di Maurizio Barozzi
25.08.2010 - Per coloro che hanno studiato o semplicemente letto i fatti narrari dalla “ storica versione” su la morte di Mussolini è sempre risaltato, con palese evidenza, che questa “ vulgata”, è quantomeno poco credibile e lascia intravedere come, all'interno di alcuni avvenimenti, oltretutto narrati contraddittoriamente per adattarli ad altri, ci siano stati ulteriori fatti ed eventi mai raccontati, rimasti cioè nell'ombra.
Tutta questa scarsa credibilità, in ogni caso, ha anche dato vita ad alcune supposizioni che vanno addirittura al di là di ogni immaginazione.
Si tratta di ipotesi non provate, ma che hanno comunque alcune “pezze di appoggio” e quindi si dovrebbero attentamente considerare anche se, premettiamo, alla fin fine, non si arriverà a capo di tutti i misteri che riguardano queste vicende ed, oltretutto, per seguire il più possibile un filo logico, scremandolo da tanti particolari effettivamente poco credibili o non comprovati, dovremo giocoforza fare un pò di confusione.
Per considerare appunto, uno di questi “misteri” o presunti tali, il giornalista storico Franco Bandini, ma soprattutto poi Urbano Lazzaro il partigiano Bill hanno prospettato a suo tempo l'ipotesi che il “vero” colonnello Valerio non sia stato Walter Audisio, ma addirittura Luigi Longo.
Ma, sempre su questo tema, vi è anche un altra ipotesi, altrettanto diffusa e avanzata anche dallo stesso Bandini, che ad impersonare quel colonnello Valerio in azione il 28 aprile 1945, in realtà, fu un altro partigiano rimasto fino ad ora sconosciuto (lo chiamiamo qui “ Mr. X ”).
Bisogna premettere comunque che, se è pur vero che quel sabato 28 aprile 1945 sono avvenuti fatti rimasti fino ad oggi sconosciuti ed è possibile che abbiano circolato personaggi rimasti misteriosi, non per questo dobbiamo correre dietro a tutte le ipotesi possibili ed immaginabili.
Cosicché quello che in questo caso possiamo fare è unicamente il cercare di ricondurre tutta questa vicenda nei limiti del possibile, del sufficientemente riscontrabile, senza lasciare troppo spazio alla fantasia.
A ben vedere e ragionando in termini di documentazioni storiografiche ci sono molte prove, ma non tutte decisive che accertino irrefutabilmente che fu veramente Walter Audisio, al tempo in forza presso il Comando generale del CVL di Milano, a compiere tutte, ripetiamo tutte, le imprese che gli sono state assegnate, ovvero: partire da Milano assieme ad Aldo Lampredi, apparire in Prefettura a Como verso le 8,30 e poi sulla piazza di Dongo intorno alle 14,10, per recarsi poco più di un oretta dopo a Giulino di Mezzegra a fucilare Mussolini e la Petacci alle 16,10 davanti al cancello di Villa Belmonte e poi tornare a Dongo, come un forsennato, per imporre un altra e più vasta fucilazione di fascisti a circa un quarto alle 18.
Ma se le prove in proposito scarseggiano, quelle contrarie sono ancora meno e noi riteniamo di poter condividere in buona parte la ricostruzione storica condotta dal ricercatore Marino Viganò il quale ha dimostrato abbastanza attendibilmente la presenza ed il ruolo svolto da Walter Audisio, partito da Milano con un incarico omicida e giunto a Dongo passando per Como (vedi: Marino Viganò: Un Istintivo gesto di riparo. Nuovi documenti sull'esecuzione di Mussolini 28 aprile 1945 - Palomar N. 2 – 2001), anche se ovviamente siamo conviti che a latere di questa “missione”, che prevedeva tempi ed impegni piuttosto lunghi, Luigi Longo si premunì incaricando anche “qualcun altro” per recarsi subito a controllare la situazione di Mussolini nascosto notte tempo in quel di Bonzanigo a casa dei contadini De Maria.
In definitiva, sia a Milano (partenza di Valerio ), poi a Como (arrivo e litigi in Prefettura) e Dongo (rapporti con i comandanti della 52 a Brigata, e fucilazioni in piazza), ed infine ritorno notturno a Milano con l'equivoco ed il fermo intercorso con i partigiani della Divisione Ticino (dove Audisio e Lampredi con il camion dei cadaveri, furono scambiati per fascisti e persino maltrattati), [1] comprendendo i relativi posti di blocco stradali messi in atto quel giorno dai partigiani, c'è chi era effettivamente entrato in contatto e aveva conosciuto questo colonnello Valerio , che girava con un lasciapassare in inglese, firmato dal capitano americao Emilio Daddario, intestato a Giovanbattista Magnoli, di Cesare ed altro documento intestato a Walter Audisio, ed aveva anche avuto modo di vagliarne attentamente le sue credenziali.
Walter Audisio
In ogni caso il ragionier Walter Audisio, era nato ad Alessandria nel 1909 ed aveva quindi 36 anni nel 1945. Durante il ventennio fascista fu ragioniere alla ditta Borsalino. Arrestato per attività comunista venne confinato a Ponza. Dal confino uscì in virtù di una domanda di grazia a Mussolini, per la quale dovette anche compiere una mezza abiura. In tutti i profili biografici che gli sono stati dedicati, è ritenuto un partigiano assolutamente non pratico di armi e con una personalità alquanto grigia. Una personalità questa che poi ebbe a confermarsi anche negli anni del dopoguerra, dove questo anonimo ragioniere, fatto eleggere per alcune legislature in parlamento e per lui avanzata richiesta di medaglia d'oro, non lasciò alcun segno politico o umano di un certo spessore. Alla sua morte il Pci gli dedicò di certo quegli onori che se fosse stato veramente il “giustiziere” del Duce avrebbe sicuramente avuto. Da tante confidenze fece anche capire che lui non era di certo stato un “assassino”.
Rileggiamone alcune:
Al giornalista Silvio Bertoldi nel 1959, sembra che disse:
<< Se mi venisse voglia lo farei io, un giorno, un grande colpo giornalistico, di quelli sensazionali. Basterebbe che scrivessi cinque capitoletti come intendo io sulla storia di cui sono stato protagonista, per un rotocalco,…e le assicuro che si raggiungerebbe una tiratura…una tiratura… macché Grand Hotel >>.
Addirittura da parlamentare, in Transatlantico ad un collega senatore disse: << Ma tu credi proprio che io sia stato un assassino ?>>, e lo disse con un tono da indurre una ovvia risposta negativa.
Scrisse G. Cavalleri, nel suo Ombre sul lago Ed. Piemme, 1995:
<< In alcune occasioni lo stesso Walter Audisio ha fatto capire di non aver sparato lui personalmente. […] …con alcune persone si è anche sbilanciato con versioni contrarie al ‘mito' appositamente creato per lui … con il collega del Senato, il democristiano Mario Martinelli […], ma anche con il vicino di sedia al consiglio comunale di Casal Monferrato, Sergio Scarpone …>>.
Importante anche la testimonianza rilasciata da Aldo Beolchini, uno dei collaboratori di Cadorna e futuro capo del SID negli anni '70:
<< Valerio non è che fosse un killer. Era il classico ragiunatt piemontese, alessandrino. Gli dai un ordine e lui obbedisce >>.
Italo Busetto ex comandante dei GAP ( gruppi di azione patriottica ) milanesi, invece, nel 1972 ricordò che si era ritrovato Audisio nei SAP ( squadre di azione patriottica ) di Cremona con risultati inconcludenti, tanto che ne stilò un rapporto a seguito del quale Audisio fu chiamato a Milano con incarichi privi di responsabilità militari.
Il tenente Pio Bruni già del “Savoia Cavalleria” e collaboratore della segreteria di Cadorna, più sfumatamente, raccontò:
<< Walter Audisio e io abbiamo avuto occasione di vederci spesso, ma su quegli avvenimenti ‘Valerio' era molto reticente. Ai comunisti ha relazionato di sicuro e Aldo Lampredi ‘Guido' ancor più di Audisio… Direi inoltre che Lampredi fosse più la ‘mente' e Audisio più il ‘braccio'>> (M. Vigano, Testimonianza resa all'autore: Un Istintivo gesto di riparo. Nuovi documenti sull'esecuzione di Mussolini 28 aprile 1945 op. ci.).
Tutti fattori questi che mal si prestavano per affidargli un incarico di quel genere ed in quella caotica e pericolosa situazione a meno che questo incarico (missione da Milano a Dongo), come vedremo sia, in realtà, anche di altra natura.
Non a caso il 18 marzo del 1947 l'onorevole socialista Alcide Malagucini, parlando alla Costituente, si espresse molto sibillinamente, affermando: “L'atto di giustizia, compiuto dal colonnello Valerio o chi per lui… “, lasciando quindi capire molte cose.
Queste testimonianze però non possono considerarsi decisive, mentre molto più probante è quanto riportato dal regista Carlo Lizzani, autore del film “ Mussolini ultimo atto ”, il quale ha rivelato nel suo libro di memorie (“ Il mio lungo viaggio nel secolo breve”, Einaudi 2007) che l'allora presidente della camera Sandro Pertini, nel 1975 gli scrisse una lettera per lamentarsi del personaggio che nel film lo interpretava e tra l'altro scrisse: << ... e poi non fu Audisio a eseguire la “sentenza”, ma questo non si deve dire oggi >>.
Infine, può non voler dire molto, ma può anche voler dire tanto, il fatto che, per esempio, in tutti questi anni è stato praticamente quasi impossibile raccogliere una confidenza negli ambienti politici, anche comunisti ed ovviamente fuori dell'ufficialità, che esprimesse la convinzione che fosse proprio Walter Audisio l'uccisore del Duce!
Anzi mentre nel comasco, attorno ai luoghi di quegli eventi, tra ex partigiani girava la voce che a sparare a Mussolini era stato Michele Moretti Pietro, all'interno del PCI, come ha rivelato Massimo Caparra ex segretario di Togliatti, ma anche altri comunisti si sono espressi in questo senso, si diceva sottovoce che a sparare a Mussolini era stato Aldo Lampredi Guido.
Ma che Audisio non c'entri nulla con l'assassinio di Mussolini e la Petacci è oramai dato per scontato (tranne ovviamente per gli Istituti storici resistenziali), quello che occorre invece accertare è la sua effettiva presenza in tutte le vicende che gli vengono assegnate (Como, Dongo, Giulino di Mezzegra).
Lascia, infatti, a pensare il perché del lungo periodo che si lasciò passare prima di ufficializzare il nome del colonnello Valerio quale esecutore del Duce e poi (a marzo 1947) quello di Walter Audisio quale il vero colonnello Valerio.
Il giornalista Ferruccio Lanfranchi sul Corriere d'Informazione aveva anticipato da maggio 1945 (o meglio forse gli era stato appositamente fatto anticipare con un certo gioco delle parti teso a far divulgare anche dai non comunisti brandelli della “storica versione”) il nome del “ colonnello Valerio” e aveva poi pubblicato ad ottobre una sua inchiesta titolata “ Il colonnello Valerio racconta ”.
Ma l'ufficializzazione di questo nome di battaglia ( Valerio ) da parte delle autorità della Resistenza, ovvero del PCI, avvenne solo con gli articoli dell'Unità iniziati il 18 novembre 1945 anche se, sempre l' Unità aveva già pubblicato la foto di una lettera, datata 18 settembre, indirizzata al direttore Velio Spano e firmata “ colonnello Valerio” con la quale, costui forniva al giornale la matricola del mitra MAS utilizzato “ per uccidere” (guarda caso stranamente non disse: “ con il quale ho ucciso” ) Mussolini. Quindi del colonnello Valerio se ne parlava, ma il partito comunista ancora non lo attestava ufficialmente fino al tardo autunno 1945. Di Walter Audisio invece niente, silenzio.
D'accordo che le ragioni di sicurezza imponevano di tenere nascosta quella identità, ma in ogni caso tanti avrebbero dovuto essere a conoscenza tra Milano, Como e forse Dongo, di queste identità, di Valerio soprattutto, da tanti visto e conosciuto, ma anche di Audisio alias Magnoli. Eppure nessuno ne parlò, nè fece trapelare una precisa indiscrezione!
Ovviamente tutte queste restano delle congetture, ma congettura per congettura potrebbe anche esserci una spiegazione a questo “collettivo vuoto di memoria”. Lo intuì anche Franco Bandini quando presuppose che chi sapeva o intuiva qualcosa, taceva perché sapeva anche che quell'Audisio non poteva essere l'autore di tutte quelle gesta!
Costoro non potevano quindi ricollegare Valerio e/o Audisio a tutti i fatti ed agli avvenimenti che la “ storica versione ” mano a mano trivelava e ritenevano più opportuno stare zitti.
Comunque già a gennaio del 1946 nel volume “ I morti e i vivi ” stampato dall'Anpi di Milano era apparso il nome di Walter Audisio, ma soprattutto il giornalista Franco De Agazio del Meridiano d'Italia , poco prima di essere assassinato (a marzo del 1947), nel corso di una sua inchiesta, era arrivato a scoprire l'identità di Audisio = Valerio comparando una vecchia firma di Audisio, su di un documento al tempo di quando era confinato, con quella a nome Magnoli apposta in calce all'elenco dei fucilati di Dongo. In questo modo ne aveva constatato l'identità della grafia. Questa verifica è poi stata fatta anche molti anni dopo, comparando alcuni documenti firmati da Audisio nel 1944, le liste dei prigionieri di Dongo, una lista di medicinali consigliati a Mario Martineli e una firma di Audisio del 1962, ed ha confermato l'identità delle scritture.
Quindi almeno a Dongo (e di conseguenza precedentemente a Como) Walter Audisio c'era stato veramente.
La leggenda di Valerio = Luigi Longo
Alcuni autori storici e giornalisti, contribuendo alla confusione generale, ripropongono ogni tanto, spesso senza molta convinzione, questa faccenda di Longo giustiziere, visto che l'argomento si presta magnificamente per una stampa che voglia fare della suspance e del clamore, cioè cassetta .
Luigi Longo
Luigi Longo (nomi di battaglia Italo e Gallo ) era nato a Fubine (Alessandria) nel 1900, aveva quindi 45 anni nel 1945. Comunista nel torinese con l'Ordine Nuovo di Togliatti e Gramsci, lo ritroveremo anni dopo a Mosca fedelmente allineato con la politica sovietica e poi in Spagna dove sarà il mitigo Gallo , l'Ispettore Generale delle Brigate Internazionali. Mostrerà doti di risolutezza nell'assumersi delle responsabilità e nel prendere delle decisioni, accanto ad un certo sangue freddo.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale è in Francia internato a Vernet, ma con il successivo governo Petain nel 1941 viene estradato in Italia e confinato a Ventotene da dove verrà fatto uscire sotto il governo Badoglio. Dopo l'8 settembre del 1943, fu in pratica il braccio destro di Palmiro Togliatti del quale ne interpretò magnificamente, e quando il caso con spietata durezza verso i dissidenti comunisti, la linea collaborazionista di Salerno.
Nel 1945 praticamente Luigi Longo deteneva su di sè il vice-Comando del CVL, la segreteria del partito comunista clandestino, il comando delle Brigate Garibaldi e una presenza nel CLNAI. Freddo e spietato dimostrò anche spiccate capacità politiche ed una certa astuzia, ma testimonianze attendibili dicono che, in realtà, Longo aveva un istintivo terrore della armi.
Premessa questa breve biografia di Longo possiamo anche aggiungere che sia ammissibile, ma solo in fotografia, una certa somiglianza tra Longo ed Audisio (senza baffetti, come sembra fosse l'Audisio ad aprile 1945) e proprio questo particolare molto aleatorio, ha consentito di sviluppare tutte quelle ipotesi che hanno voluto proprio Longo come il vero Valerio al posto di Audisio stesso, o assieme ad Audisio, in Como e Dongo.
Infatti, in aggiunta alle due diverse e divergenti personalità ed alla mancanza di una pratica militare di Audisio, si è poi affermato che, per esempio, a Dongo il Valerio che smascherò Marcello Petacci (fattosi passare per console spagnolo), utilizzando appunto qualche frase in spagnolo, non poteva che essere stato Longo o comunque qualcuno che conoscesse bene quella lingua. Ed inoltre quel Valerio aveva confidato, in quei frangenti, di aver fatto la guerra civile spagnola.
Ora è certo che Audisio non era stato in Spagna, almeno durante quella guerra civile, essendo infatti al confino, ed al massimo poteva sapere un poco di spagnolo come vezzo di molti comunisti dell'epoca, mentre Longo, come abbiamo visto era stato un veterano di quella guerra.
Abbiamo anche la testimonianza, che se veritiera sarebbe decisiva, del capitano di fregata Giovanni Dessì, il quale riferì che gli uomini giunti con Valerio a Como indossavano divise che ricordavano la guerra civile spagnola e che lo stesso Valerio ebbe a dirgli di avervi a lungo partecipato. In questo caso, oltretutto, il Dessì esponente del SIM e quindi spia con una certa esperienza, è difficile che possa aver equivocato.
La faccenda della partecipazione alla guerra civile spagnola, da parte di questo “misterioso Valerio” potrebbe rimanere nel campo delle supposizioni aleatorie, ma resta il fatto che anche gli “storici resistenziali” hanno finito per dargli, involontariamente, una certa importanza.
Scrive infatti Giusto Perretta nel suo “ Dongo 28 aprile La verità” Ed. Actac 1997, dagli ambienti resistenziali considerato oggi “la bibbia” della storica versione” :---
<< L'individuo (M. Petacci, n.d.r.) venne messo a confronto con Valerio, ma dopo alcune domande cadeva in contraddizione perché Valerio che aveva combattuto in Spagna, rivolgendogli alcune frasi in spagnolo aveva subito capito che l'interrogato per essere un funzionario dell'ambasciata spagnola, di spagnolo ne masticava proprio poco>>. Quindi delle due l'una: o il Perretta ha ripetuto una delle tante versione, più o meno attendibili, che hanno circolato su questa vicenda, senza rifletterci, né riscontrarla attentamente, oppure qualcosa di vero nello “spagnolo” di questo colonnello Valerio potrebbe pur esserci.
Leo Valiani si dichiarò molti anni dopo moderatamente possibilista, circa una presenza di Longo quel giorno nei luoghi operativi, ma certamente non per tutta la mattinata.
Nel suo tardivo libro (molto poco attendibile) “ Dongo mezzo secolo di menzogne ” Mondatori 1993, Urbano Lazzaro, Bill , vicecommissario della 52 a Brigata Garibaldi, convinto di aver riconosciuto dalle foto (seppur viste molti anni dopo), Longo in Valerio , ci racconta che al tempo del processo di Padova del 1957 (il processo per il cosiddetto “oro di Dongo”), non avendo riconosciuto, neppure dal vivo ed in quel momento, in Audisio il Valerio di Dongo, volle accertarsene tirandogli un tranello: affermò infatti il Lazzaro, davanti ai giudici, che Valerio gli aveva ordinato di togliere le scarpe a Marcello Petacci, al che Audisio esclamò: << Che scarpe !?>> E lo tacciò di essere un bugiardo.
Ma il tranello era riuscito, afferma Bill , perché il vero Valerio non poteva ignorare quell'episodio così inconsueto. Anche Pedro il Bellini, aggiunse il Lazzaro, rimase alquanto perplesso. Lo stesso Lazzaro riferisce poi altri particolari che Audisio ebbe a riportare, in modo inesatto, in quell'occasione e che attesterebbero, secondo lui, una inequivocabile mistificazione di Audisio.
In ogni caso, seppur ci sono alcune testimonianze, tutte però raccolte solo dopo che tra il famoso articolo di Franco Bandini “ Fu fuicilato due volte” su Storia Illustrata del febbraio 1973 e il suo libro “Vita e morte segreta di Mussolini, Mondadori 1978, scoppiò il caso Valerio = Longo, che ritengono possibile che quel Valerio fosse Longo, molto più numerose ed anche più convincenti sono quelle che negano questa intercambiabilità di ruoli quel sabato 28 aprile del 1945.
Alcune di queste testimonianze, infatti, di persone che Longo lo conoscevano benissimo (il maggiore Cosimo Maria De Angelis arrivato a Dongo con Valerio, per esempio, che aveva partecipato a Milano a varie riunioni del Comitato militare con Longo), affermano che non si trovava di certo a Dongo quel pomeriggio e di certo non era il colonnello Valerio .
Paolo Murialdi Paolo , già capo di Stato maggiore delle Brigate dell'Oltrepò pavese, descrisse con molti dettagli i colloqui con Audisio al momento della sua partenza mattutina da Milano, mentre Alberto Mario Cavallotti Albero, già Commissario di quelle Brigate, che accoglierà la missione al rientro notturno da Dongo e quindi ebbe modo di parlare a caldo con i vari Valerio, Riccardo (alias Alfredo Mordini) , ecc. ebbe ad escludere decisamente qualsiasi ipotesi che attesti Valerio nella persona di Longo. Oltretutto Cavallotti, poco prima aveva anche ricevuto, alle scuole (caserme) di viale Romagna la telefonata di Audisio che lo informava: << La missione è compiuta; abbiamo avuto qui delle grane con dei cretini… ci volevano ammazzare>> riferendosi allo spiacevole episodio, prima accennato, con gli uomini della Divisione Ticino in via Fabio Filzi.
Non indifferente è poi anche la testimonianza di Giuseppe Cirillo Ettore , capo del servizio radiotelegrafico del Comando generale del CVL, tra l'altro una testimonianza non comunista, il quale parlando della missione ben riuscita, di Audisio, aggiunse:
<< sbrigò la faccenda rapidamente superando non poche difficoltà, la eseguì non tanto bene ammazzando la Petacci. Nella confusione nessuno aveva dato ordini per la Petacci, non si sapeva neppure della sua presenza a Dongo<<.
La logica oltretutto ci dice che la presenza politica di Longo in quelle ore a Milano, dove si stavano riempiendo i vuoti del passaggio dei poteri, era troppo importante per il PCI così come anche per il comando delle Brigate Garibaldi e alla redazione dell' Unità , per rischiare di assentarsi in avventure fuori Milano, in quelle ore non certo prive di rischi.
Nel primo pomeriggio poi, sappiamo che Longo andò all'incontro con Moscatelli e le sue divisioni della Valsesia in arrivo a Milano e poi (intorno alle ore 16) è accertato, tenne anche un comizio in piazza Duomo, dal tetto di un autoblinda, come illustrò con tanto di foto al “ Corriere”, Giulio Seniga comunista passato poi al PSI.
Quindi le ipotesi del Lazzaro, che oltretutto si basano solo su un suo tardivo e personale riconoscimento in base a foto e ricordi, che presumevano di identificare Longo nel colonnello Valerio da lui conosciuto, sono prive di ogni riscontro, mentre quelle più sfumate che asseriscono una presenza (arrivo e fuga) di Longo a Bonzanigo almeno nel primo mattino, potrebbero avere un minimo di concretezza, ma restano sempre solo ipotesi.
I sospetti che Valerio possa essere stato un altro partigiano
Come accennato, occorre anche considerare che alcuni (tra i quali anche Franco Bandini) hanno ipotizzato che il Valerio visto a Dongo possa essere stato un misterioso partigiano, come ad esempio il fumantino ed esperto colonnello Domenico Tomat, comunista, fedelissimo di Longo ex maggiore delle Brigate Internazionali e comandante di una brigata comunista a Chiavenna (vicino Dongo).
Il nome di battaglia di Tomat, nato nel 1903, quindi 42 anni nel 1945, oltre che Silvio , era proprio Valerio e sembra questi un esecutore molto più credibile di Audisio ed aveva anche lo stesso carattere irascibile e violento manifestato dal colonnello Valerio in quegli avvenimenti. Stranamente poi questo Tomat, viene poco o nulla citato nei testi sacri della Resistenza.
E' certo che il Tomat seppe ben presto che Mussolini era stato arrestato a Dongo, trovandosi egli infatti a Morbegno al comando della 1 a divisione Lombardia dove sembra che vi si recarono la sera del 27 aprile Urbano Lazzaro Bill e Alois Hoffmann proprio per comunicare l'avvenuta cattura del Duce. Su queste ipotesi si è anche detto che tra i gruppi di fuoco, scatenati per l'immediata liquidazione di Mussolini, poteva esserci proprio il gruppo Tomat – Siro Rosi (un altro comunista toscano del 1915).
Di Rosi e Tomat ne parla, ma senza prove concrete, un libro del 1989 di Eraldo Vannozzi “ La fucilazione di Mussolini una storia riscritta” La Cartotecnica 1989.
Questo Rosi, detto Lino grossetano ex combattente di Spagna (e chiamato anche in causa per l'assassinio di Gianna , Giuseppina Tuissi), ispettore del Comando Delegazione Garibaldi – Lombardia, sembra che nei giorni insurrezionali si trovava nell'alto lago di Como. Le sue cariche gli consentivano sicuramente, in quei giorni, di muoversi con una certa speditezza. Alla sua morte, avvenuta nel marzo 1987, ebbe dal PCI grossetano un riconoscimento con varie benemerenze tra le quali, la partecipazione alla cattura di Mussolini, fatto questo di cui, almeno ufficialmente (come scrisse il giornalista storico Andriola), non se ne era mai parlato. Che entri negli eventi che stiamo considerando è anche possibile, ma che possa essere stato lui il misterioso Valerio è da escludersi anche per via dei suoi soli 30 anni.
Tutti questi personaggi, in ogni caso, restano avvolti nel mistero più fitto anche perché bisognerebbe sapere con certezza, e non lo sappiamo, dove si trovavano esattamente la sera del 27 aprile '45 o all'alba del 28, chi li avrebbe eventualmente contattati ed incaricati della missione per andare ad uccidere il Duce e magari poi sovrapporsi ad Audisio in quel di Dongo. Sono tutte ipotesi che potrebbero rientrare benissimo nella supposizione che probabilmente da Milano vennero subito incaricati sul posto elementi adatti e fidati per liquidare la faccenda di Mussolini e si spiegherebbe anche la faccenda del “ Valerio ” che parlava spagnolo e aveva partecipato alla guerra civile spagnola. Purtroppo però restano solo ipotesi perché prove concrete a cui appigliarsi non ci sono.
Infine per questo misterioso Mr. X, emerge anche un certo " Nicola ", nome posto tra virgolette come se fosse un nome di battaglia, così come viene accennato nei rapporti riservati dell'agente americano Lada-Mocarsky. Molto probabilmente questo di “ Nicola ” è un errore del Mocarsky o una voce racconta male, dovendosi invece intendere Guido Conti, cioè Aldo Lampredi, visto che, come ora vedremo, viene appunto nominato al suo posto in momenti e vicende riguardanti Lampredi. Questa del Nicola resta comunque una misteriosa presenza che ingarbuglia ancor più le carte dando credito a chi sostiene che, oltre ad Audisio e Lampredi, agì tra Como e Dongo un altro personaggio rimasto sconosciuto. Ma andiamo per ordine.
Abbiamo già accennato alla poco consistenza delle testimonianze raccolte in quei giorni e sul posto dal Mocarsky, tuttavia nel mare di inesattezze che l'agente americano raccolse, qualcosa di vero, magari distorto, doveva pur esserci, anche perché da questi rapporti emerge, sia pure in modo confuso, che l'Audisio, indicato quale colonnello Valerio che forse si recò a Bonzanigo quel pomeriggio (per la cronaca di quei giorni vi andò per fucilare Mussolini, in realtà vi andò per mettere in atto la sceneggiata di una finta fucilazione) è una persona diversa da un altro Audisio sempre come colonnello Valerio che agì in quelle ore tra Como e Dongo. Insomma riemerge prepotentemente la presenza del famoso Mr. X .
Scrive il Mocarsky:
« Nel pomeriggio di sabato 28 aprile, probabilmente fra le 14 e le 14.20, un civile, che si presentò come il colonnello “Valerio”, arrivò da Milano, si fermò sulla strada principale di Dongo e parlò con il capo dei partigiani locali. Questi era il comandante partigiano che aveva perquisito il convoglio tedesco e che aveva individuato Mussolini. Valerio era più alto della media, aveva circa 40 anni e indossava un basco ».
Escluso il fatto che se per comandante partigiano che in primis a Dongo parlò con questo “ Valerio” ci si riferisce sia al Pedro il Bellini delle Stelle o sia al Neri Luigi Canali, nessuno dei due aveva partecipato alla perquisizione del convoglio tedesco e alla individuazione di Mussolini, compiti che vennero svolti da Bill Urbano Lazzaro e altri partigiani della piazza (oltretutto su delazione dei tedeschi), escluso questo dicevamo, la rievocazione del Mocarsky è abbastanza corretta e sembra anche che il Canali Neri, come raccontò Urbano Lazzaro, descrisse il comportamento esagitato di questo Valerio che, fuori della grazia di Dio, chiedeva che il comandante dei partigiani a Dongo scendesse subito in piazza a conferire con lui, bestemmiando come mai si era sentito.
Aldo Lampredi Guido Conti (nato nel 1899 e quindi di 46 anni nel 1945) arrivò anche lui sulla piazza di Dongo, assieme ad Alfredo Mordini Riccardo, e ai dirigenti della federazione comunista di Como, pochi minuti prima o pochi minuti dopo (le testimonianze sono discordi) di Audisio.
I resoconti raccolti dal Mocarsky però pongono anche un dubbio che Audisio, arrivato a Dongo alle 14,10, si sia confrontato proprio con Lampredi ivi ritrovato.
Si sa, infatti, che Valerio (intendendo Audisio) e Lampredi, rincontratisi a Dongo ebbero un alterco, laddove Valerio ebbe a dire più o meno: <
Il Mocarsky invece con le sue testimonianze genera confusione perché va ad identificare, al posto di Lampredi, un altro misterioso elemento, di nome “Nicola” definito “commissario politico” che dicesi era giunto a Como con Audisio e poi aveva abbandonato quest'ultimo. Quindi delle due l'una: o il Mocarsky confonde Lampredi con questo Nicola, come sembra probabile anche per i particolari forniti, oppure già a Como oltre ad Audisio e Lampredi c'era arrivato anche questo Nicola.
Ma sentiamo la ricostruzione del Mocarsky, che stranamente attesta l'arrivo di Valerio alla Prefettura di Como addirittura per la sera del 27 aprile 1945 (anche qui delle due l'una: o la data del 27 a sera è palesemente errata, dovendosi intendere la prima mattinata del 28, come sembra probabile, oppure già la sera del 27 aprile arrivò “qualcuno” a Como che poi si confuse nei ricordi con il successivo arrivo di Audisio, Lampredi e il loro plotone della mattina dopo):
« La sera del 27 aprile, un certo “colonnello Valerio” si presentò alla prefettura di Como e disse di essere giunto da Milano in missione segreta per conto del generale Cadorna, comandante in capo del Corpo volontari della libertà . Valerio si comportava con autorità. Era sulla quarantina, piuttosto alto e bruno, con un lungo viso angoloso e dei caratteri molto marcati. Indossava una divisa da partigiano color mattone e gli unici gradi che aveva erano tre stelle su uno scudetto rosso di stoffa cucito sul lato sinistro della blusa. Era accompagnato da un “commissario di guerra”, che presentò con il nome di “Nicola” ».
E scrive ancora Lada-Mocarsky: « Il colonnello Valerio e Nicola, gli ospiti provenienti da Milano dovevano rappresentare il comitato centrale del Clnai in questa operazione ».
Letto questo, resta da domandarsi come siano potuti saltare fuori la data del 27 aprile e il nome di Nicola : imprecisioni, confusioni tra il 27 e 28 aprile e tra il nome di Lampredi Guido e quello di Nicola ? E' alquanto probabile, però qualche dubbio che ci sia qualche altra cosa rimasta misteriosa, resta.
Questo per quanto riguarda l'arrivo a Como e Dongo. Spostiamoci adessoal primo pomeriggio quando un certo colonnello Valerio si recò a Bonzanigo per prelevare Mussolini da casa De Maria. Scrive il Mocarsky:
« Verso le 16.00 un partigiano - che aveva accompagnato il gruppo nella notte ma che più tardi era ripartito (evidentemente Pietro Michele Moretti, n.d.r.) - ritornò assieme a un civile piuttosto alto che indossava un impermeabile leggero. (...) Assieme all'uomo, arrivò anche un partigiano che i padroni di casa non avevano mai visto prima. Ritenevano che non fosse di quelle parti ».
In base a queste descrizioni (la Lia De Maria aveva anche detto al Mocarky che l'uomo in impermeabile chiaro aveva circa 40 anni, i capelli pettinati all'indietro e portava una specie di basco, si dovrebbe dedurre che si presentarono in quella casa Aldo Lampredi (il civile in impermeabile) e Walter Audisio (il partigiano, probabilmente così descritto perché aveva una giacca a vento militare e un nastrino sul petto con tre stellette).
Tuttavia alcuni pongono un punto interrogativo su la figura di Lampredi, anche perché non viene descritto con gli occhiali (il capitano Angelo Bussi, della Divisione partigiana Ticino, tra quelli che fermarono Audisio e Lampredi la sera alle 22,30 in via Fabio Filzi di ritorno con il camion dei cadaveri da Dongo, lo descrive: “ un tipo alto, un po' allampanato con il naso leggermente pronunciato, forse un po' aquilino”. M. Viganò, Testimonianza resa all'autore in: ”Un istintivo gesto di riparo”, op. cit.).
Sicuramente Lampredi, in impermeabile chiaro e basco arrivò da quelle parti, ma quando, al mattino e/o al pomeriggio?
La confusione, a nostro parere, deriva anche dal fatto, che non è chiaro il momento temporale a cui si riferisce la De Maria, perché in effetti in casa sua ci furono due arrivi ed entrambi accompagnati da Michele Moretti: uno quello decisivo al mattino verso le 9 (quando Audisio era ancora a Como) quando arrivò il gruppetto di partigiani e civili che uccisero Mussolini. Episodio questo rimasto misterioso e svelato dalle testimonianze di Dorina Mazzola e di Savina Santi la vedova di Guglielmo Cantoni uno dei due guardiani di Mussolini in quella casa [2] , ed un altro al pomeriggio prima della 16 quando vennero il gruppetto dei partigiani per mettere in atto la sceneggiata di Giulino di Mezzegra. Bisogna tenere ben presente questo particolare che ingarbuglia tutte le testimonianze.
Per tornare al nome misterioso di Nicola, alcuni hanno ipotizzato, dovendosi scartare il comunista Nicola Gambaruto comandante nell'alto Lago, perche si trovava da tutt'altra parte, che potrebbe trattarsi di un cognome e quindi forse di Giovanni Nicola (1896 – 1971) di Caragaggio (BG), 49 anni nel 1945, comunista stalinista di ferro, nel dopoguerra alto dirigente del PCI milanese.
Non è escluso però che nella confusione di tutte queste relazioni e testimonianze, un misterioso esecutore del Duce, comunista milanese, possa entrarci come uno degli esecutori arrivati al mattino Bonzanigo (“ un gruppo di partigiani milanesi ” definì gli uccisori del Duce lo storico Renzo De Felice che difficilmente si esprimeva con superficialità ed è noto che Francesco Cossiga, dalla lunga carriera politica e parlamentare e oltretutto originario della Sardegna come la famiglia Berlinguer, evidentemente avendo raccolto confidenze e pareri, ebbe un giorno ad affermare in televisione che Mussolini fu ucciso da un dirigente comunista di Milano, fatto poi riparare in Sud America).
Ma le prove su questo Mr. X o sullo stesso Nicola ?
Purtroppo non ci sono e quindi anche questa indagine resta senza capo ne coda.
Le descrizioni del famoso colonnello Valerio
Abbiamo già accennato alla descrizione che è stata fatta riguardo questo colonnello Valerio, confondendosi il ritratto tra un soggetto in abiti civili (impermeabile) ed un altro in abiti da partigiano. Evidentemente due persone diverse con ruoli diversi, anche se a quanto pare chi aveva autorità sembra essere quello in abiti civili, il che aumenta ancor più la confusione.
Pedro, il Bellini delle Stelle, descrisse Valerio come “ un uomo piuttosto alto, in divisa, un pò stempiato, dall'aspetto energico e dai modi bruschi ” e all'agente americano Lada Mocarski aggiunse che era sui 40, 42 anni ed indossava un berretto o basco. Comunque
La signora Lia De Maria di Bonzanigo, come abbiamo visto, lo descrisse alto, con i capelli neri spazzolati all'indietro e con indosso un impermeabile chiaro e un non meglio precisato basco. Tutti dettagli che però ben si addicono ad Aldo Lampredi, che era alto circa 1,83 cm. e non era stempiato come Audisio. Ma qui per Lampredi manca il particolare che dovrebbe (?) Pedro, conosceva sia Audisio che Lampredi e quindi qui per Valerio intende Audisio o comunque il personaggio misterioso che poi venne detto fosse Audisio.
La confusione però si accentua ancor più perché a quanto pare, quel pomeriggio del 28 aprile, colui che effettivamente comandava il terzetto di “giustizieri” per la sceneggiata di Villa Belmonte”, era quello definito “ il civile ” cioè Lampredi e non Audisio definito “ il partigiano ” così nomato a causa di qualche suo abito para militare [3] .
Pietro Carradori, il brigadiere di PS attendente del Duce, ferito e fermato a Dongo, ebbe modo di incontrare Valerio nel Municipio di Dongo. Molti anni dopo, gli vennero fatte vedere alcune foto e trovò una fortissima somiglianza di Valerio con Giovanni Pesce Visone , ma dovette escludere questa identità perché il Pesce era alto appena 1 metro e 67, mentre quel Valerio era più alto, quasi quanto lui. Escludeva però che potesse essere Audisio perché troppo evidenti erano le differenze, mentre riteneva possibile che fosse Longo. E siamo di nuovo da capo a dodici.
Conclusioni. Preso atto di quanto sopra esposto, si evince che non è possibile sciogliere con certezza assoluta questo mistero inerente la effettiva presenza fisica di Walter Audisio alias colonnello Valerio in tutti gli episodi che gli sono stati attribuiti (a Como, a Dongo a Giulino di Mezzegra). Del Longo = Valerio però c'è veramente ben poco di attendibile.
E' doveroso quindi dare ad Audisio quel che è di Audisio, anche se con qualche riserva (una sovrapposizione, in alcuni eventi, di un altro “personaggio” rimasto misterioso? Il famoso Mr. X ? ). A nostro avviso, però, come ora vedremo, occorre ragionare diversamente.
Un diverso modo di porre il problema “Mr. X”
Considerando quanto sopra esposto, possiamo trarre la ragionevole conclusione che effettivamente Walter Audisio alias colonnello Valerio partì da Milano verso le 7 del mattino (se non alquanto prima) ed arrivò a Como, poco dopo le 8; di conseguenza finì a Dongo poco dopo le 14 con quel che segue. L'incarico che ebbe (vuoi che sia il tradurre i prigionieri a Milano o fucilarli sul posto) non ha molta importanza perché, rispetto al Duce non venne portato a termine essendo, nel frattempo intervenute, altre situazioni.
Longo, invece, quasi sicuramente restò a Milano dove la sua presenza, in quei momenti, era oltremodo necessaria ed un suo viaggio nel comasco alquanto pericoloso. E sicuro invece, oltre che logico, che Longo spedì “qualcuno” che poteva arrivare più celermente di Audisio a Bonzanigo a controllare la precaria situazione di Mussolini.
Forse si possono, al massimo, avanzare un paio di dubbi, che sono però tutti da dimostrare: il primo, che Longo abbia potuto fare, al mattino presto, una rapida puntata a Bonzanigo per controllare di persona Mussolini (ucciso poi tra le 9 e le 10) e quindi tornare subito a Milano; il secondo che a Dongo agì, sovrapponendosi ad Audisio un altro autorevole personaggio (ex guerra civile di Spagna), rimasto sconosciuto.
E' un dato di fatto però che alcuni ricercatori storici, sia che condividano o meno l'uccisione di Mussolini alle 16,10 o invece al mattino, sono spesso partiti da un presupposto che complica le cose ovvero, ragionando sui dettagli forniti per la giornata del 28 aprile dalla versione ufficiale e non ritenendo possibile che un incarico para militare del genere potesse essere stato affidato all'oscuro e mediocre ragioniere Walter Audisio, anche in considerazione poi di alcune peculiarità che quel Valerio mise in mostra a Dongo (il parlare spagnolo, ecc.), ne deducono che non è possibile che Valerio sia Audisio e quindi ipotizzano che Mussolini venne ucciso da un ben diverso sparatore mentre l'identità di Valerio = Audisio fu solo una invenzione a posteriori.
E' questa una logica generalizzazione, ma che non va bene.
Questo ragionamento, infatti, pur essendo in parte plausibile, manca di prove tangibili e poi pone tutta una serie di problematiche consequenziali quasi irrisolvibili.
Insomma il corollario di testimonianze, sia pure spesso contraddittorie, attorno alla versione ufficiale non può essere tutto un falso storico e quindi bisogna porre il problema in un altra ottica e partire da una diversa premessa.
Primo: la chiave per risolvere questo mistero sta in due particolari: primo la necessità logica ed evidente di mandare subito qualcuno, a prescindere dalla missione di Valerio, sul luogo dove elementi eterogenei (un comunista, Moretti, un altro comunista, ma in disgrazia con il partito, Canali, ed un non comunista, Pier Bellini delle Stelle, hanno nascosto il Duce, e poi nelle due testimonianze rilasciate da Dorina Mazzola, al tempo diciannovenne residente a poco più di cento metri da casa dei De Maria dove erano nascosti Mussolini e la Petacci e da Savina Santi la vedova di Guglielmo Cantoni Sandrino uno dei guardiani del Duce in quella casa.
Dai loro racconti si deduce che un paio di partigiani, oltre Michele Moretti, intorno alle 9 del 28 aprile 1945 fecero irruzione in stanza dove erano rinchiusi Mussolini e la Petacci e ne seguì trambusto e un paio di spari (<< uno dei tre che diceva: “adesso vi portiamo a Dongo per fucilarvi”, e un altro gridare: “No, vi uccidiamo qui!>> .
Si determinò quindi il ferimento al fianco, e forse al braccio di Mussolini e forse una contusione sotto l'occhio alla Petacci. Ne seguì poi poco dopo l'uccisione del Duce nel cortile dello stabile e intorno a mezzogiorno quella della Petacci in un prato poco più avanti (Vedesi: G. Pisanò, Gli ultimi 5 secondi di Mussolini, il Saggiatore 1996.
Tutti particolari questi che si accordano con alcuni rilievi retrospettivi crono tanatologici e balistici e sulla osservazione dei reperti di vestiario dei cadaveri.
Dunque l'uccisione di Mussolini è avvenuta al mattino, a seguito di un imprevisto (ferimento del Duce) che ha impedito di portare Mussolini a Dongo e fucilarlo regolarmente con gli altri o anche di fucilarlo sul posto e alla schiena, ma pubblicamente davanti ai pochi paesani di quei posti.
Evidentemente i partigiani spediti da Longo a controllare la situazione a Bonzanigo si fecero prendere la mano in quella camera, forse ci fu una reazione della Petacci ed una reazione di Mussolini a sua difesa o eventi simili ed accadde quel che abbiamo appena raccontato.
Urbano Lazzaro Bill nel suo fantasioso libro “Dongo mezzo secolo di menzogne” , op. cit., privo di riscontri e poco credibile, ricostruì comunque che il Duce e la Petacci vennero uccisi al mattino e Luigi Longo, spiazzato dagli avvenimenti, avrebbe urlato: “ Maledetti, avete rovinato tutto! Chi porto adesso a piazzale Loreto, fregando quei porci di americani ed inglesi?!” .
Un aneddoto questo che non si capisce come il Lazzaro lo avrebbe saputo e comunque ripetiamo, misto ad altri fatti da lui ricostruiti, ma non provati, ma azzardiamo, vuoi vedere che in questo caso il Lazzaro ebbe una “soffiata” veritiera?
Tutto questo comunque è indipendente dal ruolo e dalla presenza di Valerio , chiunque egli sia, ma venne eseguito da “qualcuno” giunto da Milano o forse, meglio ancora, incaricato sul posto (Como o dintorni dove erano presenti Michele Moretti e Luigi Canali in grado di condurre con tutta sicurezza altra gente a Bonzanigo). Occorreva sbrigarsi e prendere in mano la situazione perché la custodia di Mussolini, poteva essere soggetta ad imprevisti, tradimenti, colpi di mano, o arrivi di missioni Alleate che avrebbero potuto far saltare l'esecuzione.
E questo “qualcuno”, partito da Milano o reperito con un ordine telefonico a distanza a Como e dintorni, doveva avere capacità operative e decisionali, oltre che militari, non indifferenti perché si pretendeva di non perdere assolutamente tempo, di essere in grado di superare qualsiasi imprevisto ed inoltre di avere autorità e attitudini militari eccellenti per imporsi a tutto e tutti onde tenere in pugno la situazione del Duce e se necessario eliminarlo alla svelta.
E soprattutto non doveva avere anche altri incarichi “ufficiali” da espletare con le autorità locali del CLN, come invece li aveva Audisio. E' probabile, se tutto va bene, che coloro che vennero incaricati di recarsi a Bonzanigo, preso in custodia il Duce ed essendo sicuri di avere tutto sotto controllo, potrebbero coordinarsi con la missione di Audisio una volta che questi avrà la strada spianata con le autorità locali di Como e il comando garibaldino di Dongo e magari fargli fucilare Mussolini regolarmente assieme a tutti gli altri prigionieri.
Egli si sarebbe in ogni caso appoggiato ad elementi locali fidati e conosciuti in zona (federazione comunista di Como, più il Michele Moretti e il Luigi Canali, conosciuti dai due partigiani lasciati di guardia al Duce).
Secondo: a Walter Audisio, fu invece affidato principalmente un ruolo di “giustiziere ufficiale” (giustizia ciellenista) con funzioni di rappresentanza del CLNAI / CVL al fine di dare, alle esecuzioni che si dovevano compiere, una veste legale (seppur ridicola!) e coinvolgente di tutte le componenti della Resistenza anche al fine di giustificarsi nei confronti degli Alleati con i quali (a prescindere dalle loro reali e segrete intenzioni) il governo del Sud ed il CLNAI avevano pur firmato un impegno di consegna del Duce.
E per questo ruolo Audisio era adattissimo anche perché era l'unico, in quella spedizione, che pur comunista non dipendeva direttamente da un comando comunista, essendo formalmente un ufficiale del Comando Generale del CVL.
Egli quindi deve, giocoforza, perdere tempo passando per le autorità locali di Como (CLN) soprattutto e poi Dongo (Comando 52 a Brigata), parlare, spiegarsi, convincere, imporre ordini a tutte le autorità locali che incontra.
Che la sua missione prescinda dall'urgenza di raggiungere Mussolini è dimostrato dal fatto che Valerio (che sappia o meno che una altro “gruppo” sta pensando a Mussolini), già non informato del trasferimento notturno del Duce fuori da Dongo, viene poi lasciato, praticamente inattivo, per ore in Prefettura a Como senza che nessuno gli dica, neppure quando telefonerà alle 11 al Comando a Milano, di andare in federazione comunista a farsi aggiornare sulla situazione (lì erano arrivati prima delle 7 del mattino Michele Moretti e Luigi Canali, reduci da aver nascosto Mussolini a Bonzanigo e a questi avevano detto che dovevano avvertire il partito a Milano).
Lo si lascia invece andare a Dongo, dove arriverà solo alle 14,10 e questo nonostante al Comando, ma soprattutto al partito, sono tutti consci della necessità di arrivare al Duce prima degli Alleati e non possono non sapere che il Duce è stato trasferito e nascosto!
Audisio il pomeriggio dovette quindi attendere alle esecuzioni dei ministri a Dongo e - probabilmente - era stato ancora lui a doversi prima recare a Giulino di Mezzegra per il sopraggiunto imprevisto di recitare una finta fucilazione di Mussolini che rientrasse nel ruolo storico, politico e agiografico che gli era stato disegnato (abbiamo usato il “probabilmente” e non il “sicuramente” che fu Audisio a recarsi a Giulino di Mezzegra quel pomeriggio, perché in effetti sembra molto strano che Audisio, prima come Valerio e poi firmandosi come Audisio, abbia descritto incorrettamente lo stabile di casa dei De Maria e soprattutto, abbia invertito i percorsi di accesso e uscita da quella casa, definendoli in salita quando erano in discesa e viceversa. Almeno un dubbio è legittimo).
Tutto questo non toglie che, all'occorrenza, in quel di Como e/o di Dongo Audisio venne anche supportato da un altro grosso dirigente che a lui venne a sovrapporsi ( Mr. X ), ma al momento questa è una complicazione per un ipotesi che si intuisce ma non si può dimostrare.
Per tornare ad Audisio, se andiamo a vedere bene i compiti che gli furono assegnati, pur richiedendo una certa dose di decisionismo ed energia, potevano anche essere eseguiti senza grosse capacità militari o eccessiva fretta, visto che i condannati erano custoditi a Dongo ed un buon plotone di scorta e di esecuzione era stato portato per la bisogna.
A far fronte inoltre, ad eventuali imprevisti, c'erano pur sempre Lampredi, personalità di più alto spessore politico e Riccardo Mordini e Orfeo Landini, esperti comandanti.
Se tutto fosse filato liscio a Bonzanigo e magari Audisio non avesse incontrato troppi ostacoli alla sua missione, probabilmente gli avrebbero portato il Duce a Dongo per fucilarlo.
Sappiamo anche che Lampredi e Mordini quel mattino svicolarono da Audisio e dalla Prefettura di Como, passarono in Federazione comunista e si ritrovarono poi con Audisio solo il pomeriggio alle 14,10 in quel di Dongo.
Considerando la concreta e ragionevole ipotesi che Longo, da Milano, incaricò anche altri elementi per controllare il Duce, si può anche presumere che questo incarico, a latere della missione di Audisio, venne affidato proprio a Lampredi. Quindi quella mattina a Como, Lampredi, alto dirigente comunista nella missione di Audisio, svolse anche un altro importante incarico, ma non potendo stabilire a che ora esattamente svicolò dalla Prefettura non sappiamo se arrivò a Bonzanigo poco dopo le 9 partecipando alla uccisione di Mussolini o vi arrivò più tardi per rendersi conto di quanto era accaduto e pianificare la sceneggiata pomeridiana.
In sostanza la chiave di volta di tutto questo mistero, prescinde dalla vera identità di Valerio, e risiede nella estrema necessità di operare in più ambiti e dietro una evidente fretta. Solo in un secondo momento si aggiustò tutto e si confezionò la “leggenda del colonnello Valerio” con tutti gli annessi e connessi che gli si vogliono attribuire.
Per tirare le somme, in questo caos di situazioni che si sovrapposero tra loro nella giornata del 28 aprile 1945, possiamo al massimo avanzare un minimo di “certezze” (si fa per dire) che possono sintetizzarsi in questi elementi:
1. quel giorno fu all'opera negli scenari di Milano, Como, Dongo e Giulino di Mezzegra un certo colonnello Valerio che aveva l'incarico di imporre ai comandi locali le decisioni e gli ordini che venivano da Milano (CVL, CLNAI, Comitato Insurrezionale, dove in quei momenti fu preponderante la volontà comunista e azionista);
2. da Milano era partito Walter Audisio, alias Giovambattista Magnoli che aveva assunto il nome di battaglia di colonnello Valerio e che pertanto troveremo nei luoghi e negli stessi scenari precedenti: Milano, Como, Dongo e forse Giulino di Mezzegra. A quel tempo però non era raro il caso che lo stesso “nome di battaglia” potesse essere utilizzato anche da altri soggetti, purtuttavia di un “altro” capo partigiano diverso da Audisio che si mosse con quel nome, aveva fatto la guerra civile spagnola, ecc., c'è il sentore, il sospetto, ma non ci sono prove concrete per attestarlo, per cui è meglio utilizzare come ipotesi di lavoro quella di Audisio = Valerio .
3. affiancato ad Audisio si trovava anche Aldo Lampredi, partigiano comunista di più alto spessore che a volte agisce in discrezione seguendo a latere i movimenti di Audisio, altre volte invece impone e prende iniziative ed altre volte ancora sparisce per agire autonomamente. La presenza di Lampredi, con basco e impermeabile chiaro, sul luogo di alcuni dei precedenti scenari, farà spesso generare l'equivoco di chi fosse in realtà il “vero colonnello Valerio ”, ma è questo un problema di scarsa importanza;
4. al mattino calarono a Bonzanigo degli elementi giunti appositamente per prelevare Mussolini, se il caso ammazzarlo subito o vedere se era possibile portarlo a Dongo per farlo fucilare da Audisio e poi altrettanto alla svelta sparirono. Tra questi, sicuramente, non c'era Audisio, mentre un piccolo dubbio può invece essere posto presupponendo che ci fosse Luigi Longo e certamente arrivò a Bonzanigo, ma non si può sapere a che ora, anche Aldo Lampredi con Riccardo Mordini e gli altri della federazione comunista di Como;
5. a cose fatte, infine, e per motivi di opportunità politica e sostegno ad una determinata versione della morte del Duce, a Walter Audisio vennero accollati tutti gli eventi di Como, Dongo, Giulino di Mezzegra (finta fucilazione pomeridiana).
* * *
Note:
[1] Audisio , di ritorno a Milano con il camion carico di cadaveri, verso le 22,30, fu fermato in via Fabio Filzi, agli stabilimenti della fabbrica Pirelli, dall'esagitato capitano Luigi Vieni (partigiani della Divisione Ticino , raggruppamento divisioni “ Di Dio” ), maltrattato e minacciato di essere fucilato perché scambiati tutti per fascisti. Si persero alcune ore per questo equivoco e si dice, ma non è provato, che i partigiani presenti con Vieni ebbero modo di vedere alcuni importanti documenti trovati a Guido e/o Valerio. Nella stessa denuncia al Comando CVL, presentata il giorno dopo da Valerio contro l'arbitrio subito e l'equivoco commesso dal Vieni, tra le altre accuse vi riportò testualmente “ rivelazione di segreti”. Quali segreti potevano essere, si sono chiesti tutti, se non quelli di alcuni documenti di Mussolini portati via da Dongo?
[2] La testimonianza della signora Dorina Mazzola, al tempo diciannovenne abitante a Bonzanigo a poco più di cento metri di distanza dalla casa dei contadini De Maria dove era nascosto il Duce, ha svelato con precisione che Mussolini venne ucciso, dopo essere stato ferito in stanza, tra le 9 e le 10 del mattino nel cortile sotto casa, dove venne trascinato con indosso la sola maglietta bianca di salute e i pantaloni, mentre la Petacci fu uccisa intorno al mezzogiorno proprio davanti casa della Mazzola. Ma anche la vedova di Sandrino il Cantoni, rilasciò a Giorgio Pisanò e il suo accompagnatore Giannetto Bordin una importante e decisiva testimonianza. Disse la donna che il marito gli aveva raccontato:
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Questi due racconti fanno capire che accadde un imprevisto nella stanza dove erano detenuti Mussolini e la Petacci. Si può ipotizzare una reazione di Mussolini e della Donna, vista l'irruzione aggressiva nei loro confronti. Le foto della salma della Petacci mostrano una ecchimosi sotto l'occhio destro probabile esito di un colpo al viso. Probabilmente si ingaggiò una colluttazione e Mussolini venne ferito da un colpo di pistola al fianco e forse anche al braccio (la possibile dinamica balistica del colpo al fianco e di quello al braccio, ha fatto ipotizzare al medico legale Aldo Alessiani, proprio gli esiti di spari avvenuti durante una colluttazione con mano che “reggeva” l'arma dell'offendente. Non essendo più in condizioni di essere trasportato, nè presentabile, questo spiegherebbe perchè venne poi ammazzato proprio nel cortile di quella casa.
[3] Occorre tenere presente che l'agente americano Lada-Mocarsky, nelle sue ricostruzioni, si basò anche su un rapporto stilato per il CLN comasco dalla partigiana Angela Bianchi per conto di suo zio, il comandante partigiano Martino Caserotti, alias Martin Bisa, alias, Comandante Roma , alias Arturo, molto noto nella Tremezzina (su questo tema il Caserotti rilasciò anni dopo una testimonianza al giornalista Franco Serra che la pubblicò nella sua inchiesta per la Settimana Incom illustrata di aprile maggio 1962).
Questo rapporto (sembra che a maggio del 1945 venne anche stampato nel comasco in alcune copie) affermava che l'uccisione di Mussolini era stata eseguita da un paio di tiratori di cui uno con mitra ed un altro con revolver e si attestava appunto la presenza di un “civile” in impermeabile chiaro e di un “partigiano” in divisa. Si asseriva anche che un capo partigiano del luogo, sopraggiunto al cancello di Villa Belmonte, aveva sparato un colpo di grazia al Duce morente. Il Caserotti, nella sua intervista del 1962 a Franco Serra si assunse questo ruolo. Viceversa ultimamente tre autori, Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e il ricercatore storico Mario J. Cereghino con il loro libro: “ La Fine – Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945 1946)” , Garzanti 2009, hanno inteso individuare in questo personaggio il capitano Neri alias Luigi Canali, una interpretazione veramente cervellotica e fuori luogo. Comunque sia, questa versione, nel rapporto della Bianchi, venne poi rinnegata dal PCI che evidentemente non la volle avallare perché, a novembre del 1945, l' Unità prese a pubblicare una serie di articoli che ritagliavano sul solo misterioso Valerio gli oneri e gli onori di quella fucilazione. In effetti il “rapporto” della Bianchi presentava alcuni elementi alquanto fantasiosi (per esempio si sosteneva che nel gruppo di “giustizieri” era presente il figlio di Matteotti), e inoltre descriveva l'uccisione di Mussolini, preceduta da colpi di pistola a bruciapelo, facendola apparire più come una esecuzione gangsterica, che una fucilazione giustizialista. A nostro avviso, subito dopo le scarne notizie, sulla fucilazione di Mussolini fornite dall'Unità il 30 aprile 1945, il Caserotti ebbe incarico o se lo prese da se stesso, di stilare per le località del comasco, una versione un pò più ampia e convincente, e di questo ne incaricò la nipote Angela Bianchi, ma come abbiamo visto il PCI finì per non avallarla. Resta comunque una versione, che prevede anche un paio di colpi di revolver al fianco-schiena di Mussolini e la presenza sul posto del Caserotti, che probabilmente mutua qualcosa di vero in quanto accaduto al mattino nel cortile di casa De Maria.
http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_MBarozzi_100825_Il-mistero-del-colonnello-Valerio-alias-Audisio-alias-Longo-alias-MrX.htm
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