sabato 29 maggio 2010
Berlino pagò la rivoluzione di Lenin
Dalle Banche svizzere a Mosca…
Il modo più sicuro per falsificare il passato storico non è soltanto quello di censurare il lavoro degli storici, ma ancor più quello di distruggere i documenti che costituiscono la base della loro ricerca. La liquidazione dell’archivio di Stalin, ad esempio, come hanno scritto Zhores e Roj Medvedev in un interessante recentissimo libro ( Stalin sconosciuto ), venne fatta dai suoi successori per costituirsi un «alibi storico», smentibile da documenti che attestavano la loro diretta complicità coi suoi crimini, da essi, dopo la sua morte, denunziati. Diverso fu il caso dell’archivio di Lenin, che, ricordano sempre i Medvedev, fu gelosamente custodito in quanto Lenin era la base della legittimazione dei suoi successori e, in primo luogo, di Stalin, il quale vantava, non a torto, la sua «fedeltà» all’insegnamento del grande rivoluzionario.
Di recente è stato pubblicato un importante documento che attesta come l’«epurazione» degli archivi sia cominciata dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi nell’ottobre 1917 allo scopo di eliminare prove compromettenti per lo stesso Lenin e i suoi compagni di partito.
Si tratta di un documento datato 16 novembre 1917, su un foglio intestato del Commissario del popolo degli Affari esteri, con la dicitura «massima segretezza». Nel testo, indirizzato al Presidente del Consiglio dei Commissari del popolo, cioè a Lenin, si legge: «Secondo la risoluzione presa alla riunione dei commissari del popolo compagni Lenin, Trotskij, Podvojskij, Dybenko, Volodarskij, abbiamo eseguito quanto segue:
1) nell’archivio del ministero della Giustizia dall’incartamento sul “tradimento” dei compagni Lenin, Zinoviev, Kamenev, Kollontaj, ecc. abbiamo tolto l’ordine della banca imperiale germanica n. 7433 del 2 marzo 1917 con l’autorizzazione di un pagamento ai compagni Lenin, Zinoviev, Kamenev, Trotskij, Sumenson, Kozlovskij, ecc. per la propaganda di pace in Russia.
2) Sono stati controllati tutti i registri della Nya Banken di Stoccolma contenenti i conti dei compagni Lenin, Trotskij, Zinoviev, ecc., aperti dietro l’ordine della banca imperiale germanica n. 2754». Seguivano le firme dei due funzionari del Commissariato degli Affari esteri, Polivanov e Zalkind, che avevano eseguito la disposizione superiore di far scomparire dagli archivi del vecchio ministero di Giustizia russo i documenti sull’«oro di Berlino», cioè sul finanziamento che lo Stato maggiore tedesco aveva fatto ai rivoluzionari bolscevichi (non a loro soltanto, ma anche ad altre forze capaci di operare come una «quinta colonna» nelle retrovie dell’impero zarista, come i nazionalisti ucraini, ad esempio) allo scopo di disgregare il fronte nemico con la propaganda e l’attività pacifista e «disfattista».
Se questo documento getta nuova luce su un episodio già noto e spiega la difficoltà di reperire documenti attestanti l’implicazione diretta di Lenin nei finanziamenti tedeschi, cosa che Lenin negò e che in realtà lasciò fare ai suoi dipendenti, senza volersi sporcare personalmente le mani, un recente libro uscito a San Pietroburgo a cura di Viktor Kuznetsov col titolo Il mistero del rivolgimento d’ottobre. Lenin e la congiura tedesco-bolscevica , raccoglie al proposito documenti per lo più già apparsi in Occidente, ma per la prima volta proposti al lettore russo. Il «peccato originale» del colpo di Stato leninista dell’ottobre 1917, cioè la complicità tra l’azione rivoluzionaria e l’imperialismo tedesco, allora in guerra con la Russia alleata alle democrazie occidentali, viene riproposto in tutta la sua gravità e complessità, al di là dell’episodio del ritorno in Russia di Lenin, con altri fuoriusciti rivoluzionari, dalla Svizzera, dopo la rivoluzione democratica di febbraio, sul famoso «vagone piombato», messo a disposizione dalle autorità tedesche. Su questo aspetto oscuro della rivoluzione comunista la letteratura storica è assai ampia; e intricato appare il sistema di finanziamento di Lenin e dei bolscevichi da parte dello Stato maggiore tedesco per il tramite di una figura singolare, tra l’avventuriero e il rivoluzionario, come Izrail Helphand, detto Parvus, creatore della teoria della «rivoluzione permanente».
Un leninista «pentito» come lo storico Dmitrij Volkogonov, inviso ai marxisti-leninisti impenitenti, nel suo ultimo libro Sette capi , dedicato ai sette «padroni» comunisti del Cremlino, susseguitisi fino a Gorbaciov compreso, scrive e documenta che senza ombra di dubbio «il rivolgimento d’ottobre di Lenin si basò sull’aiuto finanziario della Germania» e che tale aiuto «continuò anche dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi».
Senza sottovalutare il «peccato originale» che macchiò l’evento fondatore del comunismo mondiale, si può, tuttavia, essere d’accordo con lo storico russo Vladimir Buldakov, autore di un originale libro intitolato Il caos rosso che analizza la dinamica rivoluzionaria russa del 1917 come una forma di psicopatologia collettiva sfociata in un delirio di violenza, a dire che Lenin non era «in alcun modo una spia tedesca» o un «agente» del Kaiser: Lenin «naturalmente, sapeva di lavorare in un certo senso per i nemici militari della Russia. Ma l’aspetto morale della questione non lo turbava. Se l’imperialismo mondiale era condannato a distruggersi rivoluzionariamente, i sussidi da parte della Germania erano soltanto una conferma significativa della validità della prognosi marxista. Dall’alto di questa premessa ogni schifiltosità sembrava a Lenin una scempiaggine». Né, d’altra parte, si può sostenere che ciò che accadde in Russia nel 1917 sia stato semplicemente il frutto di una «congiura», anche se è indubbio che il torbido intreccio di interessi germanico-bolscevico permise, nel contesto di altre circostanze, lo scatenamento di una catastrofe radicata in uno strato profondo della realtà storica.
Gli intellettuali occidentali a Zurigo, dove Lenin aveva risieduto, da Werfel a Zweig, da Romain Rolland a James Joyce (che, saputo della cosa, definì il ritorno di Lenin «una sorta di cavallo di Troia») potevano disapprovare l’accordo del rivoluzionario russo con un imperialismo, quello tedesco, al fine di distruggere un altro imperialismo, quello zarista come avvio, secondo un progetto strategico azzardato, di un crollo dell’intero mondo capitalistico. E i generali tedeschi Hoffmann e Ludendorff potevano dirsi soddisfatti dell’esito dei finanziamenti a Lenin e compagni. Ma più ragione aveva un acuto uomo politico russo, Nikolaj Ustrjalov, che da controrivoluzionario passò poi a teorizzare un’ideologia nazional- bolscevica in quanto nel comunismo vincitore riconobbe una forza statale capace di riunificare l’impero russo, a scrivere che Lenin era «al di là del bene e del male», vera incarnazione di un’energia rivoluzionaria elementare che in lui si faceva volontà ferrea e si ammantava di rigida razionalità, capace di qualsiasi azione, oltre ogni scrupolo morale, in obbedienza al fine assoluto del potere del partito comunista. Il che spiega non soltanto la collaborazione con lo Stato maggiore tedesco, ma anche il susseguente e permanente terrorismo «rosso» di Stato, che in Stalin toccò il suo apogeo. Quanto all’«oro di Berlino», il generale Ludendorff fece in tempo a vedere, in una Germania diventata ormai per contraccolpo nazista, come esso si fosse trasformato in «oro di Mosca», profuso nel mondo a sostegno finanziario dell’idea rivoluzionaria teorizzata con rigore da Marx e da Lenin messa in pratica arditamente, sconvolgendo non la Russia soltanto, ma l’intero assetto internazionale.
fonte:archivio il Corriere della Sera
tratto da: http://www.stampalibera.com/?p=12044
Condivido tutte le valutazioni fatte col senno di poi. Ma, se fotografiamo il momento storico, l'appoggio del Kaiser a Lenin non fu nulla di scandaloso: l'Impero Tedesco stava conducendo una guerra mondiale contro l'Impero Russo e quindi era naturale appoggiare un sovversivo come Lenin. E' esattamente lo stesso motivo per cui l'Inghilterra aveva appoggiato la Rivoluzione Francese per vendicarsi contro la monarchia francese che pochi anni prima aveva appoggiato la Rivoluzione Americana. Poi le cose sfuggono di mano ed allora la storia prende pieghe imprevedibili.
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