“Siamo convinti che il nostro socialismo basato sulla fratellanza di sangue si diffonderà sugli altri popoli e darà nuova forma anche al rapporto tra le nazioni, giacché esso contiene in sé la promessa di una nuova lega dei popoli, più ricca di sostanza di quella attuale perché fondata su un socialismo attento all’onore dei popoli”
(Hermann Schwarz, 1936).
(Hermann Schwarz, 1936).
Le ricerche storiografiche relative alla genesi del nazionalsocialismo e al periodo contrassegnato dall’esperienza del Terzo Reich hanno perniciosamente occultato qualsiasi seria analisi riguardante la forma politico-sociale che avrebbe contraddistinto l’esperienza rivoluzionaria di lotta (il c.d. periodo del Kampfzeit) e di potere del movimento nazionalsocialista. Dobbiamo riconoscere, principalmente, allo storico tedesco Rainer Zitelmann (autore di una pregevole biografia politica di Hitler) tutto il merito nell’avere evidenziato la persistente lacuna riguardo alla politica organizzativa nel campo strettamente sociale del Terzo Reich e sulle idee che la permeavano.
Ancora oggi possiamo capire che la storiografia di natura liberale e soprattutto quella di matrice progressista o marxista abbiano avuto più di un motivo per occultare certi aspetti del nazionalsocialismo da loro considerati, forse a giusta ragione, alquanto imbarazzanti. Ne possiamo capire perfettamente il motivo. Le domande che molti storici, nel dopoguerra, si sono continuamente posti, analizzando la storia del movimento nazionalsocialista e la sua gestione del potere, furono sostanzialmente le seguenti: la Germania hitleriana fu uno Stato socialista? È applicabile all’organizzazione politico-sociale del Terzo Reich la categoria di ‘organizzazione socialista’?
La Germania nazionalsocialista rappresentò e sviluppò con una chiave interpretativa innovativa e autenticamente europea una specifica e originale forma di ‘socialismo nazionale’, (proprio Albert Speer ebbe modo di compiacersi di questo “socialismo insieme moderno e tedesco”) radicata nell’anima del popolo rigorosamente antiplutocratica e anticapitalista, concorrenziale e contrapposta alla forma ‘internazionalistica’ rappresentata dall’esperimento marxista della Russia sovietica.
Una visione idealistica che rappresenterà la centralità del pensiero politico di Adolf Hitler e dalla quale mai si discosterà : “Nessun nazionalismo può veramente esistere, oggi, che non sia determinato in modo socialista dalla collettività del Volk. E nessuno è un vero nazionalsocialista se non fa cadere l’enfasi sulla parola socialista. È qui, in questo concetto, che sta la forza propulsiva della nostra epoca”.
Anzi, gli stessi nazionalsocialisti non mancarono mai di sottolineare che quanto da loro proposto e poi realizzato fosse, agli occhi del mondo, il ‘vero socialismo’ contrapposto al marxismo, sempre da loro, denunciato come una impostura di stampo giudaico pensata per ingannare la Nazione e i lavoratori. Proprio le vicende del secondo conflitto mondiale contribuirono ad innalzare il tono ideologico dello scontro militare in corso, fu in quelle circostanze che la Germania “…il primo Stato popolare realmente socialista del mondo” evidenziò propagandisticamente la sua posizione radicalmente alternativa nei confronti delle democrazie capitalistiche occidentali e dell’oriente bolscevico.
Sarà lo stesso Adolf Hitler, nel commentare la guerra sul fronte dell’est, a spiegare con chiarezza la natura del conflitto ideologico che impegnava la Germania e l’Europa: “Ad ogni tedesco che combatte oggi in Oriente, io posso rivolgere questo invito: Considerate le nostre realizzazioni, le nostre case, le nostre colonie rurali; confrontate le nostre organizzazioni nazionalsocialiste con ciò che avete visto laggiù; paragonate la sorte del contadino tedesco con quella del contadino russo e datemi poi il vostro giudizio: Chi ha fatto meglio e chi ha avuto le intenzioni più oneste? Certamente tra quanti son tornati dalla Russia nessuno ha esitato ad ammettere che solo in Germania stesse per realizzarsi uno Stato socialista. Ma proprio per tale motivo quest’altro mondo, specie in quanto rappresenta gli interessi capitalistici, muove contro di noi. E’ un consorzio che ancor oggi si arroga di governare il mondo secondo il suo interesse capitalistico, di dirigerlo e, se necessario, di maltrattarlo”.
Nella teorizzazione del ‘socialismo prussiano’ si trovava magnificamente espressa tutta la lapidaria incisività e radicalità che contraddistingueva l’opposizione al modello della liberal-democrazia anglosassone e alla propria ‘etica’ del successo economico considerata, sempre da Spengler, come la versione inglese del calvinismo. A tutto ciò il filosofo tedesco contrappose quello che egli stesso definiva come l’istinto gotico della volontaria subordinazione dell’individuo alla ‘Totalità’. Un istinto e uno stile rinvenibile principalmente nella stirpe prussiana. Per questi motivi Spengler ricondusse il proprio ideale politico ad uno specifico socialismo autoritario di stampo prussiano che avrebbe restituito la vera libertà: la libertà dall’arbitrio economico del singolo.
Questo ‘nuovo Partito’, che avrebbe accolto nei ranghi esclusivamente lavoratori di nascita e di discendenza tedesca, avrebbe propugnato riforme sociali assolutamente radicali, la nazionalizzazione delle Banche e l’abolizione della speculazione borsistica, avrebbe respinto il modello della democrazia occidentale e avrebbe, anche, mirato all’abolizione della legislazione derivata dal Diritto Romano che, all’avviso dei ‘nuovi socialisti tedeschi’, aveva con il tempo assunto un carattere asociale a scapito dell’interesse comunitario tale da privilegiare il profitto privato del singolo individuo e legittimare la speculazione e la prevaricazione sociale a danno delle categorie popolari: “Poiché intende affrontare radicalmente i problemi posti dalle necessità nazionali e sociali sulla scorta delle istanze basilari incisive ed inflessibili che lo guidano all’azione, questo nuovo Partito non intende avanzare proposte tendenti ad ottenere riforme solo apparenti (…) Assolutamente ostile al Capitalismo ed impenetrabile da infiltrazioni giudaiche, il nuovo Partito intende farsi strada senza usare riguardi né fare concessioni di sorta ad alcuno, lasciandosi guidare solo dalla ricerca della prosperità nazionale nel perseguire, accanto ad una più equa distribuzione dei beni, il risanamento ed il ripristino del vigore della popolazione tedesca, tanto duramente provata”.
Con la rossa bandiera recante la ruota solare i nazionalsocialisti vollero concretizzare la rappresentazione simbolica del significato della compiuta realizzazione di questa sintesi che, a sua volta, costituiva il fondamento del ‘socialismo tedesco’. Il tutto all’insegna della parola d’ordine: Gemeinnutz geht vor Eigennutz, il bene comune che prevale sull’interesse individuale.
Gemeinnutz geht vor Eigennutz, rappresentò, in realtà, molto di più di una diffusa e mobilitante parola d’ordine. Nella concezione e nella puntualizzazione dell’importanza che il ‘bene comune’, ovvero l’utile della ‘comunità popolare’, doveva sempre precedere e prevalere sull’interesse ‘privatistico’ del singolo individuo, si può agevolmente riscontrare il significato autentico ed innovativo del ‘socialismo-nazionale’ tedesco e dell’ordinamento di vita popolare che ne derivava: la Volksgemeinschaft. Nella definizione etnico-sociale della ‘comunità organica di popolo’, la Volksgemeinschaft nazionalsocialista, non era affatto anomalo riscontrare concetti del tipo: “Nello Stato nazionalsocialista, non esiste più una proprietà della quale l’individuo può disporre a proprio piacimento. Non esiste il diritto illimitato alla proprietà, ma solo il diritto, che sia stato meritato, di amministrarla per il benessere di tutti. La proprietà è un prestito. Certamente si può usarla, ma solo nell’interesse di tutti”. Simili affermazioni rientravano a buon titolo nel rinnovamento giuridico tedesco intrapreso dal regime nazionalsocialista e esprimevano il radicale anti-individualismo dei giuristi nazionalsocialisti e la loro avversione al ‘diritto soggettivo’, il diritto borghese per eccellenza sul quale si basava la legittimazione del sistema capitalistico.
La comunità di popolo, nella visione nazionalsocialista, non rientrava in una sfera distinta da quella privata, ma si identificava con questa e quindi anche con le relazioni tra i suoi membri. L’individuo era concepito come un elemento organicamente e perfettamente integrato nella struttura sociale e comunitaria fino a confondersi con questa. Era quindi normale che si ponesse con enfasi l’accento sulla completa e totale unità del singolo con il suo popolo: unità intesa in senso politico, sociale e infine razziale.
Le parole del noto giurista nazionalsocialista Karl Larenz ci appaiono quindi in tutta la loro disarmante chiarezza: “Non come individuo, come mero uomo o come portatore di una astratta ragione universale, io ho diritti e doveri e la possibilità di formare rapporti giuridici, bensì come membro di una comunità che si dà nel diritto la propria forma di vita, della comunità di popolo. Il singolo ha una concreta personalità soltanto come essere vivente in comunità, comeVolksgenosse”.
Coerentemente con il proprio programma il nazionalsocialismo si proponeva di superare il contrastante dualismo tra ‘pubblico’ e ‘privato’ nel nuovo ordinamento di vita popolare incarnato dalla Volksgemeinschaft che, nell’immaginario politico dei nazionalsocialisti, avrebbe dovuto porre fine all’ordine delle classi nate dallo sviluppo del capitalismo, procedendo verso un nuovo ordine socio-economico (da qui l’insistenza sui temi del socialismo tedesco e della nobiltà del lavoro manuale) e un riordinamento etico e spirituale che avrebbe cancellato il disordine materialista dell’epoca.
Al momento in cui i nazionalsocialisti riconoscevano nel popolo la fonte del diritto, automaticamente la Volksgemeinschaft diveniva l’unico soggetto giuridico all’interno del quale vigeva il principio fondamentale della distribuzione e del riconoscimento del ruolo e della funzione sociale, avveniva così la totale coincidenza tra pensiero giuridico, pensiero sociale e pensiero politico. Si realizzava la radicale negazione del diritto borghese tutto incentrato sull’idea liberale di libertà privata e sul, conseguente, egoistico arbitrio sulla proprietà privata e sull’economia: “Solo la comunità di popolo deve essere proprietaria delle ricchezze nazionali, i singoli individui non possono esserne che i depositari e ne sono debitori nei confronti della collettività. La quale è la proprietaria principale di tutte le ricchezze che i singoli possiedono soltanto di seconda mano, per feudo”.
Il nuovo diritto comunitario diveniva, così, la forma nella quale e attraverso la quale laVolksgemeinschaft indirizzava e plasmava in modo unitario la propria vita collettiva. Nell’assoluta uguaglianza di stirpe tra il Capo e il seguito, nella loro fedeltà reciproca realizzata nella comunità di popolo sgorgava il forte sentimento dell’appartenenza, una forza recondita che stabiliva la preminenza del collettivo sull’individuale e del generale sul particolare.
La netta distinzione che i nazionalsocialisti applicavano tra il concetto di Besitz (il possesso limitato) e il concetto di Eigentum (la proprietà piena ed intera detenuta dalla Comunità e dallo Stato) rimandava a precisi riferimenti dell’antico diritto germanico delle Sippen conosciuto fin dai tempi arcaici del comunitarismo tribale (ovvero della antica concezione germanica della proprietà collettiva della tribù o della nazione sui mezzi di produzione e sul suolo dove ogni singolo produttore non era che un vassallo posto al servizio della comunità) riletto in chiave moderna sulla base e nello spirito dell’idea socialista intesa alla tedesca dove trionfava la concezione totale della Comunità di Popolo e l’idea del Volksgenossentum, il cameratismo del popolo, nonché la funzione prettamente sociale della proprietà.
Il campo d’azione del socialismo tedesco non si esaurì esclusivamente con interventi negli ambiti sociali, economici e giuridici, ma influenzò in modo determinante, anche, lo sviluppo di una nuova cultura. A fianco di un recupero dei temi naturalistici, volkisch e razziali si approfondirono, anche, i richiami ad una cultura della tecnica letta come interpretazione di un nuovo romanticismo dell’acciaio che avrebbe innalzato la figura del ‘lavoratore’ emancipandolo dalla condizione di proletario sfruttato a quella di ‘soldato del lavoro’ pilastro essenziale della nuova comunità di popolo; prese forma, ad esempio, l’interessante fenomeno degliArbeiterdichter, i ‘poeti lavoratori’, cantori dell’eroismo del lavoro e del cameratismo degli operai nelle fabbriche: l’Arbeiter celebrato nelle liriche rifletteva, anche, l’uomo nuovo annunciato dal mito propagandistico del nazionalsocialismo.
Come altrettanto importante e significativa per la diffusione delle tematiche del socialismovolkisch fu la densa e diffusa esperienza del Kampfbuhne, ovvero del ‘teatro di lotta’, che prese corpo fin dal 1926 come espressione di un più vasto progetto denominato NS-Versuchsbuhne, ‘teatro sperimentale nazionalsocialista’. I nazionalsocialisti definirono lo stile aggressivo della polemica politica del ‘teatro di lotta’ come Streitgesprach, cioè come ‘polemica contro il nemico’, intendendo come ‘nemico’ tutto ciò che aveva colpevolmente nociuto alla salute sociale e politica del popolo tedesco: gli speculatori finanziari, i banchieri capitalisti, gli usurai ebrei e gli agitatori marxisti.
Questo genere di pedagogia politica che utilizzava la forma teatrale e il cabaret come luoghi dove indottrinamento, formazione e divertimento fossero un tutt’uno riscosse nei ceti popolari un enorme successo e contribuì, in modo originale, allo sviluppo di una nuova cultura nazionalsocialista.
Infine sovvertendo l’architrave del pensiero liberal-borghese che imponeva la supremazia del ceto mercantilistico e restituendo la piena sovranità al dominio politico-sociale della Comunità di Popolo il nazionalsocialismo ricondusse l’istanza economica al solo ruolo che le sarebbe spettato, quello di totale subordinazione ai superiori interessi, alle necessità e alle direttive della comunità politica e della sua organica manifestazione: lo Stato popolare nazionalsocialista.
Possiamo trovare la legittimazione di questo superiore interesse nelle parole di Hans Frank, il decano della giurisprudenza nazionalsocialista: “Non esiste una società al di fuori della totalità del popolo. Nel nostro popolo non esistono più raggruppamenti feudali, o aristocratici o comunque privilegiati per tradizione storica e per speciali diritti. Non esistono né famiglie, né classi privilegiate. Esiste un popolo tedesco unitario, che comprende nella sua schiacciante maggioranza i compagni che lavorano nello Stato, nel Partito e nell’economia”.
http://www.centrostudilaruna.it/comunita-di-popolo.html
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