mercoledì 1 settembre 2010
Harry Elmer Barnes introduce Alan Taylor e le origini della seconda guerra mondiale
A. J. P. TAYLOR E LE CAUSE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE[1]
Di Harry Elmer Barnes[2], 1961
È un privilegio e un piacere essere invitati a esaminare il libro epocale del professor A. J. P. Taylor sulle Origini della seconda guerra mondiale per i lettori di una rivista costituita principalmente da seri esponenti della generazione più giovane, che cercano di capire il mondo nuovo e complesso in cui la maturità ha proiettato il loro destino. Nessun campo di studi potrebbe essere più fruttuoso della storia nel promuovere tali aspirazioni alla razionalità. Se non sappiamo come siamo arrivati sin qui siamo destinati a essere confusi su come affrontare il presente o come programmare il futuro.
Coloro che stanno giungendo adesso alla maturità sono notevolmente svantaggiati, dal punto di vista delle informazioni e della realtà dei fatti storici, rispetto alla mia generazione. Gli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 furono un’epoca di iconoclastia e di smitizzazioni, ben rappresentata da Mencken e Nathan e dall’American Mercury[3], dagli scritti di Theodore Dreiser, Sinclair Lewis, Scott Fitzgerald, e così via. All’epoca era difficile ovunque imporre un blackout intellettuale, e questo anche nell’ambito della storiografia. Il mio primo appassionato attacco contro ogni forma di blackout storico apparve sul primo numero del Mercury, grazie alla proposta - e persino all’insistenza - di Mencken.
La tendenza all’iconoclastia in ambito storiografico prese la forma di quello che sarebbe stato conosciuto come “revisionismo”, il cui scopo era smantellare le apparenze della propaganda di guerra del decennio precedente. Ricevette tale appellativo perché si sperava che i fatti rivelati da questo movimento sulle cause della prima guerra mondiale avrebbero portato alla revisione del famigerato Trattato di Versailles. Se una tale revisione vi fosse stata, non ci sarebbe stata nessuna seconda guerra mondiale, sebbene si potesse formare uno schieramento bellico dell’Europa occidentale contro la Russia sovietica.
La generazione nata o istruita a partire dal 1936 o giù di lì è, storicamente parlando, una generazione perduta: un gruppo di giovani Rip van Winkle[4]. A partire dal 1937, la maggioranza degli intellettuali liberal americani fecero propria l’ideologia internazionalista del Fronte Popolare e della “sicurezza collettiva” che Litvinov aveva con così grande successo diffuso a Ginevra. Quasi tutti i liberal, e un numero sorprendente di conservatori, balzarono sul carro interventista e antitedesco poi ufficializzato e pilotato dal Presidente Roosevelt e da Harry Hopkins[5]. La grande maggioranza degli storici americani appartenevano al campo liberal e diventarono ardenti interventisti.
Da quel momento in poi, la maggior parte dell’insegnamento e della compilazione di storia di questo paese – sui recenti avvenimenti internazionali – ha preso sempre più la forma di una favola fittizia e, in parte, inconsapevolmente maliziosa. Esso ha presentato la sequenza di avvenimenti degli anni ’30 e ’40 come una crociata planetaria in cui un triunvirato di San Giorgi – Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Joseph Stalin – si unirono coraggiosamente in una guerra santa per uccidere il drago nazista. Anche prima che quest’ultimo si uccidesse da sé in un bunker di Berlino, Roosevelt e Churchill avevano iniziato a sospettare che il crociato sovietico - da loro considerato in precedenza un compagno nella crociata per la libertà, la giustizia e la pace - fosse più pericoloso del “pazzo” nazista. A tempo debito, persino il suo successore sarebbe stato presentato come una minaccia per il Mondo Libero, sebbene avesse tolto Stalin dalla vetrina del Cremlino e lo avesse seppellito come un comune mortale.
Negli anni ’20, le prove degli errori compiuti dagli Stati Uniti nella loro prima crociata europea guidata da Woodrow Wilson vennero evidenziate con sincerità ed esposte all’attenzione del mondo educativo e dei lettori americani. Non è accaduto lo stesso con gli errori madornali - molto più grandi - della nostra seconda crociata globale. I fatti sgradevoli sono stati relegati in un dimenticatoio orwelliano, e i pochi libri che hanno cercato di presentare la salutare verità sono stati o ignorati o malevolmente irrisi. Alla generazione cresciuta in quest’infausta era di crociate è stato fatto un accurato lavaggio del cervello sulle basi storiche delle questioni internazionali e sul ruolo esercitato in esse dagli Stati Uniti. È emerso poco, ammesso che sia emerso qualcosa, oltre i limiti informativi e intellettuali della colorita ma ingannevole retorica del Presidente Roosevelt sul “Giorno dell’Infamia”.
Si dice da molto tempo che la verità storica è la prima vittima di una guerra. La storiografia americana è purtroppo entrata in sofferenza prima del Settembre del 1939 ed è stata colpita a morte da Pearl Harbor nel Dicembre del 1941. La grande maggioranza degli storici ha sostenuto in modo appassionato l’intervento nel maelstrom europeo. Un gruppo sorprendentemente numeroso di essi ha accettato incarichi relativi all’azione e alla propaganda di guerra, dei quali alcuni di grande importanza e responsabilità. Quindi, costoro avevano un forte interesse personale nel conservare e difendere la leggenda del drago assassino.
La maggior parte degli storici vennero appassionatamente sedotti dalle emozioni suscitate dalla propaganda bellica. Molti di essi, indubbiamente, vennero convinti dall’efficacia di questa propaganda, interventista e battagliera. Quei pochi che non avevano perso la testa e sapevano davvero come stavano le cose furono sufficientemente accorti da tenere per sé la propria opinione, per conservare i propri posti e avere qualche promessa di promozione. Qualunque fossero le ragioni di questa disfatta, è certo che i criteri e i risultati della storiografia legati in qualche modo ai recenti avvenimenti internazionali sono scesi ad un livello più basso, per quanto riguarda l’onestà e l’obbiettività, di qualunque altro periodo a partire dalla fine della Controriforma. Per trovare qualcosa di paragonabile, in questo paese, bisogna tornare all’epoca dei libelli politici della Guerra Civile e della Ricostruzione.
Negli anni ’20, vi fu una forte reazione contro l’ossessione militarista di intervenire nei conflitti stranieri. Per più di un decennio ne derivò una tendenza alla pace, all’isolamento e all’anti-militarismo. La storiografia e il mondo educativo si conformarono in modo abbastanza uniforme a questo clima intellettuale. Venne fuori il revisionismo e – complessivamente, prima che finissero gli anni ’20 - ebbe partita vinta contro i falchi del decennio precedente. Importanti storici revisionisti, come Sidney Bradshaw Fay e Charles Callan Tansill, vennero abbondantemente elogiati dai loro colleghi. Il massimo esempio giornalistico dell’impostazione e della cultura revisioniste, il libro Road to War di Walter Millis, divenne uno dei grandi bestseller degli anni ’30.
Non vi fu, dopo il V-J Day[6] del 1945, un’analoga fase di conciliazione, o di fuga dalle emozioni belliche. Insieme al proseguimento della propaganda bellica mascherata da storiografia, vi fu un impegno forte per impedire a coloro che avevano davvero a cuore la verità storica di esporre i fatti e le proprie idee all’opinione pubblica americana. Questo disegno è diventato noto con il nome di “Historical Blackout”. Esso manifestò lo sforzo globale, a partire dallo scoppio della seconda guerra mondiale, di sopprimere la verità sulle cause e i motivi del grande conflitto, che iniziò nel 1939, e sul modo in cui gli Stati Uniti vi erano entrati. Si trattava di ignorare od occultare i fatti che contrastavano con la propaganda bellica, quando c’era da scrivere libri su questi argomenti, e di reprimere, ignorare o screditare quei libri che avevano tenuto conto di tali fatti.
È stato detto spesso che questo blackout storico è oggi un complotto sinistro e deliberato per ostacolare la verità e mortificare la storia. Ciò è indubbiamente vero rispetto al programma e alle attività di certi gruppi minoritari e di certe organizzazioni ideogiche che hanno un particolare interesse a perpetuare la mitologia dell’epoca di guerra. Ma, in gran parte, è più il risultato involontario di quasi tre decenni dell’indottrinamento nato dalla propaganda bellica e interventista. Anche gli storici più professionali, che hanno iniziato la carriera accademica dopo il 1937, hanno accettato automaticamente come verità le distorsioni dell’interventismo bellico e pre-bellico. L’attuale blackout è più una reazione automatica al lavaggio del cervello che una cospirazione perversa. Ma tutto ciò non rende meno difficile resistere o vincere.
La situazione successiva alla seconda guerra mondiale è così l’esatto contrario di quanto accadde dopo la prima guerra mondiale, quando il revisionismo trionfò nel dibattito storico meno di dieci anni dopo l’Armistizio dell’11 Novembre 1918. Persino alcuni tra i più importanti leader del revisionismo successivo alla prima guerra mondiale, come Sidney B. Fay e William L. Langer, abiurarono il loro revisionismo, soccombettero al blackout storico e fornirono un sostegno appassionato alla finzione del drago da uccidere. Solo un anno e mezzo dopo l’Armistizio del 1918, Fay aveva distrutto per sempre il mito della colpevolezza esclusiva del gorilla Hohenzollern, come il Kaiser era stato dipinto durante il conflitto. Nel giro di dieci anni dopo la fine della guerra era nata una vera e propria biblioteca di libri revisionisti sulle responsabilità della calamità del 1914.
Nonostante il fatto che il materiale documentario a sostegno del revisionismo sia più abbondante, cogente e convincente di quello prodotto dopo il 1918, a tutt’oggi - nell’anno 1962 - non è stato pubblicato negli Stati Uniti, dagli studiosi americani, neanche un solo volume dedicato espressamente alle cause della seconda guerra mondiale: parliamo di qualcosa come ventitre anni dopo lo scoppio della guerra e diciassette dopo la sua conclusione.
In realtà, un libro relativo alla questione è stato pubblicato: Back Door to War[7] [In guerra dalla porta di servizio], di Charles Callan Tansill, ora decano degli storici della diplomazia. Presenta quasi altrettanto materiale sulle responsabilità del 1939 del libro del professor Taylor, è più accuratamente documentato e arriva praticamente alle stesse conclusioni di Taylor. Ma il libro di Tansill era stato concepito soprattutto per mostrare, con una documentazione impressionante, come – proprio come aveva detto Clare Boothe Luce – il Presidente Roosevelt aveva condotto in guerra gli Stati Uniti dal 1937 al 1941. Quindi, l’interesse era più per le origini di Pearl Harbor che per le responsabilità della guerra europea del 1939, e l’ampio e significativo materiale di Tansill su quest’ultima è stato generalmente ignorato. Vi è stato un certo numero di libri pregevoli e importanti, scritti da americani, che hanno completato il resoconto di Tansill sull’entrata in guerra americana nella seconda guerra mondiale, ma per la maggior parte sono stati ignorati o calunniati e la finzione del drago da uccidere rimane ancora quasi immacolata e inattaccabile.
Il libro del professor Tansill, America Goes to War, che venne pubblicato nel 1938, e che è di gran lunga il miglior resoconto sull’entrata in guerra americana del 1917, venne definito dal dr. Henry Steele Commager come “il contributo più importante della nostra letteratura alla storia degli anni pre-bellici e uno dei risultati più notevoli dell’erudizione storica di questa generazione”. Il suo Back Door to War è un resoconto altrettanto dotto ed erudito della nostra entrata nella seconda guerra mondiale, ma gli storici ortodossi sono stati indotti a liquidarlo come una forma di contro-propaganda risibilmente superficiale. Persino Charles Augustin Beard, il decano degli storici e degli scienziati politici americani, è stato impietosamente calunniato per aver osato proteggere la “castità di Clio”.
Sebbene diversi libri notevoli, scritti da autorevoli esperti, abbiano messo a punto i fatti sul disastro e sullo scandalo di Pearl Harbor, il professor Foster Rhea Dulles – scrivendo nella più famosa collana storica lanciata di recente negli Stati Uniti e co-diretta dal professor Commager – ha dichiarato che “non vi sono prove a sostegno di tali accuse”.
Quegli editori che potrebbero desiderare di divulgare la verità sulla seconda guerra mondiale sono intimoriti dai potenti Club del Libro, dominati senza eccezioni da coloro che sostengono il blackout storico. Il servizio di consulenza più influente, che ha un grande peso nel raccomandare l’acquisto di libri alle biblioteche pubbliche e alle librerie, ha la peculiarità di deridere e scoraggiare l’acquisto dei libri revisionisti. La favola del drago da uccidere rimane praticamente inviolata, per quanto riguarda la gran parte dell’opinione pubblica.
L’American Second Crusade di William Henry Chamberlin, il solo resoconto veritiero, per quanto di tipo divulgativo, della nostra entrata nella seconda guerra mondiale, è sicuramente paragonabile al Road to War di Millis del 1917. Ma, mentre il libro di Millis ha venduto 250.000 copie, un anno dopo la pubblicazione del libro di Chamberlin di esso non figurava neppure una copia in catalogo nella New York Public Library o in una delle sue sue molte filiali. Non c’è bisogno di supporre che tutti coloro che dirigono i club del libro e i servizi di consulenza libraria cerchino deliberatamente di corrompere o di ostacolare la verità storica riguardante gli affari internazionali. Essi, in teoria, sono dei sostenitori della verità. Solo che non sanno che cos’è. Sono emotivamente sintonizzati con i miti dell’epoca di guerra e la maggior parte degli storici che conoscono sembrano concordare con loro. Entrambe le categorie hanno subìto un lavaggio del cervello bastevole per una generazione.
Il succo di tutto ciò è che la generazione che dalla fine degli anni ’30 ha acquisito le sue conoscenze e prospettive in fatto di storia, è stata privata, ingannata e menomata dalla distorsione e dalla soppressione dei fatti riguardanti gli affari internazionali. Tutto ciò è particolarmente increscioso, a causa del ruolo straordinario delle relazioni e delle politiche internazionali nella vita, negli interessi, nelle decisioni e nei destini quotidiani dei cittadini americani odierni. Questo handicap è reale anche per coloro che al college si sono specializzati in storia. In realtà, è probabile che costoro rimarranno danneggiati dagli errori storici, dovuti ad un indottrinamento più intenso e abbondante a base di finzioni storiografiche, più di altri che si sono specializzati in letteratura, arte o musica.
L’importanza dell’assai discusso libro del professor Taylor sta nel fatto che potrebbe rivelarsi straordinariamente efficace nello spezzare il blackout storico. Grazie a una fortunata combinazione di circostanze, il libro ha scosso l’Inghilterra più di ogni altro libro di storia dedicato agli affari internazionali dall’epoca degli scritti di E. D. Morel, circa quarant’anni fa. È sperabile che l’edizione americana possa parimenti gettare uno squarcio di luce su un blackout storico che dura da quasi una generazione.
Per la generazione costituita dalla maggior parte dei lettori di questo articolo, il grande valore del libro di Taylor è che può rappresentare il logico punto di partenza per scoprire le pagine cruciali della storia smarrite dalla coscienza collettiva, senza le quali sono stati ingannati dal lavaggio del cervello e dal blackout storico. Coloro che sono interessati a proseguire questo percorso, troveranno utilissimi i seguenti libri: Liberal Opinion and World Politics [L’opinione liberale e la politica mondiale], di J. J. Martin, 1931-1941 (Devin-Adair); Back Door to the War, di C. C. Tansill (Regnery); Roosevelt’s Road to Russia [La strada di Roosevelt verso la Russia], di G. N. Crocker (Regnery); Beyond Containment [Oltre il contenimento], di W. H. Chamberlin (Regnery); e A History of the Cold War [Storia della Guerra Fredda], di John Lucas (Doubleday). Questi libri riportano le vicende storiche in modo continuativo dall’Amministrazione Hoover a quella di Kennedy.
Avendo quindi presentato con un certa abbondanza di particolari gli antefatti e il contesto del libro del professor Taylor, possiamo ora esaminare la natura e il significato del libro stesso. Innanzitutto, è il primo libro, pubblicato in una qualsiasi lingua, dedicato in modo esclusivo al compito di sfatare la messinscena del drago da uccidere, che ha alterato e distorto la prospettiva storica per quasi un quarto di secolo.
È probabile che nessuno storico contemporaneo sia più idoneo ad essere efficace e convincente dell’autore di questo libro. In primo luogo, è uno studioso inglese. Grazie all’erudizione di Rhodes[8] - e di altri simili personaggi che promuovono negli Stati Uniti l’anglofilia - gli storici inglesi, la loro erudizione, e la saggezza che viene loro attribuita godono di un’aura speciale. Tutto ciò dà a Taylor e al suo libro un prestigio particolare in questo paese. Poi, è pacifico che sia il più conosciuto e popolare degli storici inglesi contemporanei. Inoltre, è autore di alcune opere fondamentali di storia contemporanea – con i relativi rapporti diplomatici - la maggior parte delle quali dedicate almeno in parte alla recente storia tedesca. In altre parole, è uno specialista della materia oggetto del libro che qui recensiamo, cosa che non si può dire di certi suoi aspri critici, come A. L. Rowse e Hugh R. Trevor-Roper, in quanto il primo è uno specialista della storia e della poesia dell’epoca dei Tudor e il secondo della storia ecclesiastica e, parimenti, della poesia nell’epoca degli Stuart.
In tutti i suoi libri precedenti, Taylor ha sempre mostrato un’avversione piuttosto forte per i politici e i leader tedeschi. Quindi, non può logicamente essere sospettato di nessuna simpatia per i tedeschi o di alcun desiderio di discolpare Hitler, o qualunque altro politico tedesco, da errori o da crimini dimostrabili con documenti attendibili. Infine, è stato un attivo protagonista della sinistra inglese, del Partito Laburista, del movimento per il disarmo, e di altre prese di posizione e scelte politiche che rendono impossibile attribuire a uno come lui delle simpatie per qualsivoglia forma di totalitarismo, meno che mai per quello della Germania nazionalsocialista degli anni ’30. Clement Attlee e i laburisti furono, se non altro, più duri nel loro odio per Hitler e per il cosiddetto appeasement dei conservatori che furono al potere in Inghilterra nel 1938-39.
Quindi, sarebbe difficile immaginare uno storico in grado di offrire maggiori certezze che la sua critica alla tesi del drago da uccidere non vada oltre quello che l’esattezza storica e la documentazione attendibile rendono necessario. Essa è frutto dell’onestà storica e del coraggio professionale, quest’ultimo probabilmente superiore a quello di ogni altro storico della nostra generazione. È interessante notare che da quando il suo libro sulle cause della seconda guerra mondiale è uscito, un certo numero di recensori ostili hanno accusato Taylor di essere uno spacciatore di sensazionalismo in cerca di pubblicità che non deve essere preso sul serio come storico. Ma questi stessi critici sono in realtà gli stessi che avevano in precedenza elogiato la sua profonda erudizione quando i suoi libri riflettevano una forte ostilità verso la Germania e la sua politica.
Dopo aver precisato l’atteggiamento del professor Taylor verso la Germania, ed in particolare verso la Germania degli anni ’30 e verso Hitler, sarà bene chiarire il mio approccio personale a tali questioni. In quanto sostenitore da una vita della libertà di pensiero e di azione politica, e da critico di lunga data di qualsivoglia teoria razziale della storia, sarebbe difficile affibbiarmi l’etichetta di filo-hitleriano. Inoltre, dopo l’ascesa di Hitler e del nazionalsocialismo, ci ho rimesso più io – in termini di prestigio, influenza e contatti in Germania – di ogni altro intellettuale americano: sicuramente molto più di ogni altro storico. William L. Shirer e Dorothy Thompson sono stati lanciati verso la fama e il successo dall’ascesa dei nazisti e dovrebbero essere particolarmente grati alla comparsa di Hitler.
Il mio assunto è che vi sono ragioni sufficientemente valide per respingere il sistema sociale rappresentato dal nazionalsocialismo senza ricorrere alla massa di menzogne e di distorsioni più enorme, sensazionalistica e indifendibile che abbia mai degradato la cosiddetta scienza storica, e che ha indotto Clio a giacere con i gadareni[9] per un quarto di secolo. La mia vasta opera revisionista degli anni ’20 e dei primi anni ’30 era mirata a incoraggiare la revisione del Trattato di Versailles e a impedire l’ascesa al potere di Hitler o di chiunque altro come lui.
Dopo queste osservazioni preliminari, indispensabili per giudicare l’importanza e il valore dell’opera del professor Taylor, possiamo ora rivolgere l’attenzione all’importanza dei fatti e delle conclusioni presentati da questo libro.
Il nocciolo essenziale del volume è la tesi che Hitler – dal Marzo del 1933 fino al Settembre del 1939 - non voleva una guerra: né locale, né europea, né mondiale. La sua unica, fondamentale, mira in politica estera era la revisione dell’iniquo e ingiusto Trattato di Versailles, e tutto ciò in modo pacifico.
Questa è la tesi più notevole e inusitata del libro, e tuttavia ben argomentata. Fin qui, anche coloro che erano stati senza riserve dalla parte della giustizia e della necessità di rivedere il Trattato di Vresailles, avevano, nondimeno, tenuto fermo il fatto che, anche se il programma revisionista di Hitler era giustificato nei suoi obbiettivi generali, egli lo portò avanti in modo colpevolmente brusco, provocatorio e polemico, rischiando – con gioia o con indifferenza – la guerra in tutti i passi da lui intrapresi per ottenere la revisione del sistema di Versailles. In altre parole, anche se il suo obbiettivo era giustificabile, i suoi metodi per ottenerlo furono imperdonabilmente violenti, ingannevoli e torbidi.
Il professor Taylor respinge e confuta questa interpretazione in modo tanto esaustivo come per l’accusa che Hitler voleva provocare la guerra in ogni momento. Egli sostiene che Hitler fu particolarmente cauto e moderato in tutti i passi importanti da lui fatti per minare Versailles. Egli permise che altri creassero delle situazioni favorevoli al conseguimento dei propri scopi e poi le sfruttò in modo non cruento.
Una cosa deve essere chiara, anche per coloro che hanno il più ostile degli atteggiamenti, sia verso Hitler che verso la tesi del professor Taylor. E cioè che gli Alleati ebbero qualcosa come tredici anni per rivedere il Trattato di Versailles in modo volontario e pacifico. Ma non fecero nulla, anche se una delle funzioni dichiarate della Lega delle Nazioni era quella di portare avanti una revisione pacifica di Versailles. Il professor Sidney B. Fay dimostrò già nel 1920 che la clausola del Trattato di Versailles sulla colpevolezza della guerra, che aveva proclamato che gli unici responsabili della prima guerra mondiale furono la Germania e i suoi alleati, non aveva nessun valido fondamento storico.
Il professor Fay e noialtri revisionisti degli anni ’20 speravamo che i fatti da noi evidenziati demolissero la clausola della colpevolezza della guerra e portassero in realtà alla revisione politica del Trattato. Ma non fu così, e il fallimento [della mancata revisione] spiega l’ascesa di Hitler e di tutte le conseguenze – nel bene e nel male – che ne seguirono.
Dopo aver preso il potere, Hitler aspettò pazientemente per qualche anno che gli Alleati facessero qualche passo effettivo per rivedere il sistema di Versailles, prima di occupare la Renania il 7 Marzo del 1936. Anche subito dopo tale azione, egli propose pubblicamente – il 31 Marzo 1936 – quello che Francis Nelson ha definito “il patto di non aggressione più completo mai proposto”. Ma gli Alleati non diedero nessun segno di disponibilità; lo ignorarono totalmente.
E ancora, Hitler aveva appena preso il potere quando, il 17 Maggio del 1933, propose il piano di disarmo più radicale presentato tra le due guerre mondiali da qualunque paese, ma né l’Inghilterra né la Francia ne tennero conto in alcun modo. Anche dopo aver introdotto la coscrizione [obbligatoria] nel Marzo del 1935, come risposta all’espansione della coscrizione in Francia, Hitler dichiarò che “il governo tedesco è pronto a prendere parte attiva in tutti i tentativi che possono condurre a un’effettiva limitazione degli armamenti”. Tale proposta non ricevette più risposte – da parte dell’Inghilterra, della Francia o degli Stati Uniti – di quante ne aveva ricevute quella del Maggio 1933. Quindi, se Hitler voleva rivedere Versailles, era diventato assolutamente chiaro – dal Marzo del 1936 – che la cosa andava fatta mediante un’azione unilaterale.
Possiamo ora prendere in esame la conclusione che il professor Taylor trae sui passi con i quali Hitler realizzò l’intero suo programma revisionista, a parte l’accordo con la Polonia, il fallimento del quale, a causa del sostegno inglese all’intransigenza polacca, condusse nel Settembre del 1939 alla guerra europea. In tal modo, dobbiamo sempre tenere presente l’assunto fondamentale di Taylor su Hitler, e cioè che lui non era uno psicopatico fanatico e bellicoso – un vero pazzo dedito alla guerra – ma uno statista accorto e razionale, in particolare nella sua gestione della politica estera.
Alle persone ragionevoli non sarà certo necessario evidenziare il fatto che il professor Taylor non cerca di presentare Hitler come una sorta di combinazione tra il piccolo Lord Fauntleroy[10], George Washington e l’albero delle ciliege[11], Clara Barton[12] e Jane Addams[13]. Egli poteva essere subdolo, scaltro, incoerente, contraddittorio, crudele e brutale, anche se fu riluttante ad autorizzare i bombardamenti a saturazione contro i civili fino a quando vi fu costretto per rappresaglia. Il punto qui è che, a differenza di Churchill, Roosevelt e Stalin, lui nel 1939 non voleva che scoppiasse una guerra.
Il professor Taylor esamina sistematicamente i principali argomenti sfruttati da decenni dagli storici ortodossi e dai critici di Hitler per dimostrare la malvagità e la bellicosità di Hitler.
L’occupazione della Renania, nel Marzo del 1936, era attesa da tempo. Avrebbe dovuto essere restituita alla Germania diversi anni prima che Hitler prendesse il potere. La sua occupazione forzosa fu un semplice bluff. Sarebbe probabilmente bastata una forte protesta, da parte di Francia e Inghilterra, a trattenerlo e la mobilitazione della Francia avrebbe prodotto un’ingloriosa ritirata. Inoltre, tale mossa non produsse granché, se non qualche vantaggio per l’Inghilterra e la Francia.
Gli storici intenti a sostenere la responsabilità di Hitler per la seconda guerra mondiale – e i suoi grandiosi piani di conquista del mondo – basano il loro atto di accusa principalmente sul memorandum Hossbach, il verbale di una riunione alla Cancelleria tedesca del 5 Novembre 1937 redatto da un ufficiale di collegamento, di nome Hossbach, dello Stato Maggiore. Ad essa parteciparono Hitler, Goering, i principali ufficiali dell’Esercito e della Marina, e il Ministro degli Esteri.
Ciò di cui si parlò furono delle considerazioni di carattere generale sulla situazione in Europa – in riferimento al passato, al presente e al futuro – e sull’eventuale politica tedesca rispetto agli sviluppi attuali e potenziali – il genere di discussione comune, e persino di routine, nelle riunioni di vertice di ogni grande Stato. Dopo che la riunione si sciolse, i presenti prestarono poca attenzione a ciò che era stato detto e la maggior parte di essi non era più in carica già prima dell’estate del 1939. Di tale memorandum si persero le tracce fino a quando gli Alleati lo riesumarono circa dieci anni dopo e e lo fecero saltar fuori maliziosamente come una sorpresa per Goering al Processo di Norimberga.
Taylor liquida il memorandum Hossbach con giusto disprezzo: “Hitler, si sostiene, decise la guerra e la preparò nei dettagli il 5 Novembre 1937. Eppure, il memorandum Hossbach non contiene piani di nessun genere…Hitler non fece piani per la conquista del mondo né per null’altro…[Le sue considerazioni] non hanno nessun rapporto con lo scoppio effettivo della guerra nel 1939”.
Sebbene il grosso pubblico sappia molto poco del memorandum Hossbach, l’opinione pubblica internazionale si accorse pienamente dell’occupazione dell’Austria avvenuta il 12 Marzo 1938, il cosiddetto Anschluss, o unione tra la Germania e l’Austria. Le circostanze dell’evento furono molto diverse da quelle che Hitler aveva previsto e desiderato, e gli vennero imposte dalla stupidità e dalla doppiezza di Schuschnigg. Hitler aveva progettato di prendere il potere in modo graduale, mediante infiltrazioni e operazioni politiche attuate dall’interno dell’Austria. Egli rimase contrariato dal dover compiere un’esibizione di forza e fu umiliato dallo spettacolo che il suo esercito impreparato diede entrando a Vienna.
Lo stesso Anschluss era stato auspicato dalla maggior parte degli osservatori equilibrati e realistici della situazione post-bellica, e venne accolto con entusiasmo dalla maggioranza della popolazione austriaca. Ma, non fosse stato per la miope opposizione dell’Inghilterra e della Francia, avrebbe potuto essere realizzato durante il periodo della Repubblica di Weimar e avrebbe potuto constribuire a rafforzare le fortune sia del regime di Weimar che dell’Austria, anche al punto di salvare entrambi dal nazionalsocialismo.
Pochi episodi o eventi nella storia del mondo civile sono stati attaccati in modo più impetuoso e messi alla gogna in modo più ostile della Conferenza di Monaco del 29-30 Settembre 1938. È stata descritta e condannata come una vera e propria incarnazione del pavido tradimento di ogni principio, e della morale pubblica, nelle questioni internazionali. Diede origine al vocabolo calunnioso più abusato dell’attuale generazione – “appeasement” – che corrisponde in realtà alla prassi con cui la normale diplomazia viene portata avanti da secoli, vale a dire, mediante negoziati razionali e pacifici. Monaco è stata anche dipinta in modo particolare come la sconfitta più vergognosa e irresponsabile mai subita dall’Inghilterra in tutta la storia dei suoi rapporti diplomatici, nonché la causa principale della seconda guerra mondiale. Il professor Taylor, al contrario, ritiene che Monaco “fu un trionfo della parte migliore e più illuminata della società inglese”.
Che Monaco non funzionò come era stato sperato all’epoca fu dovuto più al comportamento e alla politica inglese subito dopo Monaco che a qualche misfatto di Hitler. Chamberlain non prese posizione in modo efficace, e forse non poteva, contro i miopi e aspri attacchi a Monaco sia da parte dei conservatori che dei laburisti. Halifax era già impegnato a tradire gli sforzi di pace di Monaco e ad assumere nel gabinetto la leadership del partito della guerra. Churchill proclamò che la Germania stava diventando troppo forte perché ciò potesse essere tollerato e che doveva essere stroncata, se necessario con la forza delle armi. Duff Cooper sostenne che l’equilibrio delle forze dell’Europa continentale doveva essere preservato a tutti i costi. Taylor non menziona il fatto che anche Clement Attlee attaccò Monaco con la stessa durezza e asprezza dei conservatori.
Invece di difendere la sua politica monacense in base all’alto livello di abilità politica e di etica pubblica a cui Taylor riconduce le sue motivazioni, Chamberlain, di fronte alle critiche del partito inglese della guerra, ricorse alla scusa zoppa e disonesta che l’Inghilterra si era arresa a Monaco perché all’epoca era troppo debole per combattere invece di negoziare; quindi, doveva ora riarmarsi velocemente e fino in fondo. “In questo modo, Chamberlain riuscì più di ogni altro a distruggere la credibilità della sua stessa politica”.
La solita spiegazione che Monaco non riuscì a preservare la pace perché Hitler violò il suo impegno di non avanzare ulteriori rivendicazioni territoriali in Europa dopo la cessione dei Sudeti non può essere sostenuta sulla base dei fatti. Egli in realtà assunse tale impegno nel discorso dello Sportpalast di Berlino il 26 Settembre 1938, tre giorni prima di Monaco. Hitler non rivendicò nessun territorio cecoslovacco dopo la Conferenza di Monaco e la cessione dei Sudeti, e le sue richieste per la restituzione della città tedesca di Danzica, sulla quale la Polonia non aveva validi diritti, e per la ferrovia e l’autostrada lungo il Corridoio, non possono certo essere considerate come una violazione letterale, o anche morale, di tale impegno. La Cecoslovacchia andò inevitabilmente in pezzi nel corso naturale della disintegrazione politica seguita al ritorno dei Sudeti alla Germania. Taylor spiega tutto ciò in modo dettagliato.
Di tutte le accuse stupide e ridicole fatte contro Hitler, sicuramente quella più macroscopica è che la sua occupazione di Praga dimostrò la sua determinazione a conquistare il mondo. Sebbene Chamberlain, Halifax e Sir Howard Kennard, l’ambasciatore inglese a Varsavia, incoraggiarono la Polonia a non negoziare con Hitler un accordo pacifico nell’Agosto del 1939, il resoconto del professor Taylor della crisi tedesco-polacca – Ottobre 1938-Settembre 1939 – quadra con la sua tesi generale che Hitler non voleva la guerra. Egli mette in chiaro che Hitler desiderava un accordo stabile e pacifico con la Polonia, e non la guerra.
Le condizioni che Hitler propose alla Polonia, a partire dal 24 Ottobre 1938, erano estremamente ragionevoli – in realtà, le più moderate di tutta la sua condotta revisionista dal 1933 al 1939 - ed erano molto meno drastiche di quelle proposte da molti leader inglesi tra le due guerre mondiali. Persino Churchill, nello stesso momento in cui Hitler giunse al potere, aveva dichiarato il 13 Aprile 1933 alla Camera dei Comuni che la questione del Corridoio polacco era una questione preminente che doveva essere risolta se si voleva preservare la pace in Europa.
Hitler chiese solo la restituzione di Danzica e una ferrovia e un’autostrada lungo il Corridoio. In realtà, offrì molto in cambio di quello che aveva chiesto; offrì di riconoscere i confini polacchi fissati a Versailles dopo la prima guerra mondiale, qualcosa che la repubblica di Weimar non aveva neppure lontanamente pensato. L’Inghilterra è stata sempre presentata nella narrativa tradizionale del 1939 come il guardiano morale dell’Europa, pronta anche a rischiare la guerra per proteggere l’integrità della Polonia, che Hitler stava cercando di inglobare. I fatti sono esattamente l’opposto.
È definitivamente provato che i leader polacchi credevano che le condizioni di Hitler del 1938-39 fossero sincere, e che non erano semplicemente il primo passo di un programma sinistro di assorbire poi la Polonia per mezzo della forza militare o degli intrighi politici. Ma Josef Beck, il Ministro degli Esteri polacco, rifiutò di accettare le generose condizioni di Hitler e il 26 Marzo 1939 ruppe i negoziati con la Germania. Non vennero più ripresi fino allo scoppio della guerra, il 1 Settembre 1939.
L’ostinata indisponibilità della Polonia - anche al semplice negoziato - con la Germania durante la crisi dell’Agosto 1939 viene pienamente evidenziato da Taylor, sebbene egli non evidenzi il modo in cui Beck venne incoraggiato nella sua intransigenza da Halifax e da Kennard, in particolare da quest’ultimo. Taylor, tuttavia, mette bene in chiaro che i polacchi erano molto più favorevoli alla guerra di Hitler. Fino all’ultimo Htler sperò in una revisione pacifica. Anche durante le ultime ore di pace, egli si limitò ad aumentare le proprie richieste nel senso di chiedere un plebiscito nell’estremità settentrionale del Corridoio. In base a tale piano, sarebbe bastato un anno di negoziati pacifici per completare gli accordi, considerando che l’importante porto polacco di Gdynia era stato esplicitamente escluso dalla zona del proposto plebiscito.
Quelli che rifiutano di farsi convincere dalla dimostrazione di Taylor che le mosse di Hitler per rivedere il Trattato di Versailles sono la prova che non voleva scatenare la guerra, ricorrono all’accusa che tutta la sua politica economica era stata finalizzata ad adeguare l’industria tedesca a dei piani bellici, che aveva speso enormi somme di denaro per creare una grande macchina bellica, adeguata e pronta a iniziare una guerra per la conquista del mondo, e che aveva trasformato la Germania in un grande accampamento militare.
Taylor confuta tutto ciò in modo molto efficace. Hitler non spese più denaro in armamenti né della Francia né dell’Inghilterra, e non era preparato in alcun modo neppure per una guerra europea, per non dire di una guerra per la conquista del mondo. Era pronto solo per un breve Blitzkrieg di un paio di mesi, come quello che intraprese in Polonia. Delle cento divisioni che impegnò in Polonia, solo tre erano meccanizzate e nessuna di esse era completamente motorizzata. Nel 1939, le forze militari di Inghilterra e Francia, messe assieme, erano ben più che equivalenti a quelle della Germania.
L’ultima linea di difesa di quelli che rifiutano i fatti - sia della storia diplomatica che di quella economica dal 1933 al 1939 - è che la vera prova del piano di Hitler per conquistare il mondo sta nel Mein Kampf, scritto nel 1924, e nel suo presunto “Secondo Libro”, presuntamente scritto nel 1928, non in ciò che fece realmente dal 1933 al 1939. Tutto ciò presuppone che Hitler era nel 1939 il solo personaggio pubblico importante a non aver mai cambiato idea nel corso degli anni nonostante gli straordinari cambiamenti del mondo circostante. Tuttavia, questi stessi critici – sia di Hitler che della storiografia razionale – sono gli stessi che sostengono da tre decenni che la caratteritica costante di Hitler fu la sua natura esplosiva, la sua inaffidabilità, la sua instabilità, la sua volubilità, le sue oscillazioni, e la sua complessiva irresponsabilità. Costoro non possono sostenere entrambe le cose.
Il Mein Kampf non fornisce chiavi di lettura di quanto passava nel 1939 nella mente di Hitler, non più di quanto i violenti attacchi del 1918-20 di Churchill alla Russia rendano conto del suo atteggiamento verso la Russia alla Conferenza di Yalta, o delle sue rassicurazioni alla Camera dei Comuni dopo il suo ritorno da Yalta di non conoscere nessun paese che onorasse con maggiore lealtà della Russia Sovietica i propri impegni ufficiali. Il sotterfugio di ricorrere al Mein Kampf equivale a cercare le motivazioni e la politica del Presidente Roosevelt alla vigilia di Pearl Harbor nei suoi discosi isolazionisti e pacifisti della campagna del 1936, solo cinque anni prima.
Nelle sue conclusioni finali sull’avvento della guerra nel Settembre 1939, il professor Taylor rifiuta il verdetto accettato da più di due decenni, e cioè che essa fu il risultato inevitabile di un complotto malefico e lungamente premeditato da parte di un maniacale dittatore nazista.
Egli sostiene, al contrario, che si trattò di un errore catastrofico, non premeditato da nessuna delle due parti, e fu soprattutto il risultato delle cantonate politiche e diplomatiche di entrambe le parti: “Questa è una storia senza eroi, e forse anche senza alcun malvagio…La guerra del 1939, lungi dall’essere desiderata, fu forse la meno voluta rispetto a ogni altra guerra della storia…La guerra del 1939, lungi dall’essere premeditata, fu un errore, il risultato dei madornali errori diplomatici di entrambe le parti…Tali furono le origini della seconda guerra mondiale, o piuttosto della guerra tra le tre Potenze Occidentali sull’accordo di Versailles; una guerra che era stata implicita sin dal momento in cui finì la prima guerra”.
Il professor Taylor ha assolutamente ragione nell’affermare che, se parliamo del vasto pubblico, la seconda guerra mondiale fu una delle meno volute della storia, ma lo stesso non si può dire di Halifax, Kennard, e dal partito inglese della guerra nell’estate del 1939. Chamberlain fu piuttosto ondivago e schizoide sulla questione, ma alla fine fece fronte comune con Halifax e Kennard e prese posizione contro Sir Nevile Henderson, l’ambasciatore inglese a Berlino, che si oppose decisamente alla guerra fino all’ultimo.
Come Ministro degli Esteri, Halifax era il leader del gruppo che voleva la guerra. Aveva assunto il controllo della politica estera inglese una settimana dopo la Conferenza di Monaco. Portò a termine il suo programma di guerra - in modo risoluto e spietato, e con consumate abilità, maestria, doppiezza e determinazione – dalla metà di Ottobre del 1938 fino all’invio dell’ultimatum definitivo alla Germania del 3 Settembre 1939. Se nel 1939 vi fu un “malvagio”, questo fu Lord Halifax, molto più di Churchill. Quest’ultimo, all’epoca, aveva poco a che fare con la diplomazia inglese, e in realtà non sapeva molto di quello che si consumò alla fine di Agosto, quando Halifax fu abile e inesorabile nel condurre l’Inghilterra e l’Europa in guerra.
Mentre ostentava una religiosità personale quasi affine a quella di Tommaso da Kempis, Halifax progettò, organizzò e fomentò in modo gratuito, contro il mondo intero, la guerra più crudele e devastante della storia, il cui risultato ultimo potrebbe essere lo sterminio del genere umano, e tutto ciò senz’altra giustificazione della perpetuazione di un’obsoleta tradizione politica inglese – l’equilibrio delle forze sul continente europeo – che era stata inaugurata nel sedicesimo secolo dal Cardinal Wolsey.
Per quanto riguarda le motivazioni del gruppo che appoggiò Halifax, erano tanto numerose quanto varie. Alcuni di costoro erano germanofobi cronici. Altri erano preoccupati dalla ripresa economica della Germania e dal modo con cui questa era stata realizzata. Alcuni potrebbero aver sinceramente temuto che Hitler avesse un programma di grandi conquiste militari, anche se sicuramente nessuno di loro riteneva che queste fossero dirette contro l’Inghilterra. Alcuni, come Churchill, pensavano di poter aumentare il proprio peso politico grazie alla guerra. I laburisti e altri gruppi di sinistra odiavano il totalitarismo conservatore.
Di certo, l’assegno in bianco dell’Inghilterra alla Polonia, sia quando venne concesso in Marzo che quando venne confermato il 25 Agosto, fu una truffa ipocrita che non diede alla Polonia nessuna garanzia onesta né sufficiente protezione, e neppure ne aveva lo scopo. Fu solo un provocatorio strattagemma di guerra. Incoraggiò semplicemente la Polonia a respingere le ragionevoli richieste tedesche e a rendere quindi inevitabile una guerra contro la Germania. Fu Hitler che offrì alla Polonia una garanzia sincera.
Quando, nell’autunno del 1939, la Russia occupò spudoratamente la Polonia orientale, venne sollevata alla Camera dei Comuni la questione se la garanzia inglese alla Polonia includesse l’aggressione da parte della Russia. Richard A. (Rab) Butler, che rispose per il governo, dovette rispondere di no. Era solo una garanzia contro la Germania, che all’inizio non prevedeva l’annessione di nessuna porzione di territorio polacco. La Germania invece aveva offerto alla Polonia di garantire i confini di Versailles.
È ampiamente risaputo che nel 1939 nessun leader responsabile, in Germania, in Francia o in Italia, voleva la guerra. A quanto pare, il Presidente Roosevelt voleva che in Europa la guerra scoppiasse il prima possibile, spinse Chamberlain ad andare avanti e incoraggiò l’arroganza e l’inflessibilità dei polacchi. Ma Roosevelt nel 1939 non era in una posizione tale da poter esercitare in Europa nessuna influenza diretta decisiva, e Halifax non aveva bisogno di incoraggiamenti da parte di Roosevelt.
È improbabile, però, che l’Inghilterra avrebbe osato adottare la politica da lei intrapresa nel 1939 nei confronti della Polonia e della Germania se Roosevelt non avesse in precedenza promesso ai leader inglesi, in particolare attraverso Anthony Eden e Giorgio VI, tutto l’aiuto possibile da parte degli americani e non fosse stato d’accordo nel fare ogni sforzo possibile per portare gli Stati Uniti in guerra, quando questa fosse scoppiata, dalla parte dell’Inghilterra. Tutto ciò è emerso chiaramente dai cosiddetti “documenti Kent”, i quasi duemila messaggi segreti che vennero scambiati in codice tra Roosevelt e Churchill e che includevano, come venne ammesso da Churchill, la maggior parte degli impegni e degli accordi diplomatici cruciali anglo-americani, a partire anche da prima che Churchill diventasse Primo Ministro.
Per riassumere in modo realistico la questione delle responsabilità per le origini della guerra, si può dire tranquillamente che il professor Taylor ha interamente ragione nel sostenere che la responsabilità generale, in senso lato, che riguarda due decenni, va divisa tra tutte le parti in causa e che fu il risultato di errori madornali compiuti da tutti.
Riguardo alla responsabilità, stretta e diretta, dello scoppio delle ostilità nel Settembre 1939, la colpa della guerra tedesco-polacca va divisa tra la Polonia, l’Inghilterra e la Germania, con la cosiddetta colpa assegnata nel detto ordine.
La responsabilità diretta e primaria per la Guerra Europea, che sfociò nella seconda guerra mondiale, è attribuibile quasi esclusivamente all’Inghilterra e al partito inglese della guerra, costituito sia da conservatori che da laburisti. Se l’Inghilterra non avesse arbitrariamente concesso alla Polonia un assegno in bianco, che non era affatto necessario alla sicurezza inglese, la Polonia avrebbe potuto rischiare una guerra con la Germania. Nondimeno, anche in questo caso, non vi sarebbe stata nessuna giustificazione per un intervento inglese in tale guerra, o per provocare una Guerra Europea.
Questa diretta, esclusiva, responsabilità inglese per lo scoppio della Guerra Europea nel Settembre del 1939 contrasta, al paragone, con la responsabilità diretta di aver iniziato una guerra europea dell’Agosto del 1914, che va divisa, nell’ordine, tra la Russia, la Francia e la Serbia. Se Alexander Izvolski, l’ambasciatore russo in Francia nel 1914, fu individualmente più responsabile di chiunque altro per la guerra del 1914, allo stesso modo, il più colpevole per l’avvento della guerra nel 1939 è Lord Halifax.
Per screditare l’importanza del libro del professor Taylor, pur ammettendo la sua esattezza quanto alle responsabilità generali della guerra nel 1939, è già emersa una linea di attacco. Si dice che, anche ammesso che nel 1939 Hitler e i nazisti non siano colpevoli dell’inizio della guerra, o anche che non volessero iniziarla, le brutali atrocità di cui si resero colpevoli dopo che la guerra ebbe inizio hanno dimostrato che costoro erano dei tali gangster che Halifax e i suoi sodali ebbero ragione a ricorrere a tutti i complotti e le doppiezze necessari a provocare una guerra per distruggerli e annientarli, e che il Presidente Roosevelt assolse un grande compito morale nel “portare gli Stati Uniti in guerra con la menzogna” in modo che questo atto di sterminio salutare e necessario venisse portato a termine.
Ogni argomento del genere è persino più falso e biasimevole della giurisprudenza ex post facto su cui i processi di Norimberga sono stati basati. Inoltre, non c’è nessuna ragione per credere che le brutali azioni belliche imputate alla Germania avrebbero avuto luogo se la pace fosse stata preservata. Infine, come Milton Mayer, Victor Gollancz e altri hanno già sostenuto, è probabile che l’intera questione dei crimini di guerra commessi dalla Germania verrà sottoposta ad un revisionismo altrettanto drastico di quello cui sono state sottoposte da Taylor le opinioni convenzionali sulle responsabilità della seconda guerra mondiale. Molte migliaia di persone sono state giustiziate in seguito ai processi per crimini di guerra in Germania e nei paesi della Cortina di Ferro – processi oggi ancora in corso – e oltre 100.000 persone sono state giustiziate o massacrate in Francia e in Italia durante la “Liberazione”.
Due grandi torti non equivalgono a una ragione ma anche una rassegna sommaria delle atrocità commesse dagli Alleati – anche senza includere quelle commesse nell’area asiatica, bombe atomiche a parte – dimostra chiaramente che l’argomento secondo cui la seconda guerra mondiale doveva essere intrapresa semplicemente per togliere di mezzo una banda di malfattori tedeschi assolutamente senza paragoni – unica sia per depravazione morale che per le brutalità compiute – è privo di valore.
I diabolici misfatti di Hitler sono stati detti e ridetti, a partire da molto prima del 1939. Dopo che la Guerra Fredda era iniziata, l’Occidente iniziò a sapere qualcosa sulle azioni nefande e mostruose di Stalin – quest’”uomo di grande e straordinaria personalità, e dalla saggezza profonda e affascinante”, come lo descrisse Churchill – che superavano di gran lunga quelle di Hitler. Ma abbiamo sentito parlare poco degli orrori, dovuti alla politica e agli atti di Churchill e Roosevelt quali, per esempio, i bambardamenti a saturazione dei civili, i bombardamenti incendiari delle città tedesche - come Amburgo - e di Tokyo, il bombardamento e la distruzione della magnifica città di Dresda - città che non aveva nessuna importanza militare e in cui morirono più persone che nei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki - i bombardamenti atomici delle città giapponesi (progettati da Roosevelt), l’espulsione di circa 15 milioni di tedeschi dalle loro case – dei quali ne morirono, nel corso dell’operazione, dai 4 ai 6 milioni a causa dei massacri, della fame, e dell’esposizione alle intemperie – le brutalità commesse contro i prigionieri di guerra tedeschi appartenenti alle SS, il trattamento barbaro e crudele inflitto alla Germania dal 1945 al 1948, e il rimpatrio di circa 5 milioni di profughi russi dalla Germania all’Unione Sovietica di Stalin per essere massacrati o schiavizzati. L’orrore massimo, anch’esso ascrivibile tranquillamente alle loro azioni, viene tenuto ancora in serbo per noi tutti: lo sterminio nucleare del genere umano.
In breve, la barbarie e gli orrori dei nazisti non sono un caso unico o speciale a meno che non si pensi che è molto più malvagio sterminare ebrei che sterminare gentili. Se quest’ultimo giudizio di valore sembra essere diventato generalmente accettato in Occidente dal 1945, mi considero ancora abbastanza eccentrico da ritenere riprovevole sia massacrare gli ebrei che i gentili.
Il professor Taylor, sensatamente e saggiamente, affronta solo superficialmente e incidentalmente la politica interna della Germania nazista, sebbene egli accenni varie volte al fatto che quest’ultima probabilmente ebbe più peso nel provocare la guerra della politica estera di Hitler. Di tutti gli aspetti della politica interna di Hitler, quello che gli riversò addosso il massimo sdegno e odio e quello che rappresentò il fattore pubblico più importante nell’incoraggiare la guerra contro la Germania, fu il suo trattamento degli ebrei tedeschi, un esempio di follia che condanno da quasi trent’anni in numerosi articoli, libri e conferenze. In realtà, il famoso rabbino americano, Stephen S. Wise, ha ristampato una serie di articoli da me scritti per i giornali del gruppo Scripps-Howard[14], in cui criticavo l’antisemitismo di Hitler, e ne ha distribuite decine di migliaia di copie.
Non ci poteva comunque essere un paradosso storico più grande di una guerra, a causa della questione ebraica, fatta in nome della Polonia. In Polonia, nel 1933, gli ebrei erano sei volte più numerosi che in Germania, ed erano trattati in modo sicuramente altrettanto cattivo degli ebrei tedeschi sotto Hitler. Inoltre, nel 1939, il programma antiebraico di Hitler si era attenuato e più della metà degli ebrei tedeschi avevano lasciato la Germania, di solito assieme a buona parte dei loro averi, mentre gli ebrei polacchi erano diminuiti solo di poco e il loro trattamento non era migliorato in modo significativo.
Negli anni ’30, quando ero attivamente impegnato nel giornalismo, ricevetti molti elogi dai lettori ebrei per le mie rubriche e i miei articoli in cui criticavo il trattamento degli ebrei da parte di Hitler, ma tutto ciò era punteggiato dal frequente e persistente consiglio a non trascurare i guai molto più grandi degli ebrei in Polonia. Alcuni dei miei più fidati corrispondenti accusavano il governo polacco di aver preparato dei piani per sterminare gli ebrei polacchi in quanto rivoluzionari comunisti. Tutto ciò risale a diversi anni prima di qualunque piano di sterminio atrribuito a Hitler. Né, a tale riguardo, andrebbe trascurata la Russia. Mentre scriveva nell’Ottobre del 1938, Walter Duranty osservò che “Stalin ha fatto fucilare più ebrei in due anni di purghe di quanti ne sono mai stati uccisi in Germania”.
È opportuno ricordare brevemente in questa sede la valenza del libro del professor Taylor per i cittadini statunitensi. Per quanto riguarda la storiografia revisionista, essa ne esce assai rafforzata e le sue tesi fondamentali vengono confermate. Adesso sarà più facile affrontare le cause della seconda guerra mondiale in modo onesto e realistico senza venire accusati di perversione morale e di debolezza mentale.
Il rispetto e la venerazione con cui gli storici inglesi vengono abitualmente trattati dalla corporazione degli storici americani renderà improbo per questi ultimi deridere la conferma, da parte del professor Taylor, delle tesi fondamentali della storiografia revisionista americana. Le febbrili recensioni dell’edizione americana hanno già rivelato la loro reazione schizoide – una sorta di intellettuale ballo del twist.
Il libro di Taylor sottolinea l’esattezza di valutazione degli anti-interventisti americani, che in questo paese erano stati sostenuti dagli scritti storici dei revisionisti. Gli interventisti avevano basato la loro politica sulla supposizione fantasiosa – amplificata da storici capaci come Samuel Flagg Bemis, da opinionisti influenti come Walter Lippmann, e da grandi giornalisti come Walter Millis – che gli Stati Uniti erano di fronte al pericolo mortale di essere infiltrati e attaccati dalla Germania nazista. Il libro del professor Taylor evidenzia infatti anche la grottesca falsità di questa tesi. Hitler non voleva attaccare nemmeno l’Inghilterra o la Francia, figurarsi se voleva oltrepassare l’Atlantico. Né era necessario che gli Stati Uniti entrassero in guerra per proteggere l’Inghilterra o la Francia. Hitler cercò la pace, dopo la guerra polacca, e la cercò ancora dopo la caduta della Francia e dopo Dunkirk.
Alla luce dei fatti portati alla luce dal professor Taylor, che non sono certo una novità per gli storici revisionisti americani e che erano già stati espressi con chiarezza da Tansill, Beard e altri, l’asserzione del Presidente Roosevelt che Hitler aveva progettato di invadere gli Stati Uniti passando per Dakar, Rio de Janeiro e Panama – il suo famigerato programma per l’occupazione nazista dell’Iowa – si dimostra fantasiosa e insostenibile quanto la sua dichiarazione che venne “sorpreso” dall’attacco giapponese del Dicembre 1941.
Il libro del professor Taylor dovrebbe fungere da monito al fatto che una terza guerra mondiale non verrà impedita da una valanga di stantia germanofobia, o semplicemente vociferando arroganti insulsaggini o prediche melense sulle virtù e la superiorità della democrazia e del “Mondo Libero”. Queste pose semantiche devono essere integrate e realizzate con tutta la saggezza, la cautela, la preveggenza e l’arte di governo ricavabili dall’esperienza disastrosa delle due guerre mondiali e dei loro strascichi nefasti. Se falliremo, non avremo un’altra opportunità.
Di certo, non avremo successo ancora per molto, poichè siamo decisamente indisponibili a un esame di coscienza ma continuiamo a cercare un capro espiatorio su cui addossare la colpa di tutte le tragedie internazionali. La decisione di trattare da capro espiatorio il Kaiser e la Germania dopo la prima guerra mondiale produsse il Trattato di Versailles e, col tempo, la seconda guerra mondiale. La stessa operazione è continuata su ben più vasta scala dopo la seconda guerra mondiale, e ci ha già portato diverse volte sull’orlo della guerra nucleare. Il professor Taylor ha evidenziato la follia di trovare nella politica estera di Hitler la causa di tutte le disgrazie e le angoscie del mondo dal 1939 – o persino dal 1933.
Non possiamo trarre giovamento dall’illusione che la guerra nucleare verrà proscritta nella terza guerra mondiale così come il gas tossico lo è stato nella seconda. Come F. J. P. Veale ha fatto notare così bene nel suo libro Advance to Barbarism, di ciò si sono occupati i processi di Norimberga. Questi hanno mostrato che la regola del futuro sarà che i leader sconfitti, sia militari che civili, verranno giustiziati. Quindi, nessun leader, in tempo di guerra, si asterrà da qualunque orrore, attuabile ed efficace, che potrebbe evitare la sconfitta. Il feldmaresciallo Bernard Law Montgomery aveva ragione quando disse a Parigi, nel Giugno 1948: “I processi di Norimberga hanno reso l’intrapresa di una guerra perduta un crimine: i generali della parte sconfitta vengono processati e poi impiccati”. Avrebbe dovuto aggiungere i capi di stato, i primi ministri, i ministri degli esteri, e persino i ministri del welfare.
Se è facile dimostrare che la seconda guerra mondiale e l’entrata in essa degli Stati Uniti sono state la più grande calamità della storia dell’umanità, e forse l’ultima – se non l’ultima, sicuramente la penultima – si pone sempre la domanda relativa a cosa si sarebbe dovuto fare.
Non c’è spazio qui per scrivere un trattato sulla storia del mondo o per mescolare la profezia al senno di poi. Ma possiamo suggerire una risposta ragionevole.
La Germania e la Russia avevano fatto un patto nell’Agosto del 1939, ed entrambe erano interessate a trasformare l’est e il sud. Se fossero rimaste in amicizia avrebbero potuto sviluppare e civilizzare queste grandi aree selvagge. Se avessero litigato e combattuto, lo scontro militare avrebbe ridotto all’impotenza questi due grandi regimi totalitari. Una volta che la guerra era iniziata, e che la Germania aveva invaso la Russia, gli Stati Uniti sarebbero dovuti rimanere in disparte e permettere che questi rivali totalitari si dissanguassero reciprocamente ponendo quindi fine alla loro minaccia per l’Occidente.
La saggezza di tale prospettiva venne riconosciuta da leader conclamati di entrambi i maggiori partiti politici, quali l’ex Presidente Edgar Hoover, il senatore Robert Taft, e il senatore Harry Truman. Il comunismo non dominerebbe ora una vasta porzione del pianeta o avrebbe oltre un miliardo di sostenitori. Né saremmo stati costretti a fronteggiare l’eventualità di una guerra di sterminio nucleare.
Ma il potere congiunto della brama di Roosevelt per il fascino di una presidenza bellicosa, la linea comunista della “sicurezza collettiva”, così efficacemente proposta da Litvinov a Ginevra e adottata dai liberal americani come base ideologica del loro interventismo – e il livello enorme di vanagloria e di compiacimento per il proprio prestigio come leader bellico di Churchill, erano troppo grandi per essere battuti da qualunque dato di fatto o logica politica. I tragici risultati della follia dell’interventismo americano e delle concessioni di Roosevelt al comunismo staliniano dominano le notizie di tutti i quotidiani e di tutte le riviste politiche del nostro tempo.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://oll.libertyfund.org/?option=com_staticxt&staticfile=show.php%3Ftitle=2136&chapter=195305&layout=html&Itemid=27 . Le note a piè di pagina sono del traduttore. La traduzione italiana del libro di Taylor è stata ristampata qualche anno fa da Laterza: http://www.ibs.it/code/9788842048558/taylor-alan-j/origini-della-seconda-guerra.html?shop=5313
[2] Traduzione della nota a piè di pagina originale posta a conclusione dell’articolo: “Harry Elmer Barnes è autore di numerosi libri e articoli sulla storia del ventesimo secolo, tra i quali figurano la Genesis of the World War [Genesi della – Prima – guerra mondiale; qui è possibile leggere un testo più breve di Barnes su argomento analogo: http://tmh.floonet.net/articles/barnesww1.shtml ] che esamina le responsabilità dello scoppio della prima guerra mondiale. Egli è co-autore di Perpetual War for Perpetual Peace [disponibile in rete qui: http://www.aaargh.codoh.com/fran/livres7/Barnespwpp.pdf ], definito da Raymond Moley come “il più solido dei libri recenti sulla politica estera””.
[3] http://en.wikipedia.org/wiki/The_American_Mercury
[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Rip_van_Winkle
[5] http://it.wikipedia.org/wiki/Harry_Hopkins
[6] Acronimo che sta per Victory over Japan Day, il giorno in cui il Giappone si arrese agli americani.
[7] Pubblicato in edizione italiana da Cappelli Editore nel 1962 con il titolo di I RESPONSABILI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE.
[8] http://en.wikipedia.org/wiki/James_Ford_Rhodes
[9] Il duplice riferimento è a Clio quale musa della Storia e agli indemoniati gadareni (o geraseni) citati nel Vangelo secondo Matteo (8: 28-34).
[10] http://it.wikipedia.org/wiki/Il_piccolo_Lord
[11] Barnes si riferisce qui ad un aneddoto sul primo Presidente degli Stati Uniti riportato anche da Wikipedia: “Primo tra tutti un aneddoto che dovrebbe dimostrare l'onestà del giovane Washington, e che fu pubblicato da un pastore anglicano di nome Mason Weems in un libro per bambini. Secondo quanto riferito il giovane Washington avrebbe abbattuto all'età di otto anni un ciliegio del padre per provare l'ascia ricevuta in regalo il giorno prima. Una volta abbattuto l'albero, il padre, accortosi che il ciliegio era stato tagliato, avrebbe chiesto al figlio perché lo avesse fatto. Washington in tutta tranquillità replicò semplicemente: „I can not tell a lie, it was me who chopped down the cherry tree,“ che tradotto vorrebbe dire, "non posso mentire, sono stato io ad abbattere il ciliegio" (http://it.wikipedia.org/wiki/George_Washington ).
[12] http://it.wikipedia.org/wiki/Clara_Barton
[13] http://it.wikipedia.org/wiki/Jane_Addams
[14] http://en.wikipedia.org/wiki/E._W._Scripps_Company
http://andreacarancini.blogspot.com/2010/09/harry-elmer-barnes-introduce-alan.html
Una grave omissione, citando il patto Molotov-Ribbentropp, è di non ricordare che la Polonia nell'autunno del 1939 fu spartita non solo tra Germania ed URSS, ma anche dalla Lituania. Il governo di Kaunas, con il benestare di Hitler e Stalin, infatti si impossessò di Wilno, cacciò via la popolazione polacca, cambiò il nome della città in Vilnius e vi trasferì la capitale. La Lituania non restituì mai più quel vantaggio territoriale alla Polonia. Nel 1945, grazie a Stalin, la Lituania sovietica si prese anche Memel dalla Germania, cacciò via la popolazione tedesca e cambiò il nome della città in Klaipeda.
RispondiEliminaQuesti favori ottenuti grazie a Stalin sono lo scheletro nell'armadio della Lituania, impropriamente ricordata come vittima invece di collaborazionista dell'URSS.