto un vero e proprio antifascismo camuffato da “neofascismo” di destra.
Sarebbe stata invece certamente possibile la creazione di un partito, riferimento per i reduci della RSI che agisse nell’ambito costituzionale,  ma senza assumere le vesti, le ideologie e le attitudini via, via sempre più marcate, del conservatorismo e della reazione.
Ora noi ci rendiamo perfettamente conto che tutto questo è un ragionamento con il senno del poi e quindi ha un valore del tutto relativo, anche perché tutta la società italiana non è rimasta immune dal portato culturale ed esistenziale che gli hanno trasmesso e imposto i vincitori ovvero il mondo occidentale democratico e liberista  e che l’evoluzione tecnologica e il progresso in tutti i campi della società hanno conformato nella società consumista.
Di conseguenza non possiamo sapere che spazi avrebbe potuto avere un tipo di politica e un messaggio ideale che, a grandi linee, stiamo qui per illustrare, considerando però il disastro sociale di questo Occidente democratico e turbo liberista e la perdita totale della nostra sovranità nazionale e identità etnico - culturale, un movimento, un partito che fosse scaturito dagli ideali del fascismo repubblicano, sarebbe stato necessario e avrebbe assolto una importante funzione politica e storica.

Poche, ma imprescindibili attestazioni
          Sarebbe bastato, per non tradire il fascismo repubblicano e soprattutto per assolvere agli indispensabili compiti di una rinascita nazionale, che il nuovo partito si fosse investito, sia pure con tutta la tattica necessaria, di alcune attitudini politiche, diametralmente opposte a quelle di una destra conservatrice facendosi  portatore di legittime e sacrosante istanze.
Citiamo, generalizzando, un  paio di queste istanze paragonando, al contempo, con quello che invece andò a fare il MSI:
primo: sul piano politico questo partito, che si definiva continuatore di quello che il fascismo aveva rappresentato per la rinascita della Nazione, avrebbe coerentemente dovuto assumere posizioni, sia pure tatticamente duttili, ma consone agli interessi geopolitici nazionali e quindi sostenere con forza tutte quelle rare iniziative per  scrollarsi di dosso le catene di Jalta e quindi di trovare un ruolo e una “terza via” internazionale all’Italia, in particolare nell’ambito mediterraneo, con riflessi nel vicino oriente e in sintonia con i Paesi arabi, e risorse energetiche (soprattutto petrolio, ma anche nucleare) autonome per il nostro Paese opponendosi alla ingerenza occidentale e agli interessi delle multinazionali, specialmente quelle del cartello petrolifero.
Non c’era infatti da rivendicare solo Trieste, l’Istria e la Dalmazia, c’erano anche in ballo i sacrosanti interessi geopolitici della Nazione, per i quali, così facendo, si sarebbe agito in loro sintonia, trovando orecchie attente in quegli uomini e forze politiche che intendevano perseguire gli stessi fini.
Ed anche qui, invece, la posizione ultra Atlantica di questo partito, il MSI, appositamente nato con perfidi fini, fu un costante boicottaggio di tutte le aperture terzomondiste (non si deve dialogare con gli amici dei sovietici, si giustificavano) e di tutti i tentativi socio economici di emancipazione dal ruolo subalterno in cui la Nazione era costretta, ma che ovviamente avrebbero potuto ledere gli interessi anglo americani.
Forte, decisa, convinta e praticata sul campo, del pari, avrebbe dovuto essere la lotta all’atlantismo, il rifiuto di considerarsi parte del cosiddetto “mondo libero”, tra l’altro sul piano culturale ed esistenziale il peggior “nemico dell’uomo” e delle nostre tradizioni europee, un “mondo libero” che invece i missisti, per farlo “digerire” ponevano in demenziale contrapposizione ai cosiddetti paesi “oltrecortina” ove si vive nell’indigenza e i “comunisti mangiano i bambini”.
Negli anni ’50 un poeta e uomo di teatro coreano, vedendo come era stato trasformato il suo paese, la Corea del Sud, dall’invasione americana, scrisse più o meno questa sacrosanta verità, che si sarebbe poi ripetuta dovunque fossero arrivati questi miserabili yankees:
“dopo soli sei mesi di presenza delle truppe americane, il mio popolo era irriconoscibile, le sue tradizioni in pericolo, il vizio, le droghe, la corruzione, dilagavano”.
Questo per rendere un idea di quello che costituiva l’americanismo con i suoi jeans, chewingum, Coca Cola e democrazia, tanto difeso dai missisti. Americanismo di cui oggi, con la totale distruzione della nostra gioventù ubriaca di discoteche, musica, video giochi, calcio, sballo, tatuaggi e piercing, ne abbiamo un abbondante e squallido esempio.
Proprio i fascisti, gelosi custodi dell’indipendenza nazionale, avrebbero dovuto essere i primi ispiratori e agitatori delle manifestazioni contro la Nato e contro le criminali aggressioni statunitensi, come quella nel Vietnam. E non il PCI che assumeva questo ruolo, prevalentemente, in ossequio alle politiche di Mosca.
Ed invece il MSI, sempre in primo piano quando si trattava di andare a contestare e manifestare contro i Sovietici, arrivava addirittura a sostenere i criminali d’Occidente e le loro guerre d’aggressione. Se avesse invece intrapreso la strada dalla lotta all’Occidente e alla Nato, con la decisa contestazione anche ideologica della “american way of life”, molto probabilmente si sarebbero anche ridotte al minimo le ingerenze, le collusioni e gli arruolamenti nei Servizi di farabutti che poi, nell’infame periodo della “strategia della tensione”, videro tanti personaggi di tutta quest’area politica, in qualche modo implicati, controllati e arruolati come erano, dalle Intelligence occidentali, per utilizzarli nella loro “guerra non convenzionale”.
Secondo: era dovere di questo partito, che diceva di riallacciarsi agli ideali fascisti, farsi portatore della necessità delle riforme socializzatrici, spiazzando in tal modo gli stessi partiti di sinistra che le avevano svendute, e di una ricomposizione socialista dell’economia e del sociale.
Del pari, nei posti di lavoro, il partito doveva assumere la tendenza ad organizzare e ispirare le sacrosante lotte dei lavoratori, che di colpo, con l’avvento della democrazia liberista, erano stati riportati indietro di anni nelle loro conquiste e ben sappiamo che resistenze fece, soprattutto la piccola e media impresa, quando dopo il boom economico degli anni ’60, stava incrementando i suoi guadagni, ma i salari e le garanzie dei lavoratori non procedevano di pari passo.
Ed invece, in questo ambito sociale, il MSI assunse una posizione ibrida, fatta di enunciati del tutto retorici, ma di fatto perfettamente in sintonia con gli egoismi più retrogradi del capitalismo.
Nel 1950, attraverso il deputato, avvocato missista del collegio di Napoli Gianni Roberti, che poi finì la sua carriera politica nelle fila della Democrazia Nazionale (gruppetto di deputati sottratti al MSI, al tempo si insinuava “comprati”, dalla DC  negli anni ’70)  arrivò a mettere in piedi la CISNAL, una specie di sindacato da pseudo “destra sociale” che dire “giallo” neppure rende l’idea, visto che la sua presenza tra i lavoratori era oltretutto inesistente, se non attraverso iscrizioni racimolate nelle sezioni del partito e spesso con manovalanza utile al piccolo padronato che se ne serviva per boicottare, anche sul piano fisico, le lotte dei lavoratori sostenute dai sindacati tradizionali.
Per portare avanti queste idee, queste iniziative di lotta, questi programmi, che trascendevano le stupide divisioni e diatribe destra – sinistra, non era neppure necessario ostentare simbologie di un passato che con la fine della guerra e la sconfitta militare aveva chiuso il suo ciclo storico. La sintonia con il fascismo repubblicano, la continuità storica sarebbe stata nei fatti, nei programmi, negli ideali di riscatto nazionale.
Non a caso non pochi furono i reduci del fascismo repubblicano che invece, di fronte a questa squallida realtà di un partito reazionario, ritennero più consono, alla realizzazione di certi ideali e programmi sociali, di entrare nel partito comunista. Non fu un fenomeno da poco, anche se poco se ne è parlato. Nel 1949 il giornale Candido di Guareschi, preoccupato dal numero di ex repubblichini che passavano con il PCI, accettando l’invito fatto da Togliatti, pubblicò una serie di vignette satiriche in proposito.
Oggi sappiamo non solo dell’opera in questo senso del giornalista Lando Dell’Amico, già combattente nella Decima, uscito da un MSI reazionario e che si diede da fare con Paietta e Togliatti per portare i fascisti rivoluzionari nel  PCI,  ma ci fu furono anche accordi, poi non finalizzati, in questo senso tra il PCI e Rodolfo Graziani  al tempo presidente della FNCRSI. Comunque sia, anche da fonte comunista, sembra che tra la fine degli anni ‘40 e i primissimi dei ’50,  furono ben 34 mila i reduci di Salò che passarono nel partito comunista.
E  molti di questi reduci della RSI andarono a costituire quadri dirigenti sindacali o a fare i funzionari di partito nel PCI.


Giorgio Pisanò atlantista doc

 Ma no?
"Il 22 gennaio del 1995, l’ex senatore missino Giorgio Pisanò, in un’intervista a “Repubblica”, ammette che fra i vertici del Msi e i servizi segreti vi è stata “collaborazione a livello politico” e non esclude che il generale Vito Miceli “quand’era in carica avesse rapporti con Almirante"
I parastatali, http://www.archivioguerrapolitica.org/

          Per avere una idea di come sia complesso, oltre che contraddittorio interpretare certe figure politiche che hanno caratterizzato la storia del MSI, giova spendere qualche parola su Giorgio Pisanò (1924 – 1997, foto a lato), anche se, personalmente ci piange il cuore, doverne evidenziare anche molti aspetti non certo elogiativi, in quanto, indirettamente, dobbiamo proprio a Pisanò e alle sue pubblicazioni degli anni ’60, la nostra passione per la ricerca storica  ed oltretutto Pisanò, a torto o a ragione, a modo suo si è sempre considerato un fascista anche se, come vedremo, la sua condotta politica lascia veramente perplessi e proprio qui sta la contraddizione e la complessità sia della politica che  di certi personaggi.
Diciamo subito che i meriti storico revisionistici di Pisanò sono indiscutibili e non solo per le indagini sulla morte di Mussolini, ma anche per aver ristabilito molte verità storiche sulla guerra civile in Italia, Pisanò resta un gigante, quale giornalista da inchiesta per la nostra storiografia nazionale.
Ma per quanto riguarda le sue attitudini politiche è tutto un altro discorso, già partendo dalla considerazione, da molti avanzata, per cui a Pisanò tutto gli si poteva “toccare”, tranne che l’arma dei Carabinieri e il Patto Atlantico.
Sbaglieremo, ma a nostro avviso, non indifferente è il fatto, che una volta catturato dai partigiani, a maggio del 1945, Pisanò che era un ex agente dei Servizi Speciali della RSI, quindi uno di quegli ufficiali che facevano gola agli Alleati, venne praticamente da questi sottratto, come lui stesso racconta, dalle loro grinfie rischiando di essere fucilato.
Conoscendo il modus operandi degli Alleati a quel tempo, una domanda sorge spontanea: si limitarono a salvarlo? Ne dubitiamo.
Pisanò partecipò  alla fondazione del MSI a Como, città nel dopoguerra altamente “pericolosa” e negli anni ’50 svolse la professione di giornalista per il Meridiano d’Italia e poi soprattutto per i rotocalchi della Rizzoli. Un giornalista da inchieste soprattutto storico politiche.
Al tempo le sue posizioni politiche lo attestavano per un fascismo di sinistra, sebbene non accentuato. Nel 1963 fondò un settimanale: “Secolo XX”,  avendo a modello i rotocalchi in cui aveva precedentemente lavorato, per esempio  “Gente” e “Oggi”.
Politicamente questo nuovo settimanale svolgeva una funzione di forte critica al nascente centro sinistra, cavalcando a tutto tondo lo spauracchio del comunismo, a cui le aperture a sinistra di Moro, si paventava, potevano aprirgli le porte del potere. Facile ipotizzare chi poteva essere interessato a finanziarlo.
Ma questi aspetti rientrano nella normale prassi di chi fa politica e non possono nè meravigliare, nè scandalizzare.  “Secolo XX” fu un ottima rivista e produsse anche  inchieste storiche sulla guerra civile in Italia, sulla Storia del Fascismo, ecc. Tra l’altro fu il primo giornale in Italia che parlò chiaramente, apportando importanti elementi, del fatto che Enrico Mattei non morì per un incidente, ma venne assassinato. Purtroppo però la testata durò solo un paio di anni circa.
Significativo però che la prima inchiesta e rievocazione storica, a partire dal Nro 1 di Secolo XX e realizzata con molte puntate, fu la storia della guerra civile in Spagna, dove calcando la mano sui massacri compiuti dai “rossi”, specialmente verso i religiosi,  si insinuava un parallelo, tra le aperture di centro sinistra della Spagna pre guerra civile e le attuali (anni ‘60) aperture di centro sinistra in Italia, che potevano determinare gli stessi tragici eventi della Spagna degli anni ‘30.
Nel frattempo nel 1964 Pisanò  portò avanti una iniziativa politica, denominata “Seconda Repubblica”, con la quale intendeva  ricomporre gli odi della guerra civile, facendo incontrare ex fascisti ed ex partigiani, ovviamente non comunisti, dietro un programma nazionale e sociale di rinnovamento anche Istituzionale.
Una iniziativa politica simile e forse in alternativa a quella dell’ex repubblicano e massone Randolfo Pacciardi, di  “Nuova Repubblica”.
Riviste oggi, queste iniziative e rapportandole a quel tempo,  sollevano molti dubbi, soprattutto se consideriamo che praticamente si sarebbe finito per far incontrare “partigiani bianchi”, alla Edgardo Sogno, e “repubblichini” anticomunisti della “Salò tricolore”: ma per fare cosa?
Nel 1965 Pisanò pubblica settimanalmente una monumentale Storia della Guerra Civile in Italia, a cui segue Storia delle FF.AA. della RSI, due opere importanti e decisive per la verità storica, il cui merito indiscutibile, non può essere negato, anche se risultano in parte inficiate dall’esagerata importanza data alla “guerra rivoluzionaria” del PCI nel 1943 – ‘45 (oltretutto dettata dagli anglo americani e sotto controllo sovietico in base a Jalta) e la sopravalutazione dei cosiddetti “moderati” della RSI, cioè la “Salò tricolore”.
Proprio su queste tematiche Pisanò, forse  non a caso, a maggio del 1965 partecipò al famigerato convegno Pollio, sponsorizzato dallo Stato Maggiore, all’Hotel Parco dei Principi a Roma, dove si discussero, con vari giornalisti e ambienti di destra,  presunte tesi per la guerra rivoluzionaria.
Di fatto, proprio in un momento in cui gli Atlantici stavano per scatenare in Italia la Strategia della tensione, in quel convegno, anche Pisanò illustrò le sue tesi, già accennate nella sua  Storia della Guerra civile, per cui il PCI veniva fatto passare per “rivoluzionario” attraverso la strategia del “cavallo di Troia”, ovvero l’infiltrazione mascherata nel potere. Tesi questa, oltre che non corretta, estremamente funzionale alle strategie statunitensi in Italia in quel tempo.
Vale la pena soffermarsi su questo aspetto perché è importante anche per capire gli sviluppi degli avvenimenti successivi.
Si dà il caso, infatti, che il partito comunista italiano, già a metà degli anni ’60,  non era affatto un partito rivoluzionario teso alla sovversione delle istituzioni.
Anni prima, i suoi dirigenti erano stati condizionati dalla politica della Russia stalinista ed a Salerno nel 1944 Togliatti aveva imposto la scelta strategica della “via democratica al comunismo” adeguando la posizione del PCI alla politica internazionale dei sovietici che si stavano indirizzando verso quelli che poi sarebbero stati i definitivi accordi strategici di Jalta con gli Occidentali.
Neppure durante la guerra civile il PCI svolse una politica  rivoluzionaria perché, oltre che ossequioso alle direttive di Mosca, calibrò la sua condotta in perfetto accordo con gli Alleati, soprattutto le Intelligenze britanniche.
La violenta azione di rottura del PCI nella guerra civile e all’interno del CLN era soprattutto, se non esclusivamente, finalizzata a smontare l’adesione popolare alla RSI, oltre a colpire con attentati gappisti i dirigenti fascisti, soprattutto quelli moderati che potevano assicurare adesioni al governo di Mussolini e alle sue riforme sociali.
A guerra finita il PCI si trovò perfettamente inserito nel sistema democratico, le sue strutture clandestine della guerra civile furono smantellate, le frange oltranziste eliminate e le correnti, diciamo così, “rivoluzionarie”, per esempio quella di Pietro Secchia, poste in minoranza. Si trovò poi estromesso dal governo e condannato all’opposizione dagli sviluppi internazionali che portarono alla “guerra fredda”, che oltretutto era un confronto Est – Ovest, più che altro di carattere “tattico”.
Già negli anni ’60 il PCI, nonostante si veicolasse il marxismo leninismo nelle sue scuole di partito e tra i suoi intellettuali, era un partito riformista, quindi “socialista”, con vasti interessi nella società italiana.
I suoi legami con Mosca (perdurati fino a quando, con gli anni ’70 avanzati, l’opera di Berlinguer, non “occidentalizzò” il partito) e le sue tendenze riformiste, non erano gradite agli americani, che paventavano, non una rivoluzione comunista, ma il fatto che un PCI nelle sfere di governo, poteva accentuare le spinte geopolitiche e terza-mondiste del nostro paese. Da qui un feroce ostracismo verso questo partito da parte degli Atlantici.
Agli industriali, invece, in particolare quelli della media e piccola impresa, il PCI nell’area di governo, non era gradito, perchè non volevano pagare i prezzi di riforme sociali troppo avanzate.
Come si evincerà, nel periodo della strategia della tensione e poi durante il terrorismo brigatista, il PCI fu il massimo difensore delle istituzioni democratiche: altro che partito eversivo.
Tutte queste cose Pisanò, persona intelligente e “informata”, le sapeva benissimo, quindi il suo “terrorismo”, nel denunciare e descrivere un partito comunista sovversivo, quale un cavallo di Troia che si era mascherato da democratico per impossessarsi del potere, era funzionale alle strategie atlantiche di quel periodo e agli interessi del mondo conservatore.
Oggi alcune inchieste e documentazioni, avanzano il sospetto che Pisanò in qualche modo sia stato contiguo, assieme al suo amico e commilitone Tom Ponzi (il famoso investigatore privato), di quel “noto servizio” ultra segreto detto l’Anello,  che si trova al centro di molti misfatti della nostra storia recente.
(Vedesi: S.  Limiti: L’Anello della Repubblica, Ed. Chiarelettere 2011, e Aldo Giannuli: Il noto servizio, Marco Tropea Ed., 2011).
Nel 1968 Pisanò riesumò la testata, già di Guareschi, della rivista  Candido, e ne fece un settimanale di inchieste e lotta politica. Tra le altre, portò avanti una lunga battaglia contro il parlamentare socialista , e poi vicesegretario politico Giacomo Mancini, accusato apertamente e con ampie documentazioni (al tempo, si disse procurategli dal suo amico Tom Ponzi) di essere un ladro per via di un certo scandalo all’Anas.
Anche questa battaglia, che guarda caso tra tanti ladri, a destra, al centro e a sinistra, si focalizzava tutta su questo socialista scomodo a certe operazioni ultra “moderate” (anche se Mancini era sottilmente anticomunista), ingenera molti dubbi. E gli stessi dubbi aumentano considerando un'altra successiva campagna di Pisanò contro Aldo Moro (ma guarda un po’!).
Nel febbraio del 1971  Giorgio Pisanò, direttore del Candido venne arrestato con l’accusa di estorsione che, si disse, avrebbe perpetrato ai danni del produttore Dino De Laurentis e che era attestata da registrazioni telefoniche. Si disse che il produttore aveva dovuto pagare prima 4 e poi 6 milioni di lire, evidentemente per non far emergere scandali a suo danno.
Al processo però queste accuse non si riuscì a provarle, ed oltretutto,  quando venne ammesso in aula l’ascolto delle registrazioni telefoniche, con la voce di Pisanò, queste risultarono manipolate. Pisanò venne così prosciolto e scarcerato.
Nel 1974 Pisanò, con il suo Candido, descrive uno strano personaggio, tale Silvano Girotto, quale “Frate mitra” spacciandolo per un guerrigliero rivoluzionario che si diceva aveva operato in Sud America, quando invece era una spia che il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa intendeva infiltrare nelle Brigate Rosse. Operazione che, infatti, poi andò pienamente a segno.
Frattanto, nel 1972, creato da Almirante il grande carrozzone del MSI DN, Pisanò venne eletto senatore, carica che mantenne per quattro legislature. Divenne membro del Comitato Centrale e della Direzione Nazionale del MSI DN.
Fece parte della Commissione parlamentare Antimafia e della Commissione Parlamentare d'Indagine sulla Loggia P2, dove ha prodotto una ingente e interessante documentazione. Non pochi però avanzano il sospetto che, sul ruolo della P2 e di Gelli, Pisanò abbia, sì dimostrato il malaffare, ma ha anche cercato di non farlo apparire come  finalizzato a scopi politici eversivi da parte di Gelli. Una conclusione questa, scomoda, ma favorevole al gran maestro
Ebbe comunque  il pregio di denunciare il delitto Calvi che molti nei primi tempi tendevano a far passare come un suicidio.
Penosa invece la sua posizione all'interno del MSI dove si battè contro coloro che ne denunciavano la collusione con gli americani e l'occidente. Li accusa tutti di essere al servizio di Mosca!  A tal proposito chiudiamo questa succinta rievocazione riportando una risposta che Pisanò, ai tempi in cui era nel MSI, ebbe a dare alla lettera di un militante anonimo  del Fronte della Gioventù di Vicenza, che chiedeva, da parte del partito, almeno una certa equidistanza: né con gli USA, nè con l’URSS (quale bestemmia! N.d.A.). Ebbene, un Pisanò imbestialito, rispose che queste proposte, antioccidentali e filosovietiche (sic!) erano da cialtroni e chi le avanzava doveva essere individuato e buttato fuori a calci dal MSI (Vedesi: “Italia Tricolore per la Terza Repubblica, Ravenna N.  4 aprile 2006)Ogni commento è superfluo.
Nel 1995 parteggia con Pino Rauti al tentativo di mantenere in vita l’ectoplama del MSI, ma è un tentativo effimero che abortisce ben presto.
Pisanò  fonda anche il movimento Fascismo e Libertà che si caratterizza per un ritorno alla simbologia fascista, propugna una Repubblica presidenziale bicamerale ed espone un programma socialista e non di destra. Evidente il contrasto con i tempi della sua Seconda Repubblica quando invece  si volevano superare certe antitesi e simbologie del passato e con il periodo missista. E’ credibile?
Poco prima di morire recupera una importante testimonianza di una donna, Dorina Mazzola al tempo residente a Bonzanigo, nella Tremezzina, che aveva assistito all’assassinio del Duce e di Clara Petacci in orario antimeridiano del 28 aprile 1945. E’ la più concreta e si può definire definitiva stroncatura della “vulgata” comunista sulla morte del Duce  ed è stato un grande merito che va alla sua indubbia capacità di detective e ricercatore storico.

Qui sotto: volantino di Controcorrente, gruppo giovanile FNCRSI

 



Qualche raggio di sole: Beppe Niccolai

"Pino Romualdi ("Secolo", 2.1.1986), scrive che «occorre metterci in testa, finita la sbornia del mondo che doveva andare a sinistra, che solo il concreto e determinante intervento di una vera grande forza politica di destra può portare il mondo civile in equilibrio. Cioè, -continua Romualdi  - metterlo in condizioni di affrontare e risolvere con le proprie forze i problemi: di controllare e guidare verso il bene le forze scatenate in ogni continente dal vittorioso dilagare della Russia sovietica e del comunismo, e sapientemente trasformate in forze rivoluzionarie, fanatiche e criminali, permanentemente mobilitate contro la società e la civiltà del mondo occidentale, svuotato di ogni valore politico e di ogni volontà dalla tragica sconfitta dell'Europa». (…)
Ma se le cose stanno così, Pino Romualdi deve dirci in che consisteva l'originalità dell'Europa sconfitta, quando affermava di essere, al tempo, sì anticomunista ma soprattutto anticonservatrice, in quanto il comunismo aveva potuto concepirsi e svilupparsi proprio in virtù di un'ingiustizia sociale secolare nata dal seno della civiltà del denaro. Non ha senso una negazione del comunismo che non sia insieme una altrettanto chiara ed esplicita negazione della civiltà neocapitalista. (…)
Il problema non è quello di battere solo il comunismo, ma è, in primissima linea, quello di abbattere un mondo, una struttura economica e morale che ha reso il comunismo possibile e inevitabile. Perché, altrimenti, caro Pino, che si è combattuto a fare?"
G. Niccolai: A Pino Romualdi, in: "L'Eco della Versilia", N°1, 31. 1. 1986

              Sarebbe ingeneroso, da parte nostra, non accennare a qualche raggio di sole, ovvero a qualche personaggi0 che pur agendo in quel mare di sterco che era il MSI degli anni ’70 e ‘80, ha lasciato una sua impronta politica degna di rilievo.
Del resto il MSI era pur sempre un partito politico e come tutti i partiti che occupano un posto sia politico che sociale, vi passano i personaggi più disparati, ognuno con la sua storia, le sue attitudini e professionalità, i suoi ideali e i suoi scopi e interessi, sinceri, onesti  o venali che siano.
Tra i pochi, veramente pochi, che ci vengono in mente, pensiamo ad esempio a Beppe Niccolai (foto a lato), nato a Pisa nel 1920, laureato in giurisprudenza e volontario di guerra in Africa Settentrionale dove si distinse per coraggio e valore. Catturato dagli inglesi finì nel "Fascist's criminal camp" di Hereford, nel Texas.
Deputato per tre legislature, giornalista, intellettuale, con il MSI fu eletto alla Camera dei Deputati nel 1968 e in questo partito cercò, ma oramai tardivamente, di rappresentare l’anima di una sinistra nazionale, contestando le posizioni filoatlantiche, gli apparentamenti con i monarchici e cercando di portare avanti una sua linea socialista nazionale.
Eppure era stato uno stretto collaboratore di Almirante, poi con gli anni ’80 ne divenne avversario soprattutto sulle questioni di politica este ra, tanto che nel 1985 riuscì a far approvare dal Comitato Centrale del MSI, un sostegno a Craxi, per lo scatto di orgoglio nazionale sulla vicenda di Sigonella, dove pur era stato vilmente attaccato da vari parlamentari  MSI.
Ma sostanzialmente i suoi sforzi, apprezzati dalla base giovanile che proprio in quegli anni cominciava a cambiare,  furono vani perché in effetti durante i suoi anni da parlamentare il MSI, oltretutto, aveva preso la definitiva svolta ultra  conservatrice e reazionaria divenendo Destra Nazionale e, bene o male, non poche tematiche di destra sono purtroppo  anche presenti nella politica di Niccolai nonostante fosse definito “di sinistra”.
Niccolai fu componente della Commissione Difesa della Camera nel 1970 / 1972 e della Commissione Lavori Pubblici nel 1968 / 1970, quindi della Commissione parlamentare Antimafia nel 1972 e nel 1976. Non si volle ricandidare alla Camera nel 1976. Fu anche membro della Direzione del MSI DN e interpretò una certa opposizione ad Almirante. Nella sua Pisa fu anche Consigliere Comunale prima e Provinciale poi.
Questo parlamentare ci ha lasciato tutta una serie di suoi scritti e interventi, molti dei quali degni di attenzione e che divergono sensibilmente dalle politiche reazionarie del MSI.
A questo punto però è d’obbligo una domanda: cosa ci ha fatto Niccolai, scomparso nel 1989, per tanti anni nel MSI, di cui non poteva non rendersi conto della sua vera essenza e funzione contraria alle sue idee e agli interessi nazionali, occupando oltretutto varie cariche che, volenti o nolenti, lo rendevano complice, sia pure come contestatore interno, del ruolo del MSI.
Senza contare poi la sua posizione filo israeliana negli anni ’60 e ’70 (chiaramente derivante da quel missismo che identificava demenzialmente negli israeliani i “combattenti in trincea”), che poi attenuò alquanto con espresse simpatie per il popolo palestinese.
Del resto nel suo periodo successivo, quello cosiddetto “eretico”, non poteva non rivedere, almeno in parte, queste simpatie verso Israele, visto che al contempo ipotizzava una visione Europea per l’Italia e un suo ruolo nel Mediterraneo che divergevano chiaramente dal filo atlantismo.
Volendo spezzare una lancia in suo favore possiamo trovare una sola risposta, cioè che Niccolai pur conscio di cosa fosse e rappresentasse il MSI, guardatosi intorno e constatato il vuoto politico che lo circondava, conscio che una alternativa concreta fosse irrealizzabile, preferì portare avanti le sue battaglie dall’interno del partito nella speranza che qualcosa di positivo pur rimanesse.
Se così fosse, è una posizione che possiamo comprendere, ma in ogni caso non approvare del tutto e che lascia anche il campo aperto alla facile illazione che, tutto sommato, così facendo si è conciliato il sacro con il profano, l’utile con il dilettevole, ovvero il continuare ad attingere alle cariche e gli incarichi che il ruolo di parlamentare permetteva con l’estrinsecazione di un certo messaggio ideale che però in quel partito marcio, non poteva che rimanere lettera morta, tornandogli anzi utile per illudere e tenere nel partito una parte della base che si riconosceva in quelle tesi alternative e contestative.
Ci rendiamo conto che i nostri sono sospetti forse ingenerosi, ma non possiamo sottacerli, come anche, ad esempio, che la figura e la “contestazione da sinistra” di Niccolai, pur sempre interna al partito, tornava utile alla dirigenza, Almirante, per avere sotto controllo tutta l’area della base del partito.
Avremmo apprezzato molto di più che, ad un certo momento, Niccolai avesse clamorosamente abbandonato quel partito, con un gesto pubblico, clamoroso che oggi, assieme ai suoi scritti, sarebbe rimasto a testimonianza storica.


Giulio Caradonna emblema del missismo
Senza commento
"Comunità ebraica romana – 28 ottobre 1973 – 27 Tisc’rì 5734 –
On. Giulio Caradonna Dirigente della Destra Nazionale Lazio
“Molto grato per le gentili e nobili espressioni di solidarietà, Le invio, con i sensi del più vivo apprezzamento, migliori saluti”.
Firmato Elio Toaf Rabbino Capo"

Giulio Caradonna                      
         Indispensabile è adesso accennare anche ad un paio di testimonianze del  missista Giulio Caradonna, foto a lato, per cogliere appieno quello che è stato il MSI.
Se non proprio tra i fondatori, Giulio Caradonna, ebbe comunque un importante ruolo nella storia missista, ma tanto per comprendere in che clima di dissolutezza e imbecillità furono cresciuti i giovani di questo partito e al contempo come agli avversari faceva comodo alimentare un certo “immaginario collettivo”, ricordiamo che ai tempi Caradonna veniva spacciato come un “picchiatore”, anzi il capo dei picchiatori per antonomasia.
Se la corrente elettrica è una corrente forte, chi tocca Caradonna: pericolo di morte” erano le demenziali strofette che giravano tra i giovani attivisti di sezione negli anni ‘60. Come sia nata questa “leggenda metropolitana” non si sa’, forse per il fatto che Caradonna, negli anni precedenti, aveva partecipato agli scontri di piazza o forse perché da “onorevole” a volte si presentava in qualche situazione di piazza alla testa di gruppi di attivisti da lui racimolati, ma ovviamente agli avversari, a cui faceva comodo questa figura di “fascista da film”,[1] come spesso fu definita, non pareva vero alimentare tali dicerie, nonostante che lo stesso Caradonna finì per confessare che lui tutto poteva essere stato tranne un picchiatore essendo per giunta un grande invalido a seguito di un incidente.
Di Caradonna, di cui si sussurrava, come poi fu confermato, che fosse un massone (come se non ce ne fossero altri!) si diceva, che quando i fascisti della Federazione Nazionale Combattenti RSI, nel 1967, affissero manifesti in favore della lotta del popolo arabo aggredito dai sionisti lui, in Direzione MSI, andò su tutte le furie.
Pochi anni dopo, precursore ante litteram di tanti altri suoi sodali, si recò al Museo dell'Olocausto di Gerusalemme per deporre una corona di fiori.
Il 28 ottobre del 1973 Caradonna ebbe anche una lettera di ringraziamento dal rabbino Elio Toaf per le sue posizioni filo sioniste, lettera che Almirante ebbe cura di portare con sè nel suo viaggio in America nello stesso anno.[2]
Sintomatico, per capire certe “evoluzioni” storiche, quanto abbiamo già riportato circa la confessione di  Caradonna che per convincere ed anzi spostare ancor più a destra i reduci del fascismo repubblicano, che di destra non erano, tornavano utili gli scontri con i rossi..
Come vedesi una tesi questa, cara a Caradonna che già abbiamo accennato nelle pagine precedenti dove la contrapposizione dura ai comunisti era anche messa in relazione a stemperare l’antiamericanismo che vi era nel dopoguerra e nei primi anni ’50 nella base missista, come dire due piccioni con una fava.
E a questo perfido gioco si prestarono di sicuro anche gli avversari a cui faceva comodo a tutti che ci fosse un partito, che ben sapevano non era fascista, ma che venisse spacciato come tale.
E il prezzo di questo infame stillicidio, facciamo notare, lo pagarono tanti camerati, visto che in  quei turbolenti anni, come si apriva una sede del partito o si teneva un comizio in zone “calde”, subito avvenivano aggressioni da parte dei comunisti e si innescava la spirale delle ritorsioni e delle vendette.
E il gioco degli opposti estremismi fu ancor più pagato negli anni ’70, gli anni di piombo, da tanti ragazzi di destra e di sinistra, spesso adolescenti, fatti reciprocamente ammazzare o invalidare in nome di un odio feroce, demenziale, quasi da stadio.
Per quel che qui ci riguarda non possiamo non notare come tutto il mondo giovanile missista, grazie ad un MSI oramai emblema dei partiti conservatori e filo atlantici, era definitivamente conformato dalle ideologie e dalle tematiche della destra, ma erano pur sempre dei ragazzi, spesso di coraggio e generosi, che il partito sfruttava per attività elettorali, per tenere in piedi le sezioni, per fare da “scudo” ai dirigenti. Ai ragazzi non fregava niente del filo atlantismo e anche se, in contrasto con i “rossi”, inneggiavano contro tutto ciò che a  questi si contrapponeva, non per questo erano filo americani.
La base giovanile missista, salvo eccezioni che non mancavano, non era filo americana e neppure al servizio della polizia, come dicevano le sinistra, ma era tutto il contesto, la politica stessa del MSI, che li portava, magari senza neppure accorgersene, a muoversi in quel senso.
E non mancavano anche casi, vedesi i fatti di Milano del 1973 in cui rimase ucciso un agente di Ps, che questi giovani venivano impiegati per scatenare scontri di piazza per chissà quali ambigui interessi.
Ma quando ci scappava il morto, quando le violenze trascendevano, i dirigenti missisti non lesinavano di denunciarli, di disconoscerli, come raccomandava loro Almirante. In pratica questi giovani facevano da carne da cannone, sostenendo anche il peso della sinistra scesa sul piano della lotta armata, e quindi lasciati al loro destino.
Tutto pane per il Sistema che trovava ragione di sussistenza anche nelle logiche perverse degli “opposti estremismi” e per i farabutti che gestivano il MSI e che ci rimediavano lauti posti al parlamento o negli Enti locali o ruoli ben remunerati nel partito.
Più chiaro di così
         Ma ancor più Caradonna ebbe anche ad illustrare, in tutta sincerità, quale era stata la vera funzione del MSI, quando disse e le sue parole andrebbero scolpite nella pietra e messe al collo di tanti ingenui, da rasentare l’imbecillità, soprattutto quelli che ancora ritengono che fu Gianfranco Fini a Fiuggi a rinnegare certe idee:
"Il MSI fu una grande operazione di Michelini e Almirante che ereditarono il fascismo anticattolico, antisemita e antiborghese, di Salò e ne fecero una forza conservatrice, filoisraeliana e filo atlantica".
Se le parole, oltretutto spesso ripetute in varie occasioni da Caradonna, ma non solo da lui, hanno un senso e del resto sono dimostrate, proprio da quello che fin qui noi abbiamo ricostruito ed illustrato, abbiamo la conferma e non vi sarebbe bisogno di aggiungere altro che ci furono personaggi, predisposti ideologicamente e operanti in tal senso, evidentemente in nome e per conto di determinati interessi i quali,  ingannando tutti, trasformarono un ambiente umano e politico nel suo esatto contrario, con buona pace di tutti gli imbecilli che credono ancora alle favole.


Il MSI e lo Stato ebraico
 Fin dove può arrivare il falso e il servilismo
"I diritti degli Arabi sulla Palestina non prevalgono di certo su quelli che, del pari, vi vantano gli ebrei. Sono raffronti obiettivi, suffragati da elementi d’una incontestabile verità storica.
(L’ora della verità, s.f., in “il Secolo d’Italia”, 11 giugno 1967)

      
       Altro aspetto, non certo edificante, che ha caratterizzato la storia del MSI sono i suoi rapporti con Israele, da noi già evidenziati nel paragrafo precedente, parlando di Caradonna.
Parliamoci chiaro: qui non si tratta di razzismo, antisemitismo o altro, qui si tratta della collusione con una Stato che, a prescindere della sua natura violenta e sopraffattrice di un intero popolo e altre nazioni, ai quali ha rapinato terre e abitazioni (per edificare e poi ingrandirsi a dismisura), rappresenta l’avamposto avanzato dell’Occidente, la cerniera tra il Mediterraneo, l’Africa e il Medioriente, ergo una parte importante dell’area geopolitica controllata dai nostri colonizzatori.
Ma non solo gli aspetti geopolitici, avrebbero dovuto indurre a parteggiare per i paesi arabi, c’erano anche quelli storici, laddove i paesi islamici, nell’ultimo conflitto mondiale,  avevano simpatizzato per l’Asse e contro i britannici e oltretutto l’Occidente capitalista era un nemico comune.
Questi temi ovviamente erano quasi del tutto sconosciuti alla base missista la quale, in parte antiebraica, si alimentava più che altro con un antisemitismo stupido e generico sostanziato dal fatto che “gli ebrei controllano l’economia e il commercio”.
Su questo argomento, scabroso per molti, ben poco si è scritto in letteratura, laddove forse l’unico lavoro organico risulta quello di Gianni Scipioni Rossi: “La destra e gli ebrei Una storia italiana”, Ed. Rubettino, 2003, dove si parla anche della Fncrsi e la sua posizione filo araba e filo palestinese, ma si riportano però anche alcune inesattezze.
Anche le vicende, che abbiamo precedentemente accennato, dell’apporto dato dalla ex Decima Mas, agli israeliani o pure quella dell’esplosivo fornito ai terroristi israeliani nel 1947 attraverso Romualdi, sono molto istruttive per constatare come, questi ambienti e personaggi,  invece di vedere nel sionismo un nemico irriducibile del fascismo e del nostro Paese, ci intrattenevano rapporti e lo aiutavano sfacciatamente.
Rapporti alquanto curiosi visto che gli ebrei, pur sapendo benissimo che il MSI non era un partito fascista, vedevano però in molti esponenti di questo movimento uomini del ventennio e della RSI o per meglio dire, personaggi del tempo delle Leggi razziali. E come è loro costume, non “dimenticavano” e quindi, fino a quando Gianfranco Fini non andò a Gerusalemme a dichiarare apertamente che il fascismo era il male assoluto, mantennero sempre, almeno esteriormente e nella ufficialità,  una certa schifata distanza verso il MSI.
Questo non toglie  però che gli ebrei approfittassero di tutte le “gentilezze” e gli appoggi che il MSI, forniva alla causa sionista.
I missisti, d’altra parte, facevano di tutto per ingraziarsi la lobby ebraica consci che era estremamente influente e questa posizione era conseguenziale e perfettamente in linea con il loro filo atlantismo e filo americanismo. Non c’è niente quindi che ci possa meravigliare.
Il peso delle leggi razziali
           Ora, come detto, per valutare esattamente questo rapporto non dobbiamo riferirci alle posizioni ideologiche, al razzismo, antisemitismo, ecc.  che del resto il MSI neppure avanzava, trovandosi oltretutto già in forte imbarazzo rispetto alle Leggi razziali del ventennio, al ruolo avuto da Almirante in giornali al tempo antisemiti come il Tevere e La difesa della razza, ma proprio alle relazioni, palesi o nascoste, tra il MSI e il sionismo.
Sta di fatto che per uscire da questo “imbarazzo storico” verso gli ebrei, spesso i missisti si cimentavano in articoli o saggi, in particolare Giorgio Pisanò (suffragati anche dalle ricerche storiche di Renzo De Felice) per dimostrare che, in fin dei conti, Mussolini aveva salvato molti ebrei dalle deportazioni e comunque non si poteva addebitare nulla al fascismo in merito alle persecuzioni antiebraiche. [3]
Ma tutto questo ovviamente agli ebrei non poteva bastare:  le sole Leggi razziali, di per sé stesso erano pur state varate e applicate e quindi restava sempre una certa diffidenza e distanza tra ebrei e missisti, i quali erano spesso costretti a recitare una vera e propria farsa.
Già  nell'agosto 1946 sul primo numero di "Rataplan", settimanale anche di Nino Tripodi, si cercavano giustificazioni di ogni genere e pietosi mea culpa:
"Non fu per supina acquiescenza a ordini tedeschi, bensì per la speranza, meglio, per il calcolo politico sui vantaggi ottenibili in Medio Oriente in caso di guerra. Un calcolo che in pratica si rivelò sbagliato, e comunque meno infame di una brutale ubbidienza a ordini di Hitler, ma pur sempre un'azione ridicola in fatto di premessa scientifica razziale, e maledetta e cattiva, quando arrivò a colpire i bambini espulsi dalle pubbliche scuole, alti funzionari, ineccepibili ufficiali e il sacramento del matrimonio".
Con il tempo, i missisti, stretti nel loro demenziale “né restaurare, né rinnegare”, presero a dichiarare  (ma un poco alla volta per carità! I voti dei “nostalgici” sono pur sempre voti”) che le Leggi razziali erano state un errore, fino a quando Almirante, dopo essersi per anni barcamenato per  ripudiare  certe posizioni razziste o a giustificarsi verso l’ebraismo di suoi passati articoli su La difesa della razza,  attestò la condanna  del MSI su le Leggi Razziali, in televisione (Tribuna stampa televisiva del 23 febbraio 1967).  
Ma come premesso, questo aspetto “ideologico” ha scarsa importanza, perché quel che conta sono le posizioni geopolitiche che un partito che si definiva nazionale e nazionalista, avrebbe dovuto tenere negli interessi del nostro Paese ed invece si comportò come un ignobile servo, tra l’altro poco gradito, del sionismo.
Esulando quindi dal contesto ideologico, che nessuno mai ha inteso affrontare o rivendicare, i rapporti tra il MSI e l’ebraismo vanno visti nel senso dei rapporti tra il MSI ed Israele.

Israele punta avanzata del colonialismo occidentale
         La prima valutazione che in questo senso occorre fare è quella che il MSI fu un ottimo alleato dello Stato ebraico e questa sua posizione, da sola dimostra tutto l’antifascismo e l’anti italianità di questo partito.
A parte il fatto che, come abbiamo avuto modo di accennare, l’ebraismo era stato uno dei massimi artefici della guerra al fascismo e della distruzione dell’Italia e della Germania, avrebbe anche dovuto essere a tutti chiaro che il dominio anglo americano in Europa, il loro controllo sul Mediterraneo, nel vicino Oriente e in Africa, passavano anche attraverso Israele, avamposto dell’Occidente in queste aree.
Non pochi ipotizzavano che in realtà gli Stati Uniti erano ostaggi delle lobby ebraiche, ma comunque sia le cose non cambiavano ed Israele poteva considerarsi a tutti gli effetti come parte integrante del colonialismo Occidentale.
Le conseguenze di queste valutazioni geopolitiche, che pur avevano improntato alcuni uomini di governo italiano che, nonostante gli “obblighi” verso lo Stato ebraico, derivanti dalla nostra collocazione internazionale, nell’interesse del Paese si sforzavano di tenere una certa equidistanza nel contenzioso arabo – israeliano e di mantenere buoni rapporti con i Paesi arabi, erano chiare per tutti, meno ovviamente per i missisti, che nascondendosi dietro la solita storia del pericolo sovietico, si ponevano di traverso  e parteggiavano sfacciatamente per Israele.
Gli aggressori spacciati per vittime
          E così le guerre di aggressione di Israele, in particolare quella del 1956 e quella del 1967, che avevano consentito allo Stato ebraico di espandersi vergognosamente rapinando territori attigui e causando altre centinaia di migliaia di profughi nel popolo palestinese, erano viste dal MSI come misure atte alla difesa della Nazione ebraica, che si diceva, aveva pur diritto a vivere (la nazione ebraica, ovviamente, non tutti gli altri popoli  massacrati e privati di terre e case!).
In pratica, né più, né meno che il ritornello della propaganda sionista.
E questo nonostante che per esempio Nasser, anni prima, avesse devoluto dei finanziamenti anche al MSI, nel tentativo di avere orecchie amiche in Italia.
Non servì a nulla: quando gli israeliani, durante la crisi di Suez, attaccarono l’Egitto nel 1956, dietro una retorica avversione parolaia del MSI alla Gran Bretagna, le dichiarazioni, sia pur prudenti degli esponenti missisti, in imbarazzo verso la base, mostravano chiaramente che il partito era dalla parte degli israeliani, soprattutto dopo che i sovietici si misero in mezzo per evitare il completo disastro degli egiziani (il solito “anticomunismo” utile a giustificare ogni nefandezza!)
Ma fu nel 1967, di fronte alla nuova grande aggressione israeliana, concretizzatasi nella rapina di ampi territori all’Egitto, alla Siria  e nella conquista di Gerusalemme, la città che avrebbe dovuto essere patrimonio di tre religioni, che il MSI, gettò totalmente la maschera parteggiando apertamente per gli israeliani.
L’aggressione sionista viene presentata come un “attacco preventivo” teso ad anticipare analogo attacco degli egiziani; i toni che descrivono le “gesta degli israeliani sono trionfalistici. L’esercito israeliano, enormemente superiore per mezzi e qualità degli stessi, rifornito e coperto strategicamente dagli americani, in pochi giorni distrugge le forze nemiche e conquista tutti gli obiettivi prefissati. L’URSS è costretta ad inviare armi e istruttori e ad alzare la voce per impedire il totale tracollo di Egitto e Siria. I paesi del blocco dell’Est, ad eccezione della Romania rompono le relazioni con Israele. Al MSI non pare vero:  la spinta emotiva data dai “vincitori” sul campo e lo starnazzare del pericolo sovietico e comunista, gli consentono di imporre la sua linea filo israeliana alla base.
Il presidente egiziano Nasser venne cervelloticamente accusato di “cripto comunismo” (vedasi: Il M:S:I. agli Italiani, Elezioni politiche 1968, Roma, s.d.,) e di essere “al soldo di Mosca”, mentre Israele diventava “un baluardo contro il comunismo(Michelini, in “Il Secolo d’Italia”, 6 giugno 1967.).
Questa scellerata posizione filo israeliana, oltretutto contraria (come al solito) ai nostri interessi nazionali, avendo la base del partito non tutta favorevole (almeno fino a tutti gli anni ’60, perché poi la stessa base missista cambiò profondamente), già nei primi anni del missismo era stata portata avanti in sordina, con molta accortezza, facendo più che altro e scaltramente, leva su alcuni luoghi comuni che potevano  essere recepiti favorevolmente, in particolare, dai militanti più sprovveduti.
Per esempio, gli si diceva che Israele aveva costruito un “giardino nel deserto”, cosa oltretutto non vera perché i palestinesi contavano infrastrutture e coltivazioni di tutto rispetto che gli furono letteralmente rapinate, oppure che i pionieri ebrei dei kibbutz potevano essere assimilati ai nostri legionari con la vanga e il moschetto, e altre stupidaggini del genere.
Aberrazioni ideologiche
          In pratica questa “simpatia” verso Israele veniva sostanziata da due autentiche mascalzonate, una tattica ed una ideologico - strategica:
primo, che gli arabi erano amici dei sovietici, ergo noi dovevamo stare dalla parte di Israele (aspetto tattico);
secondo, e questo era portato avanti anche da altri gruppi extra al MSI di ideologia più o meno “evoliana”, si sosteneva che si doveva considerare Israele come l’ultimo baluardo dell’uomo bianco in Africa e in Medio Oriente (motivazione ideologico - strategica).
In poche parole, lo Stato teocratico ebraico che mirava al potere mondiale, avamposto dell’imperialismo Occidentale che ci schiavizzava e devastava esistenzialmente, veniva spacciato come un ultimo avamposto da difendere!
Don Curzio Nitoglia, in alcuni suoi saggi, ha ricostruito molto bene, le vergognose collusioni tra il MSI e i sionisti. Ne riportiamo alcuni passaggi, dal suo saggio: Israele e il MSI-AN, reperibile on line:
"Almirante e Michelini sono  stati sin  dal  26  dicembre del  1946  filo  americani e  poi  filo  israeliani sin  dalla   fondazione dello  Stato d’Israele (1948). Nel  1948  “il  quotidiano  del  MSI  guarda  con  palese  simpatia  a  quelli  che  chiama  in  un  primo  tempo  “sionisti”  e  dopo  qualche  giorno  semplicemente  “ebrei”,  scaricati  dagli  inglesi(Scipione  Rossi,  La destra  e gli  ebrei. Una storia  italiana,  Rubettino,  Soveria  Mannelli, 2003) .
Col  1967  (la  guerra  dei  sei  giorni),  quasi  tutti  scoprono  che  Israele  è  il  “baluardo  dell’occidente”  contro  l’espansionismo  sovietico! [4]
Franz  Maria  D’Asaro  (direttore  del  Secolo  d’Italia)  racconta  che  “Almirante  sin  dai  primi  anni  Cinquanta,  sensibilizzava  il  nostro  interesse  nei  confronti  dello  spirito  pionieristico  e  patriottico  con  il  quale  i  fondatori  dello  Stato  d’Israele avevano  fondato  la  nuova  nazione”  (Franz  M. D’Asaro,  “Il  Secolo”?  Doveva  durare  un  anno,  in  “ I  50 anni  del  Secolo  d’Italia” ,  inserto  del  16  maggio  2002). (…)
Nel  documento  conclusivo  del  X  congresso  del  MSI  nel  1973,  si  legge  a  pagina  44:  “Israele  ha  diritto a  una  pacifica  e  sicura  esistenza” .
Nel  1983  il  MSI  chiede  “una  Patria  per  Israele”  (MSI- DN:  Il messaggio  degli  anni  ottanta,  Roma,  1983). (…)
Ma  dieci  anni  prima  di  Caradonna,  un  altro  ex  repubblichino,  Giano   Accame,  si  era  già  recato  - come  inviato  del  Borghese  - a  Gerusalemme  nel  1962  (31  anni  prima  di  Fini) .   Accame  vi  ritornò  nel  1967,  ancora  come  inviato  del  Borghese  dell’ex  repubblichino  (massone  ed  ebreo)  Mario  Tedeschi,  tenacemente  filo  israeliano. (…)".[5]
(Vedesi: Israele e il MSI-AN, in: http://doncurzionitoglia.com/ israelemsi)
Nel suo articolo: “Da Almirante a Tel Aviv”, anche Adriano Scianca, su la rivista Orion di marzo 2004, riassume magnificamente alcune situazioni storiche tra ambienti missisti e sionisti:
"Anche la guerra del Kippur (1973) trova la dirigenza missina entusiasticamente schierata su posizioni filo-israeliane. In una rivista giovanile di destra non ci si vergognerà nello scrivere:
«Israele si espande perché è la Storia dell'Uomo che lo chiama a compiere quell'opera di civiltà e di guerra che altri popoli, altre nazioni (…) rifiutano di compiere. Israele è anche il nostro futuro».[6]
[Ugo Bonassi, Addio ai padroni, in "Il Principe", novembre 1970 (cit. in Gianni Scipione Rossi: La destra e gli ebrei, Ed. Rubbettino 2003)].
Almirante, si reca negli USA portando a garanzia della propria legittimità democratica una lettera scritta dal Rabbino Capo di Roma, Elio Toaff, a Giulio Caradonna, indefesso sostenitore della politica israeliana e divulgatore di discutibili tesi storiche su di una presunta politica filo-sionista del Fascismo.
Anche l'ambiente «culturale» si dà da fare: se da una parte dalle colonne de "Il Borghese" Giano Accame propaganda fin dal 1962 l'idea di Israele come piccolo stato eroico e nazionalista, avamposto d'Occidente assediato dai comunisti arabi, dall'altra Giuseppe Ciarrapico, editore «cerniera» tra la destra della DC andreottiana ed il MSI, comincia a pubblicare testi apologetici delle gesta delle armate sioniste… mentre nel 1981 toccherà addirittura alle memorie di Begin"
(Articolo completo visibile anche on line in: http://www.beppeniccolai.org/Da_Almirante_a_Tel_Aviv.htm).
Quindi, come abbiamo visto, con la fine degli anni ‘60 ogni remora verso un esplicito filo sionismo viene a cadere e marcherà in pieno gli anni ‘70.
Se nella dirigenza del partito si verificano delle divergenze, queste sono più che altro di natura tattica, come ad esempio Pino Romualdi:
 [Romualdi è per la non condivisione degli] "entusiasmi per Israele e per le sue più o meno facili vittorie militari, non in odio ad Israele e per amore dei poveri Arabi [per carità! N.d.A.], ma semplicemente perché queste vittorie non giovano a nessuno".
[E’ stolta la convinzione del MSI DN] <he le vittorie di Israele ci salvino dal comunismo, quando è stato proprio approfittando di questa situazione che la Russia e il comunismo hanno potuto – e ancor più potrebbero domani – allargare e consolidare la loro presenza nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e in Africa
>> (P. Romualdi, “Una lettera a ‘Panorama’, su L’Italiano novembre 1973, riportata da G. Scipioni Rossi, opr. cit.).
Il che, tradotto per gli immemori e gli ingenui sta, più o meno, a significare:  l’Occidente, Israele compreso, è la nostra culla e la nostra difesa, ma tutto è minacciato dal comunismo e dalla Russia (ah questi rossi!) che approfittano della situazione bellica creatasi in Medio Oriente e vengono a minacciarci.
Il prode Anselmo va alla guerra: alla vigilia del dibattito alla Camera sulla crisi mediorientale del ’73, Caradonna chiede che sia negato lo spazio aereo italiano a tutti gli aerei del Patto di Varsavia diretti nei paesi arabi e accusa il governo di ambiguità (…) E questo mentre:
"Israele, oggi più di ieri si batte anche per l’Europa".
 G. Caradonna: Il Secolo d’Italia 27.10.1973. (Cfr.: G. S. Rossi, opr. cit.).
Quello che accade nel nostro Parlamento dopo che il 6 ottobre del 1973 era scoppiato il nuovo conflitto arabo – israeliano (guerra del kippur) mostra tutta l’anti italianità di questo partito di destra e il suo servilismo verso gli atlantici e il sionismo.
Devesi ricordare infatti che il governo italiano, presieduto da Mariano Rumor, ma soprattutto con  Aldo Moro al ministero degli Esteri e nell’occasione con il sostegno delle sinistre, rifiutò agli americani l’uso di basi italiane per i rifornimenti all’esercito israeliano.
Moro in pratica cercò di adottare, come anche fece in seguito,  una linea politica che mantenesse il nostro paese estraneo al conflitto, preservasse la possibilità di giocare un ruolo futuro nel terzo mondo ed evitasse che il nostro paese divenisse terra di scontro tra frange di guerriglia palestinese e il Mossad israeliano. Ancor più delle future aperture politiche di Moro verso il PCI, fu probabilmente proprio questa “equidistanza” mostrata più volte da Moro a determinare verso di lui un forte ostracismo da parte americana, soprattutto Kissinger, e un odio feroce da parte israeliana, che finì per costargli la vita.
Il 13 ottobre 1973 a Copenaghen, al vertice dei paesi della Cee, venne anche accolta la proposta  italiana di Moro per un appello alla cessazione delle ostilità e l’avvio di negoziati in base alla risoluzione N. 242 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (risoluzione mai digerita da Israele). 
Il 17 e 18 ottobre Moro aveva illustrato al Senato e alla Camera la valutazione del governo, illustrandone l’operato e indicando i vantaggi che ne risultavano anche per l’Europa chiamata ad esprimere una linea comune. In quelle sede Moro ottenne apprezzamenti bipartisan da vari settori del Parlamento con la eccezione di alcuni deputati liberali e ovviamente l’avversione del MSI!
Qualche anno dopo, sul Secolo d’Italia, tra il marzo e l’aprile del 1976, vengono pubblicati cinque articoli di Giulio Caradonna «nettamente schierati con le ragioni dello Stato ebraico, che si appellano al filo sionismo», la cui importanza e netta presa di posizione, così impegnativa a favore dello Stato ebraico, non poteva non aver avuto l’avallo, se non la promozione, di Almirante.
Potremmo riportare pagine e pagine per dimostrare il vergognoso allineamento del MSI nei confronti degli israeliani, ma crediamo che sia del tutto superfluo, tanto è evidente la cosa.
E ci sono ancora degli imbecilli o “vedove” afflitte del MSI, che si meravigliano che Fini a Gerusalemme abbia abiurato tutto, o che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, nel 2008 sia andato a festeggiare con gli ebrei romani sotto l’Arco di Tito, i 60 anni della nascita dello Stato ebraico, rendendo omaggio agli ebrei della presenza del sindaco della città eterna, proprio sotto quell’Arco che gli ebrei hanno sempre avuto in odio, come in odio hanno la storia di Roma.




CONCLUSIONI

"Pino Rauti e Ordine nuovo sono stati strumento dello Stato e del regime, con un capo che faceva il giornalista nel quotidiano democristiano "Il Tempo", che era un consulente del capo di Stato maggiore dell'Esercito e poi della Difesa, generale Giuseppe Aloja, che era in contatto diretto con il direttore del SID, ammiraglio Eugenio Henke.
Il Movimento sociale italiano è l'unico partito politico che ha annoverato fra i suoi parlamentari ben tre direttori dei servizi segreti: i generali Giovanni De Lorenzo, Vito Miceli e Luigi Ramponi. Appare evidente che Pino Rauti ed Ordine nuovo non erano considerati "nazisti" dai vertici militari e politici italiani, e che il Movimento sociale non era visto come "alternativa al sistema""
(V. Vinciguerra, in Alessandro Limido, Intervista a Vinciguerra, 2011 - http://www.archivioguerrapolitica.org/


Tirando le somme, possiamo dire che il MSI, suo malgrado, ha rivestito una posizione anomala nel sistema democratico occidentale imposto in Italia dai vincitori della guerra, nonostante che la sua nascita fu auspicata e controllata da costoro, per i loro interessi, ma si dà il caso che questo movimento nasceva anche per sacrosante esigenze dei reduci del fascismo repubblicano e di quella parte di Italiani non abbrutiti dalla propaganda resistenziale che volevano recitare un ruolo nella scena politica.
Resta il fatto che nella creazione del MSI vi fu anche l’opera di personaggi, che in nome e per conto di interessi reazionari e extranazionali, manovrarono per avere a disposizione sia i militanti di questo nuovo partito che l’area popolare che avrebbe potuto rappresentare, interessati anche a che tutte quelle energie e realtà politico – sociali non finissero per assestarsi su sponde contrarie, come sarebbe stato naturale che fosse, ovvero a contrastare il capitalismo, il mondo borghese e clericale, la monarchia,  indirizzandosi anche per una lotta di liberazione nazionale contro gli occupanti.
Queste manovre, queste forzature, riuscirono in pieno, soprattutto perché una buona parte dell’area umana su cui nasceva il MSI, in particolare gli ex della Salò tricolore, era  naturalmente predisposta verso politiche di destra.
Il tempo fece poi il resto.


Prove inequivocabili della manipolazione
        Comunque sia non ci sono dubbi su quest’opera equivoca e subdola, volta a manipolare e indirizzare la nascita del MSI, perchè i fatti, le circostanze e le documentazioni attestano che le cose non possono essere andate diversamente.
Abbiamo visto, infatti, che la maggioranza delle organizzazioni clandestine del neofascismo del primo dopoguerra erano in qualche modo sotto il controllo dell’Oss di J. J. Angleton (anzi alcuni, seppur non propriamente fascisti, come certi spezzoni dei reparti della Decima Mas di Borghese, erano addirittura “in servizio” degli Alleati); abbiamo poi visto che tra i “padri fondatori” del MSI vi erano molti elementi in contatto con gli americani, tra questi, sicuramente e come attestato dalle stesse ricerche storiche: Guiglia, Michelini, Romualdi, Puccioni, Buttazzoni, Pignatelli e Muratori, ma a nostro avviso ve ne erano anche altri.
In cosa consistevano e da quando erano stati avviati questi “contatti” non ha molta importanza, mentre è invece determinante la semplice considerazione che gli statunitensi nell’Italia occupata non mantenevano questi contatti, non elargivano finanziamenti per spirito di carità o filantropia, ma operavano in base ai loro interessi sia contingenti che strategici.
Ergo, stante così le cose, se le iniziative per mettere in piedi un partito politico costituzionale poterono andare avanti e concretizzarsi, non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, ma è evidente che gli americani ne erano al corrente, approvavano e davano un sostegno perché era nel loro interesse.
Abbiamo poi visto che la maggioranza di quei “padri fondatori” del MSI erano uomini con una visione politica di destra conservatrice e spesso con contatti e militanze in movimenti di destra, monarchici e quant’altro; in alcuni come Michelini, De Marsanich, Puccioni, Turati, Gray, Patrizi, Muratori, De Marzio, ecc., l’attestazione di destra era marcata ed evidente; in altri invece, come per esempio Romualdi, Buttazzoni, Pignatelli, ecc., la mentalità o ideologia di destra è ugualmente evidente, ma più sfumata, sottotraccia,  visto che il primo era un ex segretario del partito fascista repubblicano, il secondo un valente militare e il terzo un proprietario terriero, romantico combattente, che aveva operato dietro le linee nemiche nel sud Italia occupato dagli alleati.
Altri ancora, come per esempio Almirante, non sono, per quel preciso momento storico, facilmente inquadrabili ideologicamente e politicamente, ma considerando le manovre e le politiche da costui messe in atto, anche qui la qualifica di “uomo di destra” è indiscutibile.
Ed infine è anche assodato che alcuni di questi elementi erano in contatto con ambienti della Democrazia Cristiana e della grande industria, quindi del Ministero degli Interni e della Chiesa i quali, per poco che si può dire, non erano di certo contrari alla nascita di questo movimento, anzi ne avevano evidenti interessi.
Stante così le cose, nessuno che non sia un deficiente, può negare che alla nascita del Movimento Sociale Italiano vi parteciparono, direttamente o indirettamente,, perchè interessati o comunque la supervisionarono: americani, forze politiche conservatrici, interessi industriali, DC e Ministero degli interni, insomma tutto il fronte della reazione!
E vi risparmiamo di citare le presenze massoniche, sicuramente presenti, ma difficilmente attestabili con nome e cognome, ma possiamo anche immaginare che essendo tutta l’opera di costituzione di questo partito, che in un primo momento doveva apparire per quello che non era, quindi relazioni, contatti, tra persone e ambienti distanti ed eterogenei e traffici sotto traccia, doveva avvenire principalmente grazie alla massoneria da sempre maestra in questo genere di lavorio underground. E al tempo, massoni e massoneria, non potevano non essere presenti in questi avvenimenti o per meglio dire non stavano lì a pettinare le bambole.
In questa sede a noi, non interessa appurare se tutti o alcuni degli elementi citati, decisivi per la nascita del MSI, agirono in malafede perché erano dei corrotti, dei prezzolati, delle quinte colonne o agirono, come era naturale che agissero, in conseguenza della loro mentalità, ideologia e convinzioni politiche: sono fatti e misfatti ed eventuali miserie umane che spetteranno ad altre inchieste appurare.
A noi interessa aver rilevato e indicato, che ci furono delle “perfide menti”, sicuramente “perfide” perché agirono o interagirono, con un operato ingannevole, nella costituzione di questo partito, attraverso i reduci della RSI, i cui fini reconditi e scopi nascosti vennero celati, come venne anche mascherato il fatto che si trattava di un partito conservatore e reazionario.
Una serie di tragiche circostanze, del tutto eccezionali, come l’odio che divampava nel dopoguerra tra i fascisti braccati e massacrati e i comunisti soprattutto, agevolarono il compito delle “perfide menti”, perché queste circostanze fecero sì che molti di questi reduci cedettero alle lusinghe e agli aiuti che vari ambienti anticomunisti e conservatori, Chiesa compresa, potevano offrirgli.
A parte gli aspetti politici di certo insensati, questo far leva sui sentimenti di odio, anche se giustificato, per manipolare tutta l’area del neofascismo e spingerla verso un demenziale eterno confronto con i socialcomunisti, utile ad altrui interessi,  oltre che criminale , era anche una prassi decisamente abietta.
E la stessa cosa si verificava con i Servizi Segreti Alleati. [7]
Nelle pagine precedenti abbiamo anche illustrato le condizioni favorevoli che determinarono il traghettamento dell’area del neofascismo del dopoguerra nel fronte della conservazione e del filo atlantismo. In particolare la natura eterogenea dei reduci della RSI e gli interessi delle Intelligence statunitensi.
Ma attenzione: non furono lo stato di necessità e il clima di terrore post liberazione, per quanto abbiano sicuramente influito nel determinare le condizioni adatte ad emarginare le componenti fasciste rivoluzionarie e socialiste, fino a portare i neofascisti nelle braccia della reazione.
Furono personaggi che contavano, che avevano in mano certe leve di potere, contatti giusti e finanziamenti, che operarono in questo senso facendo sì che, grazie a quello stato di necessità, a quelle condizioni favorevoli, fosse possibile la collusione con gli ambienti reazionari e i servizi americani, fosse possibile ricevere e accettare aiuti da costoro, dando un contraccambio per i loro interessi.
Si veniva così a incrementare, anche perché veniva a trovarcisi a suo agio,  la presenza umana, nel nascente nuovo partito, di tutte le eterogenee componenti della Salò tricolore, quelle per nulla socialiste, più che altro nazionaliste, di indole borghese e di certo non rivoluzionarie che, a poco a poco, traghettarono i neofascisti e in particolare il neonato MSI, oltretutto creato appunto con questi scopi, verso il fronte della reazione.
E’ pur vero che il fascismo, fin dalla nascita e poi, soprattutto, durante il ventennio era stato sempre caratterizzato da diverse ed eterogenee componenti, comprese quelle di natura conservatrice.
Ma proprio la RSI era stata uno spartiacque, una rottura totale con tutto un retaggio borghese e conservatore, miseramente crollato il 25 luglio del 1943 e i fascisti repubblicani, avevano rappresentato tangibilmente la vera essenza rivoluzionaria ed epocale del fascismo. Ora, invece, nelle circostanze eccezionali del dopoguerra, queste componenti spurie ed eterogenee, si rincontrarono, dietro le necessità dell’anticomunismo e spesso si mischiarono con i reduci del fascismo repubblicano. Anche da questo amalgama spurio, potè poi germogliare il missismo.
La mancanza di un vero Centro dirigente che impersonasse la volontà rivoluzionaria e il patrimonio etico e ideale del Fascismo repubblicano, fecero si che molti di questi reduci fascisti, divenissero preda e oggetto di vari ambienti conservatori e reazionari e col tempo perdettero il senso reale delle cose e della misura politica. [8]
Tanto più che la controparte che rappresentava questi ambienti conservatori, ovvero i personaggi disposti a trattare e concedere aiuti ai reduci, contavano spesso la presenza di ex fascisti del ventennio o ex aderenti alla RSI, soprattutto quelli “moderati” della “Salò tricolore”, ora riciclatisi nella Repubblica democratica e antifascista, creandosi così le premesse psicologiche per intendersi.
Come detto, coloro che operarono per costituire un “certo” tipo di MSI, avevano potuto godere di finanziamenti e protezioni, che i sinceri fascisti, gli idealisti che pur parteciparono alla nascita di questo partito, non avevano, condannandoli così ad essere piano, piano, estromessi dagli organi direttivi.
Che importanza può avere se negli incontri, nelle riunioni, nel lavorìo e nei sacrifici che portarono alla nascita del MSI vi presero parte dei sinceri ed onesti fascisti, anzi forse erano anche stati soprattutto loro i veri artefici di quest’opera?
Con il passare del tempo, questo partito, subito gettatosi nell’accaparramento di seggi e poltrone consentito dal gioco democratico elettivo o alle ambite cariche di partito, finì anche per corrompere moralmente tanti camerati che vi erano entrati con tutte le migliori e oneste intenzioni.
Non c’è altro da dire o spiegare. [9]

L’alterazione dell’immagine del fascismo
        Quello che emerge di veramente repellente nella cinquantennale vita del Movimento Sociale Italiano, sono il suo ruolo antitetico agli interessi geopolitici della nazione e la sistematica distruzione della immagine del fascismo.
Del primo aspetto abbiamo più volte parlato, del secondo c’è da aggiungere qualcosa.
Il Fascismo, per tutto quello che aveva rappresentato come Stato Nazional popolare, come creatore di leggi sociali rivoluzionarie, quale artefice di una società per tutti gli italiani (Nord e Sud, ceti sociali diversi, ecc.) di natura mutualistica e sotto l’egida dello Stato (“nulla fuori dello Stato nè soprattutto contro lo Stato) ovvero l’antitesi dell’individualismo liberista, ed infine come sostenitore di una immane guerra del “sangue contro l’oro”, venne letteralmente distrutto e dissolto dall’opera e dalla presenza, nella vita politica del paese, del MSI.
Questa nefasta opera denigratoria si inserì perfettamente nel perfido solco tracciato dall‘ ex “propaganda di guerra” e dalla letteratura e storiografia dei vincitori.
Il MSI, infatti, contribuì a diffondere, nell’immaginario collettivo, una abominevole maschera del fascismo: quello della reazione, quella degli “ascari” dei nostri colonizzatori.
Questa falsa e turpe controfigura del fascismo e del fascista, la propaganda antifascista l’aveva sempre proposta e disegnata in ogni occasione: ora il MSI, con l’ausilio dello stesso antifascismo che stava al gioco e lo definiva “fascista”, pur ben sapendo che così non era, gli aveva anche dato corpo e anima.
Si provi oggi a chiedere a persone semplici, anche parenti, a gente comune, cosa per loro è il fascismo e cosa sono i fascisti: non potranno che rispondervi con i luoghi comuni di questo immaginario collettivo che, del resto, esprime molto bene, l’essenza e la funzione  storica del MSI.
In pratica vi risponderanno, più o meno, che il fascismo è conservazione, difesa di interessi di classe e i fascisti sono dei reazionari, dei servi della CIA, se non addirittura dei “bombaroli”.
E questa funzione storica, assolta dal MSI, nessun fascista può e dovrà mai dimenticarla, nè tantomeno perdonarla.
Ma è ancor più necessario, come anche scopo di questo saggio,  attestare e dimostrare che quasi tutto il neofascismo del dopoguerra, in realtà è stato una specie di antifascismo mascherato e con attitudini criminali.
Eppure, nonostante tutto, vi è un dato confortevole che ultimamente si riscontra: il fatto che molti abbiano compreso la mistificazione.
Nel blog di Aldo Giannuli, www.aldogiannuli.it, a commento di un articolo, due lettori si sono confrontati. Uno di questi, nel tentativo di difendere l’indifendibile, ovvero il neofascismo, accusava l’altro di poca obiettività essendo un antifascista. Per tutta risposta questi replicava:
"Come potrei essere è un antifascista, perché il fascismo nel dopoguerra non è mai esistito. Come potrei basare la propria posizione politica sulla contrapposizione a qualcosa che non esiste? Purtroppo i patetici epigoni del neofascismo si spacciano ancora come una forza politica, quando non sono mai stato altro che una struttura, un apparato, una forza ausiliaria che lo Stato italiano ha utilizzato contro il comunismo durante la Guerra fredda.
Il neofascismo non ha identità nè progettualità politica, esattamente come carabinieri, polizia, servizi segreti. Agisce e ha agito in base agli ordini ricevuti dai vertici dello Stato democratico e antifascista come un qualsiasi altro apparato. A parere di chi scrive, non esiste una continuità tra l’esperienza storica del fascismo del ventennio e i neofascisti che tante tragedie hanno arrecato all’Italia negli anni successivi. C’è a livello di simbologia e slogan adottati, a livello “cosmetico”, ma non di contenuti".

Quello che avrebbe dovuto essere e non fu     
      Eppure per una diversa collocazione del neofascismo i riferimenti non mancavano, a cominciare da quelli del fascismo delle origini del 1919, mai dimenticati e realizzati poi nella RSI.
Se il fascismo era stato una concezione della vita e del mondo che esula da ogni inquadramento nei termini destra o sinistra, vecchie categorie egheliane, restava il fatto che aveva anche una visione  sociale prettamente socialista. Ma ancora più si stava formando una nuova figura di fascista che oltre agli ideali combattentistici, percepiva quel senso di umanitarismo e solidarietà sociale proprio dei comunisti, così come aveva auspicato Josè Antonio Primo De Rivera, quando aveva affermato:  “Nel comunismo c’è qualcosa che può essere raccolto, la sua abnegazione il suo senso di solidarietà>>.
E questa nuova figura di fascista si era incarnata in Giuseppe Solaro, il fascista che sfidò la Fiat e Wall Street.
Lo storico Ivan Buttiglione, nel suo “Compagno Duce”, Ed. Hobby & Work, 1989, ricorda alcune impegnative affermazioni di fascisti:
- Alessandro Pavolini il 28 ottobre 1943:  <<… le nuove realizzazioni da raggiungere sul campo del lavoro, le quali più  propriamente che sociali, non abbiamo alcuna peritanza a definirle socialiste>>.
- Fulvio Balisti,  eroe di Bir el-Goby, attacca la proprietà privata e si richiama alla Carta del Carnaro che non è il dominio della persona su la cosa, bensì un utile funzione sociale.
- Il giornale il Fascio il 26 novembre 1943  : <<..in ogni caso il sistema capitalistico deve pur essere distrutto,  dalle fondamenta, essendo la repubblica fascista anche disposta , se costretta dai lavoratori, ad applicare lo statismo comunista, ma mai a giungere a compromessi con il capitalismo!>>.
- Sulla relazione che accompagna il Decreto Legge sulla Socializzazione, si legge:  <<…l’esperienza del Corporativismo ha dimostrato come lo Stato non possa, nell’attuale momento storico, limitarsi ad un funzione puramente mediatrice fra le classi sociali, poiché la maggior forza della classe capitalistica vanifica ogni parità giuridica…  e riesce a dominare e a volgere a proprio vantaggio lo stesso potere dello Stato>>.
- Sono fatti non parole, tanto che furono creati i Consigli di Gestione con i lavoratori, socializzate le fabbriche, mentre il Presidente della Snia Viscosa, Franco Marinotti, venne arrestato dalle autorità della RSI, con l’accusa di “sabotaggio della socializzazione”.
- I giovani fascisti repubblicani, come già buona parte degli intellettuali fascisti del Littorio, raccogliendo le parole di Berto Ricci, scritte in una lettera del 23 aprile 1938:  <<In tutto il mondo i poveri e gli sfruttati, hanno saputo che la loro emancipazione dal capitale è per lo meno pensabile. Non lo dimenticheranno più. Se il fascismo non alza la  bandiera di questa emancipazione la cercheranno ancora nel comunismo>>, avevano sognano la saldatura tra  la rivoluzione fascista e la rivoluzione bolscevica in Russia, orgogliosi del fatto che quella fascista aveva realizzato, ancor più di quella bolscevica,  degenerata nel supercapitalismo di stato,  gli ideali socialisti.
E nessuno infine avrebbe dovuto dimenticare che Mussolini voleva lasciare in eredità le conquiste sociali della RSI ai socialisti e non di ceto alle destre conservatrici!
Il neofascismo per la Fncrsi
          E concludiamo questo saggio riportando le parole di F. Gaspare Fantauzzi, alto dirigente della Federazione Nazionale Combattenti della Rsi, che espresse alcune osservazioni sul “neofascismo”:
"Neofascismo» è un neologismo impropriamente usato per indicare il MSI e le sue articolazioni sindacali e giovanili, nonché altre minori organizzazioni esterne da esso direttamente o indirettamente dipendenti; impropriamente perché non esprime quel che vorrebbe significare. Ove si tenesse nel dovuto conto della sua funzione storica, dovrebbe essere più propriamente usato per indicare un neoantifascismo, per certi aspetti peggiore dell'antifascismo proprio del CLN. Nacque e fu alimentato dalla componente più anticomunista dell'antifascismo e visse di un anticomunismo acritico e viscerale. La sua fine coincise precisamente con l'autodisfacimento dell'URSS. In sostanza, si dissolse quando il suo padrone decise non essere più necessaria la sua funzione...
Coloro i quali hanno una vera fede politica, religiosa, filosofica, ecc., in linea di principio, non respingono nessuno; anzi, sanno essere duttili, generosi e concilianti quando si tratti di giudicare inosservanze o errori commessi in buona fede. Quando, però, come è avvenuto nel Convegno tenutosi a Roma nel maggio del 1965 presso l'Istituto A. Pollio, l'intera intellighènzia neofascista passò alle dipendenze dello Stato Maggiore, al fine di ingannare i propri compagni di lotta e di concorrere ad assoggettare ulteriormente la Patria al nemico, allora è sacrosanto dovere l'essere inflessibili. L'indecorosa sagra di conformismo filo americano alla quale oggi assistiamo, pone come condizione essenziale per stabilire e conservare rapporti autenticamente trasparenti, oltre ad una più salda tenuta etica, una reciproca spregiudicatezza di giudizio".
Possiamo quindi chiudere la penosa disamina di questo partito, esprimendo un paradosso, tra l’altro esternato spesso proprio dai fascisti della Fncrsi che erano usi affermare che se il  MSI avesse effettivamente rappresentato gli ideali del fascismo e una politica fascista, allora tutti i veri fascisti non potevano che definirsi “antifascisti”!

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Qui sotto volantino dei fascisti della FNCRSI
(Federazione Nazionale Combattenti della RSI)
di denuncia del missismo negli anni ‘60.




BIBLIOGRAFIA

              Forniamo appresso un minimo di bibliografia affinché sia possibile una ricerca e un confronto anche sui dati e sulle citazioni da noi riportate, consigliando ovviamente di estendere sempre la ricerca e di incrociare le varie fonti, anche perchè alcune di queste opere risultano chiaramente di parte.


-      Parlato G.: Fascisti senza Mussolini, Ed. Il Mulino, 2006
-      Caretto E. e Marolo B.: Made in Usa. Le origini americane della Repubblica Italiana, Rizzoli, 1996;
-      Buttafuoco P., Le uova del drago, Mondadori 2005
-      Casarrubea G., Cereghino M,, Lupara Nera, Ed. Bompiani, 2009
-      S. Limiti:  Doppio Livello, Ed. Chiarelettere 2013
-      S.  Limiti:   L’Anello della Repubblica, Ed. Chiarelettere 2011
-      Santarelli E., Storia critica della Repubblica. L'Italia dal 1945 al 1994, Milano, Feltrinelli, 1996
-      Villano A., Rodolfo Graziani fascista conteso, Ed. Storia Ribelle, 2011
-       De Grazia V., Luzzatto S., Dizionario del Fascismo, Einaudi 2002
-       Tedesco L.: L’antiamericanismo neofascista delle origini 1945 – ‘54 Nuova Storia Contemporanea, N.5/2011
-      AA.VV., Storia della Fncrsi, Prestampa a cura della FNCRSI, 2010
-      Murgia P. G: "Il Vento del Nord", Ed. SugarCo, 1975, e ristampa Ed.Kaos 2004
-      Murgia P. G:  "Ritorneremo!", Ed. SugarCo, 1976.
-      Leccisi D.: "Con Mussolini prima e dopo piazzale Loreto", Ed. Settimo Sigillo, Roma, 1991
-      Lembo D., Fascisti dopo la liberazione. Storia del fascismo e dei fascisti nel dopoguerra in Italia, Ed. Grafica Ma.Ro. 2007.
-      Tedeschi M,: Fascisti senza Mussolini, le organizzazioni fasciste clandestine 1946 – ’47, Ed. Settimo Sigillo 1996;


-      Rao N.: Neofascisti! La destra italiana da Salò a Fiuggi, Ed. Settimo Sigillo 1999 e riedizione ampliata e revisionata; La fiamma e la celtica, Sperling & Kupfer, 2006.
-      De Lutiis C,: "Il lato oscuro del potere", Editori Riuniti 1996;
-      Salerno E. “Mossad base Italia”, Ed. Il Saggiatore, 2010
-      Scipioni Rossi, G.: “La destra e gli ebrei, Ed. Rubbettino, 2003
-      Morini F. : Nome: MSI - Paternità: SIM” , “.Aurora", n. 44, 1997.
-      Sito FNCRSI:  http://www.fncrsi.altervista,org - Sezioni: Notiziario, Periodici, Documenti.
-      Fondazione Cipriani: Cronologiahttp://www.fondazionecipriani.it/
-      Buttiglione I.:  Compagno Duce, Ed. Hobby & Work, 1989
      -    Piraino M., Fiorito S.: L’estrema destra contro il fascismo, http://www.archivioguerrapolitica.org/?page_id=4723http://www.archivioguerrapolitica.org/?page_id=4723
 
                             http://www.archivioguerrapolitica.org - Sezione Contributi
-      V. Vinciguerra: Camerati Addio!, Ed. Avanguardia, Trapani, 2000.
-      Archivio Guerra Politica: http://www.archivioguerrapolitica.org/ - Sezione Vincenzo Vinciguerra – Saggi e Articoli


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INDICE GENERALE



Prefazione...................................................................................... pag. 3
Introduzione ................................................................................... pag. 5
Msi: Il grande inganno..................................................................... pag. 8
I fascisti della FNCRSI.................................................................... pag. 11
         Vincenzo Vinciguerra.............................................................. pag. 15
         Il giudizio sugli eventuali  “collusi” ........................................... pag. 16
Come e perchè  nacque il MSI ........................................................ pag. 18
         Ricerche storiche prescindono dalla “corruzione”....................... pag. 18  
         I fini reconditi......................................................................... pag. 20
         Sangue e sudore di tanti fascisti.............................................. pag. 21
         Un partito di vecchi................................................................ pag. 23
Una destra conservatrice e filo atlantica........................................... pag. 24
         La mutazione genetica............................................................ pag. 25
        Zecche e topi di fogna............................................................. pag. 26     
        Il  “Mercenario”  ..................................................................... pag. 27
        La morte dell’agente Marino..................................................... pag. 28
         L’opera nefasta del MSI.......................................................... pag. 29
         Mai il fascismo era stato liberista e di destra............................ pag. 30
         Fascisti da barzelletta............................................................. pag. 34
Condizioni contingenti favorevoli..................................................... pag. 35
Il retaggio ambivalente della RSI...................................................... pag. 38                      
          Una rivoluzione socialista....................................................... pag. 38
          Salò nera e Salò tricolore....................................................... pag. 41
          Le figure di Bombacci e Solaro............................................... pag. 42
La colonizzazione statunitense......................................................... pag. 44
          La portata strategica di Jalta.................................................. pag. 45
          Gli americani riciclano ex fascisti........................................... pag. 46
          Contatti pregressi con l’Oss americano................................... pag. 47        
          A Como finì male il fascismo................................................. pag. 48
          Collusioni inaccettabili........................................................... pag. 49
          Sempre gli americani, prima e dopo........................................ pag. 50


Il neofascismo del dopoguerra........................................................ pag. 51
           Il principe J. V. Borghese...................................................... pag. 52
           Uomini della Xa MAS in Sicilia............................................... pag. 54
           A disposizione degli israeliani................................................ pag. 54
           E Pinocchio disse la verità.................................................... pag. 55
           Testimonianze significative................................................... pag. 56
Il quadro storico politico dell’epoca................................................. pag. 58
Come interpretare ruolo ed essenza del MSI..................................... pag. 64
            Paradosso di una presenza anomala..................................... pag. 65
            Guardare solo i fatti............................................................. pag. 66
            Il congresso di Napoli del 1948............................................. pag. 67
            Inattendibilità di rievocazioni e ricordi.................................... pag. 69
            Afascisti e conservatori furono preponderanti......................... pag. 70
            Il “Senato”...................................................................................... pag. 71
                        Profili storici e politici.......................................................... pag. 72
             L’operato di Romualdi......................................................... pag. 77
             Turati, Romualdi e Leccisi................................................... pag. 80
             Traffici con preti e conservatori........................................... pag. 82
Le riunioni pre costitutive del MSI.................................................... pag. 83
Altri  padri fondatori del MSI........................................................... pag. 86
           I Pesci grossi tra i padri fondatori.......................................... pag. 89
           Arturo Miichelini................................................................... pag. 90
           Pino Romualdi .................................................................... pag. 91      
           Giorgio Almirante ................................................................ pag. 92
           Augusto De Marsanich......................................................... pag. 97
           Si completa la trasformazione reazionaria............................... pag. 99
           Il governo Tambroni.............................................................. pag. 100
Servello e il “Meridiano d’Italia”........................................................ pag. 102
La collocazione a destra................................................................. pag. 104
                      Non è solo un fatto di “correnti”.............................................. pag. 106
18 Aprile 1948: elezioni all’ultimo sangue  ........................................ pag. 108
Il Patto Atlantico............................................................................. pag. 111
           Tradimento della Patria......................................................... pag. 111
            Il teatrino dei possibilisti...................................................... pag. 112
Il gioco delle parti: le richieste di “scioglimento”............................... pag. 116
La scissione “ordinovista”............................................................... pag. 119
           Evola e il Tradizionalismo: infatuazione e alibii........................ pag. 121
           Risultanze inquietanti............................................................ pag. 123
La Massoneria................................................................................ pag. 126
A cosa e a chi serviva il MSI ……….................................................     pag. 130
           Una ruota di scorta ……………………………………….                 pag. 131
           Truppe cammellate............................................................... pag. 132
            Quanti inzupparono il pane................................................... pag. 134
            Anderson e i giovani missisti................................................ pag. 136
Si  afferma l’ “uomo d’ordine” borghese........................................... pag. 137
            Un ruolo solo: sempre reazionario......................................... pag. 138
Nessuno pretendeva la rivoluzione .................................................. pag. 141
            Poche, ma imprescindibili attestazioni................................... pag. 142
Giorgio Pisanò atlantista doc.......................................................... pag. 145
Qualche raggio di sole: Beppe Niccolai........................................... pag. 151
Giulio Caradonna emblema del missismo......................................... pag. 154
            Più chiaro di così................................................................ pag. 156
Il MSI e lo Stato ebraico.................................................................. pag. 157
             Il peso delle leggi razziali**.................................................. pag. 158
             Israele punta avanzata dell’Occidente.................................. pag. 159
             Gli aggressori spacciati per vittime...................................... pag. 160
             Aberrazioni ideologiche....................................................... pag. 161
CONCLUSIONI................................................................................ pag. 166
              Prove della manipolazione.................................................. pag. 167
              L’alterazione dell’immagine del fascismo............................. pag. 171
              Il neofascismo per la Fncrsi............................................... pag. 174
Bibliografia.................................................................................... pag. 176
Indice generale .............................................................................. pag. 178



AVVERTENZA

GIRANO IN INTERNET ALCUNE VERSIONI DI QUESTO SAGGIO, NON CORRETTE O ADDIRITTURA SPURIE  IL TESTO DI RIFERIMENTO E’ QUESTO:  DATATO  MAGGIO 2014


Copia non in commercio - M. Barozzi – Roma  Ottobre 2014








Aggiunta da SOCIALE
Primo congresso del MSI.
http://pocobello.blogspot.it/2010/04/primo-congresso-del-msi.html

2 commenti:

  1. Buongiorno camerati;io sono nato nel 1961 ed ho cominciato a militare nel"Fronte della Gioventù"molto giovane cioè nel 1975.Un paio di anni dopo,durante un comizio di Giorgio Almirante che si teneva in P.zza Duomo a Milano feci parte del sevizio d'ordine per la protezione di Almirante e delle sue guardie del corpo.Questo lo scenario:avevamo formato un lungo corridoio posizionandoci in due file una alla destra e l'altra alla sinistra,gli uni di fronte agli altri con dei bastoni tenuti orizzontalmente con le due mani così lasciando lo spazio di un metro,mertro e mezzo affinché Almirante potesse percorlerlo per raggiungere il palco dal quale avrebbe parlato.Ricordo esattamente ,però,che ad un certo punto alcuni camerati delle file tentarono,avanzando il braccio destro o il sinistro di colpire il manipolo dei quatrro o cinque che camminavano davanti,dietro ed a lato di Almirante.Da giovincello irregimentato che ero questi gesti mi parvero addirittura tentativi di lesa Maestà,tanta era la mia ammirazione per Almirante.Solo anni dopo compresi il significato di quei gesti e questo Suo articolo ne espone le motivazioni in modo chiarissimo.Grazie.

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  2. INTERESSANTISSIMA ANNOTAZIONE, perchè ci dimostra che nell'ambito di QUEL partito le opposizioni erano soltanto queste.

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